lunedì 31 dicembre 2007

Il raggio verde (II)

Controcanto natalizio


 .. il Natale, inteso come nascita verginale di un Dio destinato a salvare l’umanità, ha almeno 5.000 anni. Nel mondo mediterraneo e del Vicino e Medio Oriente si contano a decine gli dei nati da una vergine e in una grotta, uccisi per amore del genere umano e per esso resuscitati. Il mito di Apollo/Dioniso è forse il più bello, crocifisso anche lui. Tutte queste divinità, compreso Gesù, nascono ovviamente in una grotta per il semplice motivo che questa rappresenta evidentemente l’utero femminile: per l’esattezza, l’utero della Madre Terra, divinità primigenia che nel mondo Mediterraneo benché sdradicata col ferro e col sangue è sopravvissuta – o risorta? – in una infinità di simboli. 


... Se Gesù nasce bambino da un vergine e in una grotta, assai più saggiamente il Dio etrusco nasce da un’ara e già adulto, evitando così l’amarezza di una Madonna che – ufficialmente – non godrà mai le gioie del sesso e l’umiliazione di un Giuseppe padre putativo, cioè non carnale, con tutto ciò che di assurdo, misogino, maschilista e castrante questo comporta nella religione ed educazione cristiana, cattolica in particolare.


...Ma torniamo al Natale del 25 dicembre. Dopo il solstizio d’inverno del 21 dicembre, giorno in cui cioè il sole raggiunge il punto più basso dell’orizzonte, a un occhio non dotato di telescopi quale era quello degli antichi il sole pare stia fermo in quel punto per tre giorni di fila prima di rimettersi a risalire sull’orizzonte inaugurando così un nuovo ciclo dell’anno solare, astronomico. Prima cioè di “nascere”. O meglio: “rinascere”. 21 più 3 fa 24, ed ecco che alla mezzanotte del giorno 24 inizia il fatidico 25, giorno del Natale, cioè della nascita anche di Gesù Cristo oltre che di uno stuolo di altre divinità benefiche o salvatrici del genere umano. In pratica, il Natale non è altro che la nascita dell’anno nuovo, anche astronomicamente parlando, come prova la tradizione della messa di mezzanotte: a nascere a mezzanotte non è infatti certo Gesù, che nessuno sa in che giorno sia nato e tanto meno a che ora, a nascere è invece il nuovo giorno, 25 dicembre, che in questo caso come abbiamo visto è l’inizio del nuovo anno astronomico perché il sole prende a rialzarsi sull’orizzonte. Analogamente, la Pasqua non è altro che la “resurrezione” della Natura con la primavera, tant’è che la Pasqua è fissata con un criterio astronomico e non ha una data fissa del calendario. Da notare che già prima della nascita di Cristo si usava sotterrare uova nel periodo pasquale, essendo l’uovo l’allegoria del seme della vita, al punto che “l’Uovo cosmico” era in antichità il principio dell’Universo intero.


... Gli antichi romani dell’epoca di Gesù e successiva chiudevano l’anno facendo bagordi per molti giorni con le feste dei Saturnalia, esattamente come si usa fare oggi a dicembre e con la stessa frenesia di acquisti, regali e mangiare e bere in modo molto superiore al normale. In particolare, per un bel pezzo e fino all’epoca costantiniana il 25 dicembre era il “dies natalis Solis Invicti”, cioè il giorno del “sole non vinto”, non vinto perché – appunto – ricominciava a sollevarsi dalla sconfitta di essere finito nel punto più basso dell’orizzonte e a “nascere” per il nuovo anno solare.


...Sol Invictus, “Sole Invitto”, o per esteso, Deus Sol Invictus, “Dio Sole Invitto”, era l’appellativo religioso di tre diverse divinità nel tardo impero romano, vale a dire di Eliogabalo, Mitra e Sol.  Il culto del Sol Invicuts era molto diffuso in tutto l’impero romano... A Roma il culto acquisì importanza con l’imperatore Eliogabalo (Elio significa appunto Sole), che volle imporre il culto di Elagabalus Sol Invictus, il Dio-Bolide solare di Emesa, la sua città nativa in Siria. Eliogabalo fece costruire sul Palatino un tempio dedicato alla nuova divinità. Ucciso Eliogabalo nel 222 dopo Cristo, questo culto cessò di essere coltivato a Roma, anche se gli imperatori continuarono ad essere ritratti sulle monete con l’iconografia della corona radiata solare per quasi un secolo. Nel 272 Aureliano riunificò l’impero sconfiggendo Zenobia, regina del regno di Palmira, principale nemica di Roma, grazie all’aiuto provvidenziale della città Stato di Emesa, aiuto provvidenziale: arrivò infatti proprio nel momento in cui le milizie romane stavano cedendo. L’appoggio dei sacerdoti di Emesa, cultori del dio Sol Invictus, bendispose l’imperatore che, all’inizio della battaglia decisiva, disse di aver avuto la visione benaugurante del dio Sole di Emesa. Insomma, Costantino per la battaglia decisiva di ponte Milvio, quella della famosa visione “In hoc signo vinces”, non fa altro che copiare da Aureliano…. Il lato comico è che lo stesso Costantino aveva già avuto la stessa visione in occasione di un’altra battaglia importante, quando era ancora un seguace del dio Sole, anzi ne era il pontefice massimo, cioè il “papa”. Costantino infatti fu Pontifex Maximus del culto del Sole Invitto e raffigurò il Sol Invicuts sulla sua monetazione ufficiale, con l’iscrizione Soli Invicto Comiti, cioè “al compagno Sole Invitto”, definendo quindi il dio come un compagno.


... il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell’impero, e, l’adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione, a parte i motivi di gratitudine personale, né più e né meno come Costantino farà con il cristianesimo. Si noti che Gesù Cristo verrà definito “il nostro Sole” e rappresentato per un bel pezzo esattamente come il dio Sole e il dio Mitra, cioè con l’aureola solare attorno al capo e alla guida di un cocchio trainato da quattro cavalli.


Anche se il Sol Invictus di Aureliano non era ufficialmente identificato con il dio Mitra, altra divinità importata dall’Oriente, il suo culto richiama molte caratteristiche del mitraismo.


...Dell’origine della credenza della resurrezione converrà parlare a Pasqua, ma è il caso di dire sin da ora che essa nasce nel mondo mediterraneo con il culto egizio di Osiride e Iside. Prima di tale culto le vita nell’Aldilà era appannaggio esclusivo dei faraoni. La democratizzazione della vita eterna e della resurrezione anche per i comuni mortali avviene con il culto di Osiride e Iside, che in pratica anticipa molto dell’iconografia e delle credenze cristiane. Ringrazio la lettrice Ele che ha inviato in un suo commento della puntata precedente del blog il link di un film che cerca di fare chiarezza su tutto ciò, tanto che - pur scusandomi con la lettrice Anita che mi sconsiglia di riportarlo -  credo utile indicare a mia volta il link in questione: http://zeitgeistmovie.com


Insomma, la Sacra Famiglia e Dio non sono altro che la rappresentazione del ciclo naturale delle stagioni e del lavoro umano per trarre nutrimento da essa. La Madonna altri non è che la Madre Terra, e Gesù non è altro che la rappresentazione del fatto che tutto ciò che da essa stagionalmente nasce è destinato a stagionalmente morire per poi nascere nuovamente in un nuovo e sempre rinnovato ciclo di nascita/morte/nascita/morte…… S. Giuseppe non è altri che il lavoro dell’uomo, che per quanto si dia da fare per fecondare la Madre Terra, sia con l’agricoltura che con l’allevamento animale, non ne è mai il fecondatore decisivo perché le leggi della natura, compreso il ciclo delle stagioni, non dipendono da lui. Dio non è altro che il cielo (“Padre nostro che sei nei cieli”), il quale feconda la Dea Madre con la pioggia – simbolo verginale dello sperma – e presiede con il sole alla possibilità stessa di esistenza della vita e con le stelle e le costellazioni allo sviluppo delle vicende umane. E’ infatti credenza millenaria, viva ancora oggi, che le stelle e le costellazioni condizionano la vita e il destino di ogni essere umano.


...(Pino Nicotri)



L'articolo per intero  qui.

domenica 30 dicembre 2007

La miglior vendetta è la democrazia


E' stata assassinata da Al Qaeda (Musharraf)


"Al Qaeda, un gruppo che può essere descritto soltanto come la Legione Araba della CIA e del MI6 (= Secret Intelligence Service SIS), una classica pseudogang o controgang contro il nazionalismo arabo."

Webster Griffin Tarpley


Andava guardato meglio quel punto tra Afghanistan e Pakistan...Bisogna fare più attenzione ad Al Qaeda (Massimo D'Alema).


Mentre la popolazione statunitense sta rivoltandosi contro Bush, assistiamo al tragico spettacolo dell'Europa e del Giappone che continuano a sostenerlo su così tante e fondamentali questioni.  Webster Griffin Tarpley



"Anche mia madre  diceva sempre che la democrazia è la miglior vendetta". (il figlio di Benazir Bhutto,  Bilawal Zardai, 19 anni)


Caro Negroponte, qui non si ripara. Anche Bilawal caput? Ma un'Al Qaeda indiana che attacchi il Pamir, no? Al generale Musharraf prudono i missili preventivi.

Buon 2008 con Beppe Grillo


 

"C’è un equivoco di fondo.

Si dice che il politico che

ha avuto frequentazioni mafiose, se

non viene giudicato colpevole dalla

magistratura, è un uomo onesto.

No! La magistratura può

fare solo accertamenti di carattere

giudiziale. Le istituzioni hanno il

dovere di estromettere gli uomini

politici vicini alla mafia,

per essere oneste e apparire tali”

Paolo Borsellino



Il Calendario dei Santi Laici 2008


Leggere l’elenco dei Santi Laici d’Italia riportato alla fine del Calendario 2008 inquieta. Centinaia di persone, alcune in modo inconsapevole, altre sapendo bene cosa le aspettava, sono morte per la Patria. Per noi. Terrorismi neri, rossi, di Stato, mafiosi, massonici, spesso alleati tra loro, hanno assassinato giudici, poliziotti, carabinieri, politici, persone comuni, attivisti, giornalisti. La caratteristica dei Santi Laici è, quasi sempre, la stessa: gente per bene che non ha piegato la testa ed è andata avanti per la sua strada.

