Ho finito di leggere (attentamente) "Una trilogia palestinese" di Mahmud Darwish (Feltrinelli, Milano, 2014); sto mettendo insieme appunti e riflessioni di cui voglio dare un anticipo a chi ha l'avventura di capitare da queste parti. Il primo pezzo è una scelta di brani, il secondo lo chiamo il fattore DD, Dante Darwish.
Pubblico il primo e rimando il secondo al prossimo post.
Le pagine indicate sono quelle del libro.
Mahmud Darwish
Una trilogia palestinese
vorrei un
funerale con mazzi di rose rosse e gialle vorrei che a celebrare fosse qualcuno
di poche parole con la voce un po' roca, qualcuno che sappia simulare
sufficiente tristezza e che alterni la sua orazione alla registrazione della
mia voce; vorrei un funerale tranquillo semplice e partecipato. Pag.159
1 - DIARIO DI
ORDINARIA TRISTEZZA p.19
Pag.7 Quando, nel 1973, dà alle stampe
diario di ordinaria tristezza, Darwin
ha trent’anni , ha pubblicato
cinque raccolte di poesie e, al termine di un biennio scivolato via tra gli
studi all’Università di Mosca e un lungo soggiorno al Cairo, ha preso casa a
Beirut. Prima aveva sempre vissuto in Palestina. In Palestina era nato, in
Palestina aveva trascorso infanzia e adolescenza, in Palestina aveva studiato,
era diventato un giovane uomo e aveva dato forma alla sua coscienza
politica. Prima profugo, poi presente-assente e arabo di Israele senza
cittadinanza, più volte incarcerato più
volte condannato agli arresti domiciliari nella sua casa di Haifa, aveva patito
nella sua carne la condizione vissuta della sua gente: l’esilio, l’esilio in
patria, la sete di libertà, le miserie del vivere quotidiano, l’atroce dolore
della disfatta del giugno 1967.
Pag, 8 Con diario di ordinaria tristezza
chiude quella che i critici chiamano la fase rivoluzionaria patriottica
del suo percorso poetico, una fase che si era inaugurata nel 1964 con la sua
poesia forse più famosa:
carta d’identità :
scrivi sono arabo
defraudato delle vigne dei miei
avi
E della terra che coltivavo
Insieme ai miei figli
A noi e a tutti i nostri posteri
Non hai lasciato
Che queste pietre.
Più tardi
nel 1987 quando pubblica memoria
per l’oblio Darwish
ha lasciato Beirut e dopo una breve sosta prima a Tunisi poi al Cairo vive a
Parigi.
L’altro, il nemico, lo straniero
Il rapporto
di M. D. con l’altro il nemico lo straniero è parte importante dell’analisi
dell’opera di M. D.
p.13 L’altro, per D. non è solo Rita. L’altro
sono tutte le persone, illustri e sconosciute, che pervicacemente allinea una
accanto all’altra nel secondo e terzo capitolo di diario di ordinaria tristezza in cui la denuncia dell’ideologia
sionista e le distorsioni del pensiero politico sono supportate da una profonda
conoscenza della società e della psiche israeliane.
p. 54 - il senso di colpa
Nella
letteratura ebraica moderna si trovano vari esempi di trasfigurazione del senso
di colpa. Tuttavia è un sentimento che emerge dalla fiducia in se stessi, una
sorta di confessione del più forte, fuori dai denti, in cui forza e vittoria si
mescolano a un velo di cipria liberalista e umanista, ma solo molto più tardi e
a strage avvenuta. E a ogni modo non sta a significare né pentimento nel
rammarico. Somiglia molto di più ai monologhi interiori dell’assassino, a
omicidio commesso. Come, per esempio, l’intellettuale americano che descrive la
tragedia dei pellerossa simpatizzando con i vinti.
v. Ioshua,
Di fronte ai boschi, Torino 1999 p.52-54
Cosa significa la parola patria:
55
La carta
geografica non ha la risposta perché somiglia molto più a un disegno astratto.
La tomba di tuo nonno non è una risposta, perché un boschetto può farla
scomparire. Non hanno occupato soltanto la terra e il lavoro, ma anche la tua
psiche, il tuo carattere e quello che ti lega alla patria tanto da farti
sorgere domande sul significato di patria.
Ti hanno
strappato la terra da sotto i piedi, così l’hai nascosta sotto la pelle. Ti
hanno torturato, ma hai confessato un amore ancora più folle per quel che ha
causato la tua tortura.
