giovedì 31 luglio 2014

"Sosteniamo il BDS, e la Palestina sarà libera"

Mentre ci sono numerose aziende transnazionali che sono state identificate come bersagli del
boicottaggio: Veolia, per esempio, e so che qui conoscete abbastanza bene Veolia, SodaStream,
Ahava, Caterpillar e Boeing e Hewlett-Packard, e potrei andare avanti ma mi fermo qui, vorrei
proprio parlare del G4S. E' particolarmente importante perché partecipa apertamente,
direttamente, pubblicamente al mantenimento e riproduzione di apparati repressivi in Palestina.
Stiamo parlando delle carceri, dei posti di blocco e del muro dell'apartheid.

Angela Davis:
"Sosteniamo il BDS, e la Palestina sarà libera"
trascrizione del discorso di Angela Davis a Londra
Angela Davis
Video
http://electronicintifada.net/blogs/nora-barrows-friedman/angela-davis-support-bds-and-palestine-willbe-
free
Studiosa, autrice e leggendaria attivista Angela Davis, in un recente discorso
tenuto a Londra, parla della Palestina, della lotta contro l'apartheid israeliano,
della Società industriale globale delle prigioni e del perché la corporazione di
sicurezza transnazionale G4S dovrebbe essere boicottata.
gennaio2014
Angela Davis sulla Palestina, il G4S e la Società industriale globale delle prigioni
Angela Davis: Prima di tutto, vi ringrazio per la splendida accoglienza. E grazie Brenna per
l'appassionata presentazione. Vedo che questa sera sono professore. E grazie anche a Rafeef e
Frank.
E grazie a tutti coloro che sono venuti questa sera. Questo è un incontro importante, in un certo
senso, un inizio importante. E sono felice di vedere che così tante persone, già impegnate nella
campagna contro il G4S, sono presenti pure questa sera. Ci stimolano a continuare questo lavoro.
Prima di partecipare a questo incontro per sottolineare l'importanza del boicottaggio della società
di sicurezza transnazionale G4S, non potevo sapere che questo incontro sarebbe coinciso con la
morte e la commemorazione di Nelson Mandela. E mentre rifletto sui lasciti della lotta che noi
associamo a Mandela, non posso fare a meno di ricordare le lotte che hanno fatto fare grandi passi
verso la vittoria per la sua libertà, e quindi l'arena in cui è stato smantellato l'apartheid
sudafricano.
E come risultato, mi ricordo di Ruth First e Joe Slovo, e ricordo Walter e Albertina Sisulu, Govan
Mbeki, e Oliver Thambo e Chris Hani e i tanti altri che non sono più con noi. In linea con l'insistenza
di Mandela di collocare se stesso sempre all'interno di un contesto di lotta collettiva, è giusto,
credo, evocare i nomi di altri che hanno giocato un ruolo così importante nella distruzione
dell'apartheid.
E mentre é molto commovente vedere l'unanime e costante effusione di lodi a Nelson Mandela,
penso che dovremmo anche mettere in discussione il significato di questa santificazione.
So che lui stesso avrebbe insistito per non essere elevato ad una sorta di santità laica, come singolo
individuo, ma avrebbe sempre rivendicato spazio per i suoi compagni di lotta, e in questo modo
avrebbe seriamente sfidato il processo di santificazione. Era davvero straordinario, ma era
particolarmente notevole come individuo perché si scagliava contro quell'individualismo che lo
avrebbe identificato a scapito di coloro che sono sempre stati al suo fianco.
E penso che la sua profonda individualità risiedesse proprio nel suo rifiuto critico di abbracciare
l'individualismo che è una componente ideologica centrale del neoliberismo. E così voglio perciò
cogliere l'occasione per ringraziare le innumerevoli persone qui nel Regno Unito, tra cui molti
membri dell'ANC allora in esilio e il partito comunista sudafricano che ha costruito in questo paese
un movimento anti-apartheid veramente potente ed esemplare.
Essendo venuta qui in numerose occasioni nel corso degli anni 1970 e 1980 per partecipare a tutta
una serie di manifestazioni anti-apartheid, ringrazio le donne e gli uomini saldi nel loro impegno
per la libertà, così come è stato Nelson Mandela. E vorrei dire che la partecipazione a questi
movimenti di solidarietà qui nel Regno Unito è stata centrale per la mia formazione politica, forse
ancora più centrale rispetto ai movimenti che hanno salvato la mia vita.
E così mentre piango la scomparsa di Nelson Mandela, offro la mia profonda gratitudine a tutti
coloro che hanno tenuto in vita per tanti decenni la lotta anti-apartheid, per tutti gli anni che ci
sono voluti per liberare finalmente il mondo dall'apartheid. E vorrei richiamare lo spirito della
costituzione sudafricana e la sua opposizione al razzismo e all'antisemitismo, nonché al sessismo e
all'omofobia.
Questo è il contesto in cui vorrei unirmi a voi per intensificare le campagne contro un altro regime
di apartheid e in solidarietà con le lotte del popolo palestinese. Come ha detto Nelson Mandela,
sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi.
Il progresso politico di Mandela ha avuto luogo nel contesto di un internazionalismo che da sempre
ci ha spinto a fare collegamenti tra le lotte per la libertà, la lotta dei neri nel sud degli Stati Uniti e
dei movimenti di liberazione africani, per esempio, certamente portate avanti dall'ANC in
Sudafrica, ma anche dal MPLA in Angola, da Swapo in Namibia, Frelimo in Mozambico e PAIGC in
Guinea Bissau e Capo Verde. E quella solidarietà non era soltanto tra persone di discendenza
africana, ma con le lotte dell'America latina e dell'Asia, nonché la continua solidarietà con la
rivoluzione cubana. E, naturalmente, la solidarietà con le persone che stavano lottando contro
l'aggressione militare statunitense in Vietnam.
E così, dopo quasi mezzo secolo, abbiamo ereditato i lasciti di quella solidarietà, comunque che
andassero bene o male le specifiche lotte; la solidarietà era ciò che produceva speranza e
ispirazione. E ha contribuito a creare le condizioni reali per andare avanti.
Così ora siamo messi di fronte al compito di assistere i nostri fratelli e sorelle in Palestina, nella
battaglia contro l'apartheid israeliano. Le loro lotte hanno molte somiglianze con quelle sostenute
contro l'apartheid sudafricano. Una delle più salienti è la condanna ideologica dei loro sforzi per la
libertà rubricati come terrorismo. E ho saputo di prove esistenti che indicano la storica
collaborazione con la CIA che sono state ora rese accessibili - bene, sapevamo che la CIA
collaborava con il regime dell'apartheid sudafricano - sembra che sia stato proprio un agente della
CIA, nel 1962, a indicare alle autorità sudafricane la posizione del luogo in cui si trovava Nelson
Mandela, portando così alla sua cattura e prigionia.
E' proprio fino al 2008 - che è solamente cinque anni fa, giusto? - che il suo nome non era stato
tolto dall'"elenco dei terroristi". Quando George W. Bush – magari qualcuno se lo ricorda - ha
firmato una legge che finalmente cancellava dalla lista lui e gli altri membri dell'ANC ... in altre
parole, quando Mandela in diverse occasioni dopo la sua liberazione nel 1990, ha visitato gli Stati
Uniti, era ancora sulla lista dei terroristi, e doveva essere fatta espressamente una deroga perchè
potesse entrare.
Quello che voglio dire è che per un periodo di tempo molto lungo, lui e i suoi compagni hanno
condiviso lo stesso status di numerosi palestinesi oggi. E che gli Stati Uniti hanno apertamente
collaborato con il governo dell'apartheid sudafricano, come hanno sostenuto e continuano a
sostenere l'occupazione israeliana della Palestina, sotto forma ora di oltre 8,5 milioni dollari al
giorno in aiuti militari. L'occupazione non sarebbe possibile senza la collaborazione del governo
degli Stati Uniti. E questo è uno dei messaggi che dobbiamo trasmettere a Barack Obama.
E' un onore partecipare a questo incontro, soprattutto come membro del Comitato Internazionale
per i Prigionieri Politici che è stato da poco istituito a Città del Capo, e anche come membro della
giuria del Tribunale Russell sulla Palestina.
E naturalmente voglio ringraziare War on Want che sponsorizza questo incontro. E SOAS, e in
particolare l'area progressista per aver reso possibile che questa sera noi si possa essere qui.
L'incontro di questa sera si concentra in particolare sull'importanza di espandere il movimento
BDS, il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni modellato sul forte movimento antiapartheid
che fu per il Sud Africa.
Mentre ci sono numerose aziende transnazionali che sono state identificate come bersagli del
boicottaggio: Veolia, per esempio, e so che qui conoscete abbastanza bene Veolia, SodaStream,
Ahava, Caterpillar e Boeing e Hewlett-Packard, e potrei andare avanti ma mi fermo qui, vorrei
proprio parlare del G4S. E' particolarmente importante perché partecipa apertamente,
direttamente, pubblicamente al mantenimento e riproduzione di apparati repressivi in Palestina.
Stiamo parlando delle carceri, dei posti di blocco e del muro dell'apartheid.
Il G4S rappresenta la crescente pressione riguardo quello che nello stato neoliberista viene
chiamato "sicurezza". E, certo, Gina ha presentato una critica di quella nozione di sicurezza
suggerendo che le alternative femministe possono essere utili quando tentiamo di riconcettualizzare
che cosa dovrebbe significare sicurezza. Le ideologie della sicurezza rappresentate
da G4S rafforzano non solo la privatizzazione della sicurezza, ma anche la privatizzazione della
reclusione, la privatizzazione della guerra, la privatizzazione della sanità e la privatizzazione
dell'istruzione.
Il G4S è responsabile del trattamento repressivo dei prigionieri politici all'interno di Israele, e
attraverso l'organizzazione Addameer, diretta da Sahar Francis, una donna assolutamente
incredibile, e alcuni di voi hanno avuto l'opportunità di ascoltarla. Ma lei viaggia per tutto il paese
e lei e la sua organizzazione, Addameer, ci forniscono informazioni su ciò che sta accadendo sia
all'interno delle carceri che all'esterno.
Abbiamo imparato a conoscere l'universo terrificante della tortura e prigionia che viene affrontato
da tanti palestinesi, ma abbiamo anche imparato a conoscere il loro spirito di resistenza, abbiamo
imparato a conoscere i loro scioperi della fame e le altre forme di resistenza che continuano a
avere luogo dietro le pareti.
