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mercoledì 5 febbraio 2014

Hebron - Giovani contro gli insediamenti


Scrive Luisa Morgantini:
Alcune brevissime note sui rappresentanti di YAS (Youth against settlement) di Hebron:

Izzat KARAKI , 24 anni , nato a Hebron  è nel gruppo da piu' di cinque anni, una famiglia di militanti, di lavoro fa il fabbro ed è lui che volontariamente con lo Yas, installa le reti e le barriere di ferro per difendere gli abitanti della città vecchia dagli assalti dei coloni,
è uno dei fondatori di una scuola materna, Sumud in Via Shuhada
Nel gruppo si occupa dei media. Ha subito spesso l'attacco dei coloni, un colono lo ha attaccato con spray al peperoncino, diverse volte arrestato dai soldati

 Jawad Abu Aisha , 40 anni , nato a Hebron a Tel - Rumeida 

Vivendo a Tel Rumeida è costantamente con la sua famiglia attaccato dai coloni.
E' stato un leader  fin dalla prima Intifadah, cosi come nella seconda. 
Da quattro anni ha scelto di lottare nella resistenza popolare nonviolenta con lo Yas.
Anche lui tra i fondatori della scuola di materna di Shuhada street.

Ci sarà un video girato da Livia Parisi, giornalista di Assopacepalestina di Roma sulla resistenza nonviolenta dei giovani dello Yas. E se pensate che ci sia tempo alcuni brevi video  che hanno Izzat e Jawwad.

Io sarò con loro a Milano, Bologna, Firenze, Perugia, Foligno, Rieti. Non potrò invece essere a Venezia perché dovrò restare all'assemblea nazionale della Rete della Pace che si è costituita dopo la rottura nella Tavola della pace, che inizia il 22 a Perugia ma continua anche il 23 dove si discuteranno modalità e obiettivi della rete alla quale AssoPacePalestina ha aderito.

Per il programma, Abbiamo definito le diverse giornate, vi pregherei di inviarmi i volantini per gli appuntamenti e se avete programmato incontri. una volta che avrò i vostri appuntamenti  Vi invierò gli orari  di arrivo e partenza nelle diverse città. 

La quota che dovreste versare di 300 euro è da inviare con bonifico bancario con causale viaggio Yas. Rossella Palaggi, nostra tesoriera (purtroppo senza tesori se non lei stessa), controllerà i versamenti.

C/C intestato a Assopace Palestina  - Banca Unipol Filiale di Supino (fr)
IBAN  IT 50 O 03127 74610 00000 0001527
causale  viaggio Yas

