sabato 26 maggio 2007

E



Partenza, da Peretola per Punta Raisi: 26 maggio 2007.

Costo del volo Meridiana (2 persone): € 171,70


Ritorno, da Catania per Firenze: 7 giugno 2007.

Costo del volo (con Meridiana, 2 persone):€ 125,86.

Biglietti acquistati online, un mesetto fa. Da sera a mattina il volo di andata per Palermo è aumentato di 40 euro (in due).

Durata del volo: H1, 15'.

Da vedere:Palermo, Noto, Pantalica, Etna. Tutto il resto è in più. Saprò dire.


A rivederci.


Spam Prioritario

poste

sicurezza poste

servizio poste

poste italiane

poste italia

poste.it


Blocca messagio!  Ma il Server si rifiuta di rifiutarlo.



O diluvio raccolto di che deserti strani

per inondare i nostri dolci campi!

La favola bella (IV)




clicca per ingrandire

Loredana al microfono (Torino, Fiera del libro 2007, lunedi 14 Maggio)


Il viaggio

Storia della mia vita

di Loredana Pislaru

             Il mio nome è Loredana.  Sono nata a Bacàu, in Romania, nel 1977.  Quando ero a scuola, in prima elementare, la mia maestra si chiamava Lupu;  era una donna un po’ anziana e molto severa.  Però si poteva comprare facilmente:  bastava una cassetta di mele o un litro di panna, un po’ di formaggio, per avere dei buoni voti a scuola.    Ho abitato in città fino all’età di quindici anni.  Poi il mio babbo ha cominciato a costruire una casa in un paese che si chiamava Traian.  Lì abitavano i suoi genitori.  La mia mamma all’inizio non era d’accordo perchè era molto malata.  Soffriva di depressione.  Era arrivata a pesare quaranta chili.  A quel tempo chi soffriva di depressione era considerato matto e i dottori avevano consigliato il mio babbo di ricoverarla in un ospizio.  Lui si rifiutò e la tenne a casa.  Avevo una sorella e un fratello più piccoli di me e siccome la mamma stava male ero io a pensare a loro. Lei non poteva portare nemmeno un litro di acqua per fare da mangiare.  Portavo tutto io e lei metteva solo la roba nella pentola. A me piaceva tanto abitare in paese.  Quando uscivo da scuola invece di andare a casa andavo a lavorare con il babbo alla casa nuova.  C’era tanto lavoro da fare:  portavo la carretta piena di cemento, oppure il babbo mi metteva a imbiancare la casa, di dentro e di fuori.  Quando non c’era niente da fare andavo a zappare un campo di granturco.  Il babbo mi diceva:  “Tu comincia che fra un’ora arrivo anch’io”.  Ma arrivava la sera per portarmi a casa.  La mattina mi svegliavo alle cinque per prendere il pulman, perchè alle sette cominciava la scuola.  Facevo un corso di due anni per fare la sarta.  Finita la scuola non potevo andare a lavorare perchè ero minorenne.  Ma facevo dei lavorini a casa.  Cucivo a macchina le sottane per le vecchine del mio paese e andavo a lavorare nel negozio del mio babbo, un bar di un’ azienda agricola dove si vendevano solo alcolici:  vodka, grappa, vino, liquori di tutti i tipi.  Lì era sempre pieno di ubriachi. 

 A dicotto anni mi sono sposata con un ragazzo che conoscevo da tre  perchè si abitava nello stesso paese.  Ho cominciato a parlare con lui e ci siamo frequentati per un mese.  Ogni tanto si scherzava parlando di matrimonio.  Io dicevo che avevo paura di dirlo al mio babbo e lui mi prendeva in giro. 

 A Natale si sono presentati tutti a casa mia.  C’erano il mio babbo, mia suocera, mio marito e suo nonno.  Io, insieme ad una zia, preparavo le salsicce e loro hanno cominciato a parlare dicendo che, dato che ci frequentavamo era meglio sposarsi.  Il nonno ha detto che ci regalava quattrocento litri di vino e il mio babbo avrebbe pensato al resto.  Io ero contenta.  Non che mi sentissi pronta perchè non sapevo nemmeno cosa voleva dire matrimonio.  E’ vero che amavo tanto mio marito ma mi sposavo più che altro perchè pensavo che andavo via dalla casa dei miei genitori.  E’ così il matrimonio fu fissato per il 17 febbraio 1996.

Dopo che mi sono sposata sono cominciati i guai.  Perchè dovevo cercare un lavoro.  Prima ho lavorato in una fabbrica di abbigliamento in città, ma non mi piaceva.  Non che il lavoro fosse brutto, ma mio marito rimaneva in paese e io dovevo stare in città, così ci vedevamo solo a fine settimana. Dopo lui è partito per la Jugoslavia perchè da noi non si trovava niente da fare.  Lui era contadino, lavorava nel bosco e tagliava la legna.  Aveva anche un piccolo campo, ma non era sufficiente per viverci.  Nel frattempo ho trovato lavoro in un’azienda agricola, un allevamento di pulcini.  Ero da sola con quattordicimila pulcini.  Dovevo tenerli puliti, dargli l’acqua e da mangiare.  Lavoravo di notte, sedici ore, dalle quattro del pomeriggio alle sette di mattina. Quando lavoravo con i pulcini ero rimasta incinta,  ma per colpa della fatica e dell’acido ho avuto un aborto spontaneo, a due mesi e mezzo.  Ho lavorato così per un anno.  Dopo sono partita con mio marito per la Jugoslavia.  Abitavo con una famiglia rumena che si era stabilita là da quasi venti anni e facevo dei lavorini perchè loro ci ospitavano.  Io cucivo e davo da mangiare alle galline.  Avevano cento galline.  Mio marito lavorava nella stalla.  La sera ci facevano dormire nella villa in costruzione vicino alla casa e ci chiudevano dentro perchè così non si poteva scappare con la roba di casa.  Così dicevano loro.  Dopo abbiamo trovato il lavoro in una famiglia:  io come domestica e mio marito come pastore delle capre.  Siamo rimasti due settimane, poi per andare via abbiamo detto che io non stavo bene e che dovevo andare a casa e mio marito mi doveva accompagnare fino al di là della dogana.  Perchè non volevano ridarci il passaporto: avevano paura che lui non tornasse.  E così è successo.  Lui aveva preso quel lavoro di pastore alla condizione di lavorare tutta l’estate. Invece noi volevamo soltanto  fare i soldi per tornare a casa.   Quando siamo arrivati a casa abbiamo giurato di non andare via mai più.  Allora sono andata a lavorare in una fabbrica di vino e mio marito nel bosco e abbiamo cominciato a costruire la nostra casa.  Lui lavorava con altri ragazzi a fare i mattoni con la  terra gialla, la paglia e l’acqua.  Si faceva tutto a mano.  Io fino alle cinque lavoravo in fabbrica, quando uscivo facevo da mangiare per la sera, poi facevo tre chilometri a piedi e andavo ad aiutare mio marito a fare i mattoni.  Si mischiava tutto con i piedi scalzi, la terra, la paglia e l’acqua e dopo si metteva negli stampi di legno fatti apposta e si seccavano al sole.  Così abbiamo fatto millecinquecento mattoni per costruire la nostra casa.  Quando la casa era finita, dopo quattro mesi è venuto al mondo il nostro primo bambino.  Sebastian.  A dicembre abbiamo fatto una bella festa e con i soldi che ci hanno regalato, quattro milioni e mezzo di Lei, abbiamo comprato una mucca.  La più magra che c’era.  Ma in primavera la mucca si era fatta bella tonda, perchè mio marito le ha dato tanto da mangiare.  Quando è arrivato Sebastian, io e mio marito eravamo molto contenti, ma non si pensava che avere un bambino fosse così difficile.  Lui non lavorava più perchè era inverno e io nemmeno, sicchè i soldi c’erano solo quelli che ci dava lo stato per il bambino che erano duecentomila Lei, più o meno nove euro al mese.  Pagate le bollette della luce e comprato da mangiare, non si arrivava a fare niente.  Per i vestitini del bambino, i primi mesi siamo andati in un negozio di seconda mano che importava  lenzuoli usati dall’Italia e dalla Francia e li vendevano a poco.  Ho comprato dei lenzuoli e ci ho cucito i pantaloni e delle camiciole.  Mi ricordo che ho trovato un lenzuolo con gli angoli elastici, un po’ più morbido e ci ho cucito due copertine.  Era marrone, a fiori gialli e verdi.  Il ricordo di quel lenzuolo è come un pugno nello stomaco.  Era tutto difficile, ma noi ci amavamo ed eravamo molto uniti. Un giorno eravamo a raccogliere i fagioli.  Si parlava dell’Italia perchè si sentiva dire che se arrivavi lì diventavi grande.  Alla fine abbiamo deciso che io dovevo partire. Per pagare il viaggio abbiamo preso in prestito milletrecento euro da una zia e se ci fermava la polizia rischiavo di perdere la casa per restituirle i soldi.  Avevo tanta paura.  Il mio bambino aveva solo otto mesi e dovevo smettere di dargli il latte.  Mentre  smettevo di allattare ero rimasta incinta e non lo sapevo.  Ero già di un mese e mezzo.  Sono andata a fare un controllo perchè mi sentivo male e ho scoperto che aspettavo due gemelli e dovevo partire il giorno dopo per l’Italia.  Allora ho dovuto abortire subito e dopo dieci minuti sono tornata a casa perchè in Romania a tutti gli angoli di strada si trova un ambulatorio medico che ti fa l’aborto in sette minuti.  Dura solo sette minuti, perchè ho guardato l’orologio:  volevo che finisse più presto possibile.  Il giorno dopo sono partita.  Dovevo cercare lavoro e imparare un’altra lingua. Dopo due giorni di pulman ci hanno lasciato a Venezia, una città molto bella, ma per me era brutta perchè avevo paura.  Dovevo cercare la stazione e comprare un biglietto per arrivare a Firenze dove mi aspettava il mio babbo.  Non sapevo come fare.  Ad un certo punto ho visto passare un ragazzo del mio paese, uno che conoscevo bene.  Lui mi ha visto e mi ha chiesto cosa ci facevo lì.  Ci siamo parlati e poi lui mi ha aiutato a fare il biglietto e a prendere il treno.    Quando sono  arrivata volevo solo dormire.  Ero sfinita.  Avevo viaggiato per cinquanta ore senza mai dormire per la paura.  E con un aborto fatto un giorno prima di partire.  Volevo solo riposare.  Invece, arrivata a casa del mio babbo, lui aveva fame perchè aveva lavorato e così ho cominciato a cucinare.  Quando ha finito di mangiare siamo andati a letto, ma ho visto che c’era un solo letto.  Per me c’era una sedia di quelle da spiaggia che aveva le gambe davanti rotte, erano buone solo quelle del mezzo e della testa.  Ho fatto un cuscino con un golf un po’ rotto e mi sono coperta con una giacca.  Faceva un po’ freddo perchè era il ventotto di ottobre, ma ero talmente stanca che non ho sentito più niente.   Il terzo giorno che ero in Italia il mio babbo ha parlato con il suo padrone che aveva bisogno di me per levare gli abeti di Natale.  Non ho potuto dire di no, anche se era un lavoro molto duro dopo un aborto fatto cinque giorni prima.  Dovevo levare dalla terra sessanta abeti in un giorno, da sola.  Speravo solo che il buon Dio mi guardasse dal cielo, perchè in un altro modo non potevo fare.   Ho lavorato così per tre giorni. Dopo il babbo ha parlato al telefono con la mamma che, di nascosto, gli ha raccontato tutto.  Io mi vergognavo di tutto davanti a lui, mi sembrava che non gli andasse bene niente, perchè lui non è una persona che ti accarezza o ti dice qualcosa.  Lui ti guarda e se ne va. Dopo due settimane ho trovato lavoro come domestica in una casa di quattro persone:  tre figli e il babbo.  E poi lavoravo anche nella segheria del padrone, una segheria molto grande.  Ho lavorato lì per sette mesi.  Avevo la domenica libera e così la domenica andavo dal mio babbo e pulivo la casa per lui e per mio fratello.  Lavavo a mano tutta la loro roba e cucinavo per una settimana.  Mio fratello aveva costruito un nascondiglio nel bosco, perchè io ero clandestina e se per caso mi fermavano i carabinieri, dovevo correre fino a una piccola finestrina e saltare fuori.  Dietro alla casa c’era un bosco  e c’erano solo tre case, ma ogni tanto saliva la macchina dei carabinieri.