Ricordo bene che Rafeef ha sottolineato che il G4S è la terza più grande società privata al mondo.
Qual è la prima? Qual è la più grande società privata al mondo? E' la Wal-Mart. E il numero due è
Foxconn, che produce dispositivi come iPad, ecc. ecc. Allora, stavo guardando il sito della G4S. E'
davvero interessante osservare la loro auto-rappresentazione. Mettono in mostra tutte le cose che
proteggono. E tra gli oggetti della loro protezione ci sono rock star e stelle dello sport, persone e
proprietà. Sto leggendo direttamente dal loro sito: "...dall'assicurare che i viaggiatori abbiano
un'esperienza sicura e piacevole nei porti e negli aeroporti di tutto il mondo ... al garantire la
detenzione e l'accompagnamento di persone che non hanno legittima autorizzazione a rimanere
in un paese."
Ti dicono esattamente quello che stanno facendo. E di nuovo cito: “più di quanto potresti
immaginare... G4S vi garantisce il vostro mondo." E potremmo aggiungere: Più di quanto
potremmo immaginare G4S si è insinuata nella nostra vita con il pretesto dello stato di sicurezza,
nei modi di cui i Palestinesi fanno esperienza, dalla carcerazione politica e tortura, alle tecnologie
razziste di separazione e di apartheid, dal muro in Israele alle scuole simili a prigioni e al muro
lungo il confine Usa-Messico.
Il G4S-Israele ha portato sofisticate tecnologie di controllo nella prigione HaSharon, che ha bambini
tra i suoi detenuti, e la prigione Dimona, che imprigiona anche donne, ma guardiamo per un
momento quanto il G4S è anche coinvolto in quello che potremmo chiamare più estesamente
'complesso industriale-carcerario'. E non mi riferisco al suo coinvolgimento nelle carceri anche se
gestisce e possiede e rende operative prigioni private in tutto il mondo - se avrò ancora tempo
parlerò più tardi di questo, in realtà intendo parlare delle scuole.
Negli Stati Uniti, le scuole, in particolare nelle comunità povere, nelle comunità povere di colore,
sono così profondamente invischiati in questo sistema industriale-carcerario che a volte abbiamo
difficoltà a distinguere tra scuole e carceri. Le scuole sembrano prigioni, usano le stesse tecnologie
di rilevazione e utilizzano spesso gli stessi funzionari di polizia. Abbiamo scuole elementari negli
Stati Uniti le cui sale sono effettivamente presidiate da agenti armati.
Ed è un dato di fatto la tendenza recente di armare i docenti. In particolare in quei distretti
scolastici che non possono permettersi il G4S. Quindi, se non possono permettersi la sicurezza
privata, insegnano ai loro insegnanti come sparare e danno loro le pistole. Non sto scherzando.
Se si guarda un sito web intitolato "grandi scuole", e si guarda una scuola in Florida che si chiama
Central Pasco Girls’ Academy in Land-o-Lakes, si verrà a sapere soltanto che si tratta di una piccola
scuola pubblica alternativa. Ma se si guarda alla pagina "Servizi" del sito G4S, potrete scoprire
questa iscrizione: Central Pasco Girls’ Academy in Land-o-Lakes è per femmine a rischio moderato
di età compresa tra 13-18 anni che sono state valutate come bisognose di servizi di salute mentale
intensivi. E scrivono circa il modo in cui usano i "servizi di genere-sensibile." E che affrontano abusi
sessuali e l'abuso di sostanze, ecc.
Ora, la portata del Sistema industriale carcerario va ben oltre la prigione stessa. E in quel contesto,
si potrebbe anche pensare ad altri modi in cui una società come il G4S è complice del sistema
israeliano di apartheid. E' un fatto che esso fornisce apparecchiature e servizi ai checkpoints. E
fornisce servizi che fanno riferimento a parte del percorso del muro illegale, e così via. Ed è
interessante vedere il G4S lungo il muro in Israele, e vedere anche il G4S che provvede al trasporto
dei deportati - e parlerò pure del Regno Unito fra poco- ma ora mi riferisco ai servizi di trasporto
che vengono utilizzati per accompagnare gli immigrati clandestini dagli Stati Uniti al Messico,
complice in questo modo della normativa repressiva sull'immigrazione e delle pratiche all'interno
degli Stati Uniti.
Ma, certo, è stato qui, nel Regno Unito, che ha avuto luogo uno degli atti più eclatanti di
repressione durante il trasporto di una persona senza documenti. L'ultima volta che sono stata a
Londra, in realtà non molto tempo fa, era in ottobre, ho avuto l'opportunità di incontrare Deborah
Coles, direttore di Inquest (una rivista), e mi ha raccontato il caso di Jimmy Mubenga, l'inchiesta
compiuta la scorsa estate. E ha spiegato come era morto, e la tecnica che è stata utilizzata dai
dipendenti del G4S per evitare che si sentisse la sua voce mentre veniva deportato su un aereo
della British Airways. A quanto pare è stato ammanettato dietro la schiena, aveva la cintura di
sicurezza, e è stato spinto dalle persone del G4S contro il sedile di fronte a lui in quello che loro
chiamano una "fodera karaoke", vale a dire che avrebbe dovuto cantare nella fodera del sedile
davanti a lui.
E 'incredibile, non è vero?, che abbiano questo termine per questa tecnica - a quanto pare non
doveva essere legale, ma la stavano usando comunque - ed è stato tenuto in quel modo per
qualcosa come 40 minuti, e nessuno è intervenuto. E, naturalmente, quando si tentò di dargli il
primo aiuto, era morto.
E credo che questo trattamento vergognoso degli immigrati privi di documenti usato dagli Stati
Uniti al Regno Unito ci obbliga a fare collegamenti con i palestinesi, che sono stati trasformati in
immigrati, in immigrati irregolari, sulla propria terra. Sulla propria terra. E aziende come il G4S
forniscono i mezzi tecnici per la realizzazione di questo processo.
E poi, naturalmente, il G4S è coinvolto nel funzionamento delle carceri in tutto il mondo, tra cui il
Sud Africa. E il Congresso dei sindacati sudafricani, COSATU, ha recentemente parlato contro il G4S,
che gestisce un centro correzionale nello Stato Libero. A quanto pare, l'occasione era uno sciopero
indetto perché qualcosa come 300 membri del sindacato di polizia sono stati licenziati. E mi si
conceda di leggere un breve passaggio dalla dichiarazione COSATU: “Il 'modus operandi' del G4S è
indicativo di due degli aspetti più preoccupanti del capitalismo neoliberista e dell'apartheid
israeliano: l'ideologia della 'sicurezza' e la crescente privatizzazione di quelli che sono stati
tradizionalmente settori pubblici. Sicurezza in questo contesto, non implica la sicurezza per tutti.
Ma piuttosto, quando si guarda ai principali clienti della sicurezza del G4S: banche, governi,
aziende, ecc., diventa evidente che quando il G4S dice nello slogan della società che 'protegge il
tuo mondo', si riferisce a un mondo di sfruttamento, repressione, occupazione e razzismo. "
Quando due anni fa sono stata in Palestina, e Gina ha sottolineato che si trattava di una
delegazione di indigene e donne di colore attiviste-accademiche, in realtà è stato il primo viaggio,
la prima visita in Palestina per tutte noi. E la maggior parte di noi era coinvolta da tempo nel lavoro
di solidarietà verso la Palestina. Ma siamo rimaste tutte totalmente scioccate dalla natura palese
della repressione associata al colonialismo. L'esercito israeliano non ha fatto alcun tentativo di
nascondere o attenuare il carattere della violenza che è accusato di infliggere al popolo
Palestinese.
Ovunque c'erano militari uomini e donne armati. E sembrava che alcuni di loro avessero solo 13
anni. Lo so, quando ci si invecchia, i giovani sembrano ancor più giovani. Ma questi erano giovani
davvero, in giro con enormi armi da fuoco. E' così, ho vissuto questa esperienza come una specie di
incubo. Come può essere possibile? Il muro, il cemento e il filo spinato ovunque trasmettevano
l'impressione di trovarci in carcere. Eravamo già in carcere. E, naturalmente, per quanto riguardava
i Palestinesi c'era preoccupazione, un passo falso e la persona poteva essere arrestata e trascinata
in prigione. Da una prigione a cielo aperto ad una prigione chiusa.
Il G4S, mi sembra, rappresenta queste parabole carcerarie che in Palestina sono così evidenti, ma
che sempre più caratterizzano le spinte al profitto delle multinazionali associate all'aumento delle
carcerazioni di massa negli Stati Uniti e nel mondo.
Negli Stati Uniti, ci sono circa 2,5 milioni di persone in carceri, prigioni e prigioni militari del nostro
paese e nelle prigioni nello stato indiano, e centri di detenzione per immigrati - vale a dire che in
un dato giorno ci sono circa 2,5 milioni di persone. Si tratta di un censimento giornaliero, di modo
che non riflette il numero di persone che passano attraverso il sistema ogni settimana, o ogni
mese, o ogni anno.
La maggioranza di queste persone sono persone di colore. Il settore in più rapida crescita è
costituito da donne, donne di colore. Molti prigionieri sono queer e trans, è un dato di fatto, le
persone trans di colore appartengono al gruppo di coloro che hanno maggiori probabilità di essere
arrestati e imprigionati. Il razzismo fornisce il carburante per la manutenzione, la riproduzione e
l'ampliamento del sistema industriale carcerario. E così, se diciamo, come noi facciamo, di abolire il
sistema industriale-carcerario, dovremmo anche dire di abolire l'apartheid. E porre fine
all'occupazione della Palestina.
Quando negli Stati Uniti abbiamo descritto la segregazione nella Palestina occupata, che così
chiaramente rispecchia l'apartheid storico del razzismo nel sud degli Stati Uniti d'America,
soprattutto quando si parla di questo a persone di colore, la risposta è spesso: "Perché nessuno ne
ha parlato prima? Perché nessuno ha mai detto niente sui cartelli nella Palestina occupata? E delle
super-auto-autostrade della segregazione razziale? Perché nessuno ce ne ha mai parlato?
E così, proprio come noi diciamo "mai più" per il fascismo che ha prodotto l'Olocausto, dovremmo
anche dire "mai più" per l'apartheid, nel sud degli Stati Uniti. Ma questo significa, in primo luogo,
che dobbiamo estendere e intensificare la nostra solidarietà con il popolo della Palestina. Alle
persone di tutti i generi e identità sessuale. Persone dentro e fuori le mura della prigione. Dentro e
fuori il muro dell'apartheid.
Boicottaggio al G4S, Sosteniamo il BDS, e, infine, la Palestina sarà libera. Grazie.
Traduzione: Simonetta Lambertini