Sotto lo
stridio delle catene, l’alienazione che ti viene da ogni singolo giorno, si
trasforma in una tregua con il vento. In prigione ti abbraccia la libertà, in
prigione ti riempi anche di patria. La lotta è la risposta. Se combatti
appartieni a qualcosa. La pace è lotta. Tra valigia e memoria non c’è altra
soluzione che la lotta. Diritto, libertà, appartenenza, merito si dichiarano
soltanto con la lotta.
Palestina ( vedi pagine 39-57).
42 - molto
presto la parola Palestina è diventata proibita. Se tu ammetti di essere venuto
dal Libano sei considerato un infiltrato clandestino: non ottieni più la carta
d’identità. A cinque minuti di distanza da questo paese passa la strada che da
Acri porta a Safed. Per te non è una
strada, ma un confine che divide la terra del tuo esilio e del tuo rifugio
dalla tua patria. A sud della strada c’è la terra di tuo padre e di tuo nonno
oggi coltivata da immigrati ebrei yemeniti. Nel momento in cui sono arrivati lì
definendo il loro destino e quello dei loro figli, in quello stesso momento
hanno definito anche il tuo destino. Nel momento in cui loro sono diventati
cittadini tu sei diventato profugo.
44 Un soldato israeliano, un poeta, mi ha
raccontato che soltanto un giorno in vita sua si era sentito straniero in
Palestina, quando era entrato in un paese arabo in Cisgiordania dopo la guerra
del 1967. Era in uniforme e per strada aveva visto una bambina che lo guardava
in modo da fargli tremare la terra sotto i piedi. Da quegli occhi, da quello
sguardo inspiegabile si era reso conto che lui era un occupante.
…Scontro
tra due memorie
p.117-120 Silenzio
per Gaza
Si è legata
l’esplosivo alla vita e si è fatta esplodere. Non si tratta di morte, non si
tratta di suicidio.
È il modo
in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Gaza non si
vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio.
Lei offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e verso il suo
sangue.
Gaza non è
un fine oratore, non a gola. È la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il
sudore, le fiamme.
Per questo,
il nemico lo odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini
e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo
gli amici suoi cari la mano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e
talvolta la paura, perché Gaza e Barbara lezione e luminoso esempio sia per i
nemici che per gli amici.
Gaza non è
la città più bella.
Il suo
litorale non è più blu di quello di altre città arabe. Le sue arance non sono
dei migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è
la città più ricca.
(Pesce,
arance, sabbia, tende abbandonate dal vento, merce di contrabbando, braccia
noleggio.)
Non è la
città più raffinata, nella più grande, ma equivale alla storia di una nazione.
Perché agli occhi dei nemici è la più ripugnante, la più povera, la più
disgraziata, la più feroce di tutti noi. Perché è la più abile a guastare
l’umore e il riposo del nemico ed il suo incubo. Perché arance esplosive,
bambini senza infanzia, vecchi senza vecchiaia, donne senza desideri. Proprio
perché, nella più bella, la più pura, la più ricca, la più degna d’amore tra
tutti noi.
Facciamo torto a Gaza quando la
trasformiamo in un mito, perché potremmo odiarla scoprendo che non è niente di
più di una piccola e povera città che resiste. Faremmo torto a Gaza se la
glorificassimo. Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non
verrà da noi, non ci libererà. Non ha cavalleria, né aeronautica, né bacchetta
magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo
solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi
invasori.
Gaza ha
circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari.
La
resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La
resistenza a Gaza non si è trasformata in una istituzione.
Non ha
accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino alla firma né
al marchio di nessuno.
La ferita
di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
Per questo
Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per
questo sarà un tesoro etico e morale
inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa
bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico. Né il modo di spartire
le poltrone nel congresso nazionale, né la forma di governo palestinese che
fonderemo nella parte est della luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà
completamente esplorato. Niente la distoglie. È dedita al dissenso: fame e
dissenso, site e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e dissenso, assedio e
dissenso, morte e dissenso.
I nemici
possono avere la meglio sul Gaza.
Il mare
grosso può avere la meglio su una piccola isola.
Possono
tagliarle tutti gli alberi.
Possono
spezzarle le ossa.
Possono
piantare i carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei:
non
ripeterà le bugie.
Non dirà sì
agli invasori.
Continuerà
a farsi esplodere.
Non si
tratta di morte, non si tratta di suicidio. Ma è il modo in cui Gaza dichiara
che merita di vivere.