Dopo sette mesi che lavoravo in quella famiglia, non ce la facevo più.  Dovevo pulire, lavare, fare da mangiare, fare l’orto e nella segheria mi facevano trasportare tronchi tutto il giorno. Ero diventata magra, ero invecchiata.  Ero sfinita.  Pregavo tanto di trovare un altro lavoro. Ma era difficile dire al mio padrone che andavo via.  Perchè avevo paura di lui, che mi denunciasse ai carabinieri. Quando gliel’ho detto, per una settimana nessuno ha più parlato con me. Mi è sembrata una settimana tanto lunga, la più lunga di tutta la mia vita. 

 

 

INTERVISTA rilasciata alla rivista Marie Claire


D.  Quale parola le è piaciuta di più quando è arrivata in Italia?

R.   SOGNARE

 Perchè è una parola che quasi tutti gli stranieri usano arrivando in un paese dove si guadagna di più e così si comincia a sognare per un nuovo futuro nel nostro paese d’origine.

D.  Una parola invece che l’ha fatta soffrire?

R.   STRANIERA

 Perchè quando sono arrivata in Italia mi son sentita proprio una straniera tra stranieri perchè non avevo nessuno che apparteneva a me, mio marito, mio figlio.

D.  La parola che le ha portato più fortuna?

R.   AMICI

 Perchè  ho avuto la fortuna di incontrare delle persone che mi  hanno considerato come una figlia.  Sono stati più di un amico, quasi dei genitori.

D.  Una parola difficile da tradurre?

R. NOSTALGIA

 Non perchè  sia una parola difficile da tradurre ma perchè il suo senso è difficile da sopportare e per questo diventa anche difficile da tradurre.

D.  Tre  parole significative per il finale del suo racconto?

R.   STANCHEZZA CAMBIAMENTO APPAGAMENTO

 Perchè  nei primi sette mesi in Italia avevo trovato un lavoro troppo faticoso per una donna di ventitre anni con quattro persone a carico e un lavoro in segheria e così ho provato a cambiare e ci sono riuscita realizzando i miei desideri.

venerdì 25 maggio 2007

 La favola bella (III)

Annunciate presso l'Arena Piemonte le vincitrici del concorso letterario "Lingua Madre", giunto alla seconda edizione e promosso dal Centro studi e documentazione sul pensiero femminile in collaborazione con la Regione per stimolare l'uso della parola per riscoprire le radici, trasmettere la propria identità, incontrare e comprendere l'altro. Il premio è dedicato alle donne straniere residenti in Italia, anche da due o tre generazioni, con una sezione speciale destinata ai racconti di donne italiane su quelle straniere.
















Rosana Crispim Da Costa
Pislaru

Kuruvilla








 Vincitrice del concorso è la brasiliana Rosana Crispim Da Costa con "Pazienza", seconda la rumena Loredana Pislaru, con "Il viaggio", terza l'italo-indiana Gabriella Kuruvilla, con "Documenti". La sezione dedicata alle italiane ha visto primeggiare Giovanna Pini con "Ancora un po' di tempo".

La maggior parte dei racconti ha trattato il tema dell'identità, ma hanno ricevuto attenzione anche l'amore e il cibo.

La scelta delle vincitrici è stata effettuata, sulla base dei 200 elaborati partecipanti al concorso, da una giuria composta, fra gli altri, dagli assessori regionali alle Pari opportunità, Giuliana Manica, e alla Cultura, Gianni Oliva, da Saida Ahmed Ali, presidente della Commissione regionale per la realizzazione delle pari opportunità fra uomo e donna, e da Ernesto Ferrero, direttore editoriale della Fiera.


I racconti delle vincitrici ed altri selezionati dalla giuria, sono stati inseriti nel volume "Lingua Madre Duemilasette - Donne straniere raccontano", edito da SEB27.


Alla cerimonia ha partecipato anche Maurizio Bartolucci, sssessore alle Politiche sociali del Comune di Roma, che nel marzo scorso aveva ospitato in Campidoglio la grande presentazione del concorso e del libro con i racconti selezionati della prima edizione e con il quale è stata avviata una collaborazione per entrare a far parte del progetto insieme alla Regione Piemonte.


Torino, 14 maggio 2007

BIOGRAFIA DI LOREDANA PISLARU

2° classificata

Seconda Edizione del Concorso Letterario Nazionale Lingua Madre con il racconto “Il mio viaggio”

Loredana Pislaru è rumena (data di nascita 7.3.1977).

Dopo aver svolto le scuole medie, ha conseguito il diploma in sartoria nel suo paese d’origine. Sempre qui ha svolto le sue prime esperienze lavorative, prima in una fabbrica d’abbigliamento, quindi in un’azienda d’allevamento di pulcini, poi come operaia in un’azienda vinicola dove è arrivata a svolgere le mansioni di segreteria. Nel 1999 è emigrata in Italia dove ha vissuto – da clandestina - una durissima esperienza lavorativa come operaia e, allo stesso tempo, badante, in una segheria. L’incontro con la famiglia presso la quale lavora ancora attualmente, regolarmente assunta, le ha consentito di uscire dall’incubo, arrivare alla regolarizzazione e ottenere il ricongiungimento familiare con il marito e il primo figlio. Il secondo figlio è nato in Italia.

giovedì 24 maggio 2007

La favola bella (II)




Loredana con Emanuel - il secondo figlio - (clicca per ingrandire)


Straniera



di Mariella Maglioni


  Sul davanzale della finestra il piccione becca frettoloso il mangime della mattina.  La nebbia pesante e bianca di pianura schiaccia sui tetti il fumo dei camini.  Poco lontano il fiume.  Mossi dal vento gli alberi del bosco perdono le foglie.  Sul tavolo tre scodelle. La minestra sul fuoco continua a bollire. Cigolando la porta si apre lasciando entrare un odore forte di terra bagnata e una donna piccola e magra, mani da contadina.

