sabato 31 maggio 2008

Il mio partito

La politica fa, la politica dice...


“La politica”, in Italia, oggi è costituita da circa cinquantamila persone (nomenklatura, Vip, propagandisti, portaborse, qualche intellettuale) che assommano in se stessi i poteri, l'etica, il “dibbattito” e la pubblica opinione. La Seconda Repubblica è stata molto meno repubblicana della prima, popolata da partiti, iscritti, militanti e sezioni che la collegavano direttamente alle rivoluzioni democratiche dell'Ottocento.


Nella Seconda tutto ciò è stato ipocritamente caricaturato: partiti di cartapesta al posto dei partiti veri, militanti la cui militanza s'esauriva in due ore di “primarie”, iscritti col tesserino di plastica senza potere alcuno se non di applaudire.


Nella Terza, che comincia ora, l'ipocrisia è finita: i partiti sono due e obbligatori, l'iscritto può cantare - a scelta - “Io Mi Fido Di Te” o “Meno Male Che Ci sei Tu”, la militanza consiste in riti tribali e c'è la la massima libertà di votare per chiunque, purché sia stato approvato da una Segreteria responsabile e in linea col Partito. Tutto questo ricorda l'Ancient Regime (“mangino delle brioches”) o la Russia prima della caduta del Muro: sfiducia in basso, cecità in alto, e catastrofe finale.


Fra miseria e assenteismo, fra lo sfacelo delle periferie e l'arroganza dei quartieri alti, abbiamo dimenticato, fra le altre cose, come si fa a votare. Abbiamo votato per gente scelta da altri (la legge italiana non prevede la scelta dei candidati), fra una propaganda assordante, con fantasmi e paure artificialmente montate da tecnici della disinformatsija in confronto ai quali Beria o Goebbels erano dei dilettanti.

Abbiamo votato comunque, perché votare è un dovere persino in queste condizioni. Ma le elezioni democratiche sono un'altra cosa. Sono libere, sono personali, sono una scelta concreta non fra un Vip e l'altro ma fra diversi modi di vivere e fra diverse categorie di persone.


Tutto questo per dire che ormai la democrazia va ricercata col lanternino. Forse più nelle piccole che nelle grosse occasioni. Un'occasione piccolissima, un'elezione proprio di serie B, è - per esempio - quella che ci sarà fra un paio di settimane a Catania. In questa città del Sud, come in tutte le altre, s'è votato per tutto (Stato, Regione, Regno e Impero) ed è come se non si fosse votato per niente. Si vota ora per il comune e la provincia, e anche per le piccole circoscrizioni. Nella prima di esse, quella di San Cristoforo, il quartiere più povero e più centrale, c'è una lista politica, finalmente, di politica vera.


E' quella senza politici, fatta da quella mezza dozzina di donne - Melina, Piera, Francesca, Claudia e le altre – che in questi due anni hanno lottato veramente e dal basso per difendere il loro quartiere, la scuola dei loro figli, la loro vita reale. Io direi di appoggiarle, nella loro piccolissima elezione, come se fossero il centro di tutto, il partito più importante. Contano più di Veltroni e Bertinotti per la sinistra da fare, quella vera. Non solo nel loro quartiere, non solo qui.


Dal blog di Riccardo Orioles


lunedì 19 maggio 2008

Ivi è Romena - Dante in Casentino.

Presentazione del libro “Ivi è Romena”


 sabato 14 giugno 2008, ore 21

 Questa è la bozza della sceneggiatura che sto preparando per la serata della presentazione che sarà nel cortile interno del castello, che è molto molto suggestivo. Accompagnamento d'arpa, due voci impostate per Dante. Il resto penso si possa fare "a mano" alternandoci nella lettura i presenti in platea. Sicuramente bisognerà sfoltire, perché prima ci saranno le presentazioni della Comunità Montana, con l'illustrazione del programma estivo, poi la relazione "accademica" del prof. Giovanni Cherubini".  I tempi di attenzione vanno, mi dicono, poco oltre i 60 minuti. Ma io, come Narciso, mi sono affezionato a questa specie di autoritratto libresco. Per cui intanto me lo pubblico, a futura memoria.

Io penso di dar la voce al  Narratore.


una donna nelle vesti di Ella Noyes: 

Quando si guarda al Casentino, laggiù in basso, la Valle Chiusa stessa diviene pensiero, memoria. Il passato emerge più vivido del presente ed il corso stesso del fiume diviene il simbolo, l'immagine delle possenti correnti di vita e di passione che un giorno fluirono attraverso la Valle. In giorni di un remoto passato il piccolo spazio circoscritto dai verdi colli, ora così pieno di pace, rinserrò in sé alcune delle più strenue forze della storia d'Italia. La catena di alture irte di castelli, lungo il corso del fiume e le torri di pietra che scrutano dalle balze ogni valle laterale sottostante, rammentano il sistema feudale che in passato dominò l'Italia quando, nel diluvio generale, in cui rimasero sommerse legge ed ordine, dopo la caduta dell'Impero e le successive invasioni del paese, il potere si ritirò sulla cima dei monti e fu impersonato dal braccio armato del barone indipendente.

Il Casentino, tenuto da grandi Conti Palatini, i Guidi che, colla forza delle armi avevano esteso il loro dominio su tutte le vallate più alte dell'Appennino in entrambi i versanti e fino al cuore della Romagna, fu nell'Undicesimo e Dodicesimo secolo la sede di un potere al quale gli ancora deboli e insignificanti comuni confinanti prestavano omaggio ed obbedienza.

Fu questo il periodo in cui la Vallata fu più strettamente collegata con il mondo esterno. Mercanti e viaggiatori frequentavano le montagne e i villaggi, oggi piccoli e modesti, quasi inaccessibili sulle cime pietrose, che erano allora importanti luoghi di passaggio e sui monti si ergevano numerose e grandi abbazie, ridotte oggi a mucchi di rovine perse nella foresta, sui più alti pendii visitati oggi solo da cacciatori, abbazie che furono un tempo centri di rapporti umani e di attività politiche. La Vallata era probabilmente più popolata allora di oggi: dove il principe aveva la sua sede gli uomini si sentivano sicuri e si riunivano.

 

1 quadro    libro p-43

 

 Il bando e la condanna

 

Narratore - Nei primi giorni dell’ottobre 1301 Dante è a Roma, in ambasceria presso Bonifacio VIII. La resa dei conti tra la parte Bianca e la parte Nera è imminente. Dante, eletto priore il 13 giugno 1300, si è fortemente esposto, e in senso segnatamente antipapale: nella seduta del 19 giugno è l’unico a pronunciarsi a favore del ritiro delle truppe (cento cavalieri dislocati in Maremma) prestate in precedenza a Bonifacio, e che il Papa chiede di trattenere: “Dante espresse il parere che riguardo al servizio da rendere al papa non se ne facesse nulla”.

 Dante è con tutta probabilità ancora a Roma quando il primo novembre Carlo di Valois, il falso ‘paciaro’ nominato dal Papa, entra in Firenze, e con lui rientrano, illegalmente, i capi dei Neri precedentemente banditi. Cominciano le rappresaglie: le case dei Bianchi, comprese quelle degli Alighieri, vengono messe a sacco; comincia il regolamento dei conti contro gli esponenti del partito avverso. Sulla via del ritorno da Roma, giunto nei pressi di Siena, Dante viene raggiunto dal bando col quale una Firenze ingrata dà il benservito al suo ambasciatore a Roma.