Izzat e Jawwad arrivano a Roma il 16 Febbraio    - 

17 Febbraio - Roma incontri con comunità palestinese e visita città

18 Febbraio  Rieti

19 Febbraio  Milano

20 Febbraio  Bologna

21 Febbraio  Firenze

22 Febbraio  Perugia   -  ore 15 - 22 

23 Febbraio   Venezia

24 Febbraio    Brescia

25 Febbraio    Roma

26 Febbraio    Foligno


27 Febbraio    Cagliari

sabato 11 maggio 2013

At-Tuwani, 10 Maggio 2013


COMUNICATO STAMPA
Doppio attacco dei coloni nelle Colline a sud di Hebron: 62 alberi di ulivo tagliati durante la notte nell'ambito della 'strategia del price tag' e un campo di grano dato alle fiamme
Su un muro nelle vicinanze del luogo dove si è verificato il primo incidente i volontari hanno trovato una frase scritta in ebraico: "prezzo da pagare per coloro che rubano"
At-Tuwani, 10 Maggio 2013
Il 10 di Maggio, alle ore 6 del mattino, alcuni palestinesi del villaggio di At-Tuwani e due volontari di Operazione Colomba hanno scoperto che 62 alberi di ulivo sono stati tagliati durante la notte in un campo situato in prossimità della Bypass road 317.
Su di un piccolo muro vicino al campo di ulivi è stata notata la presenza della frase "prezzo da pagare per coloro che rubano". La "price tag" (Ebraico: מדיניות תג מחיר) è, secondo B'Tselem, il nome dato ad "atti di violenza occasionale nei confronti della popolazione palestinese e delle forze di sicurezza israeliane" commessi dalle frange più radicali del movimento dei coloni israeliani nei Territori Palestinesi. Secondo il New York Times essi: "esigono un prezzo dai Palestinesi locali o dalle forze di sicurezza israeliane per qualsiasi azione intrapresa a contrasto della loro impresa di colonizzazione".
L'uliveto appartiene alla famiglia Amor ed è stato piantato circa 30 anni fa. I membri della famiglia palestinese  presenti sul luogo dell'incidente erano particolarmente sconvolti dall'accaduto.
La prima jeep di soldati israeliani è arrivata sul posto alle ore 7 del mattino circa, seguita da un altro veicolo dell'esercito e da un'auto dell' Amministrazione Civile israeliana. Alle ore 7:30 un'auto della Polizia israeliana è arrivata nelle vicinanze del campo ed un poliziotto ha iniziato a documentare utilizzando una videocamera. Un membro della famiglia proprietaria del campo ha fornito una testimonianza all'ufficiale riguardo alla storia dell'uliveto. La Polizia israeliana non ha parlato con i volontari internazionali e non ha fornito ulteriori spiegazioni riguardanti le indagini. Intorno alle 8:00 il responsabile della sicurezza della colonia di Ma'on si è confrontato con le forze di Polizia, con alcuni militari e ha scattato alcune fotografie.
Alle ore 8:10 un ufficiale dell'Amministrazione Civile ha provato a detenere un pastore palestinese di At-Tuwani con l'accusa di mancanza di rispetto verso la sua autorità. L'uomo palestinese ha negato di essersi espresso malamente nei confronti del militare. Intorno alle ore 8:30 un soldato israeliano incaricato di analizzare le impronte ha iniziato la sua indagine sul campo. Alla fine della sua analisi ha affermato che i responsabili del danneggiamento erano in sei, cinque uomini e una donna più alcuni altri che monitoravano da lontano.
Nel pomeriggio, intorno alle 2.30 p. m., un gruppo di coloni ha dato fuoco a un campo di grano palestinese, vicino al villaggio di Tuba. Un minorenne palestinese, di sedici anni, li ha visti fuggire da lontano. Il campo appartiene alla famiglia degli Aliawad che hanno immediatamente chiamato la polizia israeliana. Quando la polizia è arrivata, il ragazzo e suo fratello sono stati portati alla più vicina stazione di polizia, Kiryat Arba, per sporgere denuncia.
Gli alberi di ulivo e il grano sono una risorsa fondamentale per i palestinesi delle Colline a sud di Hebron ed il loro danneggiamento costituisce una grave perdita economica.
Cionostante le comunità palestinesi delle Colline a sud di Hebron sono ancora fortemente impegnate nella resistenza popolare nonviolenta contro l'occupazione israeliana.
Operazione Colomba mantiene una presenza costante a At-Tuwani e nelle Colline a Sud di Hebron dal 2004.
Foto dell'incidente: http://snipurl.com/270rxvs

Operation Dove - Nonviolent Peace Corps
Palestine/Israel
Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII

Email: tuwani@operationdove.org
Web: www.operationdove.org
Mobile: +972 54 9925773

