venerdì 12 luglio 2013

Faroudin (Faro) Scetig

Quando si dice il caso. Sto camminando con Paola in una strada solitaria di Sarajevo, quella dove si affaccia la fabbrica di birra "Sarajevo", stiamo discutendo su quale strada prendere per il ritorno a Villa Una, il nostro hotel che sta dall'altra parte del fiume, il Miljacka, questo signore ci sente parlare e "Voi siete italiani?". Un bosniaco di Sarajevo che parla italiano correttamente! Dopo la fatica del giorno prima di seguire l'inglese di Dino che guida il gruppo alla visita dei luoghi dell'assedio (ne parlerò in seguito).
Dopo due minuti siamo seduti tutti e tre nel berceau del suo giardino (si vede nella foto) e possiamo dare via libera alle nostre domande. Settant'anni passati, quattro anni assediato (1992-1995), 16 obici di carro armato esplosi nel giardino di casa, dormito con la famiglia (moglie e due figli) nello scantinato per 4 anni, vista la grande biblioteca bruciare, là sotto, davanti ai suoi occhi...
"Io sono nato nei dintorni di Banjia Luca, son venuto a Sarajievo per studiare, ho passato lunghe giornate di studio in quel grande edificio, quando l'ho vista bruciare ho pianto".
"Noi abbiamo un amico, scout del nostro quartiere Isolotto di Firenze, che è venuto durante l'assedio, si chiama Gigi Ontanetti.."
Sobbalzo di Faroudin, occhi illuminati:
"Gigi Ontanetti! Quante volte ha dormito qui, almeno 15 volte. La mia casa era il centro di raccolta e smistamento degli italiani che venivano qui con D.Albino Bizzotto e i Beati costruttori di pace...".
Un momento esaltante, quel momento per il quale vale la pena di aver fatto questa lunga smacchinata (8 ore di sudata strada con la utilitaria Chevrolet noleggiata due gioni prima a Spalato).
"Faroudin, come hai fatto a sopravvivere 4 anni, quattro inverni sotto il tiro dei carrarmati appostati lì sopra" (indico la collina).
Un'occhiata, una sosta, "Non te lo posso descrivere..." Difficile a spiegare, difficile a capire.
Faroudin cammina a fatica col bastone, quando ci riaccompagna verso il centro, giù verso il fiume e la Biblioteca in ricostruzione per conto dell'Europa, dell'Unesco (ma il 70% del tesoro culturale bosniaco non c'è più), Faroudin ha avuto 5 attacchi di infarto, è più giovane di me.
Quando parla dell'Italia si commuove, ha lavorato a Milano per lunghi anni come ingegnere progettista non si di quale ditta o fabbrica, lavora ancora come progettista si edifici (8000 euro guadagnati per un progetto di un centro cristiano a Mostar, lui che campa (in una bella casa) con 400 euro al mese (la moglie 250 o meno, anche su lei un'altra storia). Si commuove fino alle lacrime quando parla del suo grande amico Maurizio, compagno di lavoro a Milano, morto da poco. Ci mostra la foto che tiene nel portafoglio.
Parla dei soldati serbi assedianti con un tono e un sentimento che mi fa apprezzare la maturità, la capacità di vedere e giudicare il mondo e le sue vicende, la stupidità e aberrazione della guerra che trasforma gli uomini in modo da uscir fuori da se stessi, non essere più quelli, non so come spiegare, ma mi ricollego a quanto mi ha detto in una intervista Giancarlo Benadusi, 1919, ancora presente qui a Poppi, in Casentino (5 anni di guerra 40-45, sottotenente al comando di una compagnia someggiata (con muli e cannone) in Albania, Puglia, Abruzzo: "un uomo quando indossa una divisa diventa un altro uomo: quello che prima ti avevano detto " non uccidere" perché vai in galera, ora diventa un merito...".
In fondo alla strada, attraversato il ponte, di fronte alla Biblioteca ormai all'esterno ricostruita, ci siamo salutati abbracciandoci. Ciao, Faroudin.
La biblioteca ancora in fase di ricostruzione

La casa di Faroudin

Paola e Faroudin

 La via

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