 Piccola casa al margine del paese, cinquanta case in tutto.  Trecento chilometri dal confine con la Russia, nord est della Romania.  Una casa di mattoni fatti di terra.   Millecinquecento. Impastati, modellati e fatti asciugare al sole. Costruita a quattro mani insieme a tuo marito poco tempo dopo il matrimonio.  E’ stato dopo la nascita del bambino che  le cose però non hanno preso il verso giusto.  Era un inverno rigido e pieno di neve e non si poteva andare al bosco per tagliare.  Nell’orto un po’ di cavolo e poco più.  Niente lavoro.  Il sussidio bastava a pagare la luce e comprare qualcosa da mangiare.  Se ne parlava ormai da tempo di partire.  Partire. Come fanno tutti.  Lasciare un posto dove non si vive.  Anche se hai piantato lì le tue radici.  A duemila chilometri l’Italia:  dicono ci sia lavoro senza problemi e ci si parli una lingua che non ci vuole tanto per capire.  Intanto la madre di tuo marito toglie dal fuoco la minestra e comincia a preparare la tavola per mangiare.  Poi piano ti chiama.  Forse sei già sveglia.  La tua ultima notte a casa se ne è andata in fretta.  Nel poco tempo che sei riuscita a dormire un sogno ti ha fatto ricordare di quando eri bambina, cresciuta poco lontano da qui.  Un sogno tutto bianco, carico di neve e silenzio in cui non era possibile andare da nessuna parte.  Tutto ero fermo, sospeso.  Un anno particolare, con il termometro a trenta sotto zero e la neve che per giorni aveva bloccato l’entrata delle case.  Nevicherà anche quest’anno.  Come sempre.  Forse per Natale.  E tu non ci sarai. Anche tuo marito ora si alza lentamente e si veste. Lui non è ancora convinto a lasciarti andare.  Ne avete parlato tanto nel buio della notte.  Ma non c’è davvero altro da fare.   Di là dalla tenda giungono i rumori della cucina.  Tua suocera carica la stufa.  Allora prendi in collo tuo figlio che è già sveglio e gioca sul letto con un piccolo omino che gli hai cucito utilizzando dei vecchi ritagli di stoffa.  Sì, tua zia saprà aspettare.  Riavrà i suoi soldi appena possibile.  Milletrecento euro,  un biglietto per l’Italia.  Dove troverai un lavoro e riuscirai a fare un po’ di soldi.  Dopo starete tutti meglio e tuo figlio potrà avere ciò che vuole.  La minestra è versata e il suo odore si spande per la casa.  Il giorno porterà con sè l’ora di partire.  Rimane semmai la borsa da preparare:  un cambio pantaloni e un maglione, due paia di mutande.  Di scarpe soltanto un paio e cento marchi da nasconderci per le prime spese dell’arrivo.  Avevi giurato di non partire più.  Dopo quella volta in Jugoslavia.  Lavoro duro e malpagato.  Prima di cominciare dovevi consegnare il passaporto perchè non ti venisse l’idea di andartene prima di finire.  Ora parti da sola e la cosa più difficile è lasciare il bambino.  Ha otto mesi e fino a ieri ancora lo allattavi.  Lo crescerà la madre di tuo marito.  Lo vestirà, lo laverà, gli darà da mangiare.  Dormirà vicino a tuo marito, giusto nel tuo posto del letto vicino alla finestra.  Alle diciassette in punto l’ora della partenza, il pulman a fari accesi illumina la piazzetta del paese.  C’è un po’ di gente venuta a salutare.  A bagaglio sistemato non resta che salire. Fa freddo e l’umido della sera arriva nelle ossa. L’ultima cosa che vedi guardando giù dal finestrino è il viso di tuo figlio imbacuccato nello scialle di lana ricamato.  In collo a tuo marito.  Che guarda il pulman allontanarsi.  E l’odore di lui forse ancora per un po’ riuscirai a sentirlo.  Perchè dunque tremi di paura?  

 Del mio primo incontro con te ricordo soprattutto le tue mani.  Sciupate dal lavoro, dure, screpolate.  Quando le toccai per salutarti mi sembrò che non ti appartenessero.  Eri una donna non molto alta e magra, anche se la forza del tuo corpo si capiva già guardandoti camminare.  Un corpo da lavoro, forte.  Camminasti davanti a me per la lunghezza del corridoio, mi tendesti la mano, io la presi, la strinsi e tu cominciasti a piangere. Rimasi sorpresa davanti a quelle lacrime.  Tutto mi aspettavo ma non quel pianto. Eri una straniera e parlavi poco l’italiano.  Avevi un lavoro ma non ci volevi più stare.  Tua cugina allora ti aveva presentato.  Noi cercavamo una badante ed eravamo con l’acqua alla gola.  Ma non si poteva prendere chiunque capitava ed era la prima volta che davo un lavoro a qualcuno. In pochi minuti, nel corridoio illuminato malamente dell’ospedale, dovevo incontrarti, capirti e possibilmente assumerti.  Non mi sentivo all’altezza di fare tutto quanto insieme, nel poco tempo che avevamo a disposizione dato che, come tua cugina preoccupata mi disse, dovevi rientrare a casa non più tardi delle sette.  Eri praticamente sfuggita alla sorveglianza di un padrone che non ti avrebbe certo concesso di andartene liberamente in giro a cercare un altro lavoro. E’ per questo che sentii all’improvviso un forte disagio impossessarsi di me.  Avevo preparato anche un discorsetto, semplice da capire e che filava liscio:  gli anziani devono essere curati con rispetto, noi diamo la paga sindacale, la domenica sei libera di andare dove vuoi.  Ma cominciasti a piangere e io non riuscii a dire più niente.  Guardai alle mie spalle mio marito e dissi istintivamente: “Credo sia la persona giusta”.  Fosti assunta subito e dopo una settimana ti occupavi già dei nostri cari.  Parlavo spesso con te nei momenti liberi.  Mi raccontavi la tua storia, il tuo passato. Parlavi del tuo pianto e da cosa era stato causato.  La paura di non farcela, l’emozione, la fatica di un lavoro da clandestina sfruttata che ti spezzava la schiena e che non potevi più tenere.  Il bisogno assoluto di guadagnare, per mandare i soldi a casa.  Parlavi di tuo marito e di tuo figlio ancora in Romania e di quanto ti mancavano. Dicevi che, guardando mia figlia, sentivi come un vuoto nello stomaco perchè erano ormai sette mesi che non vedevi il tuo e che per lui eri soltanto la mamma nella foto. Volevamo regolarizzarti ma i tempi erano ancora lunghi, non c’erano sanatorie in vista e questo era ciò che ti preoccupava di più.  Avremmo fatto tutto il necessario, appena possibile.  Così cominciò la nostra vita da vicine e tu per me cessasti ben presto di essere una straniera.  Mi colpiva il tuo modo di vivere, la tua solita contentezza, nonostante tutto.  Era il tuo modo di esserci che mi piaceva.   Un modo creativo, aperto, che scherza volentieri e si diverte anche nelle circostanze più pesanti.  Divenisti per noi un punto di riferimento. Una presenza importante. Un giorno ti chiesi quanto ti era costato abituarti al nuovo lavoro, alla presenza della nonna che per te era un’estranea e per Andrea, fratello di mio marito, affetto dalla sindrome di Down.  Tu dicesti che era stato lui a farti decidere di accettare il lavoro.  Perchè non avevi mai visto prima ragazzi come lui e l’avevi osservato a lungo.  Ti era piaciuto subito, fin dal primo incontro, il suo modo di essere gentile e poi, dicesti, nessuno mi aveva mai fatti tante carezze quante me ne fece lui in quindici minuti.

Presto arrivò anche la tanto attesa sanatoria.  Fosti regolarizzata dopo estenuanti file di attesa davanti alla Questura di Arezzo, insieme a tanti tuoi connazionali, e poco dopo chiedesti il ricongiungimento per la tua famiglia.  Prima arrivò tuo marito e dopo qualche mese te ne andasti a riprendere tuo figlio in Romania.  Fu quello forse il giorno più bello per te.  Si leggeva nei tuoi occhi la fierezza per quanto eri riuscita a fare.  E quando tornasti con il bambino, che ancora non si era tanto abituato a te e a credere che tu fossi davvero la sua mamma,  capii come avevi potuto avere la forza necessaria per fare tutto, per resistere a tutto.  Era come un sogno che per te si realizzava.


La nascita del tuo secondo figlio è stato un fatto che mi ha riguardato molto da vicino.  Tuo marito non è voluto entrare in sala parto e dunque hai scelto me perchè ti accompagnassi assistendo così a uno dei momenti più importanti della tua vita.  Dici che sono come una madre per te.  L’unica differenza è che quando esci con la tua sei tu che paghi, mentre quando sei con me pago tutto io.  Ma non è per questo che ho visto nascere il tuo secondo figlio.  E’ che ci siamo capite subito, fin dal primo momento. Dopo l’arrivo della tua famiglia desideravi molto avere un altro figlio. Lo capivo bene dalle tue affermazioni, dalle tue domande. Per allevarlo, godertelo e coccolarlo come non avevi potuto fare con il primo cresciuto lontano da te.  Dopo eri come imbarazzata a dirlo che aspettavi un bambino.  Straniera, badante, dipendente.  Forse non avevi chiesto il permesso per averlo.  Forse ce lo avresti dovuto dire prima.  Per caso questo non avrebbe influito nel tuo lavoro?  La casa poi era completa in cinque.  Così come già eravate.  E’ per questo che venisti da sola a dirmelo.  Prima di tutto volesti dirlo a me.  Ed era come se tu stessi chiedendo un permesso:  scusa posso avere un figlio?  Posso partorirlo e farlo vivere nella tua casa?  Fu così che ti accompagnai all’ospedale una notte di novembre.  E che assistendo al tuo travaglio, io che avevo avuto tanti problemi a partorire, imparai da te che a far nascere un figlio è la tua forza determinata,  la tua semplice disponibilità al fatto che si compie, al dolore che momentaneamente ti offusca la mente ma che va attraversato con umiltà e coraggio.  Non gridasti mai, nemmeno una volta, ma lavorasti con un impegno che non avevo mai visto prima.  Senza cessare, senza distrarti, senza chiedere nulla.  In uno sforzo solitario che io cercavo di lenire accarezzandoti la fronte, asciugandoti il sudore, calmandoti con le mie parole.  Ma sentivo che lottavi da sola.  Senza paura.  E il bambino non tardò ad uscire.  Un maschio di quattro chili e i capelli lunghi.  Avesti i complimenti della levatrice che per paura di lacerazioni improvvise era stata costretta a chiederti di spingere più piano.  Quando attaccarono il bambino al seno eri già tornata normale, come non fosse accaduto nulla.  Tornasti in camera da sola e due giorni dopo andasti a casa portando in braccio il tuo secondo figlio.  Emanuel Pislaru, così come è stato battezzato nella chiesa rumeno ortodossa di Firenze, per immersione totale in acqua.  Ed io che sono la sua madrina ho provveduto per tradizione ad acquistare il suo primo corredino e a fargli, insieme a mio marito che ne è il padrino, il primo bagno mettendo dello zucchero sulla sua lingua perchè la sua possa essere una vita dolce e lunga. 

mercoledì 23 maggio 2007

Ho scritto che il Vaticano è un'Istituzione morta


alla storia e costretta a vita apparente come uno di quei cadaveri che venivano portati in piedi la mattina all’Appell Platz dei lager nazisti.