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed.,
2014, p.117-120)
Scritto nel 1973!
p. 46 L’olocausto e sua utilizzazione a fini politici
Non
dimenticare le stragi naziste è un dovere di tutti, non soltanto degli ebrei.
Qualsiasi livello di antagonismo arabo-israeliano si sia raggiunto, nessun
arabo ha il diritto di simpatizzare con il nemico del proprio nemico, perché il
nazismo è nemico di tutti i popoli. E questa è una cosa.
Però
Israele sfoga i suoi rancori su un altro popolo chiedendo ai palestinesi e a
qualsiasi altro arabo di pagare il prezzo di crimini che non hanno commesso. E
questa è un’altra cosa.
Gli
israeliani si vantano di fronte al mondo di essere i primi profughi ed esiliati
nella storia dell’umanità, fino al punto di trasformare questo attributo in un
segno distintivo. Però sono completamente incapaci di comprendere che anche
altri possono possedere lo stesso senso.
Non è crudele
affermare che il comportamento dei sionisti contro il popolo palestinese è
paragonabile alle pratiche naziste applicate contro gli stessi ebrei.
Non è crudele affermare che il comportamento
israeliano e quello del movimento sionista nei rapporti internazionali
strappano proprio di bocca il commento:
commerciano con il sangue delle vittime ebree. Con i soldi e
l’equipaggiamento ricevuti in risarcimento delle vittime del nazismo uccidono
un altro popolo.
Dunque non
è crudele nemmeno affermare che il modo in cui Israele commemora le vittime del
nazismo è caratterizzato dal ricatto emotivo; in quanto saturare gli israeliani
tramite il senso dell’olocausto spinto all’eccesso e contemporaneamente tramite
il bisogno di vendicarsi non del proprio carnefice ma di un’altra vittima,
ossia il popolo palestinese, è un obiettivo politico.
il sionista
arrogante non si vergogna di vantare che la perdita di 6 milioni di ebrei, o
giù di lì, gli è valsa una patria.
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed.,
2014, p.46-47)
p.121 a tarda notte il mondo va a dormire.
Uccidiamo la memoria
Così il
mondo va a dormire e mi dimentica.
Non
svegliare la vittima, potrebbe gridare.
Chi l’ha
svegliata? Chi è stato?
Un vento
che soffia all’improvviso, rianima i morti.
Da dove
soffia?
Da ogni
direzione, dalla patria.
Chi ha
insegnato loro questo termine desueto?
Poeti che
cantano al suono del rababà.
Uccideteli.
Li abbiamo
uccisi, ma hanno inventato un altro termine: libertà.
Chi ha
insegnato loro questo termine sedizioso?
Ferventi
rivoluzionari.
Uccideteli.
Ne abbiamo
uccisi, ma hanno imparato un’altra parola: giustizia.
Chi ha
insegnato loro questo termine?
L’oppressione.
Possiamo
uccidere l’oppressione?
Se
annientate l’oppressione, annientate voi stessi.
Che facciamo?
Uccidiamo
la memoria.
Pag. 139
2 - MEMORIA PER
L'OBLIO
Pag. 9 Memoria per l’oblio è un testo polifonico che accosta discorsi
diretti e indiretti, monologhi interiori, narrative contrapposte, sogni,
descrizioni, poesie e articoli di giornale, citazioni delle sacre scritture,
esegesi mussulmana, storiografia araba e non araba, lessicografia e letteratura
europea.
Il caffè. 154
Ecco, sto
tornando al mondo. Nelle vene mi scorre una stimolante droga, un fiume di vita
nata dal matrimonio tra caffeina e nicotina, una cerimonia officiata dalla mia
mano.
Conosco il
mio caffè, il caffè di mia madre, il caffè dei miei amici. Non esistono due
caffè che si somiglino e il mio panegirico del caffè è come un'apologia della
diversità.
L'odore del
caffè è un ritorno, un rientro nell'elemento primigenio, perché rimanda
l'essenza del luogo d'origine; è un viaggio iniziato migliaia d'anni fa ed
eternamente ripetuto. Il caffè è un luogo. Il caffè è una porosità da cui
l'interno traspira all'esterno, è un'interruzione che unisce quel che solo
l'odore di caffè può unire. Il caffè l'antitesi dello svezzamento, è una
mammella che nutre da lontano, un mattino che nasce da un sapore amaro, è
l'arte della virilità. Il caffè è
geografia.
