mercoledì 29 dicembre 2004















 


Giacomo Leopardi

















 


 


 


Magnanimo animale


Non credo io già, ma stolto,


Quel che nato a perir, nutrito in pene,


Dice, a goder son fatto,


E di fetido orgoglio


Empie le carte, eccelsi fati e nove


Felicità, quali il ciel tutto ignora,


Non pur quest'orbe, promettendo in terra


A popoli che un'onda


Di mar commosso, un fiato


D'aura maligna, un sotterraneo crollo


Distrugge sì, che avanza


A gran pena di lor la rimembranza.
Il poeta non considera magnanimo, ma stolto, un essere che, destinato a scomparire del tutto ("perir") e allevato tra le sofferenze, afferma di essere nato per la felicità e il godimento, e riempie di stomachevole orgoglio i suoi scritti, promettendo ai popoli per l'avvenire, su questa terra, altissimi destini e felicità sempre nuove, tali che, non solo sono ignorate dalla terra (cioè che nessun essere umano ha mai provato), ma anche dall'universo intero. E promette la felicità a popoli che un maremoto ("onda di mar commosso"), una pestifera esalazione ("fiato d'aura maligna"), un terremoto ("sotterraneo crollo") possono distruggere in modo tale che di essi sopravvive a stento solo il ricordo.


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Medici senza frontiere


10 operatori del pool d'emergenza sono stati già mobilitati per valutare i bisogni in India, Malesia e Indonesia.


2 persone sono in stand-by per valutare la situazione. Un altro team di 4 persone è pronto a raggiungerli in 24 ore.


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Prima mandiamo la nostra offerta; poi una riflessione su le umane sorti e progressive, rileggendo la Ginestra di Giacomo Leopardi.

Nobil natura è quella


Che a sollevar s'ardisce


Gli occhi mortali incontra


Al comun fato, e che con franca lingua,


Nulla al ver detraendo,


Confessa il mal che ci fu dato in sorte,


E il basso stato e frale;


Quella che grande e forte


Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire


Fraterne, ancor più gravi


D'ogni altro danno, accresce


Alle miserie sue, l'uomo incolpando


Del suo dolor, ma dà la colpa a quella


Che veramente è rea, che de' mortali


Madre è di parto e di voler matrigna.



È veramente di animo nobile colui che ha il coraggio di guardare con i suoi occhi di uomo mortale il destino che attende sia lui sia tutti gli altri (il "comun fato", cioè la morte) e che riconosce apertamente, senza minimamente attenuare la verità, il male che ci è stato dato in sorte e la nostra fragile e bassa condizione (cfr. Dialogo di Tristano e di un amico: "calpesto la vigliaccheria degli uomini, rifiuto ogni consolazione, etc."); (è di animo nobile) colui che si rivela eroico ("grande e forte") nella sofferenza e non aggiunge alle sue miserie, aumentandole, l'odio e l'ira contro i propri simili, che sono un male più grave di ogni altro, e invece di incolpare l'uomo (= i suoi simili, i suoi fratelli) del proprio dolore, dà la colpa a colei che è veramente colpevole.


Costei chiama inimica; e incontro a questa


Congiunta esser pensando,


Siccome è il vero, ed ordinata in pria


L'umana compagnia,


Tutti fra sé confederati estima


Gli uomini, e tutti abbraccia


Con vero amor, porgendo


Valida e pronta ed aspettando aita


Negli alterni perigli e nelle angosce


Della guerra comune.



Non sono quindi gli uomini i nostri nemici, bensì la natura, che ci ha generati come una madre ("è madre in parto") ma che dimostra verso di noi i sentimenti di una matrigna (cfr. Zibaldone, VII, 361-62: "La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura" e il Dialogo della Natura e di un Islandese: "...sei carnefice della tua propria famiglia"). Chi ha l'animo nobile, dunque, chiama nemica costei; e pensando, a ragione, che la società umana all'inizio si sia unita e ordinata contro l'avversa natura (cfr. Cicerone), considera gli uomini tutti associati fra loro e li stringe a sè come fratelli, porgendo ad essi valido e sollecito aiuto nei pericoli e nelle sofferenze derivati da questa comune guerra, e attendendo da essi, a sua volta, un identico aiuto (i pericoli sono detti "alterni" perchè ora colpiscono gli uni ora gli altri).



Ed alle offese


Dell'uomo armar la destra, e laccio porre


Al vicino ed inciampo,


Stolto crede così qual fora in campo


Cinto d'oste contraria, in sul più vivo


Incalzar degli assalti,


Gl'inimici obbliando, acerbe gare


Imprender con gli amici,


E sparger fuga e fulminar col brando


Infra i propri guerrieri.



Così fatti pensieri


Quando fien, come fur, palesi al volgo,


E quell'orror che primo


Contra l'empia natura


Strinse i mortali in social catena,


Fia ricondotto in parte


Da verace saper, l'onesto e il retto


Conversar cittadino,


E giustizia e pietade, altra radice


Avranno allor che non superbe fole,


Ove fondata probità del volgo


Così star suole in piede


Quale star può quel ch'ha in error la sede.


Un uomo di nobile natura (il soggetto è sempre "nobil natura" del v. 111) crede che sia un'azione da stolti armare la propria destra per offendere gli altri uomini e ostacolare i propri vicini con catene ed inciampi, come sarebbe segno di stoltezza, in un accampamento circondato da eserciti nemici, dimenticare la loro presenza proprio mentre essi incalzano con i loro assalti e intraprendere invece lotte accanite contro i propri compagni, mettendo in fuga i commilitoni e facendone strage con la spada.
Quando queste idee saranno fatte conoscere al popolo come già lo furono, e sarà di nuovo introdotto fra gli uomini per mezzo di una veritiera filosofia quell’orrore della spietata natura che anticamente li strinse in un civile sodalizio, allora gli onesti e retti rapporti tra i cittadini (il "conversar cittadino" = consorzio civile), la giustizia e la pietà avranno ben più solide basi che non quelle orgogliose favole ("superbe fole", cioè la falsità di una filosofia che presume di dare fondamento metafisico ai valori morali), sulle quali – se mai poggi su di esse la rettitudine del popolo si erge assai male, come tutto ciò che poggia sull’errore (cfr. Zibaldone VII, 138-139; IV, 173, e cfr. le Operette morali in, numerosi passi).


La ginestra o il fiore del deserto


Parafrasi della poesia





Leopardi vivo in un ritratto


più umano di quello solitamente


ammannito da quell'insipido clichè


che ci ritroviamo in tutte le pubblicazioni.


La bella fotografia di Leopardi morto me l'ha indicata Paola; io non la conoscevo.


 


 


Leggi il post di Lorenza in Contaminazioni.

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