Deve essere davvero eccellente questo cadavere per aver necessità di cure da cavallo di questa portata..
.

Lo trovi qui.

Ringrazio Bispensiero del risalto dato ad un mio commento posto in calce al video sui preti pedofili trasmesso dalla BBC e reso di pubblica ragione qui in Italia da Beppe Grillo. Proprio un grillo parlante. Ma non c'è verso: sempre mi trovo di fronte ad un uso improprio del lessico.  Le mie riflessioni sono chiaramente indirizzate contro il Vaticano, lo S.C.V. (Stato Città Vaticano). La Chiesa, comunità dei fedeli, è la vittima...Niente da fare: vedrete nel titolo "Chiesa cadavere eccellente" al posto di "Vaticano cadavere eccellente". (1) Anche Odifreddi, intervistato da Augias, non distingue mai tra Vaticano e Chiesa.  Questa confusio terminorum - una mia fissazione - costituisce una delle cause non secondarie della apparente invincibilità del Vaticano qui in Italia:

The basic tool for the manipulation of reality is the manipulation of words. If you can control the meaning of words, you can control the people who must use the words." (Philip K.Dick)

Lo strumento base per camuffare la realtà consiste nel camuffare le parole. Se tu puoi controllare il significato di una parola tu puoi controllare coloro che devono usare queste parole. (Questa citazione di Philip K. Dick la tengo sempre a portata di mano).

(1) Correzione eseguita da Bispensiero.  Dopo la lettura di quanto avevo scritto nel commento n.21:
Ringrazio Bispensiero del risalto dato al mio commento. Prego Vania, se è possibile, di sostituire, nel titolo, la parola Vaticano al termine Chiesa. Ripeto ai cortesi commentatori la raccomandazione: meno improperi, più iniziative e qualche proposta. Aiutiamo la Chiesa italiana ad uscire dalla Controriforma e a riprendere il cammino conciliare interrotto dalla Curia Romana. Saluti a tutti.

Se oggi fossi a Torino




(Franco Sbarberi) Clicca per ingrandire.


Sarei al Teatro Vittoria ad ascoltare la prolusione di Franco Sbarberi. Che comincia così:



A pochi chilometri dal centro di Budapest, sull’altopiano di Tétény, c’è un parco monumentale unico nel suo genere, visibile ora anche in una rapida sequenza del film di Ferrario La strada di Levi. Questo museo all’aria aperta raccoglie, con brevi didascalie orientative, quaranta statue e monumenti politici degli anni precedenti e successivi all’insurrezione operaia e studentesca del 1956, sistemati a suo tempo dal regime comunista nelle piazze più significative della capitale magiara. La decisione di costruire il Parco delle statue era stata assunta dalla giunta di Budapest nell’inverno del ’91, dopo un’ampia discussione con la cittadinanza e con i partiti del nuovo corso politico, durante la quale erano emerse anche forti pressioni per distruggere, insieme alle statue, le tracce più visibili di un passato politico carico di lutti. Erano trascorsi 35 anni da quando il monumento a Stalin era stato fatto a pezzi nel centro della città, come il simbolo più inviso dell’oppressione sovietica. E oltre un decennio da quando la “scuola di Budapest” aveva vivacemente polemizzato contro la “dittatura sui bisogni” instaurata nei paesi dell’Est . La critica non avrebbe potuto essere più netta e tagliente. La politica dei regimi comunisti  aveva rovesciato nella prassi il principio libertario enunciato da Marx nella Critica al programma di Gotha: “Da ciascuno secondo le sue capacità; a ciascuno secondo i suoi bisogni” .

 Altro il clima politico-culturale degli anni novanta. L’architetto che ha costruito a Budapest il Parco delle statue ha ricordato, con un’elegante metafora, che è “un piacere” non partecipare al nefasto rituale del “rogo dei libri”, perché la democrazia “è capace di riflettere liberamente sulla dittatura”. Si deve certamente a questo amore per la libertà di pensiero se, all’ingresso del Parco, sopra due alti pilastri, spiccano i volti severi e stilizzati di Marx e di Engels, accanto ad una statua di Lenin che, con il braccio destro disteso e un giornale nel pugno sinistro, mima un discorso animato alle masse. Anche nel prato interno, da un lato sono situati un gruppo scultoreo di uomini armati guidati da Béla Kun e i monumenti di altri protagonisti della repubblica dei consigli; dall’altro si alternano lapidi e busti di dirigenti comunisti di metà Novecento, con varie statue inneggianti all’ “amicizia sovietico-ungherese”.

 Con il Parco sulla dittatura comunista, allestito senza furore polemico e con una scrupolosa attenzione agli oggetti inventariati, il popolo ungherese ha dato un’inconsueta lezione di storia, e non solo ai paesi che hanno vissuto l’oppressione sovietica. Accogliamola anche in questo convegno. Non c’è motivo, infatti, di assumere l’habitus mentale né dei custodi ortodossi dell’Arca Santa né dei senili denigratori di ogni ideale rivoluzionario mentre ci apprestiamo a delineare criticamente il sistema dei valori, le forme di esercizio del potere e le contraddizioni di tipo istituzionale e politico del comunismo novecentesco, così come sono state evidenziate dal pensiero liberale e democratico. Del resto, la libertà della ricerca e il bilancio ponderato dei risultati acquisiti sono praticati da tempo dalla migliore tradizione intellettuale europea. Non aveva già ricordato Croce, nella Storia d’Europa, che la “regola” aurea del liberalismo “vuole tolleranza, rispetto delle altrui opinioni, disposizione ad ascoltare e imparare dagli avversari e, in ogni caso, a ben conoscerli, e perciò a far sì che non debbano nascondersi nascondendo il loro pensiero e le loro intenzioni” ?

 Una cosa è certa. I grandi rivolgimenti della modernità hanno avuto sempre i loro interpreti favorevoli e i loro critici radicali, indipendentemente dai progetti politici elaborati dai protagonisti. Simile alle religioni, che collocano l’uomo oltre lo spazio e il tempo, la rivoluzione del 1789, per Tocqueville, fece astrazione dal cittadino francese per rigenerare l’individuo in quanto tale e per definirne i diritti e i doveri fondamentali. Nell’esaltazione dei diritti naturali il giovane Marx aveva visto soprattutto l’isolamento dell’uomo dalla comunità e dalla vita della specie, i valori di un universo politico funzionale al riconoscimento dei bisogni privati del bourgeois. Per l’aristocratico e liberale Tocqueville, invece, la rivoluzione francese, “proprio col risalire sempre a ciò che c’è di meno  specifico e, per così dire, di più naturale in fatto di assetto sociale e di governo [...], poté rendersi comprensibile a tutti, e farsi imitabile in cento luoghi ad un tempo”. La libertà e l’eguaglianza furono le passioni “dominanti”: la prima, “più recente e meno radicata”; la seconda, “più profonda e d’origine più remota”. Destinate a incontrarsi e a confluire nell’ ’89, quando i francesi credettero “di poter essere eguali nella libertà”, esse si alternarono poi variamente nella bufera del ‘ 93, come due amori in perenne tensione .



Sono le prime due delle otto pagine della bella relazione introduttiva al Convegno su "Il comunismo nella riflessione liberale e democratica del 900", a Torino dal 23 al 25 maggio c.m. 


Il parco delle statue l'abbiamo visto insieme - Franco, Pinuccia, Paola ed io - ai primi di agosto del 2005. L'impressione, in me che avevo vissuto le vicende del 1956 all'Università di Bologna, è stata forte. Il professore di storia contemporanea F.Sbarberi distilla per me un prodotto storico analitico razionale che dà un ordine logico al guazzabuglio di emozioni che mi suscita a tutt'oggi il ricordo di quella visita, in una mattina di sole, sulle colline intorno a Budapest. Le mie emozioni le ho riportate, a suo tempo, qui. Spero che il seguito della "Lectio magistralis" di Franco possa presto essere reperito online. Altrimenti ce la metterò io.

Un saluto, caro amico, compaesano, dunque casentinese doc. Come Sandro Lombardi, visto ieri sera al Bargello nelle vesti di...Eleonora Duse. Gran pezzo di teatro, caro Sandro. Peccato che a me D'Annunzio rimanga sullo stomaco (per una vecchia storia riguardante la nostra entrata in guerra contro l'Austria-Ungheria nel 1915). Il sangue del "sogno di un mattino di primavera" è retorico. Se è servito a D'Annunzio per mantenergli l'amore della Duse buon per lui. Ma quello dei morti dilaniati sul Carso ha reso demente l'Italia intera per almeno due generazioni. Altro che poeta vate ed eroe. Ca nisciuno è fesso.



La favola bella (I)

Ho conosciuto Loredana per interposti ravioli, alle Lame, in casa di Stefano e Mariella. Era un giorno di festa e, da buoni italiani, ci si godeva in un bel gruppo, i piaceri della tavola, le portate, obbligatoriamente, di stretta fattura casalinga: prosciutto del Casentino, cacio della Verna, pane di rimbocchi, coniglio in porchetta dei fratelli Maggi di Ponte a Poppi, spumini del forno di strada, vino barricato della riserva di Stefano con aggiunta di dolcetto e grignolino delle Langhe, dono di Franco che in questa settimana sta facendo gli onori di casa alla parte più nobile della nostra storia contemporanea...