L'acqua
165
mi importa
poco di quel che succede al di là del vetro. Bombe. Missili. Sirene. Aerei.
Corazzate. Mi soffiano contro come soffia il vento. Piovono come pioggia che
cade. Sussultano come farebbe un terremoto. La volontà umana non può far nulla
per fermarli, pare sia un destino ineluttabile. Sui nostri corpi, oggi, si sta
testando ogni nefandezza che l'ingegno umano ha potuto partorire e, in
aggiunta, tutto un bagaglio di innovazione tecnologica. Sarà il giorno più
lungo della storia? Nessuno lava i morti, siano quindi i morti a lavarsi da sé.
Col sangue, intendo, visto che l'acqua è introvabile. Faccio sempre tesoro, io,
delle mie preziose riserve idriche, utilizzo ogni goccia con estrema
parsimonia. Ogni goccia ha il suo ruolo. Le conto, quasi. 500 per lavarmi i
capelli. Duemila per il corpo. 100 per la bocca. 100 per farmi la barba. 20 per
ogni orecchio. 50 per ogni ascella via di seguito. Ogni goccia ha il suo
pezzetto di corpo.
166
L'acqua è
aria in gocce, palpabile, tangibile, pegno di luce. È per questo che i profeti
hanno voluto che i loro popoli la amassero: dall'acqua
abbiamo fatto germinare ogni cosa vivente(Corano, 21º, 30).
A Tell
al-Za’tar i cecchini aspettavano le
donne palestinesi vicino all'acqua, vicino alle condutture bucate, esattamente
come fanno i cacciatori quando braccano le gazzelle assetate. Acqua assassina.
Acqua che diluisce il sangue di gente disidratata, disposta a rischiare la vita
pur di inumidirsi le labbra. Acqua che ha mosso i re degli arabi e li ha
costretti loro malgrado a telefonare al presidente americano per proporre uno
scambio vantaggioso: sangue in cambio dell'acqua. Petrolio in cambio dell'acqua.
Noi stessi in cambio dell'acqua.
Il rumore
dell'acqua è come uno schiamazzo di nozze, più forte, molto più forte di
qualsiasi aereo. Il rumore dell'acqua fa da specchio alle vene della terra che
vive, il rumore dell'acqua è libertà. Il rumore dell'acqua è umanità.
179
Nell’area
invasa, sul mare invaso, sulla montagna invasa e sulle sue distese di pini
continuano a piovere bombe, bombe di paure primordiali; la cacciata di Adamo
dal paradiso terrestre si inserisce nella moltitudine di storie che raccontano
un esodo. Non ho patria, non ha più corpo. Continuano a piovere bombe sui
cantici di gloria, sul conversare di morte che scorre nel sangue come luce che
infiamma domande gelide. I missili mi penetrano in ogni poro della pelle e ne
escono indenni. Non sento l’inferno che l’area diffonde, perché lo respiro, lo
sudo in ogni goccia di sudore.
179 Voglio
cantare
sì, esatto,
voglio cantare questo giorno bruciato. Voglio cantare. Trovare le parole che
muteranno la lingua in acciaio dell’anima, una lingua che sappia battere questi
aerei, questi insetti d’argento scintillante. Voglio cantare. Inventare una lingua che mi sostenga e che
sosterrò, la lingua che mi dia prova e a cui darò prova della forza che ci
abita, una forza capace di trionfare sulla solitudine universale. Voglio
cantare e poi andar via.
197
quante incongruenze tra noi
palestinesi.
Ci sono
interi uffici con tanto di aria condizionata e saloni di rappresentanza che
servono solo a diffondere calunnie maldicenze. Qualche gruppuscolo si è
specializzato nel commercio di martiri: ce ne servirebbero altri 20 per
portarci al livello.
E così si è
combattuto per accaparrarsi un martire di cui non si conosceva l’affiliazione.
Si è messo a morte un combattente perché ha rifiutato di sparare a un amico che
militava in un’altra organizzazione. Si è buttato il suo cadavere in un pozzo
abbandonato e lì è rimasto finché un una veggente non l’ha ritrovato.
p.200 Begin
come Giosuè (VI,16-26)
v. testo…
223 Paolo
Rossi
Anche noi
amiamo il calcio. Anche noi abbiamo il diritto di amare il calcio. E abbiamo il
diritto di assistere alla partita. Perché no? Perché non sfuggire un po’ alla
routine della morte? In un rifugio, siamo riusciti a procurarci l’energia
elettrica usando alla batteria di un’automobile. In un battibaleno Paolo Rossi
ci ha trasmesso la gioia che ci mancava. È un uomo che, in campo, si vede solo
dove conviene che lo si veda. Un diavolo smilzo che noti solo dopo che ha
segnato la rete, esattamente come un aereo da bombardamento si vede solo dopo
che i bersagli sono esplosi. Dove c’è Paolo Rossi c’è un gol, c’è un’ovazione.