In Italia una persona onesta che entra in conflitto con il Sistema ha tre possibilità, può essere:

- comprata

- emarginata

- uccisa

Per emarginarla devi avere il controllo del Paese, quando si è in difficoltà allora si ammazza. Va a periodi.

Il calendario 2008 riporta, quasi ogni giorno, una persona, spesso due. Una strage. Tra le categorie più a rischio ci sono i magistrati. Credo che l’Italia abbia il record di giudici uccisi nel dopoguerra tra i Paesi democratici. Uccidere un magistrato in Francia o in Spagna può voler dire la fine per l’organizzazione criminale. In Italia, invece, i fiancheggiatori possono essere anche promossi.

Fare il poliziotto o il carabiniere è molto più rischioso che andare in Iraq o in Kossovo. I militari all'estero sono in una botte di ferro.

L’impressione che ho scorrendo il calendario è che ci sia una guerra in corso da decenni tra l’Italia onesta e quella disonesta. Una guerra non dichiarata, ma reale.

Per alzare la testa bisogna avere un elmetto. Io credo che l'elmetto sia l'informazione libera. V-day, 25 aprile. V-day, 25 aprile.



E’ meglio un giudice morto ammazzato o un giudice trasferito, deriso, inquisito, deferito? Meglio Livatino o De Magistris? Questo è il problema. Meglio vivere nella pax politico mafiosa o combattere come hanno fatto Borsellino, Falcone e centinaia di nostri cittadini e finire dimenticati sotto una lapide?

Chi si fa i fatti suoi vive cent’anni, per questo siamo tra le popolazioni più longeve del mondo. Come si fa i cazzi suoi la maggioranza degli italiani non se li fa nessuno. Esistono però sacche di resistenti. Pochi milioni, meno del 10%. Per ora rumoreggiano, mormorano, mugugnano, bloggano. Sono come le riserve indiane, sono le nuove riserve italiane. I nostri Cavallo Pazzo, Toro Seduto e Geronimo si chiamano Travaglio, Abbate, Saviano.

Le tribù dei Lakota hanno stracciato i Trattati firmati 150 anni fa con gli Stati Uniti. Non si considerano più cittadini statunitensi. La nazione Sioux si è ritirata unilateralmente dal resto del Paese. I Sioux d’Italia per ora non sono arrivati a tanto. Vogliono rimanere nella legalità. La loro, ovviamente, perché della legalità dei politici e delle lobby si è persa ogni traccia. Qualche milione di cittadini onesti vive nella sua riserva personale, in un appartamento con il mutuo a tasso variabile con la famiglia e gli amici. Sono piccole enclavi sparse nel Paese che aspettano il loro Little Big Horn e lo scalpo del Generale Custer.

La divisione tra Paese onesto e disonesto è palese, i delinquenti non si nascondono più. Non hanno nulla da temere dalla legge. La magistratura è stata sconfitta, omologata. Il Parlamento è un luogo extragiudiziale, di servi, di pregiudicati e qualche brava persona capitata lì per caso. Nessuno di loro è stato eletto dagli italiani.

Le enclavi degli onesti però si parlano attraverso la Rete, fanno proseliti e cercano soluzioni a livello locale. Sputtanano i consiglieri comunali corrotti, bloccano gli inceneritori, lottano per avere l’acqua pubblica. Si sostituiscono ai politici, diventano cittadini prestati alla politica. Come dovrebbe essere in un Paese civile. Il calendario 2008 ha quasi tutte le caselle dei giorni occupate, ma quasi nessun nuovo caduto. Ormai è sufficiente una legge, un’interpretazione, un comma, un giornale compiacente che pubblica notizie riservate e il gioco è fatto: il colpevole diventa il giudice. La politica si è evoluta, non ha più bisogno di tritolo. Oggi Borsellino sarebbe ancora vivo. Il CSM lo avrebbe condannato. Mastella ne avrebbe chiesto il trasferimento. I media lo avrebbero messo in croce. Sarebbe finito in una riserva italiana, dove è finito Caselli, dove finirà la Forleo. Una volta ci si chiedeva se saremmo morti democristiani, oggi ci chiediamo se moriremo in un Paese senza legalità.

I Sioux scalpavano i nemici, noi non possiamo fare neppure quello. I nostri nemici hanno solo parrucchini e capelli di plastica.


Scarica e diffondi il calendario


 


sabato 29 dicembre 2007

Ornella racconta (II)



Il tanto reclamizzato Dubai


23/12 2007

Arriviamo a Dubai verso le 13. Abbiamo visto i primi strani grattacieli che si stagliano sullo sfondo e abbiamo letto che  Dubai  City è formata da due parti: Deira e Dubai, più la zona economica  di Jebel Alì. Un canale lungo 12 chilometri, il Creek congiunge il mare al deserto. Il Dubai è il secondo per importanza degli emirati arabi, il cui governo risiede ad Abu Dabi. A differenza degli altri emirati solo il 10% del PIL è dovuto al petrolio, la cui produzione dovrebbe finire nel 2010. Forse anche per questo l’emiro della famiglia  Al Maktoum ha pensato bene di creare altri fonti di introito, in particolare il turismo.

Ci fa da guida Mario un italiano di Padova che vive con la moglie  circa nove mesi nel Dubai, e tre mesi nelle Filippine. Ogni anno una breve visita in Italia per rivedere i genitori. Per prima cosa ci imbarchiamo su un’abra, un barcone con il quale si attraversa il Creek  e questo mi ricorda le numerose piccole imbarcazioni dove sono salita nel Vietnam e ad Hon Kong. Poi direttamente al museo, allestito in un fortino costruito all’inizio del XIX  secolo. Infatti il Dubai è un paese si può dire senza storia. Prima era un piccolo villaggio di pescatori che abitavano  nel deserto. Ora lo sceicco Saed è un personaggio di importanza mondiale. Ieri sera il nostro TG ha riferito che il presidente francese Sarkozy sarà ospite nella splendida villa che lo sceicco del Dubai possiede a Sharm el Sheik.

Mario ci dice che solo l’8% della popolazione è costituita da nativi, il rimanente sono stranieri, soprattutto indiani, pakistani. Pochi gli europei. Ai nativi è concesso lavorare negli apparati statali, dove si lavora molto meno e si guadagna molto di più e la grande aspirazione dei giovani è proprio lavorare in imprese statali. La manovalanza viene tutta da Pakistan e India, si lavora dieci ore al giorno, si guadagna l’equivalente di 200€ al mese più vitto e alloggio in capannoni a dieci letti. Ma per gli immigrati questo è sufficiente per mandare qualcosa alle loro famiglie rimaste nel loro paese.

La popolazione complessiva infatti è costituita da maschi. Gli affitti sono cari e in genere i lavoratori  di livello medio preferiscono convivere con altri lavoratori in un appartamento.  Mario ci porta al mercato dell’oro. Non tutti i negozi sono aperti perché siamo ancora nel periodo della festività musulmana. I negozi dove entro mi sembrano infatti tutti gestiti da indiani.e non offrono niente di particolare almeno per noi abituati alle oreficerie sul Ponte Vecchio. Non ci rimane che sedere sulle panchine e guardare il passeggio. Dopo Yemen e Oman finalmente qualche volto di donna scoperto: volti belli alcuni anche sapientemente truccati altri da educanda dall’espressione quasi monacale. Un indiano vestito di rosa con il barbone bianco stimola la mia fantasia. “Luciano, fotografalo”, ma Luciano non vuole, ha paura che giustamente lui protesti. Allora io mi siedo sulla panchina vicino a lui e Luciano fa la fotografia. Come sarà venuta?




Ma una volta riunitosi il gruppo tutti smaniano perché vogliono andare alla “Vela” il grande albergo a sette stelle a forma di vela che compare da qualche tempo sui giornali che fanno pubblicità agli emirati. Siamo già all’ora del tramonto, si deve percorrere un lungo tragitto lungo i quartieri residenziali con villette cintate da muri perché ogni arabo che si rispetti vuole mantenere la privacy della sua famiglia.

Intanto Mario ci illustra i progetti avveniristici per il futuro e qui si sparano cifre da capogiro. Quella che mi  ha colpito di più è il progetto World che consiste nella realizzazione di un grande villaggio che sorgerà se ho ben capito sull’acqua diviso per continenti. Gli stati più importanti saranno rappresentati, tranne Israele,  naturalmente. La cosa ci verrà confermata da due croceristi con cui abbiamo condiviso la Jeep nel viaggio a Sana . Sono stati in un’agenzia immobiliare dove  hanno offerto un appartamento che sarà pronto nel 2010  con un costo di 250, 300.ooo €. Molti milanesi li stanno comprando. Con l’inflazione che c’è in Dubai del 15% può essere un buon investimento. Di fronte al condominio che rappresenta ciascuno stato ci sarà un piccolo monumento: la torre Heifel per i francesi, il Colosseo per gli italiani. Tutto all’insegna del Kitcht americano. Eppure nell’arredamento dei nuovi alberghi si impegnerà anche il nostro Armani.

Si arriva finalmente alla famosa “Vela” , il grande hotel a sette stelle di cui tutti gli italiani erano informatissimi, naturalmente. Che beatitudine noto nei loro sguardi venendo a sapere che la suite più piccola in questo hotel misura solo cento metri quadri e la più grande arriva fino ad ottocento. E per i prezzi si parte da 1300€ a notte senza colazione fino ad arrivare ad un massimo che forse neppure la guida conosceva. . “ 800 metri quadrati….Capirai con i loro harem”, sento dire. Per ora grandi attori e sportivi lo frequentano. La spiaggia su cui sorge è un comune tratto di sabbia dove quella sera famiglie con bambini giocano e il mare non è sicuramente quello della Sardegna o dei Caraibi. Il paesaggio  è piatto. Luciano comincia ad avere il nervoso perché non sopporta questo tipo di informazioni e pensa invece ai poveri immigrati che lavorano 10 ore per giorno lontano dalle loro famiglie.

 Invece io sto pensando a quale imprenditore l’avrà costruito. Io penso a qualche multinazionale americana con azioni anche dell’emiro , naturalmente. Anche  la Costa che fa parte  del gruppo americano Caravan deve collaborare all’impresa. La Costa, intanto, porta i turisti che  faranno conoscere all’Europa questa nuova meta., tanto appetibile, ma fino a quando? Il traffico che vedrò per le strade il giorno dopo e il già presente inquinamento che sta velando l’azzurro del cielo mi fanno pensare a un qualche rischio per questi ambiziosi investitori.

