mercoledì 7 settembre 2011

Lettera di Dante ai casentinesi

Lettera di Dante ai casentinesi

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Ai partecipanti all’accozzamento del castello di Poppi il 3 settembre 2011

Sette secoli fa sono stato costì in Casentino: una prima volta, ancora molto giovane, avevo rischiato la pelle in battaglia, una seconda volta vi ho trovato rifugio e asilo politico in un momento tra i più neri della mia vita. Ho girato in lungo e in largo i vostri posti, ho avuto la possibilità di far fronte alle necessità della vita, grazie all'ospitalità dei Conti Guidi e alla vostra generosità e gentilezza; non solo, qui ho avuto l'opportunità di frequentare le biblioteche dei vallombrosani della Badia di Poppi, dei Romualdiani di Camaldoli, dei Francescani di Certomondo e della Verna, qui ho scritto il Convivio, il De Vulgari Eloquentia e, soprattutto, qui, a contatto con luoghi per me memorabili, ho sentito forte in cuore l'impulso a raccontare la mia storia in versi , che mi hanno reso famoso a tutt'oggi, come avevo preveduto.
Ma vi fu un momento, in Casentino, in cui il mio cuore si riaprì alla speranza; davvero sembrava che l'Italia sarebbe tornata ad essere il giardino dell'Impero con la venuta dell'Imperatore Arrigo e con un papa che sembrava riconoscerne l'autorità. Era l’anno 1311: il 6 gennaio Enrico VII fu incoronato re dei romani a Milano, ricevendo il giuramento di fedeltà di quasi tutte le città italiane, tranne Genova, Firenze e Venezia. Poi le cose cambiarono; Enrico si attardò all’assedio di Cremona e Brescia, mandò ambasciatori a Firenze nel tardo ottobre, ma il governo nero li costrinse alla fuga.
In quei giorni scrivevo:
Ecco ora il tempo accettevole, nel quale sorgono i segni della consolazione e della pace. Un giorno nuovo infatti comincia a splendere mostrando dal suo nascere l'aurora che già riduce le tenebre della lunga calamità; e già le brezze orientali si fanno più frequenti; rosseggia il cielo ai confini dell'orizzonte e conforta le speranze delle genti di dolce serenità. O Italia, ora degna di pietà perfino per i Saraceni, rallegrati ormai, che presto sembrerai degna di invidia dovunque, poiché il tuo sposo, conforto del mondo e gloria del tuo popolo, il clementissimo Enrico, divo e Augusto e Cesare s'affretta alle nozze.   Asciuga le lacrime e cancella i segni dell'afflizione, o bellissima, è vicino colui che ti libererà dal carcere degli empi, che percuotendo a fil di spada i malvagi li disperderà e affiderà la sua vigna ad altri agricoltori che al tempo del raccolto diano in cambio il frutto di giustizia.  E voi che piangete oppressi "sollevate l'animo ché vicina è la vostra salvezza". Prendete il sarchio della buona umiltà e, spezzate le zolle della riarsa animosità, spianate il campicello della vostra mente affinché la pioggia celeste, per caso venendo prima che sia gettata la vostra semente, non cada a vuoto dall'alto.  Non si ritragga da voi la grazia divina come la rugiada quotidiana dal sasso, ma come una valle feconda concepite e germinate il verde; il verde, dico, fruttifero di vera pace; e di questa verdezza rinascendo la vostra terra, il nuovo agricoltore dei Romani aggiogherà con maggior rispetto e con maggiore fiducia i buoi della sua saggezza. Perdonate, perdonate già da ora, o carissimi, voi che con me avete sofferto ingiustizia perché l'ettoreo pastore vi conosca come pecore del suo ovile; sebbene gli sia stato concesso da Dio l'esercizio della punizione temporale, tuttavia, per risentire egli della bontà di Colui dal quale come da un punto si biforca la potestà di Pietro e di Cesare, volentieri punisce la sua famiglia ma più volentieri ne ha pietà. "Non dunque camminate come anche i Gentili camminarono nella vanità del senso", oscurati dalle tenebre, ma aprite gli occhi della vostra mente e riconoscete che il Signore del cielo e della terra ha stabilito per noi un re.
Voi sapete che me ne andai dal Casentino con la morte nel cuore e la delusione più totale; ma questo non mi impedisce di riconoscere che ho un debito di riconoscenza per questa valle aspra e forte come la selva selvaggia dell'inizio della mia Commedia, dolce e gentile come la divina foresta spessa e viva del paradiso terrestre, sulla cima del Purgatorio. Quassù dal cielo di Giove rivedo con piacere il Castello di Poppi ancora così ben conservato, Porciano con la sua torre rimasta e ben restaurata, Romena ancora là visibile, sempre suggestiva..Pratovecchio mi risveglia ricordi indelebili. Quello però che più mi ha colpito sono i sentieri nei boschi sotto il Falterona: avessimo noi sbanditi avuto le indicazioni che segnalano tutti i sentieri e i tempi di percorrenza; per me era un'avventura ogni volta che dovevo spostarmi da Porciano a S.Godenzo, da S.Benedetto in Alpe, con quella cascata di 70 metri, a Modigliana, da Dovadola a Castrocaro, da Bagno a Forlì.   Se vi aiuta ad attirare turisti, mettete pure una bella segnaletica storica ben disegnata e con materiali adatti e confacenti in tutto l'alto Casentino, dal Pratomagno al Gran Giogo, dalle sorgenti dell'Arno fino alla foce dell'Archiano. Se poi volete utilizzare, insieme al vostro bel castello, il torrione di Porciano o la corte di Romena, non frequentata come allora, ma sempre molto molto suggestiva, per rievocazioni sceniche ispirate alle mie vicende storico-biografiche, perché no? Esistono oggi i Comuni (anche troppi), la Comunità Montana, il Parco delle Foreste Casentinesi (ben tenute e più agibili che ai tempi miei, per certi aspetti); coinvolgeteli. Quassù? C'è stato un grande sconvolgimento. La candida rosa, i nove cieli, il cristallino, l'Empireo sono stati sommersi dall'arrivo delle galassie, dei buchi neri, della materia interstellare, della materia invisibile, dell'antimateria... A me non è dispiaciuto affatto. Ero stanco di star così fermo. Voi che seguite il viaggio da me intrapreso con i versi della Commedia, lo dovete continuare insieme a me e alla compagnia con la quale mi son messo:  Ulisse, Leonardo, Copernico, Keplero, Newton, Cartesio, Spinoza, Laplace, Lagrange, Max Planck, Einstein, Hubble, Thycho Brahe o Galileo che mi fa compagnia in questo momento...sempre dietro alle stelle, per l'eternità. Un vero spasso per tutti noi nati a seguir virtute e canoscenza. Non v'accorgete che noi siam vermi nati a formar l'angelica farfalla che vola alla giustizia sanza schermi? E niente paura. A ciascuno di voi rivolgo le parole che disse a me Virgilio sulla cima del Purgatorio:
Non aspettar mio dir più né mio cenno;