Poi lui scompare, oppure si nasconde per aprire nell’aria un varco per quei
suoi piedi pronti a cercare le buone occasioni, a portarle a maturazione, a
raggiungerle in un picco di voluttà. Non è mai chiaro se sta giocando a calcio
oppure facendo l’amore con la rete, una rete ritrosa che lui, sul torrido campo
spagnolo, tenta e seduce con una raffinata galanteria italiana. Che lusinga
come farebbe un gatto in calore. E poi, infine, ecco che Paolo Rossi, sotto gli
occhi dei guardiani della virtù, un imene di 10 uomini posto a protezione della
verginità della rete, ecco che Paolo Rossi avanza, avanza in un impeto di
lussuria, avanza, muscolo d’aria, e sfonda. Ed ecco che la rete, incapace di
resistergli, si rilassa e si arrende al suo ineffabile stupro.
225-229 in quell’anno i franchi conquistarono Gerusalemme
Ibn Kathir (1301-1373) l’inizio e la fine.
229 presso
i franchi non c’è ombra di senso dell’onore e di gelosia.
Usama ibn
Munqidh (1095-1188), Il libro dell’ammaestramento con gli esempi.
238 i
tacchi alti e l’amore in tempo di guerra
sbatti i
tuoi tacchi alti sulla pietra delle scale e maciulla le pareti del mio cuore
facendone pastura per i cani randagi. Ah, quanto mi piacciono i tacchi alti che
fanno stendere le gambe in un assoluto di femminilità pronta a esplodere, che
rimpiccioliscono il ventre, lo fanno arcuare quando è raggrinzito per la sete,
che arrotondano i seni e li fanno passare alti e superbi sopra le teste dei
passanti al cui desiderio si negano. I tacchi alti fanno sì che il collo si
tenda come quello di un cavallo quando sta per precipitare in un baratro, fanno
sì che la lancia si rizzi su un pulpito d’aria solidificata. Sbatti contro il
selciato con ombrosità di una gazzella che né braccia né parole possono
afferrare. Mostrati pian piano da dietro la porta chiusa. Dall’altro lato c’è
una poltroncina in pelle. Ci potrà reggere, è abbastanza larga per noi due. Ma
non toglierti i vestiti perché la morte non ci veda nudi. C’è tempo solo per un
amore frettoloso, per un sobbalzo di eternità temporanea.
…Non c’è
tempo per l’amore in una guerra a cui dobbiamo solo sorsi di vita.
È insito nella guerra generare lussuria? È
insito nella paura di morire, generare tensione? Amo questo amore senza
chiacchiere, senza belle parole, senza orpelli inutili. Senza tempo per i
rituali che rendono magico separarsi e sciogliersi lentamente dall’abbraccio,
come quando ci si rifugia in una sigaretta fingendo di contemplare gli anelli
di fumo azzurrognolo che disegna. Come quando si guarda l’orologio non tanto
per vedere l’ora, ma per sapere se è tempo che uno dei due furtivamente si
sfili. Amo questo amore che non lascia dolore nei ricordi né cicatrici in
petto. Un amore come un volo di farfalla sulla rosa dell’anima. Un capriccio
che porta il poeta a confondere la donna con il canto.
246 …
Facciamo attenzione alle armi letterarie
capaci di nascondere il loro tradimento e la loro pretesa di santità, capaci di
infrangere i nostri sogni fingendo disgusto per la politica - detto in altri
termini: disgusto per la lotta. Un uso corretto della lingua è diventato
sinonimo di arretratezza, la precisione della metrica regresso. La chiarezza è diventata
una vergogna, la parola e l’effetto della parola sul pubblico inciviltà. Per dirla in breve: siamo in piena
reazione. Lo spirito reazionario, spacciandosi per sinistrorso, si è fatta
avanti con tutto l’armamentario tipico della modernità, stracolmo però di tutte
le teorie sul ritorno al passato.