- Ma queste lasagne...- mi rivolgo a Mariella – Pensavo che la tua specialità fossero i ravioli; ma anche con le lasagne non scherzi.  Bravissima.

- No, queste lasagne le ha fatte Loredana.

- ?

- Sì, Loredana, una donna straordinaria. Un dono del cielo, il cielo della Romania. L’abbiamo conosciuta casualmente un giorno qui a Soci. Clandestina al seguito del babbo emigrato mesi prima muratore e factotum qui in Casentino insieme a indiani, pakistani, polacchi, rumeni, bosniaci, kossovari. Stefano era alle prese col problema della mamma novantenne che vive col figlio down. Aveva visto Loredana un giorno dopo averne sentito parlare. Una settimana dopo Loredana prendeva servizio a Soci di Bibbiena e fu subito gioia. Per la mamma anziana che poi riconoscerà “Non sono mai stata così accudita nella mia vita”.

E Loredana, acennando ad Andrea, fratello di Stefano: “nessuno mi aveva mai fatti tante carezze quante me ne fece lui in quindici minuti”.

In Romania rimangono il marito Neculai e il figlioletto di un anno Sebastian, accuditi dai nonni.

Dopo un lungo anno, in Agosto Loredana parte per la Romania, in missione speciale. ..All’inizio dell’autunno ricompaiono in tre. Secondo atto del grande viaggio. Neculai è un giovane di una forza straordinaria: in patria ha tagliato la legna del bosco senza avere la motosega, ha arato la terra senza avere il trattore. Un dono della terra, la terra di Romania. L’ho visto tirar giù una quercia enorme, tagliarla a pezzi, spaccare i pezzi, accatastare il tutto in poco più di mezza giornata. L’ho visto arrampicarsi in libera su una farnia secolare e piazzare una corda lunga 15 metri per la felicità di Anna, di Sebastian, degli amici di Anna e di Sebastian, figli delle giovani coppie che un giorno sì e un altro ancora sì vengono a giocare sul prato, nella loggia, nei campi di questo pezzo di Casentino indicato nel cartello a inizio salita “Località Le Lame” nel comune di Ortignano Raggiolo. Ieri l’ho visto giocare su un trattorino (questo), preso con due soldi, robustissimo, destinato a coltrare i campi di terra morbida e nera che lo aspettano in patria. Il suo sorriso bonariamente ironico quando vede Stefano e il sottoscritto sudare con la zappa tra le pietre e la terra refrattaria del nostro orto. Neculai lavora alla Baraclit di Bibbiena, mette da parte gli euro e, una volta là, li trasforma, insieme a Loredana, in casa, mobilio, annessi e connessi agricoli...Ancora un anno e sarà la via del ritorno, un grande ritorno, con Loredana Sebastian e Emmanuel nato in Casentino, cittadino italiano, battezzato – noi presenti – per immersione, nudo come un bruco, nel freddo spazio della chiesa ortodossa rumena di Firenze, in salita S.Giorgio.  Nel frattempo i quattro son diventati “intracomunitari”, finite le peripezie dei permessi di soggiorno, la vecchia Dacia è ritornata con noi.

E Loredana il 13 maggio dell’anno di grazia 2007 è stata a Torino, incoronata alla mostra del libro, intervistata da radio 3 Farheneit, ospitata in albergo a 5 stelle. Una storia da film americano in bianco e nero. Col grande Happy End.  La lascio raccontare  a Mariella.

(Nella foto Neculai e Loredana con Emanuele).

martedì 15 maggio 2007

Divertissement


Chicken chicken



Lezione all'Università di Washington.


Et-chicken, prof. Antonio!


Salute!



Questo post è stato scritto da Antonio Sofi il Thursday, 10 May 2007 @ 20:24. Il post è archiviato nella categoria Scuola e Università. Puoi seguire la discussione nei commenti sottoscrivendo il feed rss qui di fianco RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o un trackback dal tuo blog.



La banda che ci manca



L'Italia non e` sul treno della banda larga


I dati parlano chiaro: la diffusione del broad band nel nostro paese ha raggiunto un livello pari solo alla meta' delle medie europee. Altroconsumo incalza: 6 milioni di utenti tagliati fuori, inevitabile ricorrere al modello One Network.


Roma - Sono davvero sconfortanti i dati pubblicati dalla Commissione Europea circa la diffusione della banda larga sul territorio italiano: stando a quanto riportato dal rapporto dell'Eurobarometro, il tasso di penetrazione italiano si attesta sul 14%, mentre la media dell'Europa dei 27 arriva al doppio, il 28%.

domenica 13 maggio 2007

La terza via


Tra il “Family day” e il “Coraggio laico” ci vorrebbe una terza via. Quella di uno Stato laico.

Beppe Grillo.

Leggilo qui


E leggi anche questo:



Io credo in un'America in cui la separazione di Chiesa e Stato sia assoluta e in cui nessun prelato cattolico possa insegnare al Presidente (qualora questi sia cattolico) quel che deve fare, e in cui nessun pastore protestante possa imporre ai suoi parrocchiani per chi votare; un'America in cui a nessuna Chiesa o scuola di carattere confessionale siano concesse sovvenzioni tratte dal pubblico denaro oppure preferenze politiche, e in cui a nessuno sia impedito di accedere a un pubblico ufficio, solo perché la sua religione differisce da quella del Presidente in grado di nominarlo o del pubblico in grado di eleggervelo.

Io credo in un'America che ufficialmente non sia cattolica né protestante né ebraica; in cui nessun pubblico ufficiale richieda o accetti istruzioni sulla politica da seguire vuoi dal Papa, vuoi dal Concilio nazionale delle Chiese, vuoi da altre fonti ecclesiastiche; un'America in cui nessun organismo confessionale cerchi di imporre, direttamente o indirettamente, la propria volontà al popolo in generale ovvero alle iniziative dei pubblici funzionari, e in cui la libertà di religione sia una e indivisibile, talché ogni azione contro una delle Chiese sia considerata attentato contro la nazione nel suo complesso. (...)

E io qui, questa sera, vi imploro di seguire questa tradizione e di giudicarmi in base all'opera da me compiuta al Congresso nel corso di quattordici anni:
le mie dichiarate prese di posizione contro l'invio di un ambasciatore presso il Vaticano, contro l'aiuto anticostituzionale alle scuole parrocchiali, contro ogni forma di boicottaggio delle scuole pubbliche (che io stesso ho frequentato).

Ma, semmai tempo verrà - ed è un'ipotesi per assurdo, perché io non ammetto neppure la remota possibilità di un simile conflitto in cui il mio ufficio m'imponga di scegliere tra venir meno alla mia coscienza o venir meno all'interesse della nazione, ebbene, io darò le dimissioni dal mio incarico, e spero che lo stesso sia pronto a fare ogni altro coscienzioso servitore della cosa pubblica.

 Senza riserve, infatti, io posso, per usare le parole del giuramento stesso, «solennemente impegnarmi con giuramento a lealmente adempiere alle funzioni di Presidente degli Stati Uniti col meglio delle mie capacità, preservando, difendendo e proteggendo la Costituzione, con l'aiuto di Dio».

John Fitzgerald Kennedy in Virginia, durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali USA del 1960.

(Trovata nella mia email  da parte di Giampietro Sestini segretario di
Libera Uscita).


Sestini accompagna il discorso di Kennedy con questa proposta:

Per far 
fronte ad alcune giuste rivendicazioni del "Family day" e contemporaneamente rispettare la nostra Costituzione, vi propongo di raccogliere insieme (SENZA la sponsorizzazione ufficiale di partiti politici) le 50.000 firme necessarie per proporre una legge di iniziativa popolare che abolisca l'ora di religione e utilizzi i conseguenti risparmi per finanziare asili nido, "bonus" per i bebè, ed altri sostegni alle famiglie.



Io (Barbabianca) propongo anche una iniziativa contro il modo truffaldino di assegnare l'otto per mille che fa arrivare al Vaticano anche i soldi di chi non glieli ha destinati.

E poi una regolamentazione (o cosa sia) dello IOR, la banca vaticana in odore di cadaveri eccellenti tipo Calvi e Sindona per non dire di quel papa che è campato 20 giorni. Mai sentito il nome di Marcinkus? Perché l'otto per mille non può essere decentrato alle Conferenze episcopali regionali con obbligo di rendicontazione? Il Federalismo che voleva Cattaneo e che predica Bossi. Perché no.

"A tutti puzza questo barbaro dominio". Questa gente ha da essere "o senza vizi o senza autorità"  (Francesco Guicciardini, citato a memoria).

E poi bisogna lottare contro la fine dell'embargo mediatico alle Comunità di base, ai cattolici del dissenso, alla teologia della liberazione, alle minoranze religiose...guerra biologica al posto delle inutili e/o dannose imprecazioni anticrittogamiche contro questi e quelli (politici e monsignori).

Un po' meno convegni, seminari e tavole rotonde sulla laicità. Lor Signori fanno come gli Israeliani che mentre  distraggono il mondo con le discussioni sulla tregua e sulla prossima pace abbattono le case coi caterpillar e con quei mattoni costruiscono il muro. Mentre a Roma si tiene un consiglio dietro l'altro, Sagunto viene espugnata. Storia vecchia.


In nome della pari dignità. Coraggio.

sabato 12 maggio 2007

Lectio magistralis



“Non esiste un modello cristiano di famiglia “



Padre Balducci in un discorso del 1974 su “famiglia cristiana e famiglia borghese”.



Svelare le mistificazioni e le menzogne.


La difesa della famiglia cristiana è un aspetto dell'ideologia cattolica che, molto di più di quanto potremmo pensare, nasconde la volontà di conservare un certo tipo di società

Non esiste un modello cristiano di famiglia.


Non esiste la "famiglia cristiana", essa è appunto un falso valore.

Non esiste però un ideale di famiglia con particolari contenuti morali. La prassi familiare si modellava sul costume morale del tempo.