Ma intanto è tutto un cantiere. Migliaia di gru si intravedono nel viaggio di ritorno alla nave: è una ditta italiana che le produce. Meno male che c’è qualche società italiana che sa fiutare gli affari.. Luciano è tutto preso come  gli altri uomini dalle auto bellissime e lucidissime che scorrono insieme a noi. Quasi tutte giapponesi come negli altri paesi arabi. Il Giappone sì che sa fare gli affari, le  offre infatti con alcune facilitazioni. Sono tutte lucidissime, senza un’ammaccatura. Questo credo sia l’unica cosa positiva per Luciano. Infatti se  l’automobilista  non fa un’adeguata manutenzione le multe sono salate. Lo stesso per le infrazioni stradali che verranno pagate tutte insieme quando scadrà il bollo dell’auto. Certo pensando a come ho visto guidare le auto nello Yemen, forse questo è l’unico modo per non far avvenire incidenti.

Non dimentichiamo inoltre che Dubai ha già una “torre”, così qui chiamano i grattacieli perché sono alti e slanciati, di 700 metri , ma che non è ancora finita per ché la vorranno portare fino a mille metri di altezza, per vedere poi quale  panorama non lo so: solo un piatto deserto.

 Il Dubai ricava buona parte dell’acqua che usa per usi domestici dalla desalinizzazione dell’acqua marina, ma per bere è necessario consumare acqua minerale, che costa più della benzina, la quale però costa  pochissimo.

La mattina dopo visita all’emirato di Sharjak, la capitale culturale. Durante il tragitto il traffico è imponente anche se ordinatissimo. Negli emirati il numero degli autoveicoli è di circa due ogni abitante. Chiedo alla giovane guida indiana se si pensa al futuro inquinamento. “Si, mi risponde, si cerca di creare aree verdi”. Devo dire che anche ora cercano di fare il possibile: ai lati dell’autostrada si hanno aree di prato artificiale e quando arriviamo alla città universitaria, rimaniamo stupefatti. Grandi e lunghissimi viali alberati, aiuole, grandiosi edifici ai lati in stile arabo rigoroso. Qui si studia per ottenere la laurea in facoltà scientifiche quali elettronica e medicina. Niente scuole islamiche. I professori vengono da tutte le parti del mondo e si parla in inglese. Io e Luci tiriamo un sospiro di sollievo. C’è anche l’American University. Ma dove sono gli studenti? Il luogo sembra deserto se non fosse per i giardinieri che annaffiano le aiuole. Ci dimenticavamo che siamo ancora nel periodo della festività islamica. La guida ci dice che domani riprenderanno le lezioni.

Il giro riprende per la visita dei soliti mercati. Al ritorno passiamo vicino a uno dei “Gioielli” degli emirati. Il famoso albergo dove c’è una pista di neve artificiale, piuttosto breve a dir la verità, e dopo una bella sciata ci si può immergere nella vasta piscina.

E così torniamo alla nave per fare gli ultimi preparativi per la partenza, che avverrà alle 2 del giorno dopo dall’aeroporto di Abu Dhabi. La notte percorreremo l’autostrada deserta circondata a tratti dai grattacieli tutti illuminati. Certo di notte tutto è più suggestivo, ricorda le grandi metropoli americane . Ci attenderà ora un viaggio di ritorno molto faticoso.

venerdì 28 dicembre 2007

Ornella racconta (I)


Due giorni nello Yemen


Domenica 16 Dicembre 2007


Alle 8  dal porto di Saleef dove è attraccata la nostra nave partono 60 jeep per dirigersi a Sa’ana. Il primo tratto è pianeggiante, lungo la costa. Siamo diretti a nord. Mi sembra essere ritornata ragazzina  quando viaggiai  alla fine della guerra con mio zio Giovanni capitano dell’esercito di sussistenza diretti da Firenze a Milano. Come allora mi sembra un’avventura: allora mi aspettava un’Italia distrutta dalla guerra, ma qui troverò il medioevo.

Ci si inoltra tra quelle che sembrano montagne mentre in realtà sono un grande altopiano. Gli strati rocciosi sono orizzontali e le acque dilavanti attraverso le ere geologiche  hanno scavato queste valli  che qui chiamano uidian (uadi al singolare) e successivamente insieme all’azione erosiva del vento hanno dato origine a formazioni rocciose particolari. L’insieme è grandioso, il colore delle rocce giallastro, il cielo è già azzurro intenso, l’aria con il progredire dell’altezza si fa più fine. Dobbiamo arrivare  a 3100 metri di altezza. Non mi aspettavo di trovare nello Yemen un paesaggio che vagamente  mi ricorda  quello delle Montagne rocciose negli USA  visto nei film western americani  e in certi punti il Gran Canon. Passiamo alcuni centri abitati e qui avviene il primo impatto con la gente: le donne tutte vestite di nero, velate  che viaggiano sole o in coppia : una sottile fessura  lascia vedere gli occhi neri, belli. Gli uomini sono vestiti nel modo più diverso, raramente all’occidentale, spesso con una sottana  a portafoglio al ginocchio, con giacchetto e camicia e in testa  i loro copricapo e affollano insieme alle pecore le strade che attraversiamo. Bambini e bambine belli ci salutano lungo queste strade diremmo commerciali dove si aprono tuguri con esposta merce di tutti i tipi, non per turisti e che ritroveremo in tutto il paese. Ma è qui che il traffico diventa più caotico. Un vero carosello all’incrocio delle strade: non esistono semafori, ciascun autista  fa quello che vuole e può fare, vista la confusione, lo strombettio dei clacson che sembra abbiano un loro linguaggio segreto, le urla degli autisti che si gridano da un’auto all’altra..

Il nostro autista è bravissimo, superbo con il qat che mastica  per non sentire la stanchezza e le sigarette che fuma una dietro l’altra. Fa anche lui quello che vuole, per tenersi unito alle altre jeep, mentre riceve ordini dalla guida Sharif che sapremo poi essere di origine somala , ma vissuto per molto tempo a Napoli.. E’ un tipo dai capelli bianchi lunghi, vestito alla yemenita ma con un giacchetto senza maniche all’occidentale, che conosce bene l’italiano. Ma quando dobbiamo mangiare a Manakha cominciano i primi guai. Si vede che lo Yemen non è ancora organizzato per ricevere tutti insieme 240 turisti, anche se sono scaglionati. Per noi ancora non è pronto. Il gabinetto è moderno, ma già fatiscente. Mangeremo come abbiamo fatto a Gadames in Libia accovacciati sui cuscini intorno al grande tappeto. Per ora c’è solo lo yogurt e molte banane. Poi dopo un tempo che per noi sembra interminabile, perché abbiamo fatto colazione presto, arriva il pasto: riso, verdure cotte, dolce al miele veramente squisito.

Poi partenza per Al Hajarath con case a più piani in pietra arroccate sulla montagna. Tutto è rude e gentile: rude come il paesaggio, gentile come le decorazioni a ricamo che  abbelliscono questi che vengono definiti “grattacieli di pietra”, I bambini si affollano intorno a noi,vogliono vendere cartoline, cappellini per uomo.Sono molto carini, affettuosi, hanno insegnato loro delle frasi in italiano, in inglese. Ma perché non sono a scuola? Mi dispiace molto per loro.

Il viaggio in jeep riprende. Grandiosi scenari si aprono intorno a noi. Le case a forma di fortino o a fortezza si vedono isolate nelle montagne, dello stesso colore delle rocce. Farebbero felici tutti gli ambientalisti, perché sono perfettamente inserite nell’ambiente.. Sono ancora abitati e da chi? Ma il nostro autista  conosce solo qualche parola di inglese.  La strada sempre asfaltata  sale, poi discende  e così per molte volte.. Molti gli autocarri che sorpassiamo: sono carichi di pecore o di persone. Mi ricordano  cosa succedeva in Italia nei mesi successivi alla fine della guerra quando anch’io per andare a visitare i parenti al nord con mia mamma facendo autostop siamo saliti su gli autocarri dopo aver lasciato mio zio Giovanni.

Alle cinque vediamo finalmente Sa’ana nella sua conca dorata. Dopo una periferia  con palazzi moderni, un po’ anonima si arriva all’unica porta delle mura  che circondano la città vecchia: è l’unica che è rimasta e lì c’è il grande mercato e lì un caos totale, indescrivibile.. Attraversare la strada tra le auto che strombettano, cercare di non perdere di vista  la guida in quella confusione senza sapere in quale albergo dovremo andare se ci perdiamo, ci crea un certo panico. Ci infiliamo nelle strade del mercato circondato da bei palazzi con le finestre decorate come un ricamo. Ma io devo guardare per terra dove sacchetti di plastica, fogli di carta, selciato sconnesso mi impediscono di camminare tranquilla. E’ un brulicare di gente locale, ragazzi che trainano carriole nelle viuzze e ridendo gridano “taxi”. Ogni tanto si apre una piazzetta  da dove si aprono vedute sulla città dorata. Perché siamo già vicino al tramonto.

 In una di queste trasalisco: ma questi sono negozi simili a quelli che ho visto in alcune stampe dell’epoca esserci state in piazza Signoria e San Firenze: un vano quadrato, il venditore seduto dietro un parapetto che vende qualcosa di poco ingombrante. Siamo proprio nel medio evo!! Ora ci portano in una corte con ballatoio dove Pasolini ha girato alcune scene di “Mille e una notte”. E’ Pasolini infatti che  ha divulgato nel mondo intero la bellezza di questa città e l’ha fatta dichiarare “patrimonio universale” dall’Unesco. E di qui i restauri fatti dagli italiani. Pasolini   divulgatore di terre lontane dove ha girato i suoi  film  (in Cappadocia  la “Medea”), Pasolini uomo colto e intelligente, fine cultore della letteratura medioevale popolare.. Mi ricordo che negli anni sessanta  vidi in TV un documentario in bianco e nero girato da giornalisti italiani che  ci parlavano di Sa’ana,città dove ancora non erano arrivate le radio. Ora ho scoperto  che la televisione è arrivata qui da pochi anni  e quando venne proiettato per la prima volta una telenovela egiziana  ci fu un grande scandalo perché un uomo e una donna si baciavano. E l’Egitto è uno stato musulmano…

Finalmente risaliamo sulla jeep e arriviamo all’albergo: saloni immensi, alti soffitti, pavimenti in marmo lucidissimi, camera lussuosa con mobili in stile.