 

Araldo p.45 del libro

Condanna all’esilio

27 gennaio 1302

In nome di Dio, amen.

Io Messer Cante dei Gabrielli da Gubbio, onorevole Potestà della Città di Firenze …

nell’anno del Signore 1302, al tempo del Santissimo Padre Papa Bonifazio VIII…

OMISSIS

Essendomi venuto alle orecchie sulla base di pubbliche dicerie che Dante Alighieri, durante il tempo del suo Priorato o dopo,

1 -aveva commesso per sé o per altri Baratterie, illeciti lucri, inique estorsioni in denaro o altre cose

2 – che lui o chi per lui aveva ricevuto denaro o altra utilità per far eleggere Priori o Gonfalonieri,

ufficiali di distretto, per stanziamenti a favore di rettori e ufficiali del comune di Firenze;

3 – che aveva fatto spendere denari contro il Sommo Pontefice e per impedire la venuta di re

Carlo D’Angiò;

4 – che aveva commesso o fatto commettere frode, falsità, dolo, malizia, baratteria e grave estorsione e aveva operato per dividere la città di Pistoia causando l’espulsione da detta città dei Neri fedeli alla Chiesa Romana, staccandola dall’alleanza con Firenze, dalla soggezione alla Chiesa romana e a re Carlo, paciaro in Toscana;

 

ordino che detto messer Dante, insieme a Palmerio, Orlanduccio e Lippo,…

venga multato di 5.000 fiorini piccoli, che restituisca quello che ha illegittimamente estorto. Se non obbedisca alla condanna entro il terzo giorno da oggi che tutti i suoi beni siano confiscati, devastati e distrutti; e devastati e distrutti restino di proprietà comunale; che, anche se pagante, resti fuori della provincia di Toscana a confino per due anni; che sia escluso per sempre dai pubblici uffici come falsario e barattiere, che paghi la condanna o no.

Tale è la nostra sentenza.

 

 

Condanna a morte                 p.47 del libro

10 marzo 1302

In nome di Dio, amen.

noi Cante, predetto Podestà, diamo e proferiamo la sotto indicata Condanna:

Messer Andrea de Gherardini

Messer Lapo Saltarelli


Dante Allighieri

… contro i quali si è proceduto a seguito della inquisizione del nostro ufficio e della nostra Curia per il fatto pervenuto alle orecchie nostre e della stessa nostra Corte sulla base delle pubbliche dicerie …che se qualcuno dei predetti in qualsiasi tempo cadrà in potere del detto comune, sia bruciato col fuoco finché muoia.

 

Così Dante esprimerà il suo stato d’animo:

 

Dante (indicato dai tre asterischi)

*** Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade; e sono apparito alli occhi di tanti in modo molto diverso da come forse per alcuna fama m’aveano imaginato: nel conspetto de’ quali posso aver perduto stima e considerazione come persona, in modo che ne potrebbe risentire il giudizio anche riguardo ad ogni mia opera, sì già fatta come quella che fosse a fare.

(Convivio I - 3° cap.)

 

Lettera ai duchi di Romena 1304     p.67 del libro

 

***Questa lettera è stata scritta da Dante Alighieri a Oberto e Guido conti di Romena dopo la morte del loro zio conte Alessandro, per esprimere le sue condoglianze. Il vostro zio Alessandro era il mio signore e tale rimarrà nella mia memoria finché vivrò, perché mi avevano reso suddito la sua magnificenza e la sua bontà durante lunghi anni di tormentate vicissitudini.


Io poi, oltre a tutto questo, mi scuso, come vostro suddito, di fronte alla vostra discrezione, della mia assenza alle dolorose esequie; perché sono stato impedito non da negligenza né ingratitudine, ma dalla improvvisa povertà che l’esilio mi ha procurato. Questa povertà infatti, davvero crudele persecutrice, dopo avermi privato di armi e di cavalli, mi ha ormai cacciato nell’antro della sua prigionia dove, impietosa com’è, fa di tutto per tenermi imprigionato.

 

Voce fuori campo

Tu proverai sì come sa di sale

Lo pane altrui; e come è duro calle

Lo scendere e salir per l’altrui scale.

(Par. XVII, 58-60)

Seconda voce fuori campo

…"Nessun maggior dolore

che ricordarsi del tempo felice

ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s'a conoscer la prima radice

del nostro amor tu hai cotanto affetto,

dirò come colui che piange e dice.

(Inf. V, parole di Francesca da Rimini)

 

 

2 quadro

 

Padre della lingua italiana

Narratore

Il “De vulgari eloquentia” (1303-1305) è un trattato in latino sull’uso del volgare come lingua letteraria ed è rivolto al popolo delle arti che dal 1282 ha sostituito nel governo di Firenze i magnati della grande proprietà terriera. Dante dichiara che la lingua volgare è quella lingua che il bambino impara dalla balia, quindi una lingua naturale, a differenza della lingua latina che è lingua perfetta ma artificiale. Dante non perde l’occasione neppure per esprimere il suo giudizio negativo sul modo di parlare dei casentinesi:

 

La parlata dei casentinesi

Secondo lettore, Dante

In tanta dissonanza che tutte queste varietà producono nel volgare italiano, mettiamoci sulle tracce della lingua più decorosa d'Italia, la lingua illustre; e per aprire alla nostra caccia una strada transitabile, in primo luogo buttiamo fuori dalla selva cespugli aggrovigliati e rovi.

E diciamo pure che quello dei Romani - che non è neanche una lingua ma piuttosto uno squallido gergo - è il più brutto di tutti i volgari italiani.

Dopo costoro strappiamo via gli abitanti della Marca Anconitana, che dicono Chignamente state siate: (possiate mantenervi come state ndr) e assieme a loro via anche gli Spoletini.

Dopo di questi estirpiamo Milanesi e Bergamaschi.

E dopo ancora, setacciamo via Aquileiesi e Istriani, che con quel loro accento ferino pronunciano: Ces fas-tu? E assieme a questi buttiamo via tutte le parlate montanare e campagnole, come quelle dei Casentinesi e degli abitanti di Fratta, che, col loro accento aberrante da tutte le regole, suonano in modo da far a pugni col linguaggio di chi abita nel centro delle città. (v. De Vulg. Eloq. I, 11)

 

La parlata dei toscani

 

Ma poiché i Toscani sopra gli altri folleggiano in cosiffatta ebbrezza, mi sembra utile cosa e degna sfrondare alquanto, l’uno appresso dell’altro, ciascun volgare municipale toscano. I fiorentini dicono: Manichiamo, introcque che noi non facciamo altro(Intanto mangiamo: noi che non facciamo altro). E i Pisani: Bene andonno li fatti de Fiorensa per Pisa. I Lucchesi: Fo voto a Dio ke in grasrra eie lo comuno de Lucca (giuro su Dio che il Comune di Lucca sta nella grascia). I Senesi. Onche renegata avess’io Siena. Ch’ee chesto? Neppure avessi mai rinnegato Siena. Che è questo? Onche = numquam)E gli Aretini: Vo’ tu venire ovelle? (vuoi tu venire dove che sia?)