martedì 29 luglio 2014

Dalla lettera di Ilan Pappé


Ilan Pappé (in ebraico אילן פפה) (Haifa, 7 novembre 1954) è uno storico israeliano.
Attualmente è professore cattedratico nel Dipartimento di Storia dell'Università di Exeter (Regno Unito) e co-direttore del suo Centro per gli Studi Etno-Politici. Ha fondato e guidato l'Istituto per la Pace a Givat Haviva (Israele) fra il 1992 e il 2000, e ha ricoperto la cattedra dell'Istituto Emil Touma per gli Studi Palestinesi di Haifa (2000-2008).
Dalla lettera scritta da Ilan Pappé alla famiglia della millesima vittima di Gaza (luglio 2014)
Impegno per il boicottaggio
Ma sicuramente questo non è sufficiente. Mi impegno a continuare lo sforzo di boicottare uno Stato che commette tali crimini. Solo quando l’Unione delle Federazioni Calcistiche Europee espellerà Israele, quando la comunità accademica si rifiuterà di avere rapporti istituzionali con Israele, quando le compagnie aeree esiteranno a volare lì, e quando ogni gruppo che può perdere denaro a causa di un atteggiamento etico nel breve termine capirà che a lungo andare si guadagnerà sia moralmente che finanziariamente – solo allora inizieremo a onorare la vostra perdita.
Il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) ha avuto molti successi e continua il suo instancabile lavoro. Gli ostacoli sono ancora la falsa accusa di antisemitismo e il cinismo dei politici. Ecco perché un’iniziativa onorevole di architetti britannici di forzare i loro colleghi in Israele a prendere una posizione morale piuttosto che essere complici nella colonizzazione criminale della terra è stata bloccata all’ultimo momento.
Iniziative simili sono state sabotate altrove da politici senza spina dorsale in Europa e negli Stati Uniti. Ma il mio impegno è quello di essere parte dello sforzo per superare questi ostacoli. La memoria del vostro caro sarà la forza trainante, insieme al vivo ricordo delle sofferenze dei palestinesi nel 1948 e da allora.
Macello
Lo faccio egoisticamente. Prego e spero che in questo momento, il peggiore della vostre vite in cui i palestinesi stanno a Shujaiya, Deir al-Balah e Gaza City a guardare il macello creato da aerei da guerra israeliani, carri armati e artiglieria, voi non perdiate la speranza nell’umanità.
Questa umanità comprende anche israeliani, quelli che non hanno il coraggio di parlare, ma che esprimono il loro orrore in privato come attestano le mie traboccanti caselle di posta e Facebook, così come la piccola manciata che manifesta pubblicamente contro il genocidio incrementale a Gaza.
Essa comprende anche quelli non ancora nati, che forse saranno in grado di sfuggire a una macchina di indottrinamento sionista che insegna loro, dalla culla alla tomba, a disumanizzare i palestinesi a un livello tale che ardere vivo un ragazzo palestinese di sedici anni non riesce a commuoverli o a distruggere la loro fede nel loro governo, nell’esercito o nella religione.
Sconfitti
Per il loro, il mio e il vostro bene, mi auguro che potremo anche sognare il giorno seguente – quando il sionismo sarà sconfitto come l’ideologia che governa le nostre vite tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo e tutti noi avremo la vita normale che desideriamo e meritiamo.
Quindi mi impegno oggi a non essere distratto anche da amici e dirigenti palestinesi che ancora stupidamente ripongono le loro speranze nell’ormai datata “soluzione a due stati”. Se uno ha l’impulso di essere coinvolto nel portare un cambiamento di regime in Palestina, l’unica ragione per fare questo è lottare per la parità di diritti umani e civili e la piena restituzione per tutti coloro che sono e sono stati vittime del sionismo, dentro e fuori l’amata terra di Palestina.
Possa la vostra persona amata riposare in pace sapendo che la sua morte non è stata vana – e non perché sarà vendicato. Non abbiamo bisogno di ulteriori spargimenti di sangue. Credo ancora ci sia un modo per portare i sistemi malvagi verso loro fine con la potenza di umanità e moralità.
Giustizia significa anche portare gli assassini che hanno ucciso la vostra persona amata e tanti altri in tribunale, e dobbiamo perseguire i criminali di guerra di Israele nei tribunali internazionali.
E’ un modo molto più lungo e, a volte, anche io sento l’impulso di far parte di quelli che utilizzano la forza bruta per mettere fine alla disumanità. Ma mi impegno a lavorare per la giustizia, la piena giustizia, la giustizia riparatoria.
Questo è quello che posso promettere: lavorare per evitare la prossima fase della pulizia etnica della Palestina e il genocidio dei palestinesi a Gaza.
Fonte: the Electronic Intifada
Traduzione a cura di Nena News 