La stessa definizione della donna era di tipo biologico. La donna si definiva in rapporto alla sua biologia: era vergine o madre. Non persona, come l'uomo, capace di decidere della propria vita indipendentemente dalla condizione biologica; ma legata strettamente a questa, con delle sfere di mortificazione terribili, come la donna che non ha sposato, la zitella, considerata una donna fallita.

Ma questo momento, lo ripeto, è del tutto legato alle condizioni storiche e varia a seconda del mutare delle condizioni storiche; perciò oggi c'è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia.



La famiglia è una creazione continua.


Forse la famiglia dovrà cambiare ancora forma, dovrà cambiare struttura. Il concetto del diritto naturale è un concetto dell'immobilismo borghese, con cui si sono voluti rendere eterni e immutabili alcuni rapporti che erano funzionali alla società borghese.

Però dobbiamo dirci che noi, in quanto cristiani, non abbiamo niente, nessun modello nostro da difendere




Come credenti ci compete l'onere e il privilegio, se volete, di essere fedeli alle ispirazioni evangeliche fondamentali; ma queste ispirazioni non sono da tradurre come modello etico-giuridico, poiché sono una spinta continuamente trasformante della realtà storica, disponibili a sempre nuove forme di ordinamento familiare.



Leggila per intero

 




venerdì 11 maggio 2007


Lectio magistralis (III)


IL DOLORE INUTILEDI FRANCO TOSCANI


da: l’Ateo n° 3 – maggio 2007

Riportato sul “Il Punto” n.34 periodico online di Libera Uscita

(le sottolineature sono del Barba)

La causa di una tale chiusura è da ricercarsi nella tradizione medica che attribuiva un valore religioso all’opera del medico. Essa si fondava sul riconoscimento del carattere divino della physis, la natura universale, matrice di ogni cosa. Tutto ciò che è parte della natura, le sue regole e leggi, erano ritenute intrinsecamente giuste e pertanto dotate di valenza etica. Il dolore è tanto più necessitas naturae, quanto più anatomia e fisiologia ne dimostrano la “naturalezza”. Se è naturale, allora è anche buono. Questo atteggiamento non può che essere stato potenziato dalla tradizione cristiana e dalla sua visione salvifica del dolore.

Inoltre non va dimenticato che l’etica medica riteneva più importante il dovere di guarire rispetto al dovere di sedare il dolore: infatti, la salute, - il fine dell’Arte - era definita dal buon funzionamento del corpo (come previsto, appunto, dalle leggi della natura), e solo in seconda battuta dal benessere (cioè dalla assenza di sofferenza). Questo era pertanto eventuale conseguenza della ritrovata salute, e non poteva essere perseguito indipendentemente, o magari al posto di essa.

Oggi l’etica medica sta cambiando, ma il processo non si è ancora completato. E’ il singolo individuo che deve decidere, secondo le proprie convinzioni e le proprie antropologie, quanto dolore è disposto a sopportare, che sia o meno provvisto di senso trascendente. Il senso lo diamo noi alle cose del mondo, e questo può mutare da persona a persona e da epoca ad epoca. Non ci sono ontologie. Se qualcuno “sceglie” di credere che ci siano, esse devono valere solo per lui.

Edonismo? Forse, e perché no? Ciascuno decida per sé, ne sia responsabile e consapevole. Ed orgoglioso delle proprie scelte e della propria unicità. E forse il dolore cesserà di essere un tormentone fisico e metafisico.

(fine)

(Franco Toscani, Medico Palliativista, Direttore scientifico della Fondazione “Lino Maestroni”,

Istituto di ricerca in medicina palliativa, è socio onorario di LiberaUscita
)

Nota

Mi piace chiudere questa lectio magistralis con L'actio magistralis che, per interposta persona, ho avuto modo di apprezzare qui a Firenze, operata quotidianamente dal
FILE (Fondazione Italiana di Leniterapia).



PS. Al momento di licenziare il post trovo nella mia email il seguente messaggio:

Comunicato stampa:

Una delegazione di "LiberaUscita", l'associazione per la depenalizzazione dell'eutanasia e per dare valore legale al testamento biologico, è stata ricevuta oggi dalla Commissione Sanità del Senato nell'ambito delle audizioni finalizzate ad approfondire i contenuti di una eventuale legge sulle direttive anticipate.

"LiberaUscita", nel richiamarsi al disegno di legge presentato dal sen. Giorgio Benvenuto, alla cui stesura ha collaborato, ha sottolineato quanto segue:


1. Occorre ribadire il principio, sancito dall'art. 32 della costituzione, che ogni persona ha il diritto di accettare o rifiutare i trattamenti sanitari, sia che debbano essere iniziati sia che lo siano già stati.

2. Nel concetto di trattamento sanitario devono essere ricompresi anche i c.d. trattamenti di "sostegno vitale", quali l'idratazione e l'alimentazione forzata.

3. Il diritto alla autodeterminazione dei trattamenti sanitari deve valere anche per le persone che si trovino in stato di incoscienza, dando valore legale alle direttive espresse anticipatamente.

4. Tramite le direttive anticipate la persona - in caso di malattia in fase terminale o di lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, tale da impedirle una normale vita di relazione o da ridurla in stato vegetativo permanente – può esprimere la volontà di non essere sottoposta ad alcun trattamento terapeutico né di sostegno vitale attraverso macchine o altri sistemi artificiali, anche se già iniziato. In ogni caso, al paziente deve essere riconosciuto il diritto alle terapie necessarie per il controllo del dolore, anche se queste dovessero accelerarne lamorte.

5. Le direttive devono essere redatte per iscritto, non necessariamente autenticate da un pubblico ufficiale e possono contenere l'indicazione di un fiduciario incaricato di far rispettare le volontà del testatore e di decidere nelle situazioni non previste.

6. Il medico ha l'obbligo di rispettare le volontà espresse dal paziente anche quando dalla loro osservanza può derivare l'anticipazione della sua morte. Egli può eccezionalmente disattendere le indicazioni del testamento solo se dalla sua data la scienza medica abbia compiuto, nella materia, progressi tali che, qualora fossero stati conosciuti dal paziente, lo avrebbero indotto a modificarle. In tal caso deve informare il fiduciario. In mancanza del fiduciario o se questi è contrario, la questione va sottoposta al Comitato etico al quale spetta la decisione.

Per "LiberaUscita" è in ogni caso essenziale che la futura legge stabilisca espressamente il diritto di autodeterminazione della persona, l'inclusione nel concetto di trattamento sanitario delle misure di sostegno vitale, l'obbligo del medico di rispettare le volontà espresse nel testamento biologico. In caso contrario, sarebbe preferibile lasciare le cose come stanno.



Visto le cose come vanno, saggia postilla.

Sono le 23,35: good night, good luck.



  

giovedì 10 maggio 2007

Com'è delizioso andar




con la bicicletta

sul Lungarno 'l nove maggio

dalle Cascine a Bellariva,

destinazione Archivio di Stato.

C'è una mostra molto interessante degli archivi più significativi della Toscana.

Ne approfitto per salire al terzo piano in sala lettura e prestito.

Ne vengono fuori queste foto del "Libro del chiodo".

Ci sono, ancora lì, in originale le 3 condanne di Dante:

all'esilio per 2 anni,

a morte per fuoco,

a morte per taglio della testa
.

Le foto sono fatte da me sulla copia olografica (si dice così?) in tutto simile all'originale (intoccabile, chiuso in cassaforte). Mi serviranno, spero, per l'edizione francese e inglese di "Ivi è Romena".

La gradita sorpresa è stata la pista ciclabile rinnovata che ti permette di fare la traversata di Firenze dalle Cascine a Bellariva mantenendoti sulla riva destra dell'Arno. Quasi incredibile che il Consolato dell'Impero abbia acconsentito al passaggio dei ciclisti di fronte alla sua bandiera a stelle e strisce (di sangue). Forse perché molti cittadini americani che vivono a Firenze viaggiano in bicicletta, forse perché il Console è amico di merende in bicicletta del nostro Prodi.

In effetti Firenze - lavori in corso per 3 metropolitane di superficie - è inaccessibile ai mezzi di trasporto compresi - quasi - quelli pubblici i cui autisti meriterebbero un raddoppio di stipendio per tutta la durata dei lunghi anni che ancora ci separano dalla conclusione dei lavori.

Nella foto si vede il Consolato americano, primo building lungofiume. Costituisce da qualche anno un tappo inverosimile alla circolazione (penso ai mezzi pubblici più che ai privati).

Ma non c'è verso, anzi sì:

o  rimaniamo qui

o ce ne andiamo da Firenze.


A nulla valgono

le allettanti colline firentine

popolate di ville e d'oliveti,

di conventi e di vigneti.

Yo el rey, aqui estoy.

Anco si no me vòi.


A scanso di equivoci a me vanno bene gli attuali lavori in corso. Ce n'era bisogno ed andavano fatti negli anni sessanta, come a Bologna e Roma...Mi sento solidale con Giuseppe Matulli vicesindaco di Firenze adibito a tempo pieno al traffico e viabilità fiorentina.   Ne approfitto per porre qui un sincero ringraziamento per la bella e solida presentazione da lui firmata al libro "Laicità nella società, nello stato e nella chiesa" edito dall'Archivio storico della Comunità dell'Isolotto (a proposito di "Archivi") e dal Comune di Firenze.


Lectio magistralis (II)


IL DOLORE INUTILEDI FRANCO TOSCANI


da: l’Ateo n° 3 – maggio 2007

Riportato sul “Il Punto” n.34 periodico online di Libera Uscita

(le sottolineature sono del Barba)

La medicina non è stata immune da questo modo di pensare, che si intravede da aforismi del tipo “Si deve soffrire se si vuole guarire”, “Il medico pietoso fa la piaga purulenta”, oppure “Di dolore non si muore, ma d'allegrezza sì”.