 Sapremo più tardi che questi sono i giorni appena precedenti la grande festività musulmana che cade quest’anno proprio vicino al nostro Natale. Si festeggerà la fine del mese del pellegrinaggio alla Mecca,  festività in cui si mangia l’agnello in ricordo del sacrificio di Isacco  . Ecco il perché dei tanti agnelli, della confusione indescrivibile, di tutti quei vestitini larghi per le bambine che avevo visto al mercato e che  ricordavano i miei di quando ero bambina, naturalmente con le dovute differenze.

La mattina dopo sveglia  alle 6 e ¼, partenza alle 7 per il museo. Grande perdita di tempo per la disorganizzazione.. poi visita alla città, delizia dei fotografi, perché ogni angolo ha un suo fascino. Alle 11 partenza per Aden e qui ancora scenari grandiosi, costruzioni simili a fortezze abbarbicate sulle montagne. La strade sale  a tornanti strettissimi, per poi discendere e così per molte volte. Qui sulle pendici dei monti vi sono terrazzamenti adibiti alla coltivazione del qat, questo arbusto di cui gli yemeniti masticano le foglie perché dà loro un certo vigore come le foglie di coca sulle Ande. Molti uomini hanno una guancia deformata  da una palla di qat che sporge come un’arancia da una guancia.. Qui c’è qualcosa che ricorda Machu Pichu e me lo confermeranno alcune persone che ci sono state. A un certo punto si apre una larghissima conca ad imbuto, profondissima, ci saranno più di mille metri di dislivello. Un certo brivido. E se una delle auto dovesse sbandare, chi ci ripescherebbe laggiù in fondo? Con tutti i corvi che vediamo   saremmo per loro un pasto prelibato..

Finalmente si arriva ad un albergo un  po’ moderno dove possiamo mangiare seduti sulle seggiole e tutto ci sembra molto buono.

Di nuovo in cammino perché ci sono altre tappe da fare. Ad Jiblah  io non scendo. Luciano andrà lui a fare le fotografie e dirà al ritorno che ho fatto bene a stare sulla jeep perché la strada era troppo scoscesa.. Ci attendono altre tre ore e mezzo di viaggio. Oramai ci siamo abituati al solito spettacolo, al traffico impazzito nei tratti dove si apre un mercato, alle donne doppiamente velate perché un altro velo copre gli occhi, ai bambini belli che non vanno a scuola, forse perché domani è festa. Cominciamo a desiderare il letto che ci attende nella nostra nave dove potremo stendere le membra rattrappite., ma vedo che siamo tutti contenti. Lo Yemen è stato un paese per troppo tempo isolato dal mondo occidentale, che ora si vuole aprire al turismo di massa, perché loro non hanno il petrolio e sono costretti ad emigrare negli altri paesi arabi.

Ma cosa sarà questo paese tra dieci, venti anni? Ho forse fatto in tempo a vederlo così nella sua vita medioevale, con l’unica differenza che ci sono tante automobili, scassate a dire il vero, e la luce elettrica? L’acqua potabile no, perché soprattutto nella strada del ritorno molte erano le donne con le loro brocche in testa e gli asinelli o i muli con le taniche d’acqua. Arretratezza, ma quale dolcezza in quelle figurine da presepe…

lunedì 24 dicembre 2007

E cielo e terra



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Località Le Lame, Ortignano-Raggiolo, Casentino. A sinistra della foto c'è la Verna di S.Francesco. Di là è partito l'arc en ciel.

sabato 22 dicembre 2007

24 dicembre 2007 - Marte si congiunge con la Luna


Il 24 dicembre 2007 il pianeta Marte sarà all'opposizione. Per una fortuita circostanza in quella stessa giornata, precisamente alle 5.05 del mattino (ora italiana), la luna piena occulterà il pianeta, ovvero si frapporrà alla linea di vista di un osservatore sulla Terra determinando la sparizione del pianeta dietro il bordo lunare. Il fenomeno dell'occultazione sarà invisibile dall'Italia, dove potremo osservare solo una stretta congiunzione, mentre potrà essere seguito per intero nell'Europa dell'Est. Invece per una ristretta fascia (ampia circa 60 Km.) che attraversa l'Austria e la Slovenia, l'occultazione sarà "radente", quindi vedremo il pianeta, pian piano "mangiato" dalla Luna, sparire e riapparire nell'alternarsi del suo percorso apparente tra valli, montagne e crateri posti sul bordo lunare.



La congiunzione vista da Roma alle 5,05 del mattino del 24 dicembre.


Il pianeta rosso in questo periodo è ben osservabile in cielo per tutta la notte, alto nella costellazione dei Gemelli.

Te lo racconta l'Unione Astrofili italiani  qui.

venerdì 21 dicembre 2007

Scrive Debra Sweet: "We must be as radical as the reality we are facing."

Dario Fo è d'accordo con lei. Ascoltalo qui.




La realtà che ci sta di fronte:  Dai un'occhiata qui.

giovedì 20 dicembre 2007

Il raggio verde


Natale


Nati il 25 dicembre:


Mitra, Persia. Figlio del sole e sole egli stesso (come dire: figlio di dio e dio egli stesso). 3600 anni fa.


Osiride: Egitto

Viene fatto a pezzi, resuscita, ha un figlio, Horus, da Iside che viene rappresentata così (antico Egitto):





E chiamata "madre di dio"


Talmuz: Babilonia

unico figlio della dea Istar rappresentata con il bimbo in braccio e con una aureola di dodici stelle attorno alla testa.

 

Quetzalcoatl: Messico

Bacab: Yucatan

Huitzilopoctli, dio degli Atzechi

Bacco: Grecia

Adone: Siria.


Il Cenone dei Romani


dal 17 al 24 dicembre chiudevano le scuole e tribunali; ci si scambiava visite e doni, sparivano le classi sociali. Il giorno 24 si concludeva con un grande banchetto illuminato da lumini e candele, con brindisi e scambio di auguri. Il giorno 25 era dedicato al Sole Invicto: il Sole, cioè, che sembra sul punto di essere inghiottito dalle tenebre ma invece risorge e torna a brillare, a scaldare, a riportare la Vita sulla Terra.


Mitra pian piano venne introdotto a Roma. Esso fece talmente presa sulla popolazione, che nel 274 d.C. l’Imperatore Aureliano lo ufficializzò.

Mitra, quando la sua missione salvifica é compiuta, partecipa con i suoi adepti ad un banchetto; dopo aver consumato il pasto come atto sacrificale, il dio sale al cielo su un Carro di Luce, per riunirsi al Padre Sole.

Separati nettamente grazie all’intervento di Mitra il Bene dal Male, la vita sulla Terra sarebbe andata avanti sino al Grande Anno, periodo dell’Apocalisse. Mitra sarebbe allora tornato sulla terra per separare i giusti dai peccatori: ai primi avrebbe offerto la bevanda dell’immortalità, resuscitando anche i loro corpi fisici; i secondi sarebbero stati distrutti dal fuoco. Il culto di Mitra contemplava anche il battesimo


Gesù: Palestina. Last but not least.


Ma perché chiamare "falsi e bugiardi" Mitra, Iside, Talmuz...? Perché perseguitarne i fedeli?  Questo il peccato originale del Cristianesimo, datato quarto secolo, e via per-seguitando.


Buon Natale davvero a tutti.



Dulcis in fundo




Il raggio verde

Nel momento in cui il Sole raggiunge il suo minimo di influssi sulla Terra, quando è stanco e intorpidito, un Raggio Verde parte dal più profondo dell’Universo ed attraversa per un istante la Terra stessa. E’ il Raggio del Puro Spirito, del maggior contatto del Materiale con. . .ciò che sta al di là.



Leggi il Natale di Leonardo.


Veglia di Natale

Veglia di Natale


 "Germogli di speranza testimoniati da tante mani che si uniscono e da tanti piedi che si affaticano nella gioia di un cammino comune verso la pace nella giustizia": questo il tema a cui sarà dedicata la Veglia di Natale della Comunità dell'Isolotto che inizierà alle ore 22 del 24 dicembre alle "baracche" in via degli Aceri 1 a Firenze. 


 Pensiamo a tante esperienze di minoranze critiche capaci di nutrire il desiderio di fare festa per la vita che nasce e di scambiarsi "auguri" che siano voglia e testimonianza di un cammino di crescita culturale e vitale verso la consapevolezza profonda dei valori, non solo politici ma anche etici, spirituali e religiosi, su cui costruire un "mondo nuovo possibile".


"Pace agli uomini di buona volontà" è l’annuncio natalizio nel quale è possibile riconoscersi al di là della varietà delle fedi. Ma è un annuncio che pronunciato oggi  nelle liturgie cristiane di tutto il mondo ha un sapore amaro di grave contraddizione


Il mondo cristiano che celebra il Natale di Gesù ha una sua parte non piccola di responsabilità verso le situazioni di ingiustizia, di oppressione e di guerra che insanguinano il mondo a partire dalla Palestina.


Questa consapevolezza di ipocrisia dei nostri canti e riti e moralismi e presepi e pranzi e regali e lustrini natalizi è una premessa indispensabile.


Ma se non si vuol cadere in un moralismo infecondo anzi distruttivo e paralizzante, bisogna anche saper attivare la nostra capacità di vedere e valorizzare gli aspetti positivi, quelli che puntano alla trasformazione profonda del sistema di ingiustizia e di guerra e che spesso sono oscurati e ignorati dai media, ma in realtà costituiscono autentici germogli di speranza. Sono per lo più esperienze e buone pratiche di minoranze critiche le quali tentano oggi di ridare significato vero all’annuncio di pace che accompagna l’umanità dalla profondità dei millenni e che ha risuonato anche, sottolineiamo questo "anche", nella Betlemme o più probabilmente nella Nazareth dove forse nacque Gesù all’alba dell’era cristiana. Più che nei grandi progetti è proprio nelle microstorie che germoglia la speranza.


