Due giorni nello Yemen
Domenica 16 Dicembre 2007
Alle 8 dal porto di Saleef dove è attraccata la nostra nave partono 60 jeep per dirigersi a Sa’ana. Il primo tratto è pianeggiante, lungo la costa. Siamo diretti a nord. Mi sembra essere ritornata ragazzina quando viaggiai alla fine della guerra con mio zio Giovanni capitano dell’esercito di sussistenza diretti da Firenze a Milano. Come allora mi sembra un’avventura: allora mi aspettava un’Italia distrutta dalla guerra, ma qui troverò il medioevo.
Ci si inoltra tra quelle che sembrano montagne mentre in realtà sono un grande altopiano. Gli strati rocciosi sono orizzontali e le acque dilavanti attraverso le ere geologiche hanno scavato queste valli che qui chiamano uidian (uadi al singolare) e successivamente insieme all’azione erosiva del vento hanno dato origine a formazioni rocciose particolari. L’insieme è grandioso, il colore delle rocce giallastro, il cielo è già azzurro intenso, l’aria con il progredire dell’altezza si fa più fine. Dobbiamo arrivare a 3100 metri di altezza. Non mi aspettavo di trovare nello Yemen un paesaggio che vagamente mi ricorda quello delle Montagne rocciose negli USA visto nei film western americani e in certi punti il Gran Canon. Passiamo alcuni centri abitati e qui avviene il primo impatto con la gente: le donne tutte vestite di nero, velate che viaggiano sole o in coppia : una sottile fessura lascia vedere gli occhi neri, belli. Gli uomini sono vestiti nel modo più diverso, raramente all’occidentale, spesso con una sottana a portafoglio al ginocchio, con giacchetto e camicia e in testa i loro copricapo e affollano insieme alle pecore le strade che attraversiamo. Bambini e bambine belli ci salutano lungo queste strade diremmo commerciali dove si aprono tuguri con esposta merce di tutti i tipi, non per turisti e che ritroveremo in tutto il paese. Ma è qui che il traffico diventa più caotico. Un vero carosello all’incrocio delle strade: non esistono semafori, ciascun autista fa quello che vuole e può fare, vista la confusione, lo strombettio dei clacson che sembra abbiano un loro linguaggio segreto, le urla degli autisti che si gridano da un’auto all’altra..
Il nostro autista è bravissimo, superbo con il qat che mastica per non sentire la stanchezza e le sigarette che fuma una dietro l’altra. Fa anche lui quello che vuole, per tenersi unito alle altre jeep, mentre riceve ordini dalla guida Sharif che sapremo poi essere di origine somala , ma vissuto per molto tempo a Napoli.. E’ un tipo dai capelli bianchi lunghi, vestito alla yemenita ma con un giacchetto senza maniche all’occidentale, che conosce bene l’italiano. Ma quando dobbiamo mangiare a Manakha cominciano i primi guai. Si vede che lo Yemen non è ancora organizzato per ricevere tutti insieme 240 turisti, anche se sono scaglionati. Per noi ancora non è pronto. Il gabinetto è moderno, ma già fatiscente. Mangeremo come abbiamo fatto a Gadames in Libia accovacciati sui cuscini intorno al grande tappeto. Per ora c’è solo lo yogurt e molte banane. Poi dopo un tempo che per noi sembra interminabile, perché abbiamo fatto colazione presto, arriva il pasto: riso, verdure cotte, dolce al miele veramente squisito.
Poi partenza per Al Hajarath con case a più piani in pietra arroccate sulla montagna. Tutto è rude e gentile: rude come il paesaggio, gentile come le decorazioni a ricamo che abbelliscono questi che vengono definiti “grattacieli di pietra”, I bambini si affollano intorno a noi,vogliono vendere cartoline, cappellini per uomo.Sono molto carini, affettuosi, hanno insegnato loro delle frasi in italiano, in inglese. Ma perché non sono a scuola? Mi dispiace molto per loro.
Il viaggio in jeep riprende. Grandiosi scenari si aprono intorno a noi. Le case a forma di fortino o a fortezza si vedono isolate nelle montagne, dello stesso colore delle rocce. Farebbero felici tutti gli ambientalisti, perché sono perfettamente inserite nell’ambiente.. Sono ancora abitati e da chi? Ma il nostro autista conosce solo qualche parola di inglese. La strada sempre asfaltata sale, poi discende e così per molte volte.. Molti gli autocarri che sorpassiamo: sono carichi di pecore o di persone. Mi ricordano cosa succedeva in Italia nei mesi successivi alla fine della guerra quando anch’io per andare a visitare i parenti al nord con mia mamma facendo autostop siamo saliti su gli autocarri dopo aver lasciato mio zio Giovanni.