Sedare dolorem sarà anche stato sempre considerato opus divinum: tuttavia ben poco la medicina si è sforzata di provvedervi. A parziale sua discolpa sta il fatto che il dolore è un sintomo importante, uno degli elementi cruciali per individuare e monitorare una malattia, tanto più quando l’unico strumento diagnostico disponibile erano le mani e gli occhi del medico.

Oggi però abbiamo a disposizione mezzi di indagine molto precisi, ed il sintomo dolore è utile solo per un primo inquadramento diagnostico: ciononostante, l’abitudine a sottostimarlo e a curarlo poco e male è ancora la regola.

Eppure è da molto tempo che si conoscono farmaci analgesici di grande efficacia. Il succo essiccato del Papaver Somniferus, pianta originaria dell’Asia Minore, e chiamato “oppio” da Teofrasto, era conosciuto ed usato dai Sumeri nel terzo millennio a.C. ed è nominato nel papiro egizio di Ebers, della metà del secondo millennio, e in alcune tavolette assire del settimo secolo. Probabilmente era conosciuto anche da Omero, che cita un phàrmakon usato da Elena per lenire il dolore proprio e quello degli eroi che la circondavano. Ippocrate, Democrito, Galeno e Plinio ne parlano nei loro scritti, ed Andreas, medico di Tolomeo Filopatore, lo prescriveva nella pratica oftalmica.

Dioscoride, vissuto nel I sec. D.C., conosce l’uso dell’oppio, della cannabis, del solanum e del giusquiano, e ne fa uso per rendere il malato insensibile al dolore. L’hakim Albucasi ne descrive minuziosamente la estrazione dalla capsula del papavero. Gli Arabi l’introdussero in tutta l’Asia e i crociati ed i medici ebrei in Occidente, dove era caduto nell’oblio durante i secoli bui. Raimond de’ Viviers, medico di Clemente VII, ne consiglia l’uso regolare al pontefice. Nel ‘500, Paracelso, grande prescrittore e consumatore in proprio di oppio (che definiva “chiave dell’immortalità”) ne raccomandava l’uso per gli effetti sonniferi ed analgesici. In pieno ‘600, l’inglese Thomas Willis dimostrò che esso agisce sul sistema nervoso centrale, deprimendo le funzioni della corteccia. Sydenham, uno dei padri della medicina moderna, inventore e degustatore del laudano (una soluzione alcolica di oppio) scrisse nel 1680: “Tra i rimedi che la Misericordia Divina ha donato all’uomo per lenirne le sofferenze, nessuno è così universale ed efficace come l’oppio”. Tra i suoi allievi, Dower, più noto come corsaro al servizio della corona d’Inghilterra, inventò la “polvere di Dower”, somministrata ai feriti della sua ciurma dopo la battaglia. “Spugne soporifere”, a base di oppio erano usate da alcuni chirurghi fino al Seicento. E’ noto che gli interventi chirurgici sono molto dolorosi: ciò malgrado, anche l’anestesia ha stentato ad essere accettata.

L’etere fu scoperto da Raimondo Lullo nel ‘200, ma non fu utilizzato fino al XIX secolo. Il Paré, uno dei più grandi chirurghi del passato, respinse ogni forma di anestesia. Nel XVII secolo il barbiere-chirurgo Bailly de Troyes cercò di anestetizzare i suoi pazienti, ma le corporazioni mediche insorsero e lo fecero condannare da un tribunale.

Nell’ottocento viene scoperto ed utilizzato il protossido d’azoto, l’etere, e il cloroformio, e, grazie a loro, l’anestesia permise lo sviluppo della chirurgia moderna, nonostante idroterapeuti, omeopati e suffragette vi si opponessero giudicandola come pratica innaturale.

Anche la religione entrò nella polemica: quando nel 1847 James Young Simpson la introdusse nella pratica ostetrica, il clero calvinista scozzese considerò il parto indolore un insulto alla Bibbia. Young si difese sostenendo che persino il Padreterno addormentò Adamo quando gli tolse la famosa costola, ma ci volle la Regina Vittoria, aiutata dal cloroformio a partorire il suo ottavo figlio, a mettere a tacere la protesta.

Tutto ciò è cosa del passato?

Assolutamente no: oggi si conosce tutto sull’uso degli analgesici, sui loro meriti e sul modo di usarli. L’anestesia è un cardine della moderna medicina, ed altre discipline, come l’algologia e la medicina palliativa, hanno fornito conoscenza e regole per il controllo del nemico atavico.

Eppure in molti paesi, tra i quali l’Italia, il dolore è sottostimato, poco considerato e pochissimo curato, tanto che il Ministero della salute ha intrapreso azioni concrete per convincere i medici a trattarlo.

Medici cattivi? Crudeli? Ignoranti? Mala sanità? Assolutamente no: semplicemente figli inconsapevoli di un modo d’essere e di pensare vecchio di secoli.

(continua)

mercoledì 9 maggio 2007


Lectio magistralis (I)


IL DOLORE INUTILEDI FRANCO TOSCANI


da: l’Ateo n° 3 – maggio 2007

Riportato sul “Il Punto” n.34 periodico online di Libera Uscita

(le sottolineature sono del Barba)

 

Ciò che noi definiamo “dolore” è il prodotto di un meccanismo evolutivo che permette, attraverso un sistema di premi/punizioni, il riconoscimento e la valutazione delle esperienze essenziali alla vita animale, e di adattare i comportamenti alle circostanze. E’ il dolore che ci avverte che stiamo facendo qualcosa di sbagliato come afferrare un oggetto rovente; che un certo movimento è oltre le nostre possibilità; che qualcosa di pericoloso sta avvenendo nel nostro corpo per cui è m eglio digiunare che abbuffarsi. Quei rari sventurati che per motivi congeniti non percepiscono il dolore sono destinati a malattie, incidenti e morte precoce.

Il dolore è anche uno degli elementi determinanti per fissare nella memoria le cose che non si devono scordare. Lo schiaffo del genitore fa sì che il bambino, anche dopo anni, ricordi la lezione. Il dolore era largamente usato nell’alto medioevo e nelle consuetudini giuridiche germaniche per garantire che l’evento fosse ben saldo nella memoria degli interessati, ed era questa la funzione del ceffone (la paumèe) che il cavaliere riceveva durante la sua investitura, perché non si scordasse il codice di comportamento del suo nuovo stato. E’ stata per secoli la frustata del maestro a inculcare nozioni, regole e valori al discepolo.

Il significato del dolore, il suo “senso”, è stato per millenni solo di ordine metafisico, ed è solo da poco che i suoi meccanismi biologici sono stati cercati ed individuati.

Alcmeone di Crotone (V secolo a.C.), fu il primo a formularne una teoria razionale, attribuendolo all’alterazione dell’isonomia, l’armonia tra gli organi.

 Erofilo ed Erasistrato di Chio (III sec. a.C.) dimostrarono l’esistenza di nervi motori e sensoriali, ed il loro collegamento al cervello, permettendo a Galeno (II sec. D.C.), di postulare l’origine neurologica del dolore.

 Ma è Cartesio, che nonostante le sue fantasiose teorie anatomiche ed ontologiche, lo interpretò come risposta condizionata, un riflesso “meccanico” fondamentale per la conservazione dell’integrità dell’organismo.

In effetti, il dolore è ben più di un messaggio nervoso. Esso è il risultato di una complessa interazione tra percezione e psiche: cioè, una faccenda assolutamente soggettiva.

L’influenza dell’esperienza, del carattere, dell’umore, delle emozioni, delle aspettative, del valore ad esso attribuito, delle circostanze esterne ed interne è sostanziale, e spiega come mai un identico stimolo possa produrre, in soggetti diversi, dolori di intensità diversissime.

Oggi il concetto di “soglia del dolore” è uno dei fondamenti delle discipline che se ne occupano.

Il dolore è elemento naturale e necessario. Tuttavia esistono situazioni dove esso non funziona come dovrebbe. In alcuni casi non ci avverte in tempo di malattie pericolose, né riesce a farci cambiare abitudini come avviene nel caso del diabete o dell’ipercolesterolemia; e talvolta è presente senza una causa, o permane a lungo anche quando ciò che l’ha causato si è definitivamente allontanato. La minaccia senza allarme, e l’allarme senza minaccia.

In questi casi, a cosa serve il dolore? E a cosa serve il dolore puramente o prevalentemente psichico, la “sofferenza”?

In sostanza: quale è il senso, il significato del dolore?

Su questi interrogativi si apre una infinita serie di porte metafisiche, antropologiche, epistemologiche. E teologiche.

Il dolore è usato come metafora di tutto ciò che nel mondo è spiacevole, non solo fisicamente, ma anche moralmente.

Il dolore rappresenta il male. Ma come dare una giustificazione convincente alla presenza del male nel mondo, soprattutto all’interno di una cultura pre-scientifica? E’ concepibile la co-esistenza di Dio e quella del dolore? E se c’è Dio, perché c’è il dolore e il male?

Si potrebbe affermare che l’esistenza stessa delle religioni è spiegabile col tentativo di dare risposta a queste domande.

Ciò che è fondamentale per la comprensione dell’atteggiamento della medicina nei confronti del dolore è esaminare come le religioni giudaico-cristiane, sino a ieri la principale (o, forse, la sola) chiave interpretativa dell’universo nel mondo occidentale, lo hanno giustificato, dal momento che l’ethos religioso ha plasmato l’atteggiamento – e quindi le azioni, le “cure” – che la società e l’individuo hanno nei suoi confronti.

Il dolore - afferma la Bibbia – è punizione divina per chi non rispetta la legge di Dio. Anche se oggi si tende a mitigarne il significato attribuendo questa posizione alla necessità politica di compattare il popolo di Abramo minacciato dall’impero babilonese, l’idea che il dolore provenga da Dio (e che chi soffre, in fondo, se lo meriti) ha permeato tutta la nostra cultura.

