Giancarlo Fornari
LiberaUscita
Associazione nazionale laica e apartitica
per la legalizzazione del testamento biologico
e la depenalizzazione dell'eutanasia
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LA VITA, LA MORTE, IL TESTAMENTO DI VITA. LA LEZIONE DEL DR. CHAUSSOY
Brani tratti dal libro “Non sono un assassino” pubblicato da Libera uscita e da InEdition edizioni
(v. sotto il Post Racconto dal vero di F.Kafka)
Dobbiamo sapere anche fermarci nella lotta contro la morte, con dolcezza e rispetto, quando si è provato troppo a prolungare la vita, e questa diventa indegna.Ci vorranno tempo prima che la nuova legge (la legge Leonetti, approvata in Francia sull’onda dell’emozione suscitata dal caso Vincent Humbert) entri in vigore a tutti gli effetti, e tanti mezzi per creare reparti, interni o esterni, di cure palliative.
Bisognerà formare del personale, modificare delle abitudini e cambiare le mentalità. Imparare a parlare della morte non come se fosse una sconfitta, ma come una realtà alla quale si possono portare dei miglioramenti. A partire dal momento in cui non viene più negata la sua esistenza, si può finalmente cominciare a occuparsene in modo sensato!
Anche se ci vorranno ancora degli anni prima di trasformare in profondità le idee e i fatti; anche se viene presentata, dagli oppositori dell’eutanasia, come un’alternativa esclusiva che non ammette alcuna discussione; anche se lascia senza soluzione il venti per cento di malati il cui dolore resiste a qualsiasi terapia; anche se rifiuta di prendere in considerazione tutti gli ammalati che soffrono ma non sono in fin di vita, questa legge ha il merito di esistere.
Tutte queste macchine sono state inventate per impedire agli uomini di morire, giusto il tempo che i medici facciano il necessario per curarli e che l’organismo recuperi le capacità di vivere in modo autonomo.
Spesso, funziona. Ma, quando non funziona, bisogna pur risolversi a staccare la spina. Un uomo attaccato al respiratore non cessa mai di respirare, fin tanto che la macchina continua a funzionare. E allora? Cosa fare?
Che le cose siano ben chiare, anche se ci disturbano: in numerosi casi, la gente che muore nei reparti di rianimazione, superattrezzati di macchine per la vita, muore perché a un certo momento è stata presa la decisione di non utilizzare più queste macchine per mantenerla in vita.
E non è tutto. Quando si decide di fermare le macchine, cosa succede?
Nei film le spie luminose cessano di lampeggiare sul monitor e l’ammalato rende l’ultimo respiro, finalmente tranquillo. Durante un telegiornale, in cui si parlava di Vincent, ho perfino visto l’immagine di una presa maschio che veniva staccata dalla presa femmina, in una camera d’ospedale. Fine della puntata! Come se fosse così semplice!
Si dà il caso che la realtà sia più dura. Il più delle volte, l’ammalato si mette a soffocare. Morirà per asfissia. Morirà, è certo. Ma non subito. Ci vuole tempo, per l’asfissia. Il corpo umano non cede così facilmente. Si batte, per istinto. Cerca l’ossigeno di cui ha bisogno e che non ha più i mezzi per trovare.
In alcuni reparti, chiudono la porta della camera, giusto il tempo che “questo” accada. A volte le infermiere, alle quali la situazione sembra insopportabile, vengono a supplicare il medico di “fare qualcosa” perché “questo” cessi. A volte il medico risponde loro di “fare il necessario”. E a volte lo “fa” lui stesso.
E la morte, a chi appartiene?
La mia vita è questa realtà: il venti per cento dei pazienti che mi sono affidati muoiono in un reparto nel quale, nondimeno, disponiamo di attrezzature sofisticate che sarebbero capaci di prolungare la loro esistenza per un lunghissimo lasso di tempo. Ci prendiamo cura di questi pazienti e delle loro famiglie. Tentiamo tutto quello che è in nostro potere per riportarli in vita. E quando siamo al limite delle nostre possibilità, quando non abbiamo più nessun progetto terapeutico da proporre, ne informiamo le famiglie, con rispetto e attenzione.