sabato 26 luglio 2014

Firenze per Gaza e la Palestina

Firenze per la Palestina

La "soluzione" del Likud per la Striscia

Riporto da il Manifesto del 25 luglio 2014, pag. 3
"Leadership ebraica"
La "soluzione" del Likud per la Striscia
di Manlio Dinucci
[.....] Il vicepresidente della Knesset, Moshe Feiglin, ha infatti presentato il piano per una "soluzione a Gaza".
Si articola in sette fasi.
1 - L'ultimatum, dato alla "popolazione nemica", di abbandonare le aree in cui si trovano i combattenti di Hamas, "trasferendosi nel Sinai non lontano da Gaza".
2 - L'attacco colpendo tutti gli obiettivi militari e infrastrutturali "senza alcuna considerazione per gli scudi umani e i danni ambientali".
3 - L'assedio, così che " niente possa entrare o uscire da Gaza".
4 - La difesa, per "colpire con la piena forza e senza considerazione per gli scudi umani" qualsiasi luogo da cui sia partito un attacco a Israele.
5 - La conquista. "i militari conquisteranno l'intera Gaza, usando tutti i mezzi necessari per minimizzare qualsiasi danno ai nostri soldati".
6 - L'eliminazione; le frorze armate "annienteranno a Gaza tutti i nemici armati"  e "tratteranno in accordo con il diritto internazionale la popolazione nemica che non ha commesso malefatte e si è separata dai terroristi armati".
7 - La sovranità su Gaza, "che diverrà per sempre parte di Israele e sarà popolata da ebrei".
Agli abitanti arabi, che "secondo i sondaggi desiderano per la maggior parte lasciare Gaza", sarà offerto "un generoso aiuto per l'emigrazione internazionale, che verrà però concesso solo a "quelli non coinvolti in attività anti-israeliane".
Gli arabi che sceglieranno di restare a Gaza riceveranno un permesso di soggiorno in Israele e, dopo anni, "coloro che accettano il dominio, le regole e il modo di vita dello Stato ebraico sulla propria terra" potranno divenire cittadini israeliani.

[.....]

lunedì 21 luglio 2014

Festa della birra

E bevila bevila bevila
Israele - Hamas = lotta tra opposti estremismi
Siamo a Monaco, october fest.
Dedicata anche a diversi rispettabili amici di FB,

UN - United Nothing

UN-United Nothing

Srebenica 1995-Gaza 2014

Gli uomini dai 12 ai 77 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, apparentemente per procedere allo sfollamento; secondo le istituzioni ufficiali i morti furono oltre 8.372, mentre non si hanno ancora stime precise del numero di dispersi.

Durante i fatti di Srebrenica i 600 caschi blu dell'ONU e le tre compagnie olandesi Dutchbat I, II, III aiutarono i serbo-bosniaci a dividere gli uomini dalle donne, bambini e anziani e non intervennero per salvare gli uomini che furono tutti massacrati.
da Wikipedia

Basterebbe un gesto: andare a Gaza o, almanco, dimettersi. Non gli mancherà di che vivere.
Nota malevola: ma perché a dirigere il mondo mettono persone insignificanti?



Sig. Obama, ha un cuore?

Una email da un eroe norvegese, Mads Gilbert, un dottore che continua il suo lavoro a Gaza.
Per favore fate circolare.
Traduzione a cura di ISM-Italia

Carissimi amici,

La scorsa notte è stata terribile. La "grande invasione" di Gaza ha avuto il risultato di veicoli carichi di mutilati, di persone fatte a pezzi, sanguinanti, morenti – di palestinesi feriti, di tutte le età, tutti civili, tutti innocenti.

Gli eroi nelle ambulanze di tutti gli ospedali di Gaza lavorano a turni di 12-24 ore, grigi dalla fatica e dai carichi di lavoro disumani (tutti senza salario all'ospedale Shifa negli ultimi 4 mesi), si prendono cura delle priorità, tentano di capire il caos incomprensibile dei corpi, degli arti, delle persone umane che camminano o che non camminano, che respirano o che non respirano, che sanguinano  che non sanguinano. UMANI!

Ora, ancora una volta, trattati come animali "dall'esercito più morale del mondo" (sic!).

Il mio rispetto per i feriti è illimitato, per la loro determinazione contenuta in mezzo al dolore, all'agonia e allo shock; la mia ammirazione per lo staff e per i volontari è illimitata, la mia vicinanza al "sumud" palestinese mi da forza, anche se ogni tanto desidero solo urlare, tenere qualcuno stretto, piangere, sentire l'odore della pelle e dei capelli del bambino caldo, coperto di sangue, proteggere noi stessi in un abbraccio senza fine – ma noi non possiamo permettercelo, né lo possono loro.