Fra le tante, a cui i media riservano al massimo le briciole dell’informazione, si può citare a titolo di esempio il progetto straordinariamente funzionante che si intitola "Fiori di pace", uno dei molti tentativi di favorire l’incontro fra ragazzi e ragazze palestinesi e israeliani perché possano uscire dalla separatezza e dall’odio a cui sono condannati e gestire il conflitto e la paura in cui sono immersi attraverso la conoscenza reciproca, il dialogo, la condivisione, cioè con un metodo nonviolento. Un altro germoglio di speranza si può ritrovare nella raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che dichiari il territorio della Repubblica Italiana, ivi compresi lo spazio aereo, il sottosuolo e le acque territoriali, "zona libera da armi nucleari". E ancora, la positiva conclusione dell’occupazione del "Luzzi", che suona come un buon augurio per le tante occupazioni disseminate nell’intero paese. Il "Luzzi" è un grande sanatorio abbandonato, con un bellissimo parco, al confine fra Firenze e Sesto, occupato da parte di una comunità composta da circa 300 tra bambini e adulti provenienti da ogni parte del mondo, ai quali è stato riconosciuto il diritto a restare nella struttura, la quale verrà adeguata ai bisogni abitativi, e tutto questo per l’impegno del Movimento di lotta per la casa e dell’associazionismo della solidarietà e dei diritti, in collaborazione con le istituzioni pubbliche cittadine; o ancora le nuove iniziative di "Fuori Binario", il giornale toscano dei senza dimora, fratello di altre testate analoghe, che non è solo parole ma azioni concrete in cui i senza dimora non sono consumatori, spesso umiliati, di carità, ma essi stessi attori di autoaiuto e solidarietà; la straordinaria partecipazione di detenuti, più di settecento, al digiuno per l’abolizione dell’ergastolo; il forte contributo dell’Italia alla moratoria mondiale della pena di morte, in significativa coerenza col fatto che dal nostro paese è partita la prima scintilla di abolizione della pena di morte fin dal lontano 1786. Ma se uno apre gli occhi trova tante microstorie positive di questo genere, diverse cioè dal buonismo festivo e dalla carità assistenzialista che bene serve al sistema coprendo le falle e le ferite. Sono esperienze spesso più vicine di quanto si possa immaginare e capaci di dare alla festa e agli auguri un senso di autenticità


  La comunità dell'Isolotto

mercoledì 19 dicembre 2007

Biocard o Carta di autodeterminazione


Ai soci e simpatizzanti

 

Care amiche ed amici,

Il 2007 si sta chiudendo senza che sia stata approvata – come invece avevamo sperato dopo la caduta di una maggioranza e di un Governo nettamente contrari - la legge sulle “direttive anticipate di trattamento sanitario”.

Il fatto è che risultato elettorale del 2006 ha di fatto reso ingovernabile il Paese, ed ha consegnato al Vaticano un enorme potere di ricatto nei confronti della politica, che è stato utilizzato per bloccare ogni legge non condivisa, fra cui – appunto – il testamento biologico.

Nel 2007 abbiamo comunque registrato due importanti passi in avanti: la Commissione Sanità del Senato, grazie all’impegno coerente e tenace del suo Presidente Ignazio Marino, sta concludendo l’esame dei disegni di leggi sulle “direttive anticipate”, e la Corte di Cassazione ha emanato, su ricorso di Beppino Englaro, una sentenza che è destinata ad influire positivamente sugli sviluppi di tutti i casi di prolungamento artificiale della vita contro la volontà degli interessati.

Come LiberaUscita intendiamo continuare la nostra lotta a sostegno degli obiettivi che insieme ci siamo dati: la legalizzazione del testamento biologico e la depenalizzazione dell’eutanasia, nella consapevolezza peraltro che essi sono strettamente legati all’affermazione del principio costituzionale della laicità delle istituzioni, senza la quale non esiste convivenza civile né pluralismo culturale e religioso.

Per raggiungere questi obiettivi abbiamo bisogno, come sempre, del vostro sostegno.

Vi invitiamo pertanto a rinnovare la vostra iscrizione per l’anno 2008, ed a fare opera di proselitismo fra i vostri amici affinché divengano soci di LiberaUscita .

Per rinnovare la tessera sino al 31.12.2008 basta versare la quota sociale. L’importo della quota ordinaria è rimasto invariato, ossia euro 25,00. Coloro che possono versare di più per aiutare l’Associazione divengono soci sostenitori. Coloro che non hanno redditi (es: studenti, casalinghe, disoccupati), potranno iscriversi versando una quota ridotta, comunque non inferiore ad € 10,00.

Il versamento può essere effettuato come segue:

- tramite bollettino postale, sul c/c n. 39698733, intestato a “Associazione LiberaUscita, via Genova 24, 00184 Roma”;

- tramite bonifico bancario sul c/c Banco Posta n. 39698733 (ABI 07601, CAB 03200),   intestato come sopra..

Per diventare nuovi soci occorre inviare, oltre la quota sociale, regolare domanda di ammissione. Il modulo di domanda può essere prelevato dal nostro sito (www.liberauscita.it) e, una volta compilato, trasmesso all’Associazione via fax o email o posta ordinaria.

Ricordiamo che tutti i soci hanno il diritto di partecipare e votare al Congresso dell’Associazione, di ricevere la bio-card attestante l’iscrizione e di essere informati, tramite posta elettronica, di tutte le iniziative di LiberaUscita..

Cordiali saluti ed auguri di buon anno per voi e le vostre famiglie.

                                                                                                          Il Presidente

                                                                                Giancarlo Fornari




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LiberaUscita

Associazione nazionale laica e apartitica

per la legalizzazione del testamento biologico

e la depenalizzazione dell'eutanasia 

Via Genova, 24 - 00184 Roma

apertura sede: lun-merc-ven. ore 8:30 - 10:30

tel e fax: 0647823807

sito web: www.liberauscita.it 

email: info@liberauscita.it 


LA VITA, LA MORTE, IL TESTAMENTO DI VITA. LA LEZIONE DEL DR. CHAUSSOY


Brani tratti dal libro “Non sono un assassino” pubblicato da Libera uscita e da InEdition edizioni

(v. sotto il Post
Racconto dal vero di F.Kafka)



Dobbiamo sapere anche fermarci nella lotta contro la morte, con dolcezza e rispetto, quando si è provato troppo a prolungare la vita, e questa diventa indegna.Ci vorranno tempo prima che la nuova legge (la legge Leonetti, approvata in Francia sull’onda dell’emozione suscitata dal caso Vincent Humbert) entri in vigore a tutti gli effetti, e tanti mezzi per creare reparti, interni o esterni, di cure palliative.

Bisognerà formare del personale, modificare delle abitudini e cambiare le mentalità. Imparare a parlare della morte non come se fosse una sconfitta, ma come una realtà alla quale si possono portare dei miglioramenti. A partire dal momento in cui non viene più negata la sua esistenza, si può finalmente cominciare a occuparsene in modo sensato!

Anche se ci vorranno ancora degli anni prima di trasformare in profondità le idee e i fatti; anche se viene presentata, dagli oppositori dell’eutanasia, come un’alternativa esclusiva che non ammette alcuna discussione; anche se lascia senza soluzione il venti per cento di malati il cui dolore resiste a qualsiasi terapia; anche se rifiuta di prendere in considerazione tutti gli ammalati che soffrono ma non sono in fin di vita, questa legge ha il merito di esistere.


Tutte queste macchine sono state inventate per impedire agli uomini di morire, giusto il tempo che i medici facciano il necessario per curarli e che l’organismo recuperi le capacità di vivere in modo autonomo.

Spesso, funziona. Ma, quando non funziona, bisogna pur risolversi a staccare la spina. Un uomo attaccato al respiratore non cessa mai di respirare, fin tanto che la macchina continua a funzionare. E allora? Cosa fare?

Che le cose siano ben chiare, anche se ci disturbano: in numerosi casi, la gente che muore nei reparti di rianimazione, superattrezzati di macchine per la vita, muore perché a un certo momento è stata presa la decisione di non utilizzare più queste macchine per mantenerla in vita.

E non è tutto. Quando si decide di fermare le macchine, cosa succede?

Nei film le spie luminose cessano di lampeggiare sul monitor e l’ammalato rende l’ultimo respiro, finalmente tranquillo. Durante un telegiornale, in cui si parlava di Vincent, ho perfino visto l’immagine di una presa maschio che veniva staccata dalla presa femmina, in una camera d’ospedale. Fine della puntata! Come se fosse così semplice!

Si dà il caso che la realtà sia più dura. Il più delle volte, l’ammalato si mette a soffocare. Morirà per asfissia. Morirà, è certo. Ma non subito. Ci vuole tempo, per l’asfissia. Il corpo umano non cede così facilmente. Si batte, per istinto. Cerca l’ossigeno di cui ha bisogno e che non ha più i mezzi per trovare.

In alcuni reparti, chiudono la porta della camera, giusto il tempo che “questo” accada.
A volte le infermiere, alle quali la situazione sembra insopportabile, vengono a supplicare il medico di “fare qualcosa” perché “questo” cessi. A volte il medico risponde loro di “fare il necessario”. E a volte lo “fa” lui stesso.

E la morte, a chi appartiene?

La mia vita è questa realtà: il venti per cento dei pazienti che mi sono affidati muoiono in un reparto nel quale, nondimeno, disponiamo di attrezzature sofisticate che sarebbero capaci di prolungare la loro esistenza per un lunghissimo lasso di tempo. Ci prendiamo cura di questi pazienti e delle loro famiglie. Tentiamo tutto quello che è in nostro potere per riportarli in vita. E quando siamo al limite delle nostre possibilità, quando non abbiamo più nessun progetto terapeutico da proporre, ne informiamo le famiglie, con rispetto e attenzione.


Centocinquantamila pazienti sono ogni anno, in Francia, staccati dalle loro macchine per vivere. Centocinquantamila morti premeditate decise collegialmente dalle équipe mediche!

Il codice penale ha una sola risposta: omicidio premeditato. Ma le azioni giudiziarie, fortunatamente, sono rarissime. Centocinquantamila assassini sono quindi in libertà.

Ecco perché la legge deve evolvere. È ora che i legislatori lo capiscano: staccare una macchina non è necessariamente un crimine; farlo dopo averne discusso con tutte le persone interessate non costituisce di certo un fattore aggravante; e
vegliare a che la fine di un malato condannato sia dolce è, prima di tutto, una prova di rispetto e di umanità.