Alle cinque vediamo finalmente Sa’ana nella sua conca dorata. Dopo una periferia con palazzi moderni, un po’ anonima si arriva all’unica porta delle mura che circondano la città vecchia: è l’unica che è rimasta e lì c’è il grande mercato e lì un caos totale, indescrivibile.. Attraversare la strada tra le auto che strombettano, cercare di non perdere di vista la guida in quella confusione senza sapere in quale albergo dovremo andare se ci perdiamo, ci crea un certo panico. Ci infiliamo nelle strade del mercato circondato da bei palazzi con le finestre decorate come un ricamo. Ma io devo guardare per terra dove sacchetti di plastica, fogli di carta, selciato sconnesso mi impediscono di camminare tranquilla. E’ un brulicare di gente locale, ragazzi che trainano carriole nelle viuzze e ridendo gridano “taxi”. Ogni tanto si apre una piazzetta da dove si aprono vedute sulla città dorata. Perché siamo già vicino al tramonto.
In una di queste trasalisco: ma questi sono negozi simili a quelli che ho visto in alcune stampe dell’epoca esserci state in piazza Signoria e San Firenze: un vano quadrato, il venditore seduto dietro un parapetto che vende qualcosa di poco ingombrante. Siamo proprio nel medio evo!! Ora ci portano in una corte con ballatoio dove Pasolini ha girato alcune scene di “Mille e una notte”. E’ Pasolini infatti che ha divulgato nel mondo intero la bellezza di questa città e l’ha fatta dichiarare “patrimonio universale” dall’Unesco. E di qui i restauri fatti dagli italiani. Pasolini divulgatore di terre lontane dove ha girato i suoi film (in Cappadocia la “Medea”), Pasolini uomo colto e intelligente, fine cultore della letteratura medioevale popolare.. Mi ricordo che negli anni sessanta vidi in TV un documentario in bianco e nero girato da giornalisti italiani che ci parlavano di Sa’ana,città dove ancora non erano arrivate le radio. Ora ho scoperto che la televisione è arrivata qui da pochi anni e quando venne proiettato per la prima volta una telenovela egiziana ci fu un grande scandalo perché un uomo e una donna si baciavano. E l’Egitto è uno stato musulmano…
Finalmente risaliamo sulla jeep e arriviamo all’albergo: saloni immensi, alti soffitti, pavimenti in marmo lucidissimi, camera lussuosa con mobili in stile.
Sapremo più tardi che questi sono i giorni appena precedenti la grande festività musulmana che cade quest’anno proprio vicino al nostro Natale. Si festeggerà la fine del mese del pellegrinaggio alla Mecca, festività in cui si mangia l’agnello in ricordo del sacrificio di Isacco . Ecco il perché dei tanti agnelli, della confusione indescrivibile, di tutti quei vestitini larghi per le bambine che avevo visto al mercato e che ricordavano i miei di quando ero bambina, naturalmente con le dovute differenze.
La mattina dopo sveglia alle 6 e ¼, partenza alle 7 per il museo. Grande perdita di tempo per la disorganizzazione.. poi visita alla città, delizia dei fotografi, perché ogni angolo ha un suo fascino. Alle 11 partenza per Aden e qui ancora scenari grandiosi, costruzioni simili a fortezze abbarbicate sulle montagne. La strade sale a tornanti strettissimi, per poi discendere e così per molte volte. Qui sulle pendici dei monti vi sono terrazzamenti adibiti alla coltivazione del qat, questo arbusto di cui gli yemeniti masticano le foglie perché dà loro un certo vigore come le foglie di coca sulle Ande. Molti uomini hanno una guancia deformata da una palla di qat che sporge come un’arancia da una guancia.. Qui c’è qualcosa che ricorda Machu Pichu e me lo confermeranno alcune persone che ci sono state. A un certo punto si apre una larghissima conca ad imbuto, profondissima, ci saranno più di mille metri di dislivello. Un certo brivido. E se una delle auto dovesse sbandare, chi ci ripescherebbe laggiù in fondo? Con tutti i corvi che vediamo saremmo per loro un pasto prelibato..
Finalmente si arriva ad un albergo un po’ moderno dove possiamo mangiare seduti sulle seggiole e tutto ci sembra molto buono.
Di nuovo in cammino perché ci sono altre tappe da fare. Ad Jiblah io non scendo. Luciano andrà lui a fare le fotografie e dirà al ritorno che ho fatto bene a stare sulla jeep perché la strada era troppo scoscesa.. Ci attendono altre tre ore e mezzo di viaggio. Oramai ci siamo abituati al solito spettacolo, al traffico impazzito nei tratti dove si apre un mercato, alle donne doppiamente velate perché un altro velo copre gli occhi, ai bambini belli che non vanno a scuola, forse perché domani è festa. Cominciamo a desiderare il letto che ci attende nella nostra nave dove potremo stendere le membra rattrappite., ma vedo che siamo tutti contenti. Lo Yemen è stato un paese per troppo tempo isolato dal mondo occidentale, che ora si vuole aprire al turismo di massa, perché loro non hanno il petrolio e sono costretti ad emigrare negli altri paesi arabi.
Ma cosa sarà questo paese tra dieci, venti anni? Ho forse fatto in tempo a vederlo così nella sua vita medioevale, con l’unica differenza che ci sono tante automobili, scassate a dire il vero, e la luce elettrica? L’acqua potabile no, perché soprattutto nella strada del ritorno molte erano le donne con le loro brocche in testa e gli asinelli o i muli con le taniche d’acqua. Arretratezza, ma quale dolcezza in quelle figurine da presepe…
Ringrazio dell'accoglienza nel tuo blog Orni
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