mercoledì 31 dicembre 2014

Il paese dei ladri

Il paese dei ladri - Italo Calvino

C'era un paese dove erano tutti ladri.
La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all'alba, carico, e trovata la casa svaligiata.

E così tutti vivevano in concordia e senza danno, poiché l'uno rubava all'altro, e questo a un altro ancora e così via, finché non si rubava a un ultimo che rubava al primo. Il commercio in quel paese si praticava solo sotto forma d'imbroglio e da parte di chi vendeva e da parte di chi comprava. Il governo era un'associazione a delinquere ai danni dei sudditi, e i sudditi dal canto loro badavano solo a frodare il governo. Così la vita proseguiva senza inciampi, e non c'erano né ricchi né poveri.
Ora, non si sa come, accadde che nel paese di venisse a trovare un uomo onesto. La notte, invece di uscirsene col sacco e la lanterna, stava in casa a fumare e a leggere romanzi.
Venivano i ladri, vedevano la luce accesa e non salivano.
Questo fatto durò per un poco: poi bisognò fargli comprendere che se lui voleva vivere senza far niente, non era una buona ragione per non lasciar fare agli altri. Ogni notte che lui passava in casa, era una famiglia che non mangiava l'indomani.
Di fronte a queste ragioni l'uomo onesto non poteva opporsi. Prese anche lui a uscire la sera per tornare all'alba, ma a rubare non ci andava. Onesto era, non c'era nulla da fare. Andava fino al ponte e stava a veder passare l'acqua sotto. Tornava a casa, e la trovava svaligiata.
In meno di una settimana l'uomo onesto si trovò senza un soldo, senza di che mangiare, con la casa vuota. Ma fin qui poco male, perché era colpa sua; il guaio era che da questo suo modo di fare ne nasceva tutto un cambiamento. Perché lui si faceva rubare tutto e intanto non rubava a nessuno; così c'era sempre qualcuno che rincasando all'alba trovava la casa intatta: la casa che avrebbe dovuto svaligiare lui. Fatto sta che dopo un poco quelli che non venivano derubati si trovarono ad essere più ricchi degli altri e a non voler più rubare. E, d'altronde, quelli che venivano per rubare in casa dell'uomo onesto la trovarono sempre vuota; così diventavano poveri.
Intanto, quelli diventati ricchi presero l'abitudine anche loro di andare la notte sul punte, a veder l'acqua che passava sotto. Questo aumentò lo scompiglio, perché ci furono molti altri che diventarono ricchi e molti altri che diventarono poveri.
Ora, i ricchi videro che ad andare la notte sul punte, dopo un po' sarebbero diventati poveri. E pensarono: - Paghiamo dei poveri che vadano a rubare per conto nostro -. Si fecero i contratti, furono stabiliti i salari, le percentuali: naturalmente sempre ladri erano, e cercavano di ingannarsi gli uni con gli altri. Ma, come succede, i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
C'erano dei ricchi così ricchi da non avere più bisogno di rubare per continuare a esser ricchi. Però se smettevano di rubare diventavano poveri perché i poveri li derubavano. Allora pagarono i più poveri dei poveri per difendere la roba loro dagli altri poveri, e così istituirono la polizia, e costruirono le carceri.
In tal modo, già pochi anni dopo l'avvenimento dell'uomo onesto, non si parlava più di rubare o di esser derubati ma solo di ricchi e poveri; eppure erano sempre tutti ladri.
Di onesti c'è stato solo quel tale, ed era morto subito, di fame.
(Letto da Beppe Grillo il 31 dicembre 2014)


Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti
di Italo Calvino
C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema
politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo
sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari
smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più
capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente
cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio
di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui
ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa,
perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi,
benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità
formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione
illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli
individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e
mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una
frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a
intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il
proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia
convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.
Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle
imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o
illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non
diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo ( e non si vede in nome di che cosa
si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a
integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome
del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche
e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza
d’atto di forza ( così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella
d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per
evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione
sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il
privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi,
provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che
avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento
dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si
trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere.
Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e
strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i
loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e
d’interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo
tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche ( e tante altre attività più
modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella
giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi
certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando
quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio
d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano
come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di
rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il
migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.
Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un
sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone
potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la
coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel
paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva
quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione ( non potevano richiamarsi a grandi
principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per
abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci
niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in
denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il
guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre
persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli
a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano
che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo
facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano
abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri);
non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute
più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre
più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in
margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di
tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna
pretesa di diventare la società , ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e
affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato
di sé ( almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà
degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume
corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità , di sentirsi dissimile da tutto il
resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti,
per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato
ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.
Tratto da Romanzi e racconti – volume 3°, Racconti e apologhi sparsi, i Meridiani, Arnoldo
Mondadori editore. Uscito su la Repubblica, 15 marzo 1980, col titolo “Apologo sull’onestà nel
paese dei corrotti".