Un medico può accompagnare la morte senza essere un assassino…


In Belgio, in Svizzera, in Germania, in Austria, in Danimarca, in Spagna, in Inghilterra, la legge protegge la volontà scritta di un malato che non sia più in grado di esprimersi. Questo viene chiamato “testamento di vita”. L’idea è semplice: ogni persona adulta e in pieno possesso delle sue facoltà può scrivere, nero su bianco, in un documento firmato da due testimoni e revocabile in qualsiasi momento, il modo in cui desidera essere trattata in caso di incidente o di malattia che la privi di qualsiasi mezzo di espressione o di coscienza. Le sue volontà vanno rispettate… nel limite autorizzato dalla legge, ovviamente…

L’idea è semplice, ma non così tanto. Innanzi tutto, suppone che uno accetti di assuefarsi alla prospettiva della propria morte. Di ammettere che possa capitare e di esserne cosciente al punto da essere capace di scriverlo. In un mondo nel quale si “scompare” invece di morire, ciò rappresenta già un lungo cammino da percorrere!

E poi, cosa fare d’un testamento di vita che richiede un atto proibito dalla legge? In un paese nel quale un malato cosciente non può ottenere da un medico un’iniezione per porre fine alle proprie sofferenze, come riconoscere che un malato incosciente ne abbia il diritto?

Per adesso, in Francia, il testamento di vita potrebbe tutt’al più precisare una ferma volontà che la medicina non si accanisca a rianimare.

Ma nella maggior parte dei reparti, da molto tempo, la medicina non si accanisce più del dovuto…

Vincent si è dato la pena di dettare, col dito, una specie di testamento di vita di duecento pagine, venduto in libreria. Era perfettamente esplicito sulle ragioni per le quali voleva porre un termine alla sua esistenza. Eppure, un medico legale e un procuratore della Repubblica mi accusano d’averlo assassinato…

Il testamento di vita è una buona idea perché mi rafforza nella giustezza della mia decisione: ho rispettato la volontà del mio paziente.

Tutti i lettori del libro di Vincent possono attestarlo… Nessun bisogno di aspettare l’avvento di una legge perché ognuno di noi scriva il suo testamento di vita! Anche se, per adesso, questi documenti non hanno nessun valore legale, potrebbero per lo meno illuminare i medici sulla volontà di un paziente che giunge da loro incosciente, o incapace di comunicare. Potrebbero suffragare in modo formale la richiesta dei familiari. Potrebbero, soprattutto, concedere al paziente la libertà di essere l’attore della propria storia, anche se privo di qualsiasi mezzo espressivo…

Anche se la legge non lo riconosce ancora, credo che il testamento di vita sia una buona idea. Un modo di dare a ciascuno il tempo di riflettere sulla propria fine, in mancanza della possibilità di poterla scegliere; un mezzo responsabile e adulto per affrontare la propria morte, come la propria vita. E non di lasciarne le redini alla famiglia, a un’équipe medica, o addirittura a un procuratore della Repubblica… ( Frédéric Chaussoy)


PS. Consiglio da amico: stampa la biocard elaborata dalla Consulta di Bioetica di Milano. La puoi compilare e tenere da parte. Nel caso, per esempio, di ricovero in ospedale, puoi disporre che sia allegata alla cartella medica.

Questo il sito:

http://www.consultadibioetica.org/documenti/biocard.PDF

Lo puoi fare da privato cittadino; non occorre essere iscritti a nulla. Comunque Barbabianca ti invita e fargli compagnia come socio in Libera Uscita.

martedì 18 dicembre 2007

Il dott.Stranamore

 


Roberto Quaglia


"Il mito dell'11 settembre. E l'opzione dottor stranamore" – Ed. PonSinMor


 Roberto Quaglia, noto soprattutto per il saggio breve "Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sull'11 settembre 2001, ma non avete mai osato chiedere", quale contributo di apertura del bestseller 2003 "Tutto quello che sai è falso", autore di numerose opere di fantascienza satirica e surreale, ci presenta il suo nuovo lavoro: "Il mito dell'11 settembre. E l'opzione dottor stranamore" – Ed. PonSinMor – un'analisi attenta dei fatti che caratterizzaroo l'11 settembre 2001 e degli eventi che a questo giorno succedettero, come ciò che potrebbe essere tranquillamente il canovaccio di un romanzo fantascientifico abbia cambiato la faccia del mondo. Il giallo del nuovo Millennio: un mistero che immediatamente ne richiama un altro in una serie interminabile e fantasmagorica di implicazioni surreali sino a divenire paradossalmente "satiriche", se non determinassero la morte e la sofferenza di migliaia e migliaia di innocenti. Morti e sofferenze inserite in una rete di "giochi di potere" tanti efficaci al perseguimento dei loro scopi, quanto assurdi ed inumani.


Dove la realtà supera la fantascienza.




Video intervista a cura di Emanule Montagna


 

lunedì 17 dicembre 2007

Cantico di Natale


E' la vigilia di Natale. Nelle strade di Londra, ricchi e poveri si affrettano per gli ultimi preparativi per il pranzo del giorno dopo. Tra canti natalizi, decorazioni alle finestre e grandi cortesie dovute al buonumore di quei giorni di festa, tutte le strade e tutti i palazzi sono pervasi da quell'atmosfera magica. Solo in un ufficio sembra non essere la vigilia di Natale. E' l'ufficio di Ebenezer Scrooge, il vecchio più acido, freddo, egoista, cinico e scontroso che sia mai esistito.

Dopo la morte del suo socio, Jacob Marley, Scrooge è diventato l'unico padrone della sua ditta. La sola cosa che gli interessi è accumulare più denaro possibile. Non gli interessa nient'altro. Non si cura del suo unico impiegato, il buon Bob Cratchit, padre di una numerosa famiglia, costretto a subire, per una paga misera, le angherie e la maleducazione di Scrooge, tanto taccagno da non voler spendere neanche i soldi per il carbone da mettere nel caminetto dell'ufficio, sempre freddo come una cripta. A Scrooge non interessa neanche il suo unico nipote, Fred, che, a dispetto del caratteraccio dello zio, non manca di venirlo a trovare e, ogni Natale, di invitarlo a pranzo a casa sua. Men che meno si preoccupa dei poveri della città, costretti a mendicare, a stare in lugubri prigioni a causa dei loro debiti, a morire di stenti. Meglio così, secondo il signor Scrooge, in questo modo si evita il sovraffollamento… tanto per farvi capire quanto gelo ci sia nel suo cuore. Come dice giustamente il nipote Fred, la prima vittima del terribile comportamento dello zio è proprio Scrooge stesso. Taccagno com'è, vive in una casa spoglia, con soltanto la mobilia essenziale, fredda, perché Scrooge non vuole spendere in legna e carbone, con pochi vestiti e consumando sempre lo stesso misero e solitario pasto a base di pappa d'avena. Insomma, pur essendo ricco, Scrooge vive come quei poveri che tanto disprezza, solo per poter accumulare altro denaro. Il denaro per il denaro: questa è il suo unico pensiero. Scrooge non pensa minimamente al fatto che "l'ultimo vestito è senza tasche", ossia che sta passando tutta la sua vita senza piaceri, gioie o distrazioni, solo ad accumulare denaro che, una volta morto, non potrà portare con sé. Bisogna che qualcuno glielo faccia presente, prima che sia troppo tardi, prima che la sua vita finisca senza che Scrooge l'abbia vissuta veramente.

Questo compito è affidato al fantasma del suo socio, Jacob Marley, l'unico che è stato qualcosa di simile ad un amico, da quando Scrooge ha cominciato ad accumulare denaro. La sera della vigilia di Natale, giusto sette anni dopo essere morto, lo spirito di Marley si manifesta a Scrooge. Con le buone e con le cattive, Marley cerca di convincere il suo vecchio amico a cambiare il proprio modo di comportarsi. Altrimenti, avrà lo stesso destino di Marley. Ormai fantasma, egli vaga senza pace per la terra, facendo parte di quella schiera di spettri, il cui tormento "consisteva chiaramente nel desiderio di intervenire, per fare del bene, nelle questioni umane, e nell'averne perso per sempre la possibilità". Marley annuncia a Scrooge che riceverà la visita di tre spiriti, il Fantasma del Natale Passato, il Fantasma del Natale Presente e il Fantasma del Natale Futuro. Questi tre spiriti condurranno Scrooge in un viaggio attraverso i Natali della sua vita, quelli già passati, quello che verrà quest'anno e quelli futuri. Alla fine del viaggio, l'uomo non sarà più lo Scrooge di prima…


Cantico di Natale

Charles Dickens

Traduzione di Federigo Verdinois

1843


La fine della storia


- A quanti ne siamo del mese? - disse Scrooge. - Quanto tempo sono stato tra gli Spiriti? Non lo so. Non so niente. Sono come un bambino. Non preme. Non me n'importa. Così lo fossi, bambino! Olà! eh! olà! -


Fu arrestato nelle sue effusioni dalle campane che mandavano all'aria i più lieti squilli che avesse mai uditi. Bom, bam, din, don, dan! Dan, don, din, bom, bam! Oh, che armonia, oh, che gloria!


Corse alla finestra, l'aprì, mise fuori il capo. Niente nebbia: un'aria limpida, cristallina, gioconda; un freddino salubre, pungente; un sole d'oro; un cielo di zaffiro; freschetto, non freddo; e quelle campane, così allegre, così allegre! Oh, bello, magnifico!


- Che è oggi? - gridò Scrooge ad un ragazzetto che passava con indosso gli abiti della festa e che forse s'era fermato per guardarlo.


- Eh? - fece il ragazzo spalancando la bocca dalla maraviglia.


- Che è oggi, bambino mio? - ripetè Scrooge.


- Oggi! - rispose il ragazzo. - È Natale, oggi.


- È Natale! - disse Scrooge a sé stesso. - Bravo, sono in tempo. Gli Spiriti hanno fatto ogni cosa in una notte. Possono fare quel che vogliono. Si sa. È naturale. Ohe, bambino!


- Ohè! - fece il ragazzo.


- Sai dov'è il pollaiolo, nella via appresso, alla cantonata?


- Sfido io! l'avrei da sapere, - rispose il ragazzo.


- Che ragazzo di talento! - esclamò Scrooge. - Un ragazzo non comune, perbacco! Sai se ha già venduto quel tacchinaccio che teneva ieri in mostra sospeso pel collo? non quello piccolo, no; il tacchino grosso.


- Quale? quello grosso come me? - domandò il ragazzo.


