mercoledì 21 marzo 2007



PAOLA racconta la sua esperienza nel laboratorio Kimeta.


Quando cominciammo a intrecciare la nostra storia con quella delle donne del campo rom, sapevamo pochissimo di loro; in compenso avevamo parecchi pregiudizi, cioè quelle informazioni che sostituiscono spesso la conoscenza diretta dei gruppi etnici, in modo particolare di quelli che mantengono tuttora notevoli diversità nei confronti del popolo nel cui paese si sono trovati a vivere. Via via che la nostra esperienza è andata sviluppandosi, siamo entrate in contatto con un certo numero di donne, con gli uomini solo di riflesso, dal momento che avevamo scelto di costruire un gruppo di lavoro al femminile. Se penso all'inizio di questo percorso, quando ci si parlava senza ancora conoscerci, avendo di mira soprattutto il progetto di mettere in piedi una realtà lavorativa, mi pare che quel primo impegno fosse già gratificante per noi che ci apprestavamo a metterci alla prova con un esperimento nuovo e con nuovi contatti umani ma anche per le donne rom che si aprivano alla speranza di trovare un lavoro retribuito e alla possibilità di uscire dal loro mondo chiuso. Se poi considero le cose dal punto di vista dell'esperienza accumulata oggi, vedo che il tempo e il nostro impegno hanno fatto nascere molte cose. Oltre alla loro e alla nostra soddisfazione per un servizio che appare ben avviato e ben recepito nel quartiere, è il nostro rapporto che naturalmente è cambiato. Ora ognuna di noi si mette in relazione ogni giorno con donne che conosce abbastanza bene, il cui comportamento è prevedibile in linea di massima e con le quali può parlare delle cose del lavoro, ma anche d'altro, quando ci sono i momenti di pausa o quando siamo poche. Due sole è l'ideale e a me capita in un turno pomeridiano. Di che parliamo. Di vari argomenti, dei mariti (loro) che lavorano o faticano a trovare lavoro, o dei figli (soprattutto i loro) che studiano, si sposano di solito molto giovani e a loro volta hanno presto dei figli, delle piccole case nuove di legno che sono più confortevoli delle baracche di fortuna di prima, dei soldi che sono sempre troppo pochi e delle bollette della luce - per loro una novità assoluta ­che è un problema riuscire a pagare. In realtà è evidente che per quanto noi a volte si parli dei nostri figli o dei nostri mariti, delle faccende della casa che sono le stesse - pulire, lavare, cucinare - quello che viene detto da noi del nostro vissuto è molto meno di quello che loro mettono sul tavolo di loro stesse e della loro vita. Penso che raccontando le proprie situazioni spesso problematiche queste donne cerchino da una parte di alleviare la pesantezza del loro vivere socializzandolo, dall' altra che nutrano la vaga speranza che forse se noi sappiamo, potremo in qualche modo aiutarle prima o poi. C'è quindi un rapporto di notevole fiducia e stima da parte loro, che sono disposte a rivelare aspetti segreti della loro vita familiare con una sincerità e un abbandono che spesso, anche se non sempre, noi non abbiamo nei loro confronti. Ci sono comunque degli spazi profondi del nostro essere in cui ci ritroviamo, là dove maturano gli affetti e le ansie per i figli ­anche se alcune loro tradizioni, come quella di volerli sposare d'autorità molto presto, ci trovano decisamente critiche - o il desiderio di essere rispettate per il lavoro che si fa e la consapevolezza di ricavarne autostima e autonomia nei confronti dei propri familiari e degli altri. Credo che su queste basi si sia instaurato un reciproco legame di affetto sincero, autentico proprio perché non generico di tipo assistenziale, ma individualizzato e alimentato proprio da quelle caratteristiche particolari che sono nel bene e nel male le nostre rispettive personalità. Succede così che, come accade in tutte le convivenze che sono generalmente positive, ognuna si arricchisce di qualcosa che viene dalle altre, anche quando si genera conflittualità, perché quel qualcosa mette in discussione e qualche volta scalfisce sicurezze e giudizi anche radicati. Del resto neppure in loro mancano i pregiudizi o forse sarebbe meglio dire certe aspettative su cui si potrebbe discutere a lungo. Infatti restano quasi deluse quando gli diciamo che in famiglia abbiamo solo una macchina perché per loro la macchina è segno di ricchezza e benessere e non un mezzo indispensabile per muoversi, oppure quando viene fuori che in genere non solennizziamo le nostre feste con riunioni familiari allargate e pranzi importanti. Così sembriamo loro poco serie poco rispettose delle tradizioni. E questo non è un argomento semplice perché presuppone il passaggio dalla grande famiglia, che è tuttora la loro realtà, ai piccoli e piccolissimi nuclei che rappresentano la nostra realtà familiare attuale. Certo per raggiungere risultati più soddisfacenti nei nostri rapporti interpersonali ci vorrebbe una vicinanza maggiore, la possibilità di stare più insieme e di parlare più approfonditamente, ma è proprio questo che è difficile, forse più per noi che per loro, perché siamo spesso vinte dalla tentazione di identificarci con la storia di cui siamo parte perché sappiamo con quante difficoltà e quanti sacrifici personali sono stati superati ostacoli e disuguaglianze di genere che non ci piace ritrovare ancora irrisolti nella fatica giornaliera di queste donne.

Anche se d'altra parte è poi per questo che in noi si mettono in movimento il sentimento di solidarietà e il bisogno di relazionare con loro per ritrovarsi in quella parte del femminile in cui ci sentiamo più vicine. Resta il fatto che non possiamo non essere consapevoli che rimane tra loro e noi questa palpabile frattura costruita da civiltà diverse che ci mette continuamente sotto gli occhi il divario di molti aspetti della nostra vita e che il desiderio di annullarlo per stringerci in un abbraccio senza riserve sarà sottoposto ripetutamente a delusioni reciproche e ripensamenti. E del resto con quante donne amiche, simili a noi, nate e vissute dalle nostre parti, è stato ed è possibile un abbraccio veramente senza riserve? Resta da dire e non è davvero un aspetto trascurabile, che c'è sempre una grande risorsa nei rapporti personali ed è l'affinità particolare con qualcuno o qualcuna. Questa prerogativa ha il singolare potere di legarci al di sopra delle culture e delle situazioni sociali e ci regala, anche in mancanza di linguaggi che traducano adeguatamente i nostri sentimenti e le nostre idee, quelle sensazioni che accrescono il nostro piacere di vivere insieme. (pag.99 sgg.)


I QUADERNI DI PORTO FRANCO. nuova serie.

16. Manididonne

un racconto a più voci

donne

si incontrano,

comunicano,

progettano

un’esperienza

di integrazione




Un libro per comunicare uno stile di integrazione ed una capacità operativa al femminile: contenuti, valori e realizzazioni di donne che accettano di mettersi in gioco e di osare il futuro possibile.

dicembre2006



Tiratura 1500 copie

Distribuzione gratuita 

Copie della pubblicazione si possono richiedere presso:

Regione Toscana Giunta Regionale - Direzione Generale politiche formative e beni culturali

PORTO FRANCO.Toscana. Terra dei popoli e delle culture

Via G. Modena 13- 50121 Firenze

Tel. 0554384127-129-122

Fax 0554384100

Leggi anche qui. Ci trovi l'introduzione del libro, a cura di Luciana Angeloni.

Ceterum censeo northamerican gang dimittendam esse.


1 commento:

  1. Di Paole ce ne dovrebbero esere molte di più, ma il mondo va in una certa direzione e penso sia difficile cambiarlo. Orni

    RispondiElimina