Mando alla vostra attenzione
questo interessante di Paolo Baldeschi
che ho estratto dal sito http://eddyburg.it/article/articleview/18631/0/344/
, fatelo circolare perché sono impressionanti gli aspetti che, evidenziati da
Badeschi,si possono ritrovare nelle
vertenze che tante realtà dei nostri territori
portano avanti da tanti anni. (ricevuto per email)
Tav. Val di Susa.
Una battaglia rivoluzionaria per la democrazia
Una
battaglia rivoluzionaria, non perché usi la violenza, ma perché, le ragioni dei
No-Tav, se fossero accolte, implicherebbero una ‘rivoluzione’ nel sistema
partitico-imprenditoriale-tangentizio italiano. Tutto ciò è esaurientemente
spiegato ne Il libro nero dell’alta velocità di Ivan Cicconi. Il libro,
documentato oltre possibile dubbio, spiega non solo le vicende, ma le ragioni
strutturali di un affare, l’Alta Velocità, che è, dopo tangentopoli, il nuovo
banco di finanziamento dei partiti, della casta e, Fiat in testa, dei
capitalisti nostrani. E’ un sistema che sfugge a ogni controllo tecnico,
contabile e di legittimità e si autoalimenta sestuplicando (come di fatto è
accaduto) il costo delle opere.
La
chiave dell’architettura è il Project financing combinato alla Legge Obiettivo.
Lo stato avrebbe dovuto finanziare attraverso Tav (dal 2010 sciolta in Rete
ferroviaria italiana) un quaranta per cento del costo dell’opera, il sessanta i
privati; i quali, però, di tasca propria hanno messo gli spiccioli, il resto se
lo sono fatto prestare dalle banche, meglio se da loro partecipate. Ma non
basta, perché per legge (obiettivo) il General Contractor dell’opera, soggetto
privato scelto da Tav, affida direttamente progettazione e realizzazione delle
opere a imprese collegate e rappresentative di tutto il capitalismo immobiliare
e cementizio italiano: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti
passando per la Lega
delle cooperative, oltre, capofila, Impregilo della Fiat; il tutto senza gare
d’appalto e via ‘per li rami’, cioè per sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad
arrivare alle imprese della mafia e della camorra.
Con
una fondamentale clausola: che i privati sono concessionari dell’opera per la
‘realizzazione’, ma non per la ‘gestione’. Ciò significa che più alti sono i
costi di costruzione, più si guadagna, mentre che l’opera fuzioni e faccia
profitti non interessa. Come si è puntualmente verificato, con i nostri 60
milioni di euro a km contro i 10 di Spagna e Francia: una differenza che
include ben altro che le gallerie e i viadotti. Un ultimo pregio: in quanto
opera formalmente privata i debiti non vengono contabilizzati nel bilancio
dello stato, ma di fatto le Ferrovie italiane e quindi lo stato ne garantiscono
la solvibilità. La grande truffa è quindi un capolavoro politico-imprenditoriale
per cui comandano i privati, pagano i contribuenti e guadagnano, oltre che gli
imprenditori, i partiti, la casta, includendovi l’enorme numero di società di
consulenza, advisors, esperti, progetti, consigli di amministrazione di società
operative controllate, garanti, comitati, distribuiti in tutte le direzioni
politiche.
Il
risvolto tragico della vicenda è che l’alta velocità in Italia non serve,
almeno non nel modello francese, ma piuttosto in quello tedesco o austriaco:
velocità più ridotte, stazioni più frequenti, adeguamento del materiale
rotabile esistente; con un unico difetto però: di costare troppo poco rispetto
a faraoniche progettazioni di linee ferroviarie dedicate, sottoattraversamenti
urbani – i cosiddetti ‘nodi’ - massicci acquisti di nuovo materiale rotabile.
E, peggio ancora, la nostra alta velocità viene realizzata per tratte su cui è
illusorio il pareggio di bilancio (ma la gestione, si è visto, non spetta ai
privati): pagherà lo stato. Come a Val di Susa, dove, si sa, l’adeguamento del
sistema ferroviario attuale sarebbe già ampiamente sovrabbondante rispetto alla
domanda.
Insomma
si distrugge il territorio, si inquina l’ambiente, si prosciugano fiumi e
sorgenti, si trivellano le montagne e mettono a nudo rocce amiantifere, si
mettono a rischio città e cittadini, tutto perché il sistema macini ancora
guadagni sicuri per una cupola politico-affaristica e altrettanto sicuri debiti
per le incolpevoli ‘generazioni future’.
Qui
si dovrebbe vedere alla prova un governo serio non solo nell’immagine; che
puntasse a uno sviluppo ben diverso da quello millantato delle grandi opere,
aumentando l’occupazione e tagliando i costi; ma, anche se Monti avesse il
coraggio di andare contro gli interessi del suo establishment, una mossa decisa
verso la normalizzazione del sistema significherebbe, presumibilmente, il
ritiro dell’appoggio al governo da parte di Pdl e Pd. Tutto ciò per ricordare,
ancora una volta, che la battaglia dei no-Tav per la Val di Susa prima ancora che
per la difesa sacrosanta del proprio ambiente di vita, è una battaglia
‘rivoluzionaria’ per una diversa democrazia. Ridurla a una cronaca di
incidenti, come fanno non solo le testate televisive, ma anche gran parte della
stampa, significa non avere compreso la vera posta del gioco; o farne parte.
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