Se adunque prendiamo a studiare le loquele di Toscana non resterà dubbio che il vulgare che noi andiam cercando sia bene altro da quello elle genti toscane. (De vulgari eloquentia, I, 13)

 

 

3 quadro L’amore tempestoso

 

lettera al marchese Moroello Malaspina

 

Narratore Nell’Epistola IV, scritta ai primi del 1307, Dante, di ritorno da una importante ambasceria in Lunigiana, scrive al conte Moroello Malaspina e racconta che, appena giunto sulle rive dell’Arno, gli era apparsa davanti agli occhi una donna e che, malgrado ogni suo sforzo, Amore gli aveva cacciato dalla mente ogni proposito di tenersi lontano dalle donne e dalla poesia amorosa e lo aveva completamente sottomesso alla propria signoria.

p.74

Dante

***Ero appena uscito dalla corte dove mi era stato possibile vivere in piena libertà, ed avevo posto sicuro ed incauto i piedi presso la corrente del Sarno, quando, ahimè, all’improvviso, non so come, mi apparve una donna, come folgore dall’alto, in tutto per costumi e bellezza conforme alle mie aspettative.O quanto fu il mio stupore a quella apparizione! Ma lo stupore cessò per il terrore del fragore che seguì. Poiché come ai diurni baleni succedono i tuoni, così alla vista della fiamma di questa bellezza, Amore tremendo ed imperioso mi ebbe suo, e feroce come un signore che rientri nelle sue terre dopo un lungo esilio, uccise o sbandì o imprigionò qualsiasi cosa fosse stata a lui contraria dentro di me. Soffocò dunque quel proposito lodevole per cui mi tenevo lontano dalle donne e dai loro canti, e cacciò empiamente come sospette le assidue meditazioni con le quali andavo considerando le cose del cielo e della terra. Infine, perché l’anima mia non potesse più ribellarsi contro di lui, mise in catene il mio libero arbitrio, sicché bisogna ch’io mi volga dove vuole lui e non io.

 

p.75

***Amor, da che convien pur ch’io mi doglia

Perché la gente m’oda,

E mostri me d’ogni vertute spento,

Dammi savere a pianger come voglia,

Sì che ‘l duol che si snoda

Portin le mie parole com’io ‘l sento.

Io non posso fuggir ch’ella non vegna

Ne l’immagine mia,

se non come il pensier che la vi mena.

L’anima folle che al suo mal s’ingegna,

com’ella è bella e ria,

così dipinge e forma la sua pena.

Così m’hai concio, Amore, in mezzo l’Alpi,

Ne la valle del fiume

Lungo il qual sempre sopra me se’ forte:


O montanina mia canzon, tu vai:

Forse vedrai Fiorenza, la mia terra,

Che fuor di sé mi serra,

Vota d’amore e nuda di pietade;

va’ dicendo: “Omai

Non vi può far lo mio fattor più guerra:

Là ond’io vegno una catena il serra

Tal che, se piega vostra crudeltate,

Non ha di ritornar qui libertate”

 

  

4 quadro  

 La grande speranza: Enrico imperatore    p.113

 

Narratore il 27 novembre i sette principi elettori di Germania, radunatisi in un convento di Francoforte, s'accordano finalmente per metter fine al periodo di sede vacante dell'Impero, dopo l'uccisione di Alberto I, e designano alla corona imperiale Enrico do Lussemburgo, di trentaquattro anni

 

 

Ma com'era l'Italia nel 1310?          P.115 del libro

Il papato aveva avuto un periodo non breve di sede vacante. Poi con Celestino V era fallito l’esperimento spirituale, con Bonifacio VIII fallisce l’esperimento temporale, con Clemente V il pontefice è ormai vassallo del re di Francia, in Avignone.

 

L’Impero ormai da molti anni non è più punto di riferimento nelle mille contese tra feudatari e mercanti, tra città e campagna; l’Italia è una nave senza nocchiero in gran tempesta. La Sicilia si libera dai francesi con i vespri siciliani per far posto agli Aragonesi: Federico II ne fa campo di battaglia prima col fratello Giacomo poi con Carlo II d’Angiò. Genova ha sconfitto Pisa alla Meloria e poi Venezia a Curzola. Marco Polo, reduce dalle glorie del Catai, trova il tempo per dettare le sue memorie nelle prigioni genovesi, mentre Giotto ha da poco finito di dipingere la cappella degli Scrovegni a Padova.

l’industria tessile costituisce l’asse portante dello sviluppo economico; la lana proviene dalla Castiglia e dall’Inghilterra: Firenze, Lucca, Milano, Como, Bergamo, Brescia sono centri di produzione che   eguagliano quelli delle Fiandre e della Francia del Nord. L’artigiano ha bisogno del mercante che procuri la materia prima e fornisca il denaro per il primo acquisto. Il mercante ha bisogno di vie di comunicazione sicure e libere da balzelli. Firenze chiede il passo alle città confinanti; se Arezzo, Siena, Pisa e Lucca si mettono sulla sua strada è guerra.

 

Dentro la città il mercante-artigiano guelfo chiede il passo al magnate ghibellino; il partito guelfo, una volta vincitore, si divide al suo interno. Bianco contro nero, popolo minuto contro popolo grasso, salariato contro proprietario...

 Il momento è drammatico, altamente drammatico. Tutti gli antichi fuorusciti fiorentini, Ghibellini e Bianchi, sono intenti a seguire le mosse dell’alto Arrigo, e impazienti vorrebbero che egli non ponesse ulteriori indugi, e subito puntasse al cuore della Toscana. Con la speranza prende corpo in Dante una diversa o comunque più precisa convinzione politica. Dante, qui dal Casentino, scrive tre lunghe infuocate lettere ai Signori d’Italia, agli scelleratissimi fiorentini, al divo Enrico. Ancora fresca d’inchiostro la stesura del 6° canto del Purgatorio che di queste lettere costituisce la parafrasi. E che parafrasi.

 

Dante

  

Epistola V (settembre-ottobre 1310)

Alle sorgenti dell’Arno.

*** Tutti e ai singoli Re d’Italia e ai Senatori della santa città, nonché ai Duchi, Marchesi, Conti e ai Popoli, l’umile italiano Dante Alighieri fiorentino ed esule senza colpa invoca pace. “Ecco ora il tempo accettevole”, nel quale sorgono i segni della consolazione e della pace. Un giorno nuovo infatti comincia a splendere mostrando dal suo nascere l’aurora che già riduce le tenebre della lunga calamità; e già le brezze orientali si fanno più frequenti; rosseggia il cielo ai confini dell’orizzonte e conforta di dolce serenità le speranze delle genti. O Italia, ora degna di pietà perfino per i saraceni, …asciuga le lacrime e cancella i segni dell’afflizione, o bellissima, è vicino colui che ti libererà dal carcere degli empi, che percuotendo a fil di spada i malvagi li disperderà e affiderà la sua vigna ad altri agricoltori che al tempo del raccolto diano in cambio il frutto di giustizia.