Un picchiettare sommesso ai vetri lo fece voltare verso la finestra


sfogliando un vecchio post: emozioni che ritornano.
LUNEDÌ 3 FEBBRAIO 2003 – MERCOLEDI 31 GENNAIO 2015
Guardando da dentro la finestra di casa, quando fuori nevica:
A Dublino nel 1904 in una serata in prossimità del Natale, si svolge la tradizionale festa, che tre signorine della buona borghesia, due anziane sorelle, Kate e Julia Morkan, e la loro nipote Mary Jane, offrono ogni anno per amici e parenti. Si fa musica, si balla e si partecipa ad un ottimo pranzo, preparato completamente dalle padrone di casa. Gabriel Conroy, nipote prediletto delle signorine Morkan, e sua moglie Gretta sono gli ospiti principali e aiutano a ricevere gli invitati. Soprattutto è insostituibile Gabriel, incaricato dalle zie di svolgere incarichi delicati, come sorvegliare Freddy Matines, un caro amico troppo spesso ubriaco, o tagliare al momento opportuno l'oca arrosto, e, infine, pronunciare il discorsetto ufficiale. Egli è un uomo mediocre e tranquillo e fa tutto questo con la solita gentilezza e premura, mentre guarda ogni tanto soddisfatto la sua bella moglie, che partecipa alla riunione con un certo distacco. La conversazione è vivace e si parla molto di musica, essendo le padrone di casa delle appassionate musiciste. C'è anche un noto tenore, fra gli ospiti, ma sembra non voglia esibirsi, mentre la vecchia zia Julia, con voce molto flebile, canta una celebre aria in modo patetico. Tutti lodano l'ospitalità squisita delle tre signorine e il successo della festa. Poi viene l'ora di andarsene: Gabriel e Gretta sono rimasti fra gli ultimi e, poichè abitano lontano, per quella notte andranno all'albergo. Il marito è già pronto ad uscire e aspetta nell'ingresso la moglie, ma la vede fermarsi sulla scala all'improvviso, a poca distanza da lui: in quel momento il tenore, in una stanza al piano di sopra, ha iniziato a cantare una vecchia e triste canzone irlandese, e Gabriel scorge chiaramente che, ascoltandola, Gretta è commossa fino alle lacrime. Poi i due coniugi raggiungono in carrozza l'albergo, mentre nevica abbondantamente. Gabriel, vedendo la moglie sempre assorta e triste, le chiede il perchè del suo turbamento, e Gretta gli racconta, piangendo, che la canzone ascoltata le veniva cantata un tempo da un giovane che l'amava, quando lei, fanciulla, abitava con la nonna in un piccolo paese, e questo tenero e puro legame aveva dovuto interrompersi, quando lei era stata costretta a partire per venire in collegio a Dublino. Disperato per un addio, che prevedeva definitivo, Michael (così si chiamava il ragazzo), pur essendo ammalato molto gravemente, aveva passato un'intera giornata sotto la pioggia per rivederla un'ultima volta, e in quel colloquio le aveva confessato che non desiderava più vivere. Infatti, pochi giorni dopo l'arrivo in collegio, Gretta aveva saputo che egli era morto. Mentre Gabriel, sempre più turbato, ascolta il racconto, la moglie continua a piangere disperata. Finalmente, poi, si addormenta. Gabriel, invece, rimane a lungo sveglio, guardando la neve cadere e pensando a questo idillio di cui non sapeva nulla. Evidentemente c'è un lato di Gretta, che lui non conosce e che lo preoccupa: questo amore lontano, questo Michael, che è morto, è in realtà più vivo di lui e Gretta ne è ancora affascinata. Il marito guarda con tenerezza il viso della moglie, che sarà stato certo bellissimo quando ha ispirato un sentimento così profondo, ma ora comincia già a sfiorire un poco. E intanto nevica, nevica su tutta l'Irlanda, anche sul piccolo cimitero in collina, dove Michael è seppellito.
A few light taps upon the pane made him turn to the window. It had begun to snow again. He watched sleepily the flakes, silver and dark, falling obliquely against the lamplight. The time had come for him to set out on his journey westward. Yes, the newspapers were right: snow was general all over Ireland. It was falling on every part of the dark central plain, on the treeless hills, falling softly upon the Bog of Allen and, farther westward, softly falling into the dark mutinous Shannon waves. It was falling, too, upon every part of the lonely churchyard on the hill where Michael Furey lay buried. It lay thickly drifted on the crooked crosses and headstones, on the spears of the little gate, on the barren thorns. His soul swooned slowly as he heard the snow falling faintly through the universe and faintly falling, like the descent of their last end, upon all the living and the dead.
Un picchiettare sommesso ai vetri lo fece voltare verso la finestra: aveva ricominciato a nevicare. Osservò assonnato i fiocchi neri e argentei che cadevano obliqui contro il lampione. Era giunto il momento di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali dicevano il vero: c’era neve dappertutto in Irlanda. Cadeva ovunque nella buia pianura centrale, sulle nude colline; cadeva soffice sulla palude di Allen e più a ovest sulle nere, tumultuose onde dello Shannon. Cadeva in ogni canto del cimitero deserto, lassù sulla collina dov’era sepolto Michael Furey. S’ammucchiava alta sulle croci contorte, sulle pietre tombali, sulle punte del cancelletto, sugli spogli roveti. E la sua anima gli svanì adagio adagio nel sonno mentre udiva lieve cadere la neve sull’universo, e cadere lieve come la discesa della loro estrema fine su tutti i vivi e i morti.