- Oh, che amore di un ragazzo - esclamò Scrooge. - È un piacere a discorrerci. Sì, proprio quello, piccino mio.


- È sempre appeso com'era.


- Sì? davvero? Ebbene, corri subito a comprarlo.


- Fossi grullo! - ribatté il ragazzo.


- No, no, - disse Scrooge, - parlo sul serio. Corri a comprarlo, e dì che lo voglio, che gli darò io l'indirizzo dove l'hanno da portare. Torna con l'uomo tu, che ti darò uno scellino. Torna in meno di cinque minuti, che ti darò mezza corona! -


Il ragazzo partì come una freccia. Ci volea una mano ben gagliarda per scoccare una freccia a quel modo.


- Lo manderò a Bob Cratchit! - borbottò Scrooge, fregandosi le mani e scoppiando dal ridere. - Non ha da sapere chi glielo manda. È due volte Tiny Tim. Uno scherzo magnifico, oh, magnifico! -


Non era ferma la mano nello scrivere l'indirizzo, ma bene o male lo scrisse, e andò giù ad aprir la porta, e per esser pronto all'arrivo del tacchino. Stando così ad aspettare, fu tratto dal guardare il picchiotto.


- Gli vorrò bene finché avrò vita! - disse carezzandolo. - Non ci avevo guardato mai. Che espressione simpatica e onesta! che bel picchiotto davvero!... Ecco il tacchino. Olà! ehi! Come state? Buon Natale! -


Era un tacchino davvero! Non si potea reggere in gambe, un uccellaccio come quello lì; le avrebbe spezzate in un minuto come bastoncelli di ceralacca.


- Perdinci! è impossibile portare cotesta roba fino a Camden Town, - disse Scrooge. - Dovete prendere una carrozzella. -


Il riso con cui disse questo, e il riso con cui pagò il tacchino, e il riso con cui pagò la carrozzella, e il riso con cui diè la mancia al ragazzo, furono soltanto sorpassati dal riso che lo prese tutto mentre si lasciava andare senza fiato sul suo seggiolone, e rise, e rise fino a che scoppiò a piangere.


Non era agevole il radersi, perché la mano gli tremava sempre; e il radersi richiede un po' di attenzione, anche quando non ballate, facendovi la barba. Ma se pure si fosse mozzato la punta del naso, vi avrebbe appiccicato un pezzo di taffettà e sarebbe stato contento come una pasqua.


Si vestì, col meglio che aveva, e uscì per la via. La gente si riversava fuori, com'egli l'avea vista con lo Spirito del Natale presente. Camminando con le mani dietro, Scrooge guardava a tutti con un sorriso di soddisfazione. Era così allegro, così irresistibile nella sua allegria, che tre o quattro capi ameni lo salutarono: "Buon giorno, signore! Buon Natale!" E Scrooge affermò spesso in seguito che di tutti i suoni giocondi uditi in vita sua, i più giocondi, senz'altro, erano stati quelli.


Non era andato lontano, quando si vide venire incontro quel signore dignitoso che era entrato il giorno prima al banco, domandando: "Scrooge e Marley, se non erro?" Si sentì una trafittura al cuore, pensando all'occhiata che quel signore gli avrebbe rivolto; ma subito vide quel che avea da fare, e lo fece.


- Mio caro signore, - disse, affrettando il passo e prendendolo per le mani. - Come state? Spero che abbiate fatto una buona giornata ieri. Molto gentile da parte vostra. Tanti auguri pel Natale, signore!


- Il signor Scrooge?


- Sì. È il mio nome. Temo che vi suoni ingrato. Permettete che vi domandi scusa. E vorreste aver la bontà...


E gli bisbigliò qualche parola all'orecchio.


- Dio misericordioso! - esclamò il signore soffocato dallo stupore. - Mio caro signor Scrooge, parlate sul serio?


- Ma sì, ma sì. Non un soldo di meno. Ci metto dentro molti arretrati, capite. Mi farete questo favore?


- Mio caro signore, - rispose l'altro stringendogli forte la mano, - io non trovo parole per una tale muni...


- Basta, basta, prego! - interruppe Scrooge. - Venite da me: Volete?


- Certamente! - esclamò il vecchio signore con tutta l'effusione della verità.


- Grazie, - disse Scrooge. - Vi sono obbligato davvero. Mille e mille grazie. Arrivederci! -


Andò in chiesa, passeggiò per le vie, guardò alla gente che andava su e giù, carezzò i bambini sul capo, interrogò i mendicanti, spiò nelle cucine, alzò gli occhi alle finestre, e trovò che ogni cosa gli potea far piacere. Non avea sognato mai che una passeggiata o altra cosa qualunque gli potesse dare tanta felicità. Verso sera, si avviò alla casa del nipote.


Passò davanti alla porta una dozzina di volte, prima di sentirsi il coraggio di salire e bussare. Ma si fece animo e bussò.


- È in casa il padrone, cara? - domandò alla ragazza. Una bella ragazza, parola d'onore.


- Signor sì.


- Dov'è, carina?


- È in sala da pranzo, signore, con la signora. Venite di qua, se vi piace, nel salottino.


- Grazie. Mi conosce, - disse Scrooge mettendo la mano sulla maniglia del tinello. - Entrerò qui, bambina mia. -


Spinse leggermente e s'insinuò col viso per l'uscio socchiuso. Marito e moglie osservavano la tavola sfarzosamente imbandita, perché cotesti giovani sposi sono meticolosi in certe materie e vogliono che tutto vada a capello.


- Fred! - disse Scrooge.


O Signore Iddio, come trasalì la nipote! Scrooge avea dimenticato pel momento di averla vista a sedere in un cantuccio co' piedi sullo sgabello, altrimenti per nulla al mondo l'avrebbe spaventata a quel modo.


- Oh povero me! - esclamò Fred, - chi è mai?


- Io, son io. Tuo zio Scrooge. Son venuto a pranzo. Mi vuoi, Fred? -


Volerlo! Poco mancò che non gli stroncasse un braccio. In capo a cinque minuti, Scrooge si trovava come a casa propria. Niente di più cordiale. E lo stesso la nipote. E lo stesso per Topper, quando arrivò. E lo stesso per la sorella pienotta, quando fece la sua entrata. E lo stesso tutti. Che amore d'una brigata, che giuochi, che accordo, che piacere!


Ma il giorno appresso si recò di buon mattino al banco, oh di buon mattino! Se gli riusciva di arrivarci prima di Bob e di rinfacciare a Bob il ritardo! Questo voleva fare, questo gli premeva.


E lo fece, sicuro che lo fece! L'orologio suonò le nove. Niente Bob. Le nove e un quarto. Niente Bob. Era in ritardo di diciotto minuti e mezzo. Scrooge se ne stava a sedere, con la porta spalancata, per vederlo a insinuarsi nella sua cisterna.


Prima d'aprir l'usciolo, Bob si avea tolto il cappello e il famoso fazzoletto. In un baleno, si trovò sullo sgabello, e si diè a scribacchiare in fretta e furia come per riafferrare le nove che erano passate.


- Ohe! - grugnì Scrooge con la solita sua voce chioccia per quanto gli riusciva di fingere. - Che vuol dir ciò? a quest'ora si viene in ufficio?


- Mi dispiace molto, signore, - rispose Bob. - Sono in ritardo.


- Siete in ritardo? - ripeté Scrooge. - Lo vedo che siete in ritardo. Favorite di qua, vi prego.


- È una volta all'anno, signore, - si scusava Bob, uscendo dalla sua cisterna. - Non accadrà più. Sono stato un po' in allegria ieri sera, signore.


- Bravo, adesso ve la do io l'allegria, disse Scrooge. - Non son più disposto a tollerare, capite. Epperò - e così dicendo balzava giù dal suo sgabello e dava a Bob una manata così forte nel panciotto da farlo indietreggiare barcollando, - epperò io vi aumento il salario! -


Bob tremò e si accostò un po' più alla riga. Ebbe un'idea momentanea di darla sulla testa a Scrooge; tenerlo saldo; chiamar gente; fargli mettere la camicia di forza.


- Buon Natale, Bob! - disse Scrooge battendogli sulla spalla con una cordialità schietta, da non si poter sbagliare. - Un Natale, Bob, molto più allegro di quanti non ve n'ho augurati per tanti anni, ragazzo mio. Vi cresco il salario e farò di tutto per assistere la vostra famiglia laboriosa, e oggi stesso, Bob, oggi stesso discuteremo i vostri affari davanti a un bel ponce fumante. Accendete i fuochi e andate subito, mio caro Bob, a comprare un'altra scatola di carboni, prima di mettere un altro solo punto sopra un i.


Scrooge fu anche più largo della sua parola. Fece quanto avea detto, e infinitamente di più; e in quanto a Tiny Tim, che non morì niente affatto, gli fu come un secondo padre. Divenne così buon amico, così buon padrone, così buon uomo, come se ne davano un tempo nella buona vecchia città, o in qualunque altra vecchia città, o paesello, o borgata nel buon mondo di una volta. Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch'egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro.


Con gli Spiriti non ebbe più da fare; ma se ne rifece con gli uomini. E di lui fu sempre detto che non c'era uomo al mondo che sapesse così bene festeggiare il Natale. Così lo stesso si dica di noi, di tutti noi e di ciascuno! E così, come Tiny Tim diceva: "Dio ci protegga tutti e ci benedica".


Tutta la storia la trovi qui



 

lunedì 10 dicembre 2007



Questo è più di un colibrì.


Un assaggio:


14 righe (su Repubblica del 2 dicembre). Tre operai extracomunitari, di cui uno regolare e due clandestini, travolti e uccisi da un pullman di pellegrini sull'autostrada del Sole. Trafiletto in cronaca, non firmato.


Calabria. Cacciati successivamente: il giudice, il maggiore dei carabinieri, il consulente del giudice e il vescovo locali. Nessuno di loro deve ritenersi perseguitato per il proprio impegno antimafioso. Ciascuno è stato mandato via per ottime e indiscutibili ragioni, che solo per una sfortunata coincidenza si sono presentate tutte in una volta per tutti quanti insieme.


SOS Italia


 SOS, EUROPE

Save our souls, Europe! (I bis)


Da spedire per posta ai due indirizzi, separatamente.