 

E voi che piangete oppressi “sollevate l’animo, ché vicina è la vostra salvezza”. Prendete il sarchio della buona umiltà e, spezzate le zolle della riarsa animosità, spianate il campicello della vostra mente affinché la pioggia celeste, venendo per caso prima che sia gettata la vostra semente, non cada a vuoto dall’alto. Non si ritragga da voi la grazia divina come la rugiada quotidiana dal sasso, ma come una valle feconda concepite e germinate il verde; il verde, dico, fruttifero di vera pace; e sulla vostra terra ritornata verdeggiante il nuovo agricoltore dei Romani aggiogherà con maggior rispetto e con maggiore fiducia i buoi della sua saggezza. Perdonate, perdonate già da ora, voi che con me avete sofferto ingiustizia, perché Colui dal quale come da un punto si biforca la potestà di Pietro e di Cesare, volentieri punisce la sua famiglia ma più volentieri ne ha pietà.

 

 

Agli scelleratissimi fiorentini

Epistola VI

Alle sorgenti dell’Arno 1311.

 

*** Dante Alighieri fiorentino ed esule senza colpa agli scelleratissimi Fiorentini che vivono tra le mura di Firenze.

La pia provvidenza dell’eterno Re che mentre perpetua nella sua bontà le cose del cielo, non abbandona disprezzandole le nostre cose di quaggiù, ha disposto che le cose umane debbano essere governate dal sacrosanto Impero dei Romani affinché nella serenità di tanto presidio il genere mortale abbia pace e civilmente possa vivere. O cinti da un ridicolo riparo confidate in qualche ifesa? O malvagiamente concordi! O acciecati da una incredibile passione! A che gioverà aver cinto di steccato la città, a che averla armata di ripari e di merli, quando sopravverrà l’aquila in campo d’oro terribile, che trasvolò superba un tempo i vasti mari?

Vedrete i vostri edifici... precipitare sotto i colpi dell’ariete, e, tristi, esser inceneriti dal fuoco. Vedrete la plebe d’ogni intorno infuriante ora divisa a favore o contro, poi unita contro di voi gridare terribile perchè non sa essere affamata e timorosa insieme.

 

E non vi accorgete, poiché siete ciechi, che è la cupidigia che vi domina, che vi blandisce con velenosi sussurri, che vi tiene costretti con minacce fallaci e vi imprigiona nella legge del peccato e vi proibisce di ubbidire alle santissime leggi che sono fatte a immagine della giustizia naturale; l’osservanza delle quali, se lieta, se libera, non solo è dimostrato che non è servitù, ma anzi, a chi guardi con perspicacia, appare chiaro che è la stessa suprema libertà. Se non volete dissimulare, riconoscete dunque che è giunto il tempo di pentirvi amarissimamente delle temerarie presunzioni.E un tardivo pentimento d’ora in poi non porterà il perdono, ma coinciderà con l’inizio di un tempestivo castigo. Scritto il 31 marzo 1311 in Toscana, alle sorgenti dell’Arno, nel primo anno della faustissima venuta di Enrico Cesare in Italia.

 

E subito dopo, il 17 Aprile, al Divo Enrico, quasi con frenesia:

 

*** Leva dunque gli indugi. Restando a Milano passandovi dopo l’inverno la primavera, credi di uccidere l’idra pestifera con l’amputarle le teste? Per estirpare alberi non vale il taglio dei rami; anzi crescono più numerosi e vigorosi fin quando rimangono le radici da cui prendono nutrimento. Che cosa credi di aver compiuto, o unico Signore del mondo, quando avrai piegato il collo di Cremona ribelle? Forse che allora non si gonfierà inaspettata la rabbia o di Brescia o di Pavia? Anzi, quando questa rabbia anche flagellata sarà abbattuta, subito l’altra di Vercelli o di Bergamo o altrove scoppierà di nuovo, finché non si elimini alla radice la causa di questo tumore purolento e, strappata la radice di così grave errore, i rami pungenti insieme col tronco inaridiscano.

 

O forse ignori e non scorgi dalla specola della somma altezza dove si rintani la piccola volpe di tanto fetore, noncurante dei cacciatori? scellerata non si abbevera alle acque precipiti del Po, né al tuo Tevere, ma le sue fauci infettano ancora la corrente dell’Arno impetuoso, e si chiama Firenze, forse non sai?, questo crudele flagello. Questa è la vipera avventatasi contro le viscere della madre; questa è la pecora malata che infetta col suo contagio il gregge del suo pastore.

Scritto in Toscana alla sorgente dell’Arno, il 17 aprile [1311], l’anno primo della faustissima venuta

in Italia del divo Enrico.

 

*** Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di province, ma bordello!


Cerca, misera, intorno da le prode

le tue marine, e poi ti guarda in seno,

s’alcuna parte in te di pace gode.


Ché le città d’Italia tutte piene

son di tiranni, e un Marcel diventa

ogne villan che parteggiando viene.

 

Fiorenza mia, ben puoi esser contenta

di questa digression che non ti tocca,

mercè del popol tuo che si argomenta.


Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:

tu ricca, tu con pace, e tu con senno!

S’io dico ‘l ver, l’effetto nol nasconde.

Atene e Lacedemona, che fenno

l’antiche leggi e furon sì civili,

fecero al viver bene un picciol cenno

verso di te, che fai tanto sottili

provedimenti, ch’a mezzo novembre

non giugne quel che tu d’ottobre fili.

Quante volte, del tempo che rimembre,

legge, moneta, officio e costume

hai tu mutato e rinovate membre!

E se ben ti ricordi e vedi lume,

vedrai te somigliante a quella inferma

che non può trovar posa in su le piume,

ma con dar volta suo dolore scherma.

 

 

 

 

5 quadro                     p.133 del libro

 

Dal castello di Poppi 1311

La duchessa Gherardesca scrive all’Imperatrice Margherita

 

Epistole IX, X, XI

 

Narratore Nella concitazione del momento, Dante, ospite del Conte Guido Novello in Poppi, si fa segretario di fiducia, diligente scrivano e amanuense della Contessa Gherardesca, moglie di Guido e figlia del Conte Ugolino. Con quale insistenza l’avrà incoraggiata a intraprendere un rapporto epistolare con l’Imperatrice Margherita di Brabante!

 

 

 

Gherardesca di Battifolle

Alla gloriosissima e clementissima signora Margherita per divina provvidenza regina dei Romani e sempre Augusta, Gherardesca di Battifolle per largita grazia di Dio e dell’Impero contessa palatina in Toscana, piegate umilmente le ginocchia, presenta la dovuta riverenza. La graditissima lettera della regale Benignità con gioia fu vista dai miei occhi e dalle mani fu presa con reverenza, come si convenne. Sappia, dacché lo chiede, la pia e serena Maestà dei Romani che al momento dell'invio di questa lettera il diletto consorte ed io, per dono del Signore, eravamo in buona salute, contenti di quella dei figli, tanto noi più lieti del solito, quanto i segni del risorgente Impero promettevano ormai tempi migliori. Così dunque esultando nel presente e nel futuro, ricorro senza alcuna esitazione alla clemenza

dell’Augusta e supplichevolmente rivolgo rispettose preghiere affinché vi degnate pormi sotto l’ombra sicurissima della vostra Altezza, e io sia sempre protetta, e appaia esser tale, dal violento assalto di ogni avversità.

NarratoreInviata dal castello di Poppi, il 18 maggio (1311), nel primo anno della faustissima venuta in Italia di Enrico Cesare.