libero, dritto e sano è tuo arbitrio
e fallo fora non fare a suo senno
perch'io te sovra te corono e mitrio.

Le potete leggere anche nella parafrasi aggiornata che ne ha fatto, in seguito, Pico della Mirandola:
«Non ti abbiamo dato, o Adamo, una dimora certa, né un sembiante proprio, né una prerogativa peculiare affinché avessi e possedessi come desideri e come senti la dimora, il sembiante, le prerogative che tu da te stesso avrai scelto. Agli altri esseri una natura definita, è contenuta entro le leggi da noi dettate. Tu, non costretto da alcuna limitazione, forgerai la tua natura secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti ho posto in mezzo al mondo, perché di qui potessi più facilmente guardare attorno tutto ciò che vi è nel mondo. Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché come libero, straordinario plasmatore e scultore di te stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che preferirai. Potrai degenerare nei esseri inferiori, che sono i bruti; potrai rigenerarti, secondo la tua decisione, negli esseri superiori, che sono divini»
Vi saluto dal cielo di Giove, dove mi trovo nel momento che scrivo, in visita ai 17 satelliti, guidato da Galileo che ha recuperato la vista, mi fa da guida e ha smesso di recitare l’abiura. Firmato Dante di Alighiero, fiorentino ed eterno errabondo, per libera scelta.
Inviata il 3 settembre 2011 per mano dell’Anonimo archivista di Casentino.

Segue Post Scriptum

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