Ad At Twvani sono stato e questo è il mio video:
http://www.youtube.com/watch?v=rTn1AANKsfI


domenica 29 gennaio 2012

Sette giorni nella Palestina occupata VII




3 Gennaio 2012 - martedi  

Si parte alle 7,30 per andare ad Hebron. Lungo la strada che si snoda con continui saliscendi in un bel paesaggio collinare, molti insediamenti di coloni illegali e molte colline occupate da caravan. Ci fermiamo ad una interessante fabbrica di vetri e vasi in terracotta e assistiamo a tutti i procedimenti per la loro costruzione. Verso le 10, lasciata la strada principale, si sale per una stradella sterrata recentemente sistemata alla meglio, per la felicità del nostro bravo autista Maher, per raggiungere il villaggio di At Tuwani, nel distretto di Hebron a sud est di Yatta. Dal finestrino del pullman vediamo trotterellare verso di noi un piccolo bimbo biondo di circa 2 anni, che scende dal povero villaggio a terrazzamenti di muri a secco arroccato su per la collina  precedendo il padre, Afez, coordinatore del Comitato Popolare della zona. Scendiamo davanti ad un dignitoso edificio bianco a due piani adibito a presidio sanitario e ambulatorio medico. Qui incontriamo tre giovani ragazze italiane facenti capo all’Associazione di Operazione Colomba, che sono qui con visto turistico per aiutare gli abitanti del villaggio ma soprattutto per scortare i bambini fino alla scuola. Infatti i bambini dei vicini villaggi per raggiungere la scuola di At Tuwani devono passare vicino all’ insediamento di Ma’on e all’avanposto di Havat Ma’on, illegale anche per la legge israeliana, i cui coloni sono particolarmente violenti e spesso scendono dal villaggio per poter attaccare i bambini. Nel recente passato si sono verificati gravi episodi di violenza proprio lungo la strada che porta alla scuola. Questi operatori vivono nel villaggio ospiti di Afez per tre mesi dopodiché vengono sostituiti da altri giovani internazionali. Sono presenti anche dei giovani volontari clowns con l’obiettivo di rallegrare le giornate di questi bambini a cui l’oppressione ha negato il diritto ad una infanzia felice. Ogni giorno gli abitanti di At Tuwani debbono mettere in atto azioni di resistenza non violenta, per opporsi ai coloni che tentano con ogni mezzo di appropriarsi della terra e di distruggere le case e gli uliveti del villaggio. Mentre Afez parla, il piccolo biondo si aggrappa alle sue gambe, come a chiedere protezione e affetto. Ci incamminiamo su per una strada rocciosa e sconnessa in direzione dell’insediamento in cima alla collina. Questa è la strada che i bambini devono fare per andare a scuola. Ci fermiamo vicino ad un posto di controllo al di là del quale non è più possibile andare. Davanti a noi si stendono campi ben tenuti coperti di serre e con colture protette da pacciamatura, tutti rigorosamente circondati da filo spinato. In alto, sopra i campi, un bel boschetto di alberi sempreverdi e nella valletta sotto l’insediamento un moderno impianto di piante da frutto. Naturalmente per realizzare questi impianti agricoli i coloni si sono impadroniti dell’acqua della falda freatica, giungendo ad attingere anche a quella artesiana e sottraendola di conseguenza ai campi dei contadini palestinesi, che diventano sempre più aridi.
 Nel frattempo è arrivato anche il sindaco di Yatta, un grosso paese vicino, 8 km a sud di Hebron, che è voluto venire  a darci il suo benvenuto in Palestina. Dopo un giro per la polverosa strada del villaggio, in mezzo a tanti bambini che giocano con niente, si parte per raggiungere verso le 13 Hebron. Si percorre una affollata strada piena di botteghe e di bancarelle che vendono di tutto, per raggiungere il Centro dei Comitati Popolari, dove ci viene servito un pranzo precotto. Dopo, il giovane responsabile del Centro ci spiega la situazione della città, che è a 35 km da Gerusalemme ed è stata occupata fin dal 1967. Vi sono 5 insediamenti che hanno diviso in due l’area urbana: la zona H1, sotto controllo palestinese e la zona H2, sotto