Facce grige e cineree - Oh NO! Non un altro carico di decine di mutilati e di persone sanguinanti, noi abbiamo ancora laghi di sangue sul pavimento nel reparto di emergenzaq (ER), pile di bende gocciolanti, che grondano sangue da pulire - oh – gli addetti alle pulizie, ovunque, allontanano velocemente il sangue e i tessuti scartati, capellli, vestiti, cannule – i resti della morte – tutto portato via... per essere preparato di nuovo, per essere tutto ripetuto di nuovo. Più di 100 casi sono arrivati a Shifa nelle ultime 24 ore. Troppi per un grande ospedale ben attrezzato con ogni cosa, ma qui – quasi nulla: elettricità, acqua, dispositivi, medicine, OR-tables, strumenti, monitors – tutti arruginiti come se fossero stati presi da un museo degli ospedali del passato. Ma questi eroi non si lamentano. Tirano avanti in questa situazione, come guerrieri, testa in su, enormemente risoluti.
E mentre vi scrivo queste parole, da solo, in un letto, sono pieno di lacrime, le lacrime calde ma inutili di dolore e di angoscia, di collera e di paura. Questo non deve accadere!
E poi, proprio ora, l'orchestra della macchina da guerra israeliana inizia di nuovo la sua orrenda sinfonia, proprio ora: salve di artiglieria dalle navi contro le spiagge, i ruggenti F16, i droni ripugnanti (in arabo 'Zennanis', quelli che ronzano), e gli Apaches. Tutto fatto e pagato dagli USA.
Signor Obama – ha un cuore?
La invito – passi una sola notte – solo una notte – con noi a Shifa. Travestito come un addetto alle pulizie.
Sono convinto, al 100%, che la storia cambierebbe.
Nessuno con un cuore E con il potere potrebbe mai andare via, passata una notte a Shifa, senza essere deciso a porre fine alla carneficina del popolo palestinese.
I fiumi di sangue continueranno a scorrere la notte prossima. Ho sentito che hanno accordato i loro strumenti di morte.
Per favore. Fate quello che potete. Questo, QUESTO non può continuare.
Mads
Gaza, Occupied Palestine
Mads Gilbert MD PhD
Professor and Clinical Head

Discorso agli ebrei della diaspora

Discorso agli ebrei della diaspora
Cari amici che abitate qui a Firenze, a Roma, Venezia, Livorno...oggi noi cittadini italiani antifascisti siamo in perenne mobilitazione per fermare la folle rappresaglia del governo di Israele. Quando qui in Casentino da dove scrivo c'era l'occupazione tedesca a ridosso della Linea Gotica, io che avevo 11 anni ho vissuto la strage di Vallucciole, le fucilazioni del Moscaio, Partina, S.Pancrazio, Cetica, Moggiona.. L'ordine di Kesserling era: ripulire le zone a ridosso della linea gotica. E la ripulitura ci fu; squadre speciali di soldati ripulitori trasferiti dall'Ucraina hanno fatto il compito loro assegnato. I nostri contadini hanno difeso e nascosto il bestiame, sono scappati sui monti, i più giovani hanno imbracciato il fucile per sottrarsi a quello che gli avrebbero messo in mano i nazi-fascisti.
In Casentino abbiamo accolto, difeso e nascosto famiglie di ebrei, piloti alleati abbattuti sopra di noi e salvatisi col paracadute, nella mia famiglia abbiamo rischiato la morte  (padre Cipriano e zio Bastiano) a seguito di denuncie dei fascisti locali ecc. ecc. 
Ora chiediamo a voi che non vivete in Israele di aiutare gli israeliani antifascisti di Tel Aviv, Haifa, Gerusalemme Ovest...denunciando il regime che organizza la guerra per applicare verso di loro il codice relativo, dichiarandoli traditori, mettendoli al bando, lasciandoli in balia dei sionisti locali che intendono regolare i conti con loro ancor prima che con Hamas. Vedo già nelle piazze sventolare la stella di David equiparata alla croce uncinata. Non è giusto, come non è stato giusto trasformare il simbolo di pace dei nostri antenati nel vessillo del partito nazista. Non è giusto che la stella ebraica diventi il vessillo dei sionisti assassini e stragisti. Togliete quella bandiera dalle mani del KKKlan sionista e restituitela ad Anna Frank. Grazie. 
Urbano Cipriani, dal Casentino.

Speech to the Jews of the Diaspora

Speech to the Jews of the Diaspora
Dear friends who live here in Florence, Rome, Venice, Livorno Italian anti-fascists ... today we citizens are in constant mobilization to stop the insane retaliation of the Israeli government. I he Casentino   was close to  the Gothic Line,  I was 11 years old, I lived the massacre of Vallucciole, executions of Moscaio, Partina, San Pancrazio, Cetica, Moggiona .. Kesselring's order was: clean up areas near the Gothic Line. And there was the clean-up; special squads of cleansers soldiers transferred from Ukraine  made the task assigned to them. Our farmers have defended and hidden the cattle, they fled to the mountains, the younger generations have shouldered the rifle to escape what they would put in the hands of the Nazi-Fascists.
In Casentino we welcomed, protected and hidden Jewish families, allied pilots shot down over us and salvatisi parachute, in my family we risked death (his father and uncle Cipriano Sebastian) following complaints of local fascists, etc.. etc.. 
Now we ask  you that don't live in Israel to help the anti-fascist Israelis in Tel Aviv, Haifa, West Jerusalem ... denouncing the regime that organizes the war to apply to them the relevant code, declaring them traitors, putting them to the notice, leaving them in the mercy of the local Zionist who wish to settle accounts with them rather than with Hamas. I can see in the streets waving the Star of David equated with the swastika. It is not fair, as it was not just transform the peace symbol of our ancestors in the flag of the Nazi party. It is not right that the Jewish star will become the standard Zionist killers and mass murderers. Remove the flag from the hands of the Zionist KKKlan and return it to Anne Frank. Thank you. 

domenica 20 luglio 2014

Gaza: io la vedo così.

Io la vedo così: Obama stava commovendosi per il Palestinesi senza patria e senza terra (2009), i democratici di Israele stavano bubando contro questa guerra preventiva permanente di Gaza e Cisgiordania con la conseguente militarizzazione ossessiva di tutto il paese, il papa appoggiava la mano sul muro di Betlemme, i villaggi di Cisgiordania continuavano (e continuano) i venerdi delle dimostrazioni non violente, i sionisti di Stati Uniti e Israele vedevano ormai a portata di mano la presa di Gerusalemme Est (Il Santo Sepolcro di cristiani e arabi), l'annessione di Gaza all'Egitto ritornato amico, la conquista definitiva della valle del Giordano (con i datteri in vendita anche alla Coop, dolci e morbidi dell'umiliazione dei beduini là residenti che pagano l'acqua a loro rubata sessanta volte il prezzo richiesto ai coloni). OH quante belle palme madama Dorè! Un sogno ormai realtà messo in pericolo dall'ombra di Bernadote (ONU 1948) e Rabin (Oslo 1982). Ombre  multiple di Banco, schiere di fantasmi della serie degli assassini mirati, turbe di milioni di esseri ammazzati come cani, ammucchiati come pecore nei ghetti di Palestina, raminghi come gli ebrei di Mosè per le terre della mezzaluna fertile (di odio e di petrolio). Il bue buono di Abu Mazen che si accorda col toro irriducibile di Hamas.  L'incubo sionista che genera pazzia, la frustrazione che produce aggressività.
Un progetto ormai quasi concluso non può andare a ramengo: occorre riattivare il terrorismo languente (Legge proposta da Runsfeld nel 2003 a ridosso delle torri gemelle e approvata dal Congresso, tuttora in vigore: 100 milioni l'anno per riattivare il volano del terrorismo (sic!), unico alibi a mia politica ramenga. Avanti con le operazioni  false flag, falsa bandiera. Così cominciò l'attacco al Nord Vietnam (1964), la guerra dei 6 giorni-60 anni (Golfo di Akaba 1967). Noi italiani siamo degli esperti (cavie di prim'ordine dal 12 dicembre 1969 in poi). E' stato così che broker semiti iscritti nel libro paga CIA-Mossad hanno riattizzato il terrorismo languente prima alla biblioteca ebraica  di Bruxelles nel cuore dell'Europa e poi nel territorio di Hebron, un pezzo essenziale di Palestina sotto totale controllo di Israele.
E il primo obbiettivo non è l'eliminazione di Hamas, ma il soffocamento del dissenso interno ad Haifa e Tel Aviv, il ricatto-disprezzo verso gli obiettori di coscienza in aumento tra i giovani e meno giovani. E' poi l'avvertimento a Obama, a papa Francesco, all'Europa appesantita dalle basi americane e dalla loro consorella NATO che obbligano Grecia Italia e compagnia mediterranea a comprare aerei e corazzate nel momento che stipendi e pensioni soffrono di quaresima-ramadam permanenti. Rimanendo sempre un bel  po' di soldi per il Treno ad Alta Velocità atteso con ansia sbuffante dalla popolazione di Val di Susa quando sarà sarà.
Ho scritto questo nelle prime ore del mattino all'indomani di una magnifica visita guidata alle sorgenti dell'Arno, quel fiumicel che si spazia per mezza Toscana, che nasce in Falterona e cento miglia di corso nol sazia (Purg. XIV). Ahi serva Italia! (Purg. VI).

giovedì 17 luglio 2014

Da Gaza al mondo, parla un gruppo di cooperanti italiani in Palestina.