E’ il peccato originario di Adamo ed Eva che ha causato dolore morte, per loro e per tutti i loro discendenti.

E la punizione è tanto terribile da colpire non solo i malvagi, ma anche coloro che ai comandamenti divini vi obbediscono: sul giusto per antonomasia, Giobbe, fuori da ogni apparente logica giuridica per una scommessa tra Dio e il Demonio. Colpisce anche gli innocenti, i neonati, che non sono ancora in grado di peccare. Perfino sul Dio-uomo Cristo, che certo non può essere in alcun modo considerato peccatore”! E continuano a colpire l’umanità, nonostante il sacrificio di Cristo, che quel peccato originale l’avrebbe definitivamente mondato.

La colpa è perdonata, ma la punizione resta.

Se il dolore è giusta punizione, allora è anche mezzo di catarsi, e chi soffre deve gioirne perché attraverso la sofferenza sarà redento. Cosa sono poche ore di agonia confronto alla beatitudine eterna?

Non solo: il dolore accomuna l’uomo a Dio, sperimentando le sofferenze di Cristo, e quindi, il sofferente, imago Christi, concorre anche alla redenzione altrui. Il dolore è segno della predilezione di Dio: e quindi lo si accetti, non lo si combatta. E se stenta a venire per conto suo, perché non dargli una mano con scapolari e cilici?

Il dolore è essenza dell’universo, è necessità fondante dell’esistenza umana? Ma allora, se persino Dio si sottrae alla implorazione di Sé stesso-suo figlio nell’orto dei Getzemani e tace; se persino Dio si manifesta sofferente come un qualsiasi peccatore, esigendo la nostra compassione in cambio della Sua, come possiamo, noi mortali, massa damnationis, rifiutarlo?

E quale dovere o giustificazione avrebbero mai i medici per combatterlo?


Questa dottrina, conosciuta come “Dolorismo” ha permeato la cultura occidentale. Oggi è forse un po’ passata di moda e, almeno nella comunicazione di massa, di esortazioni al masochismo se ne fanno poche, probabilmente più per il cambiamento della mentalità della gente che per la timidissima revisione di Giovanni Paolo II.

Ciononostante, venti secoli di dolorismo hanno lasciato traccia, ed il tentativo di rendere accettabile al (buon) senso comune uno dei più complessi ed insolubili rovelli teologici ha portato ad una serie di posizioni altrettanto indimostrabili quanto bizzarre.

Tra le più comuni sta la tesi che il dolore è necessario per comprendere la serietà della vita, che attraverso l’esperienza del dolore diventa più attraente ed interessante; e che il dolore è indispensabile per far sorgere una coscienza morale.

Sebbene sia ovvio che lo star male renda ancor più apprezzabile lo star bene, si farebbe fatica a sostenere che per dar valore alla libertà si dovrebbe tutti sperimentare il carcere, o che per capire che non è giusto rubare sarebbe indispensabile essere stati derubati!

(continua)

Franco Toscani è responsabile medico della sezione Terapia del dolore e Cure Palliative dell'ospedale di Cremona.


 

lunedì 7 maggio 2007

Un'altra America



Chi è? clicca sulla foto.


Questa è la sua lettera:

Today was an insane day. And as the founder of Digg, I just wanted to post my thoughts…

In building and shaping the site I’ve always tried to stay as hands on as possible. We’ve always given site moderation (digging/burying) power to the community. Occasionally we step in to remove stories that violate our terms of use (eg. linking to pornography, illegal downloads, racial hate sites, etc.). So today was a difficult day for us. We had to decide whether to remove stories containing a single code based on a cease and desist declaration. We had to make a call, and in our desire to avoid a scenario where Digg would be interrupted or shut down, we decided to comply and remove the stories with the code.


But now, after seeing hundreds of stories and reading thousands of comments, you’ve made it clear. You’d rather see Digg go down fighting than bow down to a bigger company. We hear you, and effective immediately we won’t delete stories or comments containing the code and will deal with whatever the consequences might be.


If we lose, then what the hell, at least we died trying.

Digg on,

Kevin



Oggi è stato  un giorno di pazzia. Come fondatore di Digg, io ho solo voluto postare i miei pensieri. Nel costruire e plasmare il sito io ho tentato sempre di mantenermi pratico ed efficiente quanto possibile. Noi abbiamo sempre dato alla comunità un sito che usasse grande moderazione nel suo potere di scavare e seppellire.

In certi casi siamo intervenuti per rimuovere storie che violano i termini di uso (come links pornografici, downloads illegali, siti razzisti ecc.).

Così oggi è stato un giorno difficile per noi. Perché abbiamo avuto da decidere se togliere storie contenenti un singolo codice in base ad una ingiunzione "smetti e non farlo più".

Dovevamo prendere una decisione, e desiderando di evitare una situazione dove Digg fosse interrotto o chiuso, abbiamo deciso di acconsentire e rimuovere le storie con il codice.

Ma ora dopo aver visto centinaia di storie e aver letto migliaia di commenti, voi ci avete chiarito le idee. Voi avreste piuttosto preferito vedere Digg cadere combattendo che piegarsi ad una compagnia più forte.

Noi diamo retta a voi e in effetti seduta stante decidiamo di non istruggere le storie o i commenti contenenti il codice e andremo avanti qualsiasi possano esserne le conseguenze.

Se perdiamo, che diavolo, saremo morti ma almeno ci abbiamo provato.

Continua a scavare, Kevin.

(Traduzione fata a mano con leggero aiuto di Babylon)


Tutto ha inizio più di due mesi fa, quando su un forum dedicato alla conversione dei formati dvd viene pubblicato un codice che aiuta a decriptare i dischi HD DVD, una delle due famiglie di dvd ad alta definizione che l’industria dell’intrattenimento sta tentando di diffondere sul mercato (l’altra è il Blu-ray).


Digg è un aggregatore di news, fortemente basato sul concetto di comunità. Sono gli utenti stessi a segnalare le notizie (andandole a pescare su siti di tutto il mondo), a valutarle, a farle salire di importanza, fino a raggiungere l'ambitissima prima pagina.


Se Wikipedia è la prima enciclopedia collettiva del Web, Digg è la prima agenzia stampa collettiva.

 La morale della favola appare abbastanza evidente: è difficile, se non impossibile, cercare di bloccare la circolazione di informazioni su Internet. Se poi si prova a farlo attraverso le famigerate e minacciose lettere di "cease and desist", dando l'impressione alle comunità online di voler limitare la loro libertà di espressione, di solito si ottiene esattamente l’effetto opposto.


Suggestioni suggeritemi da Antonio Sofi, qui.


Che suggerisce questa lettura esplicativa.


Ma perché questi ragazzi e noi con loro debbono essere in balia di una banda di criminali di guerra?

Perché non sento mai voci di solidarietà a quest'altra America?

domenica 6 maggio 2007

DICO sì

Ci siamo sinora astenuti dal prendere posizione sulla manifestazione nazionale a favore della famiglia che si terrà il 12 maggio p.v. a Roma, piazza S. Giovanni, e sulla contemporanea manifestazione a Campo de' Fiori a favore dei diritti dei conviventi in quanto ritenevamo giusti e condivisibili ambedue gli obiettivi.

Oggi dobbiamo prendere atto con dolore che il vero obiettivo del "Family day" è un altro. Come dichiarato pubblicamente dal portavoce ufficiale della manifestazione, Savino Pezzotta, al settimanale Famiglia Cristiana, "diremo un chiaro NO ai Dico. Sono la negazione della centralità che la Costituzione assegna alla famiglia fondata sul matrimonio, sono l'emblema della difficoltà, il campanello d'allarme, il rischio del giro di boa. Richiamano la fine della famiglia. Chi alza un po' la voce sulla famiglia e dice anche che è sbagliato proporre la legge sui Dico ha in mente più famiglie, più figli, più cura per i nonni".

Ma cos'altro sono i Dico se non appunto più famiglie, più figli, più cura per i nonni? Ed ancora: più amore, più giustizia, più libertà, più diritti per la donna, meno ipocrisia, meno menzogne? Oppure (ed è questo il vero punto) soltanto la "famiglia" fondata sul sacramento indissolubile del matrimonio, celebrato in chiesa, deve essere l'unico modo di convivere riconosciuto dalla legge civile?

Ci addolora fortemente costatare che il clima di scontro frontale inaugurato dal cardinale Ruini ai tempi del referendum sulla fecondazione assistita si sia ulteriormente aggravato con il papato di Ratzinger. Anche oggi, come allora, le 25.852 parrocchie italiane sono usate e strumentalizzate dalla Chiesa per indurre i  cittadini a pronunciarsi su una legge dello Stato, ieri non andando a votare, oggi per impedire l'approvazione di una legge.

Siamo convinti che questa "strategia" della Chiesa, al di là di effimeri successi mediatici, sia destinata a produrre polemiche, lacerazioni e scontri in una società, come la nostra, già divisa per conto suo fra sinistra e destra, fra Nord e Sud, fra onesti e disonoesti, fra evasori e contribuenti, fra occupati e disoccupati. Intanto, crescono all'interno della Chiesa stessa le voci di quanti invocano il ritorno allo spirito del Concilio Vaticano II e all'insegnamento di Papa Giovanni XXIII.

Per questi motivi, e non soltanto per questi, LiberaUscita, associazione laica, aderisce insieme alle altre associazioni della Consulta laica di Roma, alla manifestazione laica di Campo de' Fiori che è a sostegno dei diritti dei conviventi e non contro il matrimonio.

Cordiali saluti.

Giancarlo Fornari - Presidente di LiberaUscita

Giampietro Sestini - Segretario di LiberaUscita