SOS, EUROPE
Save our souls, Europe! (III)
MECCANISMI SACRIFICALI
Conservo la lettera di un lettore fiorentino al quotidiano della sua città (La Nazione, 12 aprile 1997) e l’assumo a portavoce di questo rinsavimento religioso dovuto ad una crescita umana: "La Bibbia ci racconta di Abramo che, su sollecitazione di Dio, si apprestò a sacrificare a Lui la vita dell’innocente Isacco, suo figlio. Al contrario in epoca successiva è la Provvidenza stessa ad organizzare un sacrificio umano nella persona di Cristo, il giusto per eccellenza". Lo scrivente conclude: "I cattolici o concepiscono Dio come bontà assoluta o alla stregua di Moloch, il Dio feroce e sadico che godeva delle sofferenze altrui, per ammansire il quale i sacerdoti fenici dovevano offrirgli continuamente sacrifici umani".
Il rifiuto dell’idea sacrificale dalla terra sale fino al cielo.
una religione che coltivi meccanismi sacrificali e, quindi, di morte non è certamente accreditata a guidare un’umanità che voglia programmarsi in nome del rispetto e all’incremento della vita. A ben pensarci la vittima ha nelle religioni la sua collocazione più innaturale, perché le religioni dovrebbero offrire una zona franca da perversioni, una patria del bene.
Sacrificio, quindi, che non toglie ma dà vita. Sacrificio che, quindi, occorre prendere in accezione diversa e opposta a quella indicata dall’arcaico codice vittimale.
Dovremmo tenerlo molto presente anche e soprattutto in rapporto al "sacrificio della messa" nel quale è insidioso continuare a nutrirsi di "ostia", cioè di "vittima", cioè del Figlio ucciso per volontà del Padre, cioè continuando a far fare brutta figura al Padre voglioso di sangue e brutta figura anche al Figlio trascinato dal suo tragico destino; cioè esponendoci a perseguire imitazioni dannose ai singoli e alla collettività. Lo stesso J. Ratzinger - ma trenta anni fa (Concilium, 1967, 4, pp. 83-96) - faceva sua la convinzione di J. Bietz che il sacrificio di Gesù "non deve essere interpretato primariamente dal punto di vista della tecnica sacrificale ma come martirio a partire dalla donazione totale della persona".
"Non voglio sacrifici".
Lo gridavano i profeti ( Os 6, 6; Am 5, 22ss ; Is 1,10-16; Sal 40, 7-9; 50, 8-15). Forse i profeti di allora si sarebbero accontentati di sacrifici sinceri e di sacrifici di animali ( il WWF non era ancora sceso in campo!) invece che di umani: il capretto al posto di Isacco. Già molto rispetto ai loro contesti storico-culturali.
Oggi occorrono profeti che gridino la fine di qualsiasi vittima, di qualsiasi idea sacrificale. Senza porre riserve, senza concedere niente alla morte (e anche alla mortificazione!) anche di uno solo per il bene e la salvezza anche di molti.
La lettera integrale di Martino Morganti la trovi qui.
Martino Morganti, nato a Pistoia nel 1927, frate minore dal 1943, è laureato in diritto Canonico (Pontificio Ateneo Antoniano) e in Liturgia (Pontificio Ateneo S.Anselmo). Ha insegnato per circa quindici anni nello Studio Teologico Francescano di Fiesole e nel Seminario Maggiore di Firenze ed ha tenuto lezioni e corsi di liturgia in molti istituti e diocesi. Ha pubblicato alcuni volumi in proprio o con altri e collaborato a varie riviste. Dal 1969 al 1979 ha diretto Studi Francescani, diventata rivista di vita religiosa postconciliare. Nel 1969, insieme con alcuni confratelli, ha dato vita, a Livorno, ad una "piccola fraternità" inserita nelle condizioni di esistenza e di lavoro della gente, diventando operaio a tempo pieno. Dal 1971 vive l’esperienza delle CdB (Comunità livornese di p.za del Luogo Pio, ex via Mentana). È mancato l'11 settembre 1999.
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