14 luglio 2014

I cooperanti italiani in Palestina: Basta con struzzi e coccodrilli


Scritto da redazione
Da Gaza al mondo, parla un gruppo di cooperanti italiani in Palestina.
Basta con chi fa finta di non vedere. Basta con chi pensa che una partita di pallone sia più importante di un’intera popolazione inerme sotto le bombe…Basta con chi dà del terrorista a un’intera popolazione senza mai aver voluto ascoltare le voci di Gaza. Basta con giornalisti che scrivono articoli comodamente seduti da casa o dalle redazioni a Roma e Milano. Basta con l’equidistanza a tutti i costi. Basta con le condanne bipartisan e con le parole misurate.
Siamo operatori umanitari e condanniamo la violenza verso i civili, SEMPRE.
Per questo non possiamo restare silenti dinanzi ad un attacco armato indiscriminato verso una popolazione che non ha rifugi, posti sicuri o possibilità di fuga. Una popolazione strangolata economicamente e assediata fisicamente, rinchiusa in una prigione a cielo aperto.  Non possiamo far finta di nulla. Noi Gaza la conosciamo perché ci lavoriamo, perché la viviamo e lì abbiamo imparato cos’è la sofferenza, ma anche la resistenza. E non parliamo di lancio di razzi: per i circa due milioni di persone che risiedono a Gaza, che vivono da 48 anni sotto occupazione, dimenticate dal mondo, che piangono morti che sono sempre e solo numeri, che subiscono interessi politici sempre più importanti della vita umana… resistere è essere capaci, nonostante tutto, di andare avanti.
Gaza ci ha insegnato semplicemente la dignità umana.
Siamo qui e ci sentiamo inermi e, ancora una volta, esterrefatti perché continuiamo a leggere articoli di giornale che a nostro avviso non rispecchiano la realtà. Non raccontano lo squilibrio tra una forza occupante e una popolazione occupata. Enfatizzano la paura israeliana dei razzi lanciati da Gaza, che condanniamo ma che, fortunatamente, non hanno procurato morti e riducono a semplici numeri le oltre 100 vite spezzate a causa dei bombardamenti Israeliani in meno di tre giorni.
Tutto ciò che scriviamo non è frutto di opinioni personali o giudizi morali; è sancito e ribadito dai principi del diritto internazionale e del diritto umanitario internazionale, che muovono il nostro operato ogni giorno. 
Riteniamo inaccettabile che la risposta all’omicidio dei 3 coloni, avvenuto in circostanze ancora ignote, sia l’indiscriminata punizione di una popolazione civile indifesa: il diritto umanitario vieta le punizioni collettive – definite crimini di guerra dalla IV Convenzione di Ginevra (art. 33).
Israele ha addossato la responsabilità ad Hamas, attaccando immediatamente la Striscia, causando la risposta dei gruppi palestinesi con il lancio di missili su Israele. Il governo israeliano sostiene di voler colpire gli esponenti di Hamas e le sue strutture militari. E’ davanti agli occhi di tutti che ad essere colpiti finora sono soprattutto bambini e donne. Basta con lo scrivere che Israele reagisce ai missili da Gaza, la verità per chi vuol vederla e i numeri, se non interpretati con slealtà, sono chiari.
Dall’8 luglio, inizio dell’operazione militare “Protective Edge”, Israele ha bombardando 950 volte la Striscia, distruggendo deliberatamente oltre 120 case, (violando l’articolo 52 del Protocollo aggiuntivo I del 77 della convenzione di Ginevra), uccidendo 102 persone (inclusi 30 minori 16 donne,15 anziani e  1 giornalista) ferendo oltre 600 persone, di cui 50 in condizioni molto gravi.
Oltre 900 persone sono rimaste senza casa, 7 moschee, 25 edifici pubblici, 25 cooperative agricole, 7 centri educativi sono stati distrutti e 1 ospedale, 3 ambulanze, 10 scuole e 6 centri sportivi danneggiati.
Dall’altro lato, il lancio di razzi da Gaza, secondo il Magen David Adom  (servizio emergenza nazionale israeliano), ha causato 123 feriti di cui: 1 ferito grave; 2 moderati; 19 leggeri; 101 persone che soffrono di shock traumatico.
 Di fronte a questi numeri ci sembra intollerabile la non obiettiva copertura di gran parte della stampa internazionale e nazionale, dell’attacco israeliano verso la Striscia di Gaza. Per questo riteniamo necessario prendere posizione e ribadire la necessità di riportare l’informazione, sullo scenario militare in corso, alle dovute proporzioni.
Ci appelliamo infine ai responsabili politici in causa e a quanti possano agire da mediatori, affinchè le operazioni militari cessino immediatamente e perchè si ponga fine all’assedio nella Striscia di Gaza”.
Siamo un gruppo di cooperanti che vive e lavora in Palestina. Tutto ciò che scriviamo è verificato da testimonianze sul campo e da fonti di agenzie internazionali. Per maggiori informazioni scrivete a: cooperantipalestina@inventati.org


giovedì 10 luglio 2014


di Gideon Levy – Haaretz

Gerusalemme, 9 luglio 2014, Nena News – Israele non vuole la pace. Non c’è niente di quello che ho scritto finora di cui sarei più contento di essere smentito. Ma le prove si sono accumulate a dismisura. In effetti, si può dire che Israele non ha mai voluto la pace – una pace giusta, cioè basata su un compromesso equo per entrambe le parti.

È vero che l’abituale saluto in ebraico è “Shalom” (“Pace”) – quando uno se ne va e quando arriva. E, di primo acchitto, praticamente ogni israeliano direbbe di volere la pace, è ovvio. Ma non farebbe riferimento al tipo di pace che porterebbe anche alla giustizia, senza la quale non c’è pace, e non ci potrà essere. Gli israeliani vogliono la pace, non la giustizia, certamente non basata su principi universali. Quindi, “Pace, pace, quando pace non c‘è.” Non soltanto non c’è pace: negli anni recenti, Israele si è allontanato persino dall’aspirare a fare la pace. Ha perso totalmente lil desiderio di farla. La pace è scomparsa dalla prospettiva di Israele, e il suo posto è stato preso da un’ansietà collettiva che si è sistematicamente impiantata, e da questioni personali, private che ora hanno la prevalenza su tutto il resto.

Verosimilmente il desiderio di pace di Israele è morto circa dieci anni fa, dopo il fallimento del summit di Camp David nel 2000, la diffusione della menzogna secondo cui non ci sono partner palestinesi per fare la pace, e, ovviamente, l’orribile periodo intriso di sangue della Seconda Intifada. Ma la verità è che, persino prima di tutto questo, Israele non ha mai veramente voluto la pace. Israele non ha mai, neppure per un minuto, trattato i palestinesi come esseri umani con pari diritti. Non ha mai visto la loro sofferenza come una comprensibile sofferenza umana e nazionale. Anche il campo pacifista israeliano- se pure è mai esistito qualcosa del genere – è morto anche lui di una lunga agonia tra le sconvolgenti scene della Seconda Intifada e la menzogna della mancanza di una controparte [palestinese]. Tutto ciò che è rimasto è stato un pugno di organizzazioni tanto determinate e impegnate quanto inefficaci nel contrastare le campagne di delegittimazione costruite contro di loro. Perciò Israele è rimasto con il suo atteggiamento di rifiuto.

