mercoledì 5 dicembre 2007

Dal complotto al complottismo


DAVID BIDUSSA

Quando la Storia si smarrisce è l’ora del complottismo

in “il Riformista”, 5 dicembre 2007, p. 1


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Chi è convinto che tutta la realtà sia il risultato di complotti realizzati o in atto, vive contemporaneamente una doppia condizione: di angoscia e di sollievo. Angoscia perchè pensa di essere prigioniero di forze oscure; sollievo perché niente è incomprensibile. Sapere di essere vittime di complotti rende la propria vita eroica, anziché banale, perché arricchita e motivata dalla “consapevolezza di una missione”. Una condizione alternativamente di pessimismo vittimizzato (qualsiasi cosa si faccia non cambierà) e di volontarismo superomista (chiamare a raccolta tutti per liberarsi dall’oppressione).

La lotta al complotto ha anche un altro aspetto: quella di “lotta per la verità”. Chi crede ai complotti ritiene di sapere la verità per due motivi: perché dimostrare il contrario non è possibile e comunque proprio quello che andrebbe dimostrato – l’esistenza del complotto – si dà per acquisito; come tutte le lotte per la verità, sa che troverà resistenze, opposizioni. La prima vittoria contro il complotto è l’estensione di coloro che si convincono della sua esistenza.

E’ questo un meccanismo mentale che Karl Popper in Congetture e confutazioni (il Mulino) aveva individuato con precisione e opportunamente quelle pagine specifiche costituiscono il punto di partenza de Il complotto. Teoria, pratica, invenzione ( a cura di Ranieri Polese. Guanda 216 p., € 22,00) e il nucleo delle riflessioni culturali proposte nel volume sia da Giulio Giorello che da Umberto Eco.

Iniziativa opportuna, quella coordinata da Polese. Il complotto, infatti, è un’occasione (riuscita) per riflettere sulle nostre fantasie e misurare i meccanismi della nostre paure.  Perché pensiamo, in molti sempre più spesso al complotto? cosa intendiamo quando usiamo questa parola? a cosa la associamo? E soprattutto, quella parola corrisponde sempre allo stesso contenuto?

E’ indubbio che il complotto è tornato protagonista nel nostro immaginario a partire da come abbiamo provato a spiegarci la scena delle “Twin Towers” (si veda p.e. 11/9, la cospirazione impossibile, a cura di Massimo Polidoro, Piemme). Un protagonismo che discende dalla perdita di leggibilità del presente che a molti appare come la conseguenza della perdita di razionalità dello sviluppo storico. Una sensazione che probabilmente è anche effetto del modo con cui precedentemente ci eravamo convinti della fine della storia in seguito al crollo del Muro di Berlino. La storia invece, non è finita allora e il seguito non è stata una marcia di avvicinamento al bene.

L’idea che il mondo sia pieno di complotti nasce, dunque, da questo senso di smarrimento: dal pensare che la storia non abbia più un senso di marcia. Ma questa condizione non dice ancora come il complotto o la cospirazione acquistano forma nelle proiezioni mentali di molti. Soprattutto non indica una differenza tra la visione popolare del complotto e della cospirazione quale si è diffusa nell’antichità e poi fino alla modernità e cosa indichi oggi l’idea – o l’ossessione – del complotto nell’immaginario collettivo.

C’è un’immagine stabilita del complotto che si definisce nella letteratura, nel cinema e nella storia dall’antichità fino al Novecento, come ricordano Franco Cardini, Claudio Carabba, Ranieri Polese. Che sia il gioco in borsa, la curva altalenante dl dollaro o la strana vicenda dell’Aids,  ogni volta l’immagine è quella della minaccia esterna che colpisce gli interessi legittimamente rappresentati.

Una dinamica che delinea l’immaginario del complotto nelle società tradizionali.  A lungo il complotto è stato “il tentativo violento, fraudolento, oscuro di conquistare il potere o comunque di aggredirlo, da parte di chi ne era escluso”. Ma la spiegazione è molto cambiata, come spiega Leopoldo Fabiani.

Pensare al complotto oggi, significa raffigurarsi “l’azione di potenti che cercano di mantenersi in vetta con mezzi criminali”. E’ questo cambiamento a segnare il passaggio dalle cospirazioni al ‘cospirazionismo’, assumendo ora una concezione dove ‘tutto è complotto’, dove solo questo conta, dove la politica consiste sostanzialmente nel congiurare con qualunque mezzo, anche e soprattutto illecito, per conservare o conquistare il potere e tenere all’oscuro i cittadini sulle proprie azioni. Un passaggio che non riguarda solo la spiegazione “oscura” della realtà, ma anche giustifica la mobilitazione dei nuovi populismi, fondati sull’antipolitica, il cui postulato non è il rifiuto della politica, ma la chiamata a raccolta contro la politica istituzionalizzata intesa come macchina complottistica popolata da perfidi Robinson che tengono in ostaggio tutti gli ingenui Venerdì della “società civile”.

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