 

 

 

 

6 quadro                     p.139 del libro

 

Addio al Casentino

 

Narratore

 Il brusco mutamento di fronte di Guido da Battifolle, il quale ad un certo momento abbandonerà la parte imperiale e verrà addirittura nominato vicario di Re Roberto d'Angiò per la Toscana, ci spiega da un lato l'abbandono, da parte di Dante, di queste terre, per riprendere le sue peregrinazioni all'ombra del "sacrosanto segno", e dall'altro il progressivo drastico indurirsi e inasprirsi del giudicare dantesco su uomini e cose casentinesi, quale è poeticamente documentato nella Commedia, in particolare nel canto XIV del Purgatorio. Non vi è infatti giudice meno benevolo di un innamorato respinto e tradito. Dante si allontana così dal Casentino.

Prima Voce

Tra brutti porci, più degni di galle

che d’altro cibo fatto in uman uso,

dirizza prima il suo povero calle.

Botoli trova poi, venendo giuso,

ringhiosi più che non chiede lor possa,

e da lor disdegnosa torce il muso.

Seconda voce

“O voi che sanz’alcuna pena siete,

e non so io perché, nel mondo gramo”,

diss’elli a noi, “guardate e attendete

a la miseria del maestro Adamo;

io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli,

e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.

Li ruscelletti che de’ verdi colli

del Casentin discendon giuso in Arno,

facendo i lor canali freddi e molli,

sempre mi stanno innanzi, e non indarno,

ché l’imagine lor vie più m’asciuga

che ‘l male ond’io nel volto mi discarno.

La rigida giustizia che mi fruga

tragge cagion del loco ov’io peccai

a metter più li miei sospiri in fuga.

Ivi è Romena, là dov’io falsai

la lega suggellata del Batista;

per ch’io il corpo sù arso lasciai.

 

Terza voce

E io a lui: “Qual forza o qual ventura

ti travïò sì fuor di Campaldino,

che non si seppe mai tua sepultura?”.

“Oh!”, rispuos’elli, “a piè del Casentino

traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,

che sovra l’Ermo nasce in Apennino.

Là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano,

arriva’ io forato ne la gola,

fuggendo a piede e sanguinando il piano.

Quivi perdei la vista e la parola;

nel nome di Maria fini’, e quivi caddi,

e rimase la mia carne sola.

 

Ben sai come ne l’aere si raccoglie

quell’umido vapor che in acqua riede,

tosto che sale dove ‘l freddo il coglie.

Giunse quel mal voler che pur mal chiede

con lo ‘ntelletto, e mosse il fummo e ‘l vento

per la virtù che sua natura diede.

Indi la valle, come ‘l dì fu spento,

da Pratomagno al gran giogo coperse

di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento,

sì che ‘l pregno aere in acqua si converse;

la pioggia cadde, e a’ fossati venne

di lei ciò che la terra non sofferse;

e come ai rivi grandi si convenne,

ver’ lo fiume real tanto veloce

si ruinò, che nulla la ritenne.

Lo corpo mio gelato in su la foce

trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse

ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce

ch’i’ fe’ di me quando ‘l dolor mi vinse;

voltòmmi per le ripe e per lo fondo,

poi di sua preda mi coperse e cinse”.

(Purg. V, 88-129)

 

 

 

7 quadro

p.147 del libro

 il grande rifiuto 1315

 

Narratore Guido da Battifolle, diventato Podestà della Città del fiore, promulgherà un’Ordinanza che pare fatta per lui: siamo nel maggio del 1315, mancano poche settimane al 24 giugno, festa di S. Giovanni Battista.

Dante riceve sollecitazioni ripetute e insistenti da parenti e conoscenti. Ha davanti tante lettere e messaggi di amici, di nipoti, di persone buone e influenti.

 

All’amico fiorentino (maggio 1315)

Dante

*** Dalla vostra lettera ricevuta con l’affettuoso rispetto dovuto ho appreso con mente grata e attenta considerazione quanto il mio ritorno in patria vi sia a cura e a cuore; e perciò tanto più strettamente mi avete obbligato quanto più di rado capita che gli esuli trovino amici.


Ecco dunque ciò che dalle lettere vostre e di mio nipote nonché di parecchi altri amici mi è stato comunicato, per l’ordinamento testé fatto a Firenze sull’assoluzione degli sbanditi, che se volessi pagare una certa quantità di denaro e volessi sopportare la vergogna dell’offerta, potrei essere assolto e ritornare subito.


E’ questa la grazia del richiamo con cui Dante Alighieri è richiamato in patria dopo aver patito quasi per tre lustri l’esilio? Questo ha meritato una innocenza evidente a chiunque? Questo i sudori e le fatiche continuate nello studio? Lungi da un uomo familiare della filosofia una bassezza d’animo a tal punto fuor di ragione da accettare egli, quasi in ceppi, di essere offerto, a guisa di un Ciolo e di altri disgraziati. Lungi da un uomo che predica la giustizia il pagare, dopo aver patito  ingiustizie, il suo denaro ai persecutori come a benefattori. Non è questa la via del ritorno in patria, o padre mio; ma se una via diversa da voi prima o in seguito da altri si troverà che non deroghi alla fama e all’onore di Dante, quella non a lenti passi accetterò; che se non si entra a Firenze per una qualche siffatta via, a Firenze non entrerò mai. E che? Forse che non vedrò dovunque la luce del sole e degli astri? Forse che non potrò meditare le dolcissime verità dovunque sotto il cielo, se prima non mi riconsegni alla città, senza gloria e anzi ignominioso per il popolo fiorentino? Né certo il pane mancherà.

 

8 quadro

 

 Firenze spietata 1315           p.151 del libro

 

(dalla sentenza di Bando Maggiore del 6 novembre 1315)

Araldo

In nome di Dio, amen.

Questi sono i bandi e gli sbandimenti profferti e pronunciati dal nobile cavaliere Rayneri di Zaccaria di Orvieto, Vicario del re Roberto d’Angiò, nella città di Firenze e nel distretto, contro i sottoscritti ghibellini e ribelli: per il Sesto di Porta San Piero nella città di Firenze, tutti di casa Portinari e tutti di casa Giochi, eccetto Lamberto Lapi e Filippo Ghepardi; Dante Alighieri e figli, contro tutti e ciascuno dei quali sopra nominati, dai settanta anni in giù e dai quindici anni in su.

…essendo stati legalmente condannati per la contumacia di loro, se in qualsiasi tempo verranno in potere nostro e del Comune di Firenze, siano condotti sul luogo di giustizia e quivi sia loro tagliata la testa dalle spalle, così che muoiano.  

Narratore A distanza di 3 settimane, il 6 Novembre 1315, Rayneri di Zaccaria di Orvieto, ggiunge:




... “a Dante e figli ripetiamo la condanna e confermiamo il bando da Firenze e territori connessi; e perché non si facciano gloria della loro contumacia, aggiungiamo che chiunque può recar loro offesa negli averi e nella persona, liberamente e impunemente, secondo quanto prevedono gli statuti di Firenze.


Voce fuori campo

Che se’l conte Ugolino aveva voce

D’aver tradita te delle castella

Non dovei tu i figliol porre a tal croce.

 Innocenti facea l'età novella,

novella Tebe, Uguiccione e 'l Brigata

e li altri due che 'l canto suso appella

 

9 quadro - Ascesa al cielo                p.153 del libro

 

Sulla cima del Purgatorio ha bevuto alla sorgente dell’oblio:

 

*** La bella donna ne le braccia aprissi;

abbracciommi la testa e mi sommerse

ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.