sabato 13 dicembre 2014

Il portafoglio restituito



DOMENICA 2 NOVEMBRE 2003

Graziano Bernardini
Non mi era ancora capitato di perdere il portafoglio. E’ successo il 27 ottobre 2003 in Via Vittorio Veneto, ad Arezzo, a due passi dalla antica chiesetta di S.Antonio Abate, quella delle candele e delle speranze che vanno in fumo (post dell’11 ottobre: http://barbabianca-urbano.blogspot.it/2003/10/speranze-che-vanno-in-fumo.html)
Contenuto del borsello: 4 biglietti da 50 euro, altri di taglie più piccole, due assegni non compilati, bancomat, tessera Coop e via dicendo, con un provvidenziale bigliettino da visita comprensivo del numero del cellulare
Sono in viaggio per Rapolano Terme ( pacchetto Coop “terme e coccole” per l’week end). Da anni non tengo nel portafoglio la patente e i documenti di riconoscimento. Arrivare in albergo, pregustare le piscine calde delle Terme Antica Querciolaia,  leggere sul telefonino “chiamata senza risposta”, non accorgersi dello smarrimento in quanto l’albergo era prepagato e non uso giocherellare col borsellino; 
seconda chiamata e sentirsi dire:
 “lei ha perso il portafoglio”. 
Frugarsi in tasca,
 “è vero”, 
guardi che ce l’ho io, come posso fare per renderglielo”, 
“ dove si trova?”, 
sono di Arezzo”, 
“lo può portare alla Pensione Petrarca accanto alla chiesetta di S.Antonio Abate”?, 
“abito qui a due passi”, 
“scusi come si chiama?” 
Graziano Bernardini”.

Comunque l’avevo scritto più in basso, in un post del 10 settembre u.s. (Siamo tanti, siamo la maggioranza, come mai siamo stati. Guardiamo il male negli occhi senza paura, coscienti della imbattibile superiorità del bene).
Noi, in fondo,  siamo - dobbiamo essere -  uomini-animali socievoli, coinvolti in un impegno di solidarietà con il resto dei viventi.

Graziano Bernardini, questo aretino che io non conosco,  ha illuminato un giorno della mia vita.
Il mondo vero è questo; la spinta positiva è di gran lunga superiore a quella negativa. 

Non so se Graziano Bernardini ha piacere di questa pubblicazione, ma non la vedrà. Non credo proprio che bazzichi tra i nostri post. Comunque Graziano vale Gino, Massimo, Simone, Mariella, Carlo,Franco, Pinuccia, Luigi, Antonella, Lucia, Paola, Stefano, la piccola Anna. Graziano è, nel mondo virtuale, tutti noi blogghisti, Graziano è, nel mondo reale, la stragrande maggioranza degli esseri viventi. 
In alto i cuori.