controllo israeliano. Dopo la spiegazione l’operatore del Centro ci guida per la città per farci toccare con mano la situazione prima descritta. La strada che attraversa la città è proibita ai Palestinesi e i vari accessi sono bloccati dai soldati con tanto di mitra in mano. Ancora una volta prendiamo contatto con una allucinante realtà. I palestinesi che hanno l’ingresso della propria abitazione nella zona proibita hanno messo delle scale appoggiate alla casa dal lato a loro accessibile per entrare in casa attraverso i tetti. Vediamo le strade laterali che sboccano nella via principale, che dopo la prima Intifada erano state chiuse con bidoni, ora sbarrate con blocchi di cemento, con alti muri o con sbarramenti e cancelli di ferro. Solo in città vi sono 101 chiusure e 511 negozi hanno dovuto chiudere per decreto militare. Anche gli studenti piccoli e grandi vengono controllati ogni giorno prima di recarsi a scuola e le loro cartelle perquisite ai passaggi obbligati. Molto spesso si arriva anche all’attacco fisico alle persone. Percorriamo strade della città vecchia protette, come a Gerusalemme, da reti o teloni per impedire a ogni genere di rifiuti di cadere per terra e di contro le case israeliane situate ai piani alti sono protette da reti e fili spinati.
 Il responsabile del Centro ci dice che in pratica 220.000 Palestinesi vivono sotto occupazione di 400 coloni, aiutati da 1.500 soldati. Una delle forme di resistenza non violenta consiste nel ristrutturare nei limiti delle loro possibilità economiche e materiali le vecchie case della città che ha 5.500 anni. Tale ristrutturazione ha lo scopo di dimostrare che la città non vuole morire, ma anzi viene portata a nuova vita, a dimostrazione della volontà del popolo di non cedere e di non fuggire. Solo con le loro forze e con l’aiuto degli asini, sono riusciti a ristrutturare un numero di antiche case tali da consentire a 5.500 persone di tornare ad abitare il Centro Storico.
 Si arriva davanti ad un reticolato con cancello che divide la zona H1 dall’H2. Ci dividiamo in due gruppi, uno va con l’operatore del Centro a visitare la Moschea di Abramo (essa nel febbraio 1994 durante il Ramadan, fu teatro di un massacro ad opera di un colono, Goldstein, che aprì il fuoco sui fedeli prostrati in preghiera facendo 29 morti e 200 feriti), l’altro con Mike entra nella zona israeliana inaccessibile ai palestinesi, superando il posto di blocco con soldati armati. Noi seguiamo Mike, che con il suo aspetto occidentale si mimetizza molto bene con il nostro gruppo di stranieri in terra israeliana.
 L’impatto è traumatico. L’animazione e la vita che caratterizzano Hebron nella zona palestinese, lasciano il posto ad una grande strada deserta, che sale verso le grandi case degli ebrei sulla collina. Incrociamo un gruppo di israeliani che sono venuti con una guida a visitare l’insediamento, mentre una pattuglia di soldati in tenuta da footing corre in mezzo alla strada deserta. Ci colpisce l’ultimo della fila, che corre con un mitra a tracolla a proteggere il gruppo. Solo una grossa jeep blindata ed armata percorre la strada. Dalle finestre di qualche casa palestinese che ha l’ingresso dall’altra parte fanno capolino timidi volti di bambini. Sul muro che delimita la strada, sorvegliata da soldati chiusi nelle torrette, vi sono cartelli corredati di murales inneggianti alla riconquista di Hebron, capitale della Giudea, città di Patriarchi e Matriarche, sito del Regno di David, e al loro diritto di ritornare negli edifici costruiti nel 1807 dal popolo ebraico, cacciato nel i929 dagli arabi che uccisero 67 ebrei. Si esce da un’altra parte, tornando finalmente alla vita. L’uscita avviene passando attraverso una casa mobile messa di traverso alla strada, pattugliata dall’immancabile soldato con mitra, al di là della quale sono distesi metri di rotoli di filo spinato. Su due pilastrini di cemento della strada in zona palestinese è scritto: Welcome to Apartheid Street. (dal diario di Fiorella)