Il dato di fatto più evidente del rifiuto della pace da parte di Israele è, ovviamente, il progetto di colonizzazione. Fin dalle sue origini, non c’è mai stato una più attendibile o più evidente prova inconfutabile delle reali intenzioni [di Israele] di questa particolare iniziativa. In poche parole: chi costruisce gli insediamenti vuole consolidare l’occupazione, e chi vuole consolidare l’occupazione non vuole la pace. Questa in sintesi è la questione. Ammettendo che le decisioni di Israele siano razionali, è impossibile accettare che la costruzione delle colonie e l’aspirazione alla pace siano vicendevolmente.Ogni attività per la costruzione degli insediamenti dei coloni, ogni roulotte e ogni balcone trasmette rifiuto. Se Israele avesse voluto raggiungere la pace attraverso gli Accordi di Oslo, avrebbe almeno bloccato la costruzione di colonie di sua spontanea iniziativa. Il fatto che non sia avvenuto prova che gli accordi di Oslo sono stati un inganno, o nella migliore delle ipotesi la cronaca di un fallimento annunciato. Se Israele avesse voluto ottenere la pace a Taba, a Camp David, a Sharm el-Sheikh, a Washington o a Gerusalemme, la sua prima mossa avrebbe dovuto essere la fine di qualunque tipo di edificazione nei Territori [occupati]. Senza porre condizioni. Senza contropartita. Che Israele non lo abbia fatto è la prova che non vuole una pace giusta.

Ma le colonie sono state solo la pietra di paragone delle intenzioni di Israele. Il suo atteggiamento di rifiuto è molto più profondamente radicato nel suo DNA, nelle sue vene, nella sua ragione d’essere, nelle sue originarie convinzioni. Lì, a livello più profondo, risiede il concetto che questa terra è destinata solo agli Ebrei. Lì, a livello più profondo, è fondata la valenza di “am sgula” – “il prezioso popolo” di Dio – e “siamo gli eletti da Dio”. In pratica, ciò viene inteso con il significato che, in questo territorio, gli ebrei possono fare quello che agli altri è vietato. Questo è il punto di partenza, e non c’è modo di passare da questo concetto ad una pace giusta. Non c’è modo di arrivare ad una pace giusta quando il gioco consiste nella de-umanizzazione dei palestinesi. Non c’è modo di arrivare ad una giusta pace quando la demonizzazione dei palestinesi è inculcata quotidianamente nelle menti della gente.

Quelli che sono convinti che ogni palestinese è una persona sospetta e che ogni palestinese vuole “gettare a mare gli ebrei”, non faranno mai la pace con i palestinesi. La maggioranza degli Israeliani è convinta della verità di queste affermazioni. Nell’ultimo decennio, i due popoli sono stati separati gli uni dagli altri. Il giovane israeliano medio non incontrerà mai un suo coetaneo palestinese, se non durante il servizio militare (e solo se farà il servizio militare nei Territori [occupati]). Neanche il giovane palestinese medio incontra mai un suo coetaneo israeliano, se non il soldato che brontola e sbuffa ai checkpoint, o irrompe a casa sua nel bel mezzo della notte, o il colono che usurpa la sua terra o che incendia i suoi alberi.

Di conseguenza, l’unico incontro tra i due popoli avviene tra gli occupanti, che sono armati e violenti, e gli occupati, che sono disperati e anche loro tendenzialmente violenti. Sono passati i tempi in cui i palestinesi lavoravano in Israele e gli israeliani facevano la spesa in Palestina. E’ passato il tempo delle relazioni quasi normali e quasi paritarie che sono esistite per pochi decenni tra i due popoli che condividono lo stesso territorio. E’ molto facile, in questa situazione, incitare e infiammare i due popoli uno contro l’altro, spargere paure e instillare nuovo odio oltre a quello che già c’è. Anche questa è una sicura ricetta contro la pace.

Così è sorto un nuovo desiderio di Israele, quello della separazione: “Loro se ne staranno là e noi qua (e anche là).” Proprio quando la maggioranza dei palestinesi – una constatazione che mi permetto di fare dopo decenni di corrispondenze dai Territori occupati – ancora desidera la coesistenza, anche se sempre meno, la maggioranza degli israeliani vuole il disimpegno e la separazione, ma senza pagarne il prezzo. La visione dei due Stati ha guadagnato una diffusa adesione, ma senza la minor intenzione di metterla in pratica. La maggioranza degli israeliani è favorevole, ma non ora e forse neppure qui. Sono stati abituati a credere che non ci sono partner per la pace – ossia una controparte palestinese – ma che ce n’è una israeliana.

Sfortunatamente, la verità è l’esatto contrario. I non partner palestinesi non hanno più la minima possibilità di dimostrare di essere delle controparti; i non partner israeliani sono convinti di esserlo. Così è iniziato un processo nel quale condizioni, ostacoli e difficoltà [posti] da Israele, sono andati aumentando, un’altra pietra miliare dell’atteggiamento di rifiuto israeliano. Prima viene la richiesta di cessare gli attacchi terroristici; poi quella di un cambiamento dei dirigenti (Yasser Arafat come un ostacolo [alla pace]); e poi lo scoglio diventa Hamas. Ora è il rifiuto da parte dei palestinesi di riconoscere Israele come Stato ebraico. Israele considera ogni suo passo – a partire dagli arresti di massa degli oppositori politici nei Territori [occupati] – come legittimi, mentre ogni mossa palestinese è “unilaterale”.

L’unico paese al mondo che non ha confini [definiti] non è assolutamente intenzionato a definire quale compromesso sui [propri] confini che è pronto ad accettare. Israele non ha interiorizzato il fatto che per i palestinesi i confini del 1967 sono la base di ogni compromesso, la linea rossa della giustizia (o di una giustizia relativa). Per gli israeliani, sono “confini suicidi”. Questa è la ragione per cui la salvaguardia dello status quo è diventato il vero obbiettivo di Israele, il principale scopo della sua politica, praticamente fondamentale e unico. Il problema è che l’attuale situazione non può durare per sempre. Storicamente, poche nazioni hanno accettato di vivere per sempre sotto occupazione senza resistere. E pure la comunità internazionale sarà un giorno disposta ad esprimere una ferma condanna di questo stato di cose, accompagnata da misure punitive. Ne consegue che l’obiettivo di Israele è irrealistico.

Slegata dalla realtà, la maggioranza degli israeliani continua nel proprio modo di vita quotidiano. Nella loro visione della situazione, il mondo è sempre contro di loro, e le zone occupate nel giardino di casa sono lontane dal loro campo di interesse. Chiunque osi criticare la politica di occupazione è etichettato come antisemita, ogni atto di resistenza è interpretato come una sfida esiziale. Ogni opposizione internazionale all’occupazione è letto come una “delegittimazione” di Israele e come una minaccia all’esistenza stessa del paese. I sette miliardi di abitanti del pianeta – la maggior parte dei quali sono contrari all’occupazione – sbagliano, e i sei milioni di ebrei israeliani – la maggior parte favorevole all’occupazione – sono nel giusto. Questa è la realtà dal punto di vista dell’israeliano medio.

Si aggiunga a questo la repressione, l’occultamento e l’offuscamento [della realtà], ed ecco un’altra spiegazione dell’atteggiamento di rifiuto: perché ci si dovrebbe impegnare per la pace finché la vita in Israele è buona, la tranquillità prevale e la realtà è nascosta? L’unico modo che la Striscia di Gaza assediata ha per ricordare alla gente della sua esistenza è di sparare razzi, e la Cisgiordania torna a fare notizia nei giorni in cui vi scorre il sangue. Allo stesso modo, il punto di vista della comunità internazionale è presa in considerazione solo quando cerca di imporre il boicottaggio e le sanzioni, che a loro volta generano immediatamente una campagna di autocommiserazione costellata di ottuse – e a volte anche fuori luogo – accuse che fanno riferimento alla storia.