Mahmoud Darwish – Pensa agli altri

Mahmoud Darwish – Pensa agli altri - Lio Site


Mahmoud Darwish

Mentre prepari la tua colazione,
pensa agli altri,

non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre,
 pensa agli altri,

non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre paghi la bolletta dell’acqua,
pensa agli altri,

coloro che mungono le nuvole.

mentre stai per tornare a casa, casa tua,
 pensa agli altri,

non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre dormi contando i pianeti,
pensa agli altri,

coloro che non trovano un posto dove dormire.

Mentre liberi te stesso con le metafore,
 pensa agli altri,

coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

Mentre pensi agli altri,
quelli lontani, pensa a te stesso, 
e dì:
magari fossi una candela in mezzo al buio.

Da “Kazahri al-Lawzi aw Ab’ad” (Come fiori di mandorlo o più lontano)

venerdì 5 dicembre 2014

Noi riconosciamo lo Stato di Palestina



Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Matteo Renzi
Al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Paolo Gentiloni
Ai Parlamentari per la Pace
Alla Rete della pace
Amicizia Italo-Palestinese Onlus 
Sede legale Via Brunetto Latini, 53 50133 Firenze
C.F.94117120488
c/c 001718821 Monte dei Paschi di Siena CIN ABI CAB Internaz. B 01030 02803 IT 70 CODICE IBAN IT70B0103002803000001718821
E-mail:
info@amiciziaitalo-palestinese.org
Sito Internet:
www.amiciziaitalo-palestinese.org
Presidente
Mahmud Said Hamad
tel.n°. 3355240514/057260072
mahmud.hamad@amiciziaitalo-palestinese.org
Oggetto:Noi riconosciamo lo Stato di Palestina.
E' con profonda determinazione e convinzione di essere nel giusto, e di agire per la giustizia e per la pace che il l'Assemblea dell'Associazione di Amicizia Italo Palestinese Onlus con sede a Firenze dichiara solennemente di riconoscere lo Stato di Palestina entro i confine del1967aventeGerusalemmeEstcomesuacapitale,echiedecheancheil Governoedil Parlamento italiano riconoscano lo Stato di Palestina così come hanno già fatto 134 paesi nel mondo, ed in Europa, da ultima la Svezia.
L'Italia nell'Assemblea delle Nazioni Unite ha votato a favore della risoluzione per l'ammissione della Palestina quale stato membro osservatore, si tratta ora di essere coerenti e di rendere effettiva quella decisione: l' Italia dichiari il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Lo hanno chiesto anche 636 autorevoli esponenti della Società Israeliana in una lettera pubblicata sul giornale quotidiano Haaretz, lo ha chiesto direttamente all'Italia, Yael Dayan, figlia del generale Moshe Dayan ed importante voce della politica israeliana.
Il 15 Novembre del 1988 con la dichiarazione d'indipendenza della Palestina, i palestinesi hanno riconosciuto lo Stato d'Israele ed accettato che il loro stato sorgesse solo sul 22% del territorio storico palestinese, quello dei territori occupati del 1967. Israele non ha invece ancora riconosciuto lo Stato di Palestina e neppure i propri confini.
Riconoscendo solennemente lo Stato di Palestina intendiamo denunciare con forza l'intollerabile privazione dei diritti umani fondamentali subita dalla popolazione palestinese a partire dal 1948. Ed in particolare “il diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” (art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani), il diritto di ogni individuo ad avere una cittadinanza (art. 15), il diritto dei profughi a ritornare nel proprio paese (art. 13). Il rifiuto, da parte dello stato di Israele, di riconoscere questi diritti inalienabili a tutti gli abitanti della Palestina sulla base di una separazione etnico/religiosa della popolazione, viola palesemente il principio secondo cui tali diritti “spettano ad ogni individuo senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione” (art. 2). È giunto il momento che il Governo Italiano agisca in modo coerente con tali principi e cessi di essere complice di questa scandalosa ingiustizia.
La motivazione che viene addotta da diversi rappresentanti politici per il non riconoscimento è che questo nuocerebbe ai negoziati, ma noi pensiamo esattamente l' opposto; i negoziati saranno ritenuti necessari da Israele nella misura in cui la comunità internazionale mostrasse, con il riconoscimento dello Stato di Palestina, il suo deciso e chiaro impegno per il rispetto della legalità e per la soluzione politica del conflitto nel quadro delle risoluzioni delle Nazioni Unite e del diritto internazionale
Per chi dice che il riconoscimento dello Stato di Palestina sarebbe un gesto unilaterale, vorremmo ricordare che lo fu anche il riconoscimento e l'ammissione all' Onu dello Stato di Israele. E unilaterali furono anche le severe sanzioni imposte dalla comunità internazionale, incluso il nostro paese, allo stato sudafricano ai tempi dell'apartheid. Sanzioni che non ostacolarono i negoziati, ma anzi furono determinanti nell'aiutare quel paese a trovare una soluzione politica basata sul riconoscimento di uguali diritti a tutti i suoi abitanti
Ci auguriamo e chiediamo che il nostro governo sappia agire con onestà e coraggio oltre che rispetto per la giustizia e la legalità Internazionale, riconoscendo lo Stato di Palestina.
Firenze, 01/12/2014
Firma Per l'Associazione di Amicizia Italo Palestinese Il Presidente: Mahmud Said Hamad
L’Associazione, costituita con atto del notaio Ferro reg.to a Firenze il 28.07.2004, cura le iniziative culturali, politiche e di solidarietà atte a promuovere la conoscenza della cultura del popolo palestinese (art.4 statuto).