Indi mi tolse, e bagnato m’offerse

dentro a la danza de le quattro belle;

e ciascuna del braccio mi coperse.

(Purg. XXXI, 100-105)

 

e subito dopo a quella della buona memoria:

***   S’io avessi, lettor, più lungo spazio

da scrivere, i’ pur cantere’ in parte

lo dolce ber che mai non m’avria sazio;

ma perché piene son tutte le carte

ordite a questa cantica seconda,

non mi lascia più ir lo fren de l’arte.

Io ritornai da la santissima onda

rifatto sì come piante novelle

rinovellate di novella fronda,

puro e disposto a salire alle stelle.

(Purg. XXXIII, 136-144)

 

Narratore Da lassù, dal cielo stellato, mille volte contemplato nelle notti casentinesi splendide e insonni, ora finalmente raggiunto con l’aiuto delle dolcissime verità disvelate via via alla sua mente ormai libera da crucci e risentimenti, le cose assumono le debite proporzioni. Tra i sette pianeti ecco la terra:

*** Col  viso ritornai per tutte quante

Le sette spere, e vidi questo globo

Tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;


E tutti e sette mi si dimostraro

Quanto son grandi e quanto son veloci

E come sono in distante riparo.

L’aiuola che ci fa tanto feroci,

volgendom’io con li eterni Gemelli,

tutta m’apparve da’ colli alle foci;

poscia rivolsi gli occhi a li occhi belli.

(Par. XXII, 133 sgg)

sabato 17 maggio 2008

Azor, Israel



New house,fully equipped, In a quiet village


 5 minutes from Tel-Aviv, 40 minutes from Jerusalem



Ce la offrono in cambio-casa, due giovani israeliani, lui programmatore lei ragioniera, un bel bambino di 4 anni. 5 minuti da Tel Aviv, 20' da Gerusalemme.  Macchina a disposizione, personale incaricato pulizia, vicini di casa pronti a darci una mano.


AMENITIES:

Computer Garden Internet Access  Washer/Dryer FAX

Fireplace Security System Patio/Outdoor Dining TV/Cable Stereo/HiFi

Balcony/Deck           


Che ( e come) gli rispondo?


Li trovate qui

venerdì 16 maggio 2008

La paura

Promessi Sposi

CAPITOLO XXXII


L'altro caso (e seguì il giorno dopo) fu ugualmente strano, ma non ugualmente funesto. Tre giovani compagni francesi, un letterato, un pittore, un meccanico, venuti per veder l'Italia, per istudiarvi le antichità, e per cercarvi occasion di guadagno, s'erano accostati a non so qual parte esterna del duomo, e stavan lì guardando attentamente. Uno che passava, li vede e si ferma; gli accenna a un altro, ad altri che arrivano: si formò un crocchio, a guardare, a tener d'occhio coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce, accusavano di stranieri e, quel ch'era peggio, di francesi. Come per accertarsi ch'era marmo, stesero essi la mano a toccare. Bastò. Furono circondati, afferrati, malmenati, spinti, a furia di percosse, alle carceri. Per buona sorte, il palazzo di giustizia è poco lontano dal duomo; e, per una sorte ancor più felice, furon trovati innocenti, e rilasciati.


Né tali cose accadevan soltanto in città: la frenesia s'era propagata come il contagio. Il viandante che fosse incontrato da de' contadini, fuor della strada maestra, o che in quella si dondolasse a guardar in qua e in là, o si buttasse giù per riposarsi; lo sconosciuto a cui si trovasse qualcosa di strano, di sospetto nel volto, nel vestito, erano untori: al primo avviso di chi si fosse, al grido d'un ragazzo, si sonava a martello, s'accorreva; gl'infelici eran tempestati di pietre, o, presi, venivan menati, a furia di popolo, in prigione. Così il Ripamonti medesimo. E la prigione, fino a un certo tempo, era un porto di salvamento.


...Tre giorni furono spesi in preparativi: l'undici di giugno, ch'era il giorno stabilito, la processione uscì, sull'alba, dal duomo. Andava dinanzi una lunga schiera di popolo, donne la più parte, coperte il volto d'ampi zendali, molte scalze, e vestite di sacco. Venivan poi l'arti, precedute da' loro gonfaloni, le confraternite, in abiti vari di forme e di colori; poi le fraterie, poi il clero secolare, ognuno con l'insegne del grado, e con una candela o un torcetto in mano. Nel mezzo, tra il chiarore di più fitti lumi, tra un rumor più alto di canti, sotto un ricco baldacchino, s'avanzava la cassa, portata da quattro canonici, parati in gran pompa, che si cambiavano ogni tanto. Dai cristalli traspariva il venerato cadavere, vestito di splendidi abiti pontificali, e mitrato il teschio; e nelle forme mutilate e scomposte, si poteva ancora distinguere qualche vestigio dell'antico sembiante, quale lo rappresentano l'immagini, quale alcuni si ricordavan d'averlo visto e onorato in vita. Dietro la spoglia del morto pastore (dice il Ripamonti, da cui principalmente prendiamo questa descrizione), e vicino a lui, come di meriti e di sangue e di dignità, così ora anche di persona, veniva l'arcivescovo Federigo. Seguiva l'altra parte del clero; poi i magistrati, con gli abiti di maggior cerimonia; poi i nobili, quali vestiti sfarzosamente, come a dimostrazione solenne di culto, quali, in segno di penitenza, abbrunati, o scalzi e incappati, con la buffa sul viso; tutti con torcetti. Finalmente una coda d'altro popolo misto.


...La processione passò per tutti i quartieri della città: a ognuno di que' crocicchi, o piazzette, dove le strade principali sboccan ne' borghi, e che allora serbavano l'antico nome di carrobi, ora rimasto a uno solo, si faceva una fermata, posando la cassa accanto alla croce che in ognuno era stata eretta da san Carlo, nella peste antecedente, e delle quali alcune sono tuttavia in piedi: di maniera che si tornò in duomo un pezzo dopo il mezzogiorno.


Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu chi non ne vedesse la causa, o l'occasione, nella processione medesima.


Lessico


Gradi della paura


La paura ha differenti gradi di intensità a seconda del soggetto: persone che vivono intensi stati di paura hanno sovente atteggiamenti irrazionali e/o pericolosi. Può essere descritta con termini differenti a seconda del suo grado di intensità:




Terrore


Il terrore è un evidente stato di paura, durante il quale un individuo diventa confuso e viene attanagliato da un senso di elevato pericolo. Questo porta il soggetto a non riconoscere più il "giusto" e l'"errato", portandolo quindi a commettere azioni al di fuori di qualsiasi logica, ma dettate solo dall'istinto. Se esaminiamo il terrore umano e quello animale riscontriamo veramente poche differenze, l'unica differenza sta nel fatto che l'uomo può controllare questo suo stato di paura con ragionamenti logici, mentre l'animale si limita a seguire l'impulso e quindi tenta di difendersi fino alla fine, molto spesso senza riconoscere, nel caso di un animale domestico, neanche il padrone.



Paranoia


Paranoia è un termine per descrivere una psicosi di paura, relativa alla percezione di essere perseguitati. Questa percezione spesso causa il cambiamento del comportamento naturale in modo radicale, dopo un po' di tempo il comportamento dei soggetti affetti può diventare estremamente compulsivo.