Alla Commissione Europea

(all'attenzione della Segreteria generale)

B-1049 Bruxelles - Belgio


Al Consiglio d'Europa

Avenue de l’Europe

67075 Strasbourg Cedex - Francia


OGGETTO: Segnalazione alla Commissione Europea e al Consiglio d’Europa di atti e comportamenti discriminatori posti in essere dallo Stato Italiano ai danni dei cittadini non credenti o credenti in religioni diverse da quella cattolica, o anche cattolici dissidenti, chierici e laici, messi a tacere o estromessi dal Vaticano con l'aiuto del braccio secolare.


Spedite oggi 4 lettere (Paola e il Barba). Il corsivo dell'oggetto è un'aggiunta nostra.

Il testo sotto, al post del 4 dicembre.


Durante un incendio nella foresta,


mentre tutti gli animali fuggivano,


 un colibrì volava in senso contrario


con una goccia d'acqua nel becco.


"Cosa credi di fare" - gli chiese il leone.


"Vado a spegnere l'incendio!" -


rispose il piccolo volatile.


"Con una goccia d'acqua?" -


disse il leone con un sogghigno di irrisione,


ed il colibrì, proseguendo il volo, rispose


"lo faccio la mia parte".


(Poesia letta dai bambini durante la festa dell'accoglienza (battesimo laico) in Piazza dell'Isolotto, domenica 10 giugno 2007)


 

domenica 9 dicembre 2007

sabato 8 dicembre 2007

Racconto dal vero

Franz Kafka

La paura (inedito)



«Nome, cognome, data e luogo di nascita?».

«Frédéric, Chaussoy, nato il 22 marzo 1953 a Boulogne-sur-Mer».

«Fedina penale?».

«Pulita».

«Beh! Forte come inizio...».

Guardo il poliziotto, senza capire. Pianta i suoi occhi nei miei per rispondere alla mia domanda silenziosa:

«Omicidio…».

È come se mi avesse appena mollato un pugno nel plesso solare. È pazzo! Provo a riprendere il discorso, impassibile:

«Per un omicidio, ci vuole una premeditazione, no?».

«Assolutamente. La premeditazione, dottore, è la riunione di reparto che lei organizza appena prima di passare all’azione…».


Sento il mio corpo farsi piccolo sulla sedia, e la mia mente volare in frantumi. In pochi secondi, il panico invade tutto. Non riesco più a riflettere. E non posso nemmeno andarmene.

Rivedo il viso stravolto di Marie-Christine quando mi ha teso la convocazione ufficiale giunta a casa qualche giorno prima. E sento la disinvoltura con la quale le ho risposto:

«Non ti preoccupare, vogliono soltanto la mia testimonianza. E non ho niente da nascondere…».


E poi rivedo la muta di giornalisti che mi aspettava questa mattina davanti al commissariato. Non ho capito perché fossero lì. Né da dove potessero tirare fuori domande così stupide.

«Dottor Chaussoy, quale sarà la sua reazione se sarà trattenuto in stato di fermo?».

«Rinnoverà le sue dichiarazioni? Ritiene ancora di essere lei ad aver ucciso Vincent Humbert?».

«Ha preso un avvocato?».

«È favorevole a una legge sull’eutanasia?».

«Le è stato spiegato cosa avrebbe rischiato, in caso di processo?».

Li ho presi per dei pazzi, ad aver immaginato cose così inverosimili. Stato di fermo, e cosa ancora? Sono qui in quanto testimone, per dare il mio punto di vista professionale sui fatti. Non c’è ragione per farne un caso, né la notizia d’apertura del telegiornale delle venti…


Quando finalmente sono riuscito a entrare nel commissariato, l’ho trovato sordido. Tutto sembrava vecchio e grigio, un po’ scrostato, un po’ sfasciato… Ho pensato a Marie Humbert. Era in stato di fermo, qui, in questo luogo sinistro e gelido, quando ha appreso la morte di suo figlio. Meno confortevole di così, non vedo proprio. Tranne, forse, una cella di prigione…


E poi, ho fatto conoscenza col tenente incaricato di interrogarmi: austero e severo. Quando mi ha fatto sedere, ho notato, entro una cornice sistemata accanto al telefono, le foto di due bambini. I suoi bambini, certamente. Una traccia di gioia. In un angolo, dietro la mia sedia, ho fatto in tempo anche a scorgere una specie di paletto, saldamente fissato al suolo, dalla cui cima pende un paio di manette. Mi sono detto che era probabilmente lì che legavano gli individui ricalcitranti, o pericolosi, per interrogarli.

Ha lasciato che mi sistemassi. E poi ha attaccato. E in due frasi, mi ha messo ko.


E se fossi io, il pazzo? Se questa convocazione fosse in realtà l’inizio di un incubo, e mi ritrovassi in stato di fermo, come nelle serie televisive in cui uno va dai poliziotti per denunciare il furto dell’autoradio e non riesce più a uscirne? Non ho immaginato neanche per un secondo che questa storia potesse prendere una svolta di questo tipo. Non ho ancora pronunciato una sola parola di ciò che ho da dire, ed è già lì, che prova a incastrarmi parlandomi della riunione di reparto… Sono venuto per testimoniare, e mi tratta come un imputato. Non come un imputato qualsiasi, no, come un imputato per il quale ha già deciso che è colpevole. Infatti, lo ha dichiarato lui stesso: come un assassino. Agli occhi di quest’uomo che rappresenta la legge, non sono un cittadino, ma un assassino. Cosa sono venuto a fare qui, e come riuscirò a tirarmi fuori da questo agguato?

Alle mie spalle, sento la presenza del paletto con le manette. Un momento fa, mi è sembrato sinistro, ma adesso mi fa paura.

«Allora, dottor Chaussoy. Se cominciassimo dall’inizio?».


Da professionista agguerrito, il tenente ha allestito la scena, prima di cambiare tono. Il resto del colloquio si svolge in un clima di fredda cortesia. Mi concentro sul motivo per il quale sono venuto qui: dare dei fatti la versione più esatta possibile. Mi ascolta per quello che è, un ufficiale di polizia giudiziaria che fa il suo mestiere, con molta tecnica e pochissima benevolenza. Pertanto è lo stesso tono che adotto anch’io: tecnico e preciso. Professionista, anch’io. Senza stati d’animo. Fornisco la mia testimonianza in modo circostanziato, provando a non dimenticare niente, la rianimazione di Vincent, la stabilizzazione delle sue condizioni, lo studio della sua cartella, la riunione di reparto, la decisione di staccare la spina, la prima iniezione, la seconda iniezione, il decesso. Non ho nessun motivo per mentire, e so che gli altri membri dell’équipe e il referto dell’autopsia corroboreranno le mie dichiarazioni.

Parlo, e lui batte a macchina. Quando ha un dubbio su quanto ha capito, mi fa ripetere. E quando non sono abbastanza preciso per i suoi gusti, scava con una o due domande. Dura un’eternità, due ore, almeno. E poi, a un certo momento, dice che è finito, spinge verso di me i fogli che ha appena scritti a macchina, e mi chiede di rileggerli con attenzione prima di firmarli.

Lo faccio. È il racconto freddo e lapidario di un caso nel quale, tutto sommato, dovrebbe trattarsi soltanto di anima e umanità. La storia del mio incontro con Vincent e con sua madre, trasformata in un rapporto tecnico. La descrizione di un atto medico, spogliata di qualsiasi considerazione esistenziale. Il contrario assoluto del mio modo di vedere la vita, e di esercitare il mio mestiere…


Col morale sotto le scarpe, siglo ogni pagina e firmo in calce all’ultima. Mi sento, anch’io, svuotato di qualsiasi sostanza umana.

Raccoglie i fogli e si alza; mi prega di seguirlo e mi conduce verso un altro ufficio, dove mi accoglie un altro suo collega, piacevole. Sguardo sincero, sorriso cordiale. Come cambia! Aspiro voracemente la prima boccata della sigaretta che mi offre. Ho l’impressione di essere di ritorno da un brutto viaggio, senza essere ancora veramente arrivato. Nessuno mi spiega cosa stia succedendo, ma lo so benissimo. Nell’ufficio accanto, sento il fax ansimare mentre trasmette la mia deposizione all’ufficio del procuratore. Ne prenderà conoscenza e deciderà del seguito degli avvenimenti.



Omicidio.


Nella mia testa, le idee corrono a cento all’ora, non riesco a controllarle. Marie-Christine aveva ragione: come sono fatto, che non riesco mai a stare zitto? Bastava dire che Vincent era morto in seguito a una complicanza, sarebbe convenuto a tutti e non se ne sarebbe più parlato. Si fa presto a dire che non se ne sarebbe più parlato… Il procuratore l’aveva previsto: «Istruirò per omicidio». Sono sicuro che non mollerà, quello. Non potevamo, però, lasciare Vincent rinchiuso nella sua carcassa per i prossimi quarant’anni, e sua madre in prigione per tentativo di omicidio.


Sì, potevamo.

D’altra parte, altri non hanno esitato, e non sono messi così, oggi. E i miei figli stessi, in questa storia, che ne sarà di loro? Se mi imprigionano, chi pagherà la casa, gli studi e tutto il resto? Marie-Christine se la caverà, è forte, dalle situazioni difficili è sempre venuta fuori bene. Ma non si è meritata niente di tutto ciò. E se caso mai mi vietassero di esercitare la mia professione, cosa sarà di me? Non avrei mai dovuto raccontare tutto ciò a quel tenente di polizia. Avrei dovuto tacere, e fare chiamare Antoine, il mio amico avvocato. Perché non ho chiesto che chiamassero Antoine? Non sono un assassino.

Trovato qui



Vincent, pompiere volontario di diciannove anni, la sera del 24 settembre 2000 ha uno scontro frontale con un camion e dopo nove mesi di coma si sveglia tetraplegico, muto e quasi cieco. Nonostante gli atroci dolori, con l’aiuto del pollice riesce a scrivere una supplica al presidente Chirac – Le chiedo il diritto di morire – che scuote l’opinione pubblica e poi a dettare un libro con lo stesso titolo (pubblicato in Italia dall’editore Sonzogno). Lo aiuteranno – nel terzo anniversario dell’incidente – la madre Marie e il dottor Chaussoy.


Vincent è morto nel settembre 2003.



Frédéric Chaussoy,  Non sono un assassino. Il caso “Welby-Riccio” francese, Edizioni di Lucidamente/inEdition editrice, pp. 176, € 10,00)

Il racconto kafkiano lo trovi a pag.95.