giovedì 19 maggio 2011

E DANTE CREÒ UNA LINGUA METICCIA
















E DANTE CREÒ UNA LINGUA METICCIA































La Repubblica 16 maggio 2011 —   pagina 43   sezione: CULTURA































Fra le tante eccezioni di cui gode l' Italia, terra delle eccezioni, quella della lingua non è certo fra le più marginali. Come un unico fiume millenario, la sua letteratura deriva infatti da una sola sorgente, rappresentata da un singolo testo fondatore: La Divina Commedia. (Prendiamo per buona quest' approssimazione, sorvolando sulla scuola siciliana, toscana, bolognese, come su un autore quale Cavalcanti, e proviamo a sviluppare la metafora). Dalla cima di quell' opera somma, un autentico Everest europeo, scaturisce la lingua che irriga la nostra poesia, la nostra prosa, il nostro teatro. Ma in cosa consiste il segreto di un simile capolavoro? Direi in una capacità di concentrazione e immagazzinamento sillabico senza precedenti. Dante, cioè, procede a un inaudito stoccaggio del senso. La fatica con cui lo leggiamo, dipende dal fatto che ogni suo verso possiede un peso specifico immenso, dovuto appunto alla spaventosa quantità di senso che contiene. Per ricorrerea un' altra analogia, siamo di fronte a una sorta di congelamento: ogni verso della Commedia reca in sé, sprofondata nel freddo, una massa di senso quasi intollerabile. Cosa fare, allora? Bisognerà passare questi versi al micro-onde del commento: il processo di comprensione richiede cioè di tradurre il cibo dell' autore in un nuovo stato fisico. Altrimenti detto, all' interno di quest' opera il commento equivale a un percorso di riconversione. Da qui la lentezza del procedere: è come se ogni verso fosse un nodo, un algoritmo, un' equazione da risolvere. Sotto questo aspetto, la lingua di Dante suona straniera, talmente straniera che in certo modo solo uno straniero ha saputo coglierne fino in fondo il segreto. Penso ovviamente al grande Ospi Mandel' stam, (foto di Ospi) che ne affrontò la lettura usando la penna «come il martelletto del geologo». Mille immagini sgorgano dal suo saggio, tra cui questa osservazione illuminante: «Il commento è parte integrante della Commedia <...& la Commedia, nave portento, esce dal cantiere con lo scafo già incrostato di conchiglie». Ma forse non è un caso che ad afferrare così bene la struttura dell' opera sia stato un poeta di un' altra lingua e di un' altra cultura, che amava sillabare Dante nei campi di prigionia, che usava Dante per resistere al silenzio della tirannia. Ciò spiega quanto risulti profonda la sorgente della nostra letteratura, e aperta a chiunque voglia attingervi. Prodotta da quelle matrici latine, greche, provenzali, arabe, normanne che concorsero alla nascita del Dolce Stil Novo, la poesia, e dunque la lingua italiana, sorsero insomma meticce, e come tali sono pronte oggi a ricevere i lettori che giungono a noi da mondi lontani. È in questa prospettiva che va intesa la "funzione-Dante" descritta da un critico come Gianfranco Contini. Plurilinguismo, espressionismo, dinamicità, sono iscritti nel nostro testo fondatore come altrettante forme di accoglienza verso la parola dello straniero, l' ospite sacro venerato da Omero. - VALERIO MAGRELLI

















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