Noi riconosciamo lo Stato di Palestina




                                                                                                                                              
Alla cortese attenzione
Matteo Renzi


Presidente del Consiglio dei Ministri
Paolo Gentiloni
Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale 

Noi riconosciamo lo Stato di Palestina !!

E' con profonda determinazione e convinzione di essere nel giusto, e di agire per la giustizia e per la pace che l'Assemblea  della Associazione Assopace Palestina dichiara simbolicamente e solennemente di riconoscere lo Stato di Palestina, e chiede che anche il  Governo ed il Parlamento italiano riconoscano lo Stato di Palestina  così come hanno già fatto 134 paesi nel mondo, ed in Europa, da ultima la Svezia.
L'Italia nell'Assemblea delle Nazioni Unite ha votato a favore della risoluzione per l'ammissione della Palestina quale stato membro osservatore, si tratta ora di essere coerenti e di rendere effettiva quella decisione: l' Italia dichiari il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Lo hanno chiesto anche 636 autorevoli esponenti della Società Israeliana in una lettera pubblicata sul giornale quotidiano Haaretz, lo ha chiesto direttamente all'Italia, Yael Dayan, figlia del generale Moshe Dayan ed importante voce della politica israeliana.
E' dal 1980 che l'Unione Europea afferma che la soluzione a questo cruciale conflitto sia quella di arrivare a “due popoli e due stati”, ma quello che abbiamo visto finora è solo la crescita della colonizzazione dei territori palestinesi occupati dal 1967 da parte di Israele.
Il 15 Novembre del 1988 con la dichiarazione d'indipendenza della Palestina, i palestinesi hanno riconosciuto lo Stato d'Israele ed accettato che il loro stato sorgesse solo sul 22% del territorio storico palestinese, quello dei territori occupati del 1967. Israele non ha invece ancora riconosciuto lo Stato di Palestina e neppure i propri confini.
La motivazione che viene addotta da diversi rappresentanti politici per il non riconoscimento è che questo nuocerebbe ai negoziati, ma noi pensiamo esattamente l' opposto; i negoziati saranno ritenuti necessari da Israele nella misura in cui la comunità internazionale mostrasse, con il riconoscimento dello Stato di Palestina seppur atto simbolico, il suo deciso e chiaro impegno per il rispetto della legalità e per la soluzione politica del conflitto nel quadro delle risoluzioni delle Nazioni Unite e deidue popoli, due stati.
Per chi dice che il riconoscimento dello Stato di Palestina sarebbe un gesto unilaterale, vorremmo ricordare che lo fu anche il riconoscimento e l'ammissione all' Onu dello Stato di Israele.
Ci auguriamo e chiediamo che il nostro governo sappia agire con onestà e coraggio oltre che rispetto per la giustizia e la legalità Internazionale, riconoscendo lo Stato di Palestina.
Da parte nostra continueremo ad agire affinché i due popoli possano coesistere in pace e sicurezza, praticando principi e valori universali di giustizia e di democrazia.

                                                                   Per l’ Associazione Assopace Palestina
                                                                                 Il Presidente Luisa Morgantini

Roma 4 dicembre 2014