Centocinquantamila pazienti sono ogni anno, in Francia, staccati dalle loro macchine per vivere. Centocinquantamila morti premeditate decise collegialmente dalle équipe mediche!
Il codice penale ha una sola risposta: omicidio premeditato. Ma le azioni giudiziarie, fortunatamente, sono rarissime. Centocinquantamila assassini sono quindi in libertà.
Ecco perché la legge deve evolvere. È ora che i legislatori lo capiscano: staccare una macchina non è necessariamente un crimine; farlo dopo averne discusso con tutte le persone interessate non costituisce di certo un fattore aggravante; e vegliare a che la fine di un malato condannato sia dolce è, prima di tutto, una prova di rispetto e di umanità.
Un medico può accompagnare la morte senza essere un assassino…
In Belgio, in Svizzera, in Germania, in Austria, in Danimarca, in Spagna, in Inghilterra, la legge protegge la volontà scritta di un malato che non sia più in grado di esprimersi. Questo viene chiamato “testamento di vita”. L’idea è semplice: ogni persona adulta e in pieno possesso delle sue facoltà può scrivere, nero su bianco, in un documento firmato da due testimoni e revocabile in qualsiasi momento, il modo in cui desidera essere trattata in caso di incidente o di malattia che la privi di qualsiasi mezzo di espressione o di coscienza. Le sue volontà vanno rispettate… nel limite autorizzato dalla legge, ovviamente…
L’idea è semplice, ma non così tanto. Innanzi tutto, suppone che uno accetti di assuefarsi alla prospettiva della propria morte. Di ammettere che possa capitare e di esserne cosciente al punto da essere capace di scriverlo. In un mondo nel quale si “scompare” invece di morire, ciò rappresenta già un lungo cammino da percorrere!
E poi, cosa fare d’un testamento di vita che richiede un atto proibito dalla legge? In un paese nel quale un malato cosciente non può ottenere da un medico un’iniezione per porre fine alle proprie sofferenze, come riconoscere che un malato incosciente ne abbia il diritto?
Per adesso, in Francia, il testamento di vita potrebbe tutt’al più precisare una ferma volontà che la medicina non si accanisca a rianimare.
Ma nella maggior parte dei reparti, da molto tempo, la medicina non si accanisce più del dovuto…
Vincent si è dato la pena di dettare, col dito, una specie di testamento di vita di duecento pagine, venduto in libreria. Era perfettamente esplicito sulle ragioni per le quali voleva porre un termine alla sua esistenza. Eppure, un medico legale e un procuratore della Repubblica mi accusano d’averlo assassinato…
Il testamento di vita è una buona idea perché mi rafforza nella giustezza della mia decisione: ho rispettato la volontà del mio paziente.
Tutti i lettori del libro di Vincent possono attestarlo… Nessun bisogno di aspettare l’avvento di una legge perché ognuno di noi scriva il suo testamento di vita! Anche se, per adesso, questi documenti non hanno nessun valore legale, potrebbero per lo meno illuminare i medici sulla volontà di un paziente che giunge da loro incosciente, o incapace di comunicare. Potrebbero suffragare in modo formale la richiesta dei familiari. Potrebbero, soprattutto, concedere al paziente la libertà di essere l’attore della propria storia, anche se privo di qualsiasi mezzo espressivo…
Anche se la legge non lo riconosce ancora, credo che il testamento di vita sia una buona idea. Un modo di dare a ciascuno il tempo di riflettere sulla propria fine, in mancanza della possibilità di poterla scegliere; un mezzo responsabile e adulto per affrontare la propria morte, come la propria vita. E non di lasciarne le redini alla famiglia, a un’équipe medica, o addirittura a un procuratore della Repubblica… ( Frédéric Chaussoy)
PS. Consiglio da amico: stampa la biocard elaborata dalla Consulta di Bioetica di Milano. La puoi compilare e tenere da parte. Nel caso, per esempio, di ricovero in ospedale, puoi disporre che sia allegata alla cartella medica.
Questo il sito:
http://www.consultadibioetica.org/documenti/biocard.PDF
Lo puoi fare da privato cittadino; non occorre essere iscritti a nulla. Comunque Barbabianca ti invita e fargli compagnia come socio in Libera Uscita.
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