Questa è dunque la cupa immagine [della situazione]. Non ci si trova neanche un raggio di speranza. Il cambiamento non avverrà dall’interno, dalla società israeliana, finché questa società continuerà a comportarsi in questo modo. I palestinesi hanno fatto più di un errore, ma i loro errori sono marginali. Fondamentalmente la giustizia è dalla loro parte, e un fondamentale atteggiamento di rifiuto è appannaggio degli israeliani. Gli israeliani vogliono l’occupazione, non la pace. Spero solo di sbagliarmi.

Traduzione di Amedeo Rossi

venerdì 4 luglio 2014

Lettera dalla Palestina

2 giugno 2014 
Mentre scrivo da Ramallah, territori occupati palestinesi, giungono ora dopo ora le notizie della rappresaglia organizzata da parte del governo di Israele nei confronti di tutto il popolo palestinese: demolizioni di case, bombardamenti, arresti. E di quella privata, probabilmente per mano di gruppi estremisti ebraici , contro un ragazzino di 16 anni, palestinese, a Gerusalemme. Anche lui sequestrato, ucciso e bruciato. Il rumore dei caccia israeliani diretti a Gaza fa da sottofondo, ed Il rischio che si apra una nuova stagione di violenza dopo l’uccisione dei tre giovani coloni israeliani, i cui presunti colpevoli non sono stati ancora fermati, è alto. Una nuova stagione di guerra. Ma la guerra in realtà non è mai finita. In Cisgiordania vige uno status quo apparentemente stabile, fondato su un equilibrio così precario che può saltare in ogni momento. E’ un equilibrio dove le notizie di uccisioni di palestinesi e di arresti, che avvengono quasi quotidianamente, non fanno notizia. Per quanto le cronache italiane, insopportabilmente acquiescenti con Israele , non lo ricordino mai, la Palestina, o meglio, i territori palestinesi della Cisgiordania e di Gaza sono occupati dal 1967. Da Israele. Che rimane uno stato occupante e che è quindi , da un punto di vista giuridico ed istituzionale, responsabile della sicurezza, dell’amministrazione e militare in quell’area dove è avvenuto il sequestro e poi l’uccisione dei tre studenti. Non è un particolare da poco. E’ Israele, e non l’Autorità nazionale palestinese, l’istituzione che ha responsabilità della sicurezza nell’area c dei territori, secondo quella che rimane da Oslo la partizione di responsabilità giuridiche fra Occupante , Israele, e Autorità nazionale Palestinese.
Non può essere quindi l’ANP additata in alcun modo di responsabilità nel tragico evento. La responsabilità di quanto successo va addebitata, secondo un principio basilare dello stato di diritto, ai suoi esecutori materiali, ed è tutta da verificare l’ipotesi sostenuta dal governo di Tel Aviv che quest’azione sia frutto deliberato di un’organizzazione palestinese, che esista una pianificazione da parte di Hamas dell’omicidio dei tre coloni. L’ insensata e sproporzionata reazione israeliana di queste ore, che punisce per l’ennesima volta un intero popolo, non ha giustificazione alcuna. La vendetta sommaria da parte di Israele di queste ore è fuori di ogni civiltà giuridica, oltre che profondamente ingiusta.
La rappresaglia israeliana, l’ennesima punizione collettiva nei confronti dei palestinesi non fa altro che gettare altra benzina sul fuoco. Un fuoco che cova sotto le ceneri di un processo di pace che è oramai su un binario morto, e ad avercelo portato sono proprio i governi israeliani, che con la loro politica coloniale e di apartheid, di sequestro di terre e territori hanno di fatto reso impossibile la nascita di uno stato palestinese. Lo hanno fatto deliberatamente. Non è stato il destino, ma l’esito di una volontà politica evidente a chi vuol vedere e non sia accecato dalla propaganda israeliana.
La politica di colonizzazione dei territori palestinesi non è una parentesi, è una costante dei governi israeliani. E’ la ragione principale del fallimento del processo di pace. E’ ciò che impedisce materialmente e fisicamente la nascita di uno stato palestinese. E’ violazione del diritto internazionale. E’ colonialismo. Questa politica non ha avuto fine con gli accordi, ma al contrario, negli anni successivi sono cresciuti gli insediamenti israeliani nel cuore della Cisgiordania, con tacito assenso e colpevole silenzio di tanti.
Nei territori occupati oggi la situazione è peggiore di quella precedente ad Oslo. Gli insediamenti sono aumentati a dismisura, così come di pari passo è stata sempre più limitata la libertà di movimento dei palestinesi, prigionieri delle loro enclaves, costretti a vivere di umiliazioni costanti e crescenti.
Nei giornali italiani nessuno si è preso poi la briga di ricordare cos’è Hebron sotto occupazione. Una città fantasma. Dove un pugno di coloni ultraortodossi determina la vita di migliaia di palestinesi a cui è stata sequestrata la città. Vale la pena tornare indietro al 1994. Vent’anni fa fu uno di questi coloni, Baruch Goldstein, seguace della setta ultrarazzista del rabbino Meir Kahane , ad entrare nella moschea di Abramo, e ad aprire il fuoco uccidendo 29 palestinesi. Lo fece ed è celebrato dalle organizzazioni utrasioniste come un eroe. Nessuno allora demoli la sua casa, o arrestò i suoi fratelli. Anzi. Il coprifuoco fu imposto anche allora ai palestinesi, che dai quei giorni non hanno più accesso libero alla moschea di Abramo, alle vie del centro dove i coloni hanno deciso di installarsi. Dal 1994 il centro storico di Hebron è sotto controllo militare israeliano, a protezione di coloni ultrareligiosi, che girano armati e che sono protagonisti di continue violenze. Naturalmente questo non giustifica affatto l’assassinio dei tre giovani coloni, ma spiega che cos’è oggi la Palestina, svela il contesto in cui maturano i risentimenti e la rabbia dei palestinesi, senza il quale non si può capire ciò che accade in questa terra.
Da quando Hebron è stata sequestrata dai coloni la situazione in città è di costante tensione. Di permanente provocazione. Quelli di Hebron, come il resto in Cisgiordania, sono insediamenti illegali e illegittimi da punto di vista internazionale. Sono protagonisti di tensioni e di prevaricazioni. Sono il simbolo della prepotenza del più forte. Sono anch’essi degli esaltati fondamentalisti religiosi. Se continueranno a costruirsi insediamenti, muri, check point, se le strade riservate ai coloni costringeranno ancora i palestinesi a improbabili percorsi alternativi di ore per percorrere le brevi distanze fra le loro città, non potrà mai esservi pace. Questo è chiaro a tutta la comunità internazionale, tranne che ai politici italiani, i quali fanno a gara a chi è più ossequioso nei confronti di Israele. Non abbiamo mai sentito da parte di Renzi, Mogherini, e via dicendo una sola voce di condanna degli insediamenti, degli arresti arbitrari, dei bombardamenti, di cordoglio per le vittime palestinesi. Ma oramai, il nostro paese, non ha più alcun ruolo nel mediterraneo. Complice delle guerre neoimperialiste in Libia e in Siria, la sua funzione è ridotta a quella di portaerei della Nato e di esecutore delle decisioni altrui. Che dire, non pensavamo proprio di dover rimpiangere Andreotti e Craxi, che ebbero il coraggio, a loro tempo, di azioni e politiche dignitose nei confronti della questione palestinese. Davvero dei giganti rispetto ai palloni gonfiati del nulla, ai servi sciocchi del nostro triste presente. Il problema palestinese si chiama occupazione militare israeliana, apartheid ed insediamenti. Senza mettere fine a mezzo secolo di occupazione, non potrà mai trovarsi la strada per la soluzione del conflitto. Questa verità può essere nascosta dalla propaganda filoisraeliana del nostro paese, ma non agli occhi dei popoli di tutto il mondo.