Voci correlate



Da Wikipedia

giovedì 15 maggio 2008

Senza bavaglio, con Travaglio

Io non ci sto.


Nei paesi democratici il ruolo dei giornalisti è proprio quello di osservare, verificare e poi raccontare. Si chiama "diritto di cronaca". E' uno dei diritti fondamentali su cui si fonda la democrazia. Si racconta se il politico tradisce la moglie, se in gioventù si faceva qualche spinello, se è stato in un centro di riabilitazione per etilisti, se ha truccato le carte per non andare in guerra. Per alcuni elettori queste informazioni sono importanti. C'è chi non ama essere rappresentato da un donnaiolo, e chi non vuole essere rappresentato da un pavido. È un loro diritto: ognuno deve poter scegliere da chi farsi rappresentare in base ai propri valori e  avendone tutte le informazioni necessarie.

Ai politici, in tutto il mondo libero, questo non piace, ma accettano. Sono le regole del gioco democratico, le uniche inventate finora, di meglio per ora non abbiamo. E queste regole hanno costretto alla dimissione presidenti degli Stati Uniti e ministri di vari governi.

Tocca al giudice appurare se il giornalista dice il falso.

Ora la domanda di attualità è: il giornalista Marco Travaglio ha raccontato un fatto vero che riguarda Renato Schifani o un fatto falso?

Schifani & Co, l'opposizione & Co e anche gli organismi "DI CONTROLLO" della Rai possono indignarsi quanto vogliono, ma l'unico strumento democratico che ha Schifani è ricorrere al giudice, incaricato in democrazia di valutare se Travaglio ha detto il vero o il falso.

Tutte le altre prese di posizione mirano solo a limitare la democrazia e la libertà di critica della stampa.


Io ho firmato


Firma anche tu. Invia una mail con nome, cognome, professione e città a:

amelia.beltramini@gmail.com

oppure

enzomarzo@gmail.com


Per saperne di più.


Non ci facciamo mangiare il bischero dalle mosche. (Proverbio toscano)

Associazione Nazionale ex Deportati Politici

ANED




Distintivo dei deportati politici


Per gli altri triangoli vedi qui


Giovedì 15 maggio parte una delegazione di circa 200 persone, composta da studenti, insegnanti e rappresentanti delle istituzioni con destinazione gli ex campi di concentramento e di sterminio nazisti: Dachau, Ebensee, Gusen, Mauthausen, Risiera di San Sabba, accompagnata da 8 rappresentanti dell'ANED.


Un pullman con circa 50 partecipanti è organizzato dall’Amministrazione Provinciale di Firenze, mentre gli altri pullman sono organizzati dall’ANED fiorentina e vi prendono parte circa 18 comuni della provincia, fra i quali il comune di Firenze. In tutto i comuni della provincia di Firenze rappresentati sono circa 35 in quanto un’altra delegazione di 3 pullman partecipa con la sezione ANED di Empoli.


 Momento centrale di questo pellegrinaggio sarà Domenica 18 maggio 2008 davanti al Monumento degli Italiani alla presenza di Giuseppe Matulli vicesindaco di Firenze Mario Piccioli ex deportato di Mauthausen – Ebensee Alessio Ducci figlio di Alberto, Mauthausen – Ebense matricola 57101, Walter Hofstätter sindaco di Mauthausen.

Verrà firmato il Patto di Fratellanza che lega il comune di Firenze con il comune di Mauthausen.Un Patto fortemente voluto dalla sezione ANED di Firenze che assume il significato di una definitiva pacificazione fra le nostre comunità, un ultimo atto alla fine di un percorso lungo sessanta anni, iniziato in quei primi giorni del marzo 1944 quando un trasporto di circa 970 deportati della provincia di Firenze partì da Santa Maria Novella con destinazione Mauthausen, di quei 970 ne sono tornati solamente 70, uno sterminio che ha provocato una ferita che pareva insanabile nell’immediato dopoguerra.


Una ferita accentuata dall’atteggiamento incosciente di parte della popolazione tedesca ed austriaca che al termine della seconda guerra mondiale voleva far sparire tutti i campi di sterminio che aveva sul proprio territorio.

In parte ci sono riusciti, ricordiamo Gusen del quale è rimasto solo un crematorio o Ebensee che hanno trasformato in villaggio e del quale rimane soltanto un Memoriale.


Come poteva la nostra Associazione prendere contatti con delle pubbliche amministrazioni che si comportavano così???


Per trovare un primo radicale cambiamento dobbiamo arrivare negli anni 80, sono passate due generazioni, finalmente riusciamo a comunicare con le pubbliche amministrazioni, finalmente quando arriviamo con le scolaresche troviamo i cartelli che indicano KZ o KL finalmente troviamo rappresentanti del Governo austriaco alla cerimonia a Mauthausen.


Gli austriaci ed i tedeschi, hanno capito che non possono nascondere, che le nostre Associazioni continueranno ad organizzare i pellegrinaggi e gli ex deportati continueranno ad incontrarsi negli ex campi di sterminio ed allora fanno l’unico passo possibile che li porta verso la totale ammissione di colpa con conseguente assunzione di responsabilità per tutti quei crimini commessi dalle SS all’interno dei lager nazisti sparsi per tutta Europa.


Siamo alla fine degli anni 80 siamo al gemellaggio fra Prato ed Ebensee.


18 maggio 2008 sono passati altri venti anni da allora ed adesso ci sentiamo pronti anche noi.


La nostra Associazione si augura che questo Patto sia la base sulla quale le città di Firenze e di Mauthausen si impegnano nel mantenere viva la Memoria delle inimmaginabili sofferenze che i nostri cari compagni hanno dovuto patire all’interno di quei luoghi del terrore affinché nessuno in alcuna parte del mondo sia costretto a riviverle.


Ci auguriamo anche che serva ai fascisti italiani nel compiere lo stesso percorso fatto dai tedeschi e dagli austriaci, perché in Italia potrà sembrare strano ma nessun fascista ci ha chiesto scusa, anzi alcuni si dichiarano orgogliosi di ciò che hanno fatto.


Nessun fascista ha chiesto scusa per aver fatto deportare sindacalisti, sacerdoti, oppositori politici, intere famiglie di ebrei, nessun fascista ci ha chiesto scusa di aver torturato e talvolta fucilato i nostri compagni partigiani, nessun fascista ha ammesso apertamente di aver sbagliato.


Quanto dobbiamo aspettare ancora????


Speriamo che questo Patto di Fratellanza serva anche a far riflettere noi italiani, perché in questo momento ne abbiamo veramente bisogno.

ANED Firenze


Questa la nota che mi ha inviato Alessio Ducci, ex allievo dell'ITC Einstein di Firenze. Alessio è il figlio di Alberto, indimenticato Presidente del Consiglio di Istituto negli anni 80.  Per alcuni anni anch'io ho accompagnato gli studenti in questi viaggi di studio ai Campi di sterminio sopra nominati. Un ricordo a Ducci e Scaffei che non sono più con noi fisicamente, un abbraccio a Mario Piccioli, uno degli ultimi testimoni viventi. Mario abita vicino a me qui all'Isolotto e ancora lo incontro per i viali e le stradine che separano le nostre abitazioni. Ha problemi di salute (la pressione...) ed ammiro il suo spirito di sacrificio nell'accompagnare ancora e sempre i giovani di oggi a studiare quello che fu il destino dei giovani di ieri.


Ciao, Mario e caro Alessio: mi sento vicino a voi in questi giorni di viaggio.


Riporto un pezzo di un mio vecchio post.


Alla memoria di Alberto Ducci e Piero Scaffei, triangoli rossi di Mauthausen dall’8 marzo 44 al 5 maggio 45, che per anni hanno accompagnato i nostri studenti alla visita dei Lager di Mauthausen, Ebensee, Gusen: nessuno che li abbia sentiti raccontare la vergogna dei campi di sterminio nazisti potrà dimenticare la lezione di vita che scaturiva dal modo tutto loro di raccontare il male facendoti credere nella superiorità del bene.

 alberto ducci


 

piero scaffei
 ricordato da Alberto Ducci



Mario Piccioli col Presidente della Provincia di Firenze

in un precedente viaggio studio.

martedì 13 maggio 2008

Ivi è Romena - Dante in Casentino

 




Puoi vedere la scheda  cliccando sulla foto


Autore: Cipriani Urbano

Editore: Fruska

Genere:  letteratura italiana

Argomento:  alighieri, dante

Pagine: 208

ISBN: 8890252464

Data pubblicazione: 2008 

  

 Prezzo: € 15,00 

 

Lo trovi nelle edicole e librerie del Casentino.


Da sabato 17 maggio sarà anche ad Arezzo e Firenze, nelle librerie sottoindicate:


Arezzo:


Libreria Il Viaggiatore Immaginario (S.R.L.)

Piazza Risorgimento, 18

52100 Arezzo (AR)

0575 370476


 Libreria Edison

Piazza Risorgimento 31 (angolo Via Verdi) - 52100 Arezzo

Tel: 0575/299352 - Fax: 0575/259283


Libreria Mondadori Bibliophilia Di Belliconi

Corso Italia, 193

52100 Arezzo (AR)

 

Libreria La Fenice

Via Vittorio Veneto, 31

52100 Arezzo (AR)

0575 902516


Firenze:



-          www.libreriachiari.it - 055 245291 

 










 



 - www.libreriaedison.it


  055 291870 



-          www.libreriamartelli.it - 055 2657635 

 










 



 - www.librerialfani.it - 055 218251



 

PRESENTAZIONE (pp.9-10 del libro)



Questa breve guida mette bene in risalto il legame così stretto tra Dante e la nostra valle. Sempre in momenti di grande impatto emotivo, o che sia la sanguinosa battaglia di Campaldino o che si tratti del periodo immediatamente seguente al bando e alla condanna a morte, con la devastazione della casa e dei beni, con l’allontanamento brutale da moglie, figli, amici e compagni. E’ il Dante dell'invettiva all'Italia nel sesto del Purgatorio, delle grandi lettere politiche ai fiorentini, ai principi e signori d’Italia, all'Imperatore, scritte proprio in Casentino. A Romena abita il conte Alessandro Guidi, Capitano della Lega dei bianchi esiliati di tutta la Toscana e Dante ne è il portavoce,   ambasciatore e “ministro degli esteri”, in costante missione diplomatica tra Mugello, Romagna, Lucca e Lunigiana, Verona e Ravenna… Ma sempre in Casentino è l'approdo, negli anni che vanno dalla prima condanna del gennaio 1302 alla morte dell'Imperatore Enrico VII nel 1313. A Poppi Dante scrive biglietti di saluto all'Imperatrice Margherita di Brabante per conto della contessa Gherardesca, a Pratovecchio si innamora disperato e non corrisposto di una donna bella e riottosa, del Casentino sono pieni l'Inferno e il Purgatorio, che si tratti di Mastro Adamo o del conte Ugolino padre di Gherardesca, di Buonconte da Montefeltro caduto in Campaldino o che si descriva la valle tra il Pratomagno e la Giogana, col monte Falterona, con l’Arno, l’Archiano e i ruscelli loro affluenti. In Casentino Dante ha visto “le pecorelle che escon dal chiuso”, le “lucciole che brillano giù nella vallea”, “l’uom della villa” che chiude alle pecore la siepe, “con una forcatella di sue spine” quando l’uva si fa matura. E così il nostro giovane antenato, “ il villanello a cui la roba manca” che si dispera quando confonde la brinata del mattino con una nevicata che non gli permetterà di portare al pascolo le pecore. E i “fioretti” che si schiudono al sole nelle fredde mattine d’inverno. Anche le asperità del nostro Appennino si fanno ben presenti nella faticosa iniziale ascesa alla montagna del Purgatorio, rievocando un Dante in corsa continua tra Casentino e Mugello per i sentieri impervi del Falterona e gli anfratti dell’Acquacheta, tra Casentino e Romagna attraverso la via Romea che, tra Germania e Roma, veniva a passare proprio da noi, da Bagno di Romagna fino al monte Serra per scendere in Vallesanta, a Bibbiena e Subbiano fino a Viterbo dove di ricongiungeva con la via Francigena. Giusto risalto vien dato alla Guida delle due sorelle inglesi (Casentino and its story, London 1905) che un secolo fa percorsero la valle in lungo e in largo, lasciandone una descrizione così viva poetica e appassionata. Questa pubblicazione evoca esplicitamente “Il Casentino e la sua storia” delle sorelle Noyes, ristampata pochi anni fa per conto della Mabo, nella bella traduzione italiana di Amerigo Citernesi ed ora esaurita. Apprezzabile l’apporto del prof. Giovanni Cherubini che ci presenta un Casentino quattrocentesco rievocato come in un’antica stampa. Così come interessanti sono le indicazioni riguardanti la via Romea apportate da Giorgio Innocenti e Giovanni Caselli.


Sandro Sassoli assessore Cultura e Turismo Comunità Montana del Casentino

Ivano Versari Presidente Casentino Sviluppo e Turismo

Clementina Forleo




Clementina Forleo non potrà più fare il giudice a Milano e dovrà emigrare altrove con quel che resta della sua famiglia già falcidiata da lutti, minacce e attacchi. Il voto è stato tutt’altro che unanime, a riprova del fatto la sanzione non era affatto obbligata. Per il trasferimento han votato i membri laici, cioè politici: la comunista Vacca (che aveva anticipato il giudizio prim’ancora che iniziasse il procedimento, ma non ha sentito neppure il dovere di astenersi: bella garanzia di “terzietà”) e Anedda di An; e poi il togato di Unicost, Roia. Contro, ha votato il presidente della commissione, Patrono di MI. I due di Md, pilatescamente, si sono astenuti: se avessero votato contro sarebbe finita 3 a 3. E la manovra sarebbe fallita.


Continua qui

Travaglio del parto

Bella Italia amate sponde


La sinistra ha abortito, la destra è in preda al travaglio del parto.

lunedì 12 maggio 2008

Fermate il mondo

Voglio scendere



La flotta dell'Impero verso il Maelstrom.


William, Fallo(n) un colpo di stato!  Alla Chavez.


I nostri giornali di oggi sono tutti occupati a lavare gli insulti di Travaglio a Schifani. Chiedo scusa all'umanità per questo stivale finito nella m. e penso alla Fiorentina di ieri.  Sembrava finita e invece no. Coraggio Italia.



Grillo, nel mentre ti ringrazio insisto: metti una strisciolina di Gaza accanto a quella del Tibet. Grazie.