…E intanto
il figliol prodigo faceva ritorno alla sua comunità confessionale, al suo
ascetismo o al suo esoterismo e dichiarava a gran voce che era pentito di
essersi rovinato la vita partecipando a quei movimenti di liberazione che
avevano prodotto solo difficoltà impreviste e a quella rivoluzione che ha
dimostrato di avere costi troppo elevati.
260… Il cambiamento degli arabi.
Io non
credo, né voglio credere, che la storia del medio oriente continuerà
meccanicamente a ripetere se stessa, né che lo farà per guizzi creativi. Per
quanto gli slogan della moderna politica siano ormai lontani anni luce dai
principi che li hanno generati, per quanto i discorsi siano vuoti di contenuto,
io, comunque, non mi convincerò che il cambiamento degli arabi, che il
progresso degli arabi, verrà dall’esterno, da qualcosa che non sia arabo.
Secondo me, un modello che si prefigge di sedurre con la fede quanti non hanno
fiducia nel presente non può che riportarci a un conflitto che affonda in
questioni non più nostre. E io cosa ho a che spartire con gli errori del terzo
successore del profeta, il califfo Uthman ibn ‘Affan? Ho altre storie, io,
questa non è l’unica che mi riguarda.
3 – IN PRESENZA
D’ASSENZA p.283
Nel 2006,
quando pubblica in presenza d’assenza, Darwish vive tra Ramallah, in Palestina,
e Amman in Giordania. Nell’ultimo decennio si è quasi totalmente liberato della
pressione politica che gli pesava addosso in quanto “poeta nazionale”. Ha
potuto e voluto essere in prima istanza semplicemente un poeta. I critici
chiamano questa fase “lirico-epica” e “dei temi indipendenti”.
Mentre si
interroga sul posto che la Palestina occupa nel mondo, il lirismo intimista e
il lirismo epico si riconciliano nell’immagine del palestinese non più eroe e
vittima, ma come essere umano che anela a una vita banale, semplice,
ordinaria. p.10
p.11 A un certo punto la sua traiettoria poetica
si spinge verso l’alto alla ricerca di un punto di equilibrio in cui prosa e
poesia si avvicinino l’una all’altra, tanto da arrivare a confondersi.
In presenza
di assenza il poeta si sforza di elevare al suo massimo potenziale la prosa in
arabo. Ed è una sorta di addio a se stesso quando si dice:
Allora riposa in pace, se possibile
Riposa in pace nelle tue parole.
la crisalide e la farfalla
p. 287 secondo le tue volontà, eccomi qui, in piedi, a
ringraziare a nome tuo chi è venuto a darti l’estremo saluto per quest’ultimo
viaggio. L’invito a non dilungarsi troppo nel congedo per passare un banchetto
più consono a ricordarti.
Lascia che ti guardi, ora che
ti sei staccato da me, indenne come pura prosa su di una pietra che si tinge di
verde o di giallo in tua assenza, lascia che ti guardi, ora che mi sono
staccato da te. Lascia che raccolga te il tuo nome come fanno i passanti con le
olive dimenticate, nascoste tra i sassolini. Andiamocene insieme, tu e io, in
due direzioni diverse: tu, verso una seconda vita, promessa dalla lingua, in un
lettore che forse sopravviverà all’impatto della cometa con la terra; io, verso
l’appuntamento più volte posticipato con la morte a cui, in una poesia, ho
promesso un calice di vino rosso.
289… Mentre ci separiamo
presso questo limbo dalla vita alla morte, lasciami, dunque, rescindere il
contratto stipulato tra me e te, tra un’assurdità e l’altra. Non sappiamo chi
di noi ha vinto e chi ha perso, se io, tu o la morte.
Tu, mio opposto, sei sempre
alla spasmodica ricerca di un’assurdità necessaria ad allenare lo spirito alla
tolleranza e a esercitare il privilegio di contemplare acqua che ride nelle
fossette, o vola di farfalla in farfalla e crea poesia da ogni viva forza.
Perché la leggerezza, come la rugiada, vince il metallo, lei vergine del tempo,
lei che insegna alle bestie a suonare il flauto.
… Ti hanno buttato fuori dal
campo. La tua ombra, però, non si ha seguito né tradito, si è pietrificata
inchiodata laggiù, poi si è trasformata in una pianta di sesamo: verde di
giorno, blu di notte. È cresciuta fino a diventare alta come un salice, verde
di giorno, blu di notte.
Nonostante tu sia lontano
sarai vicino
nonostante ti abbiano ammazzato vivrai
non credere di essere morto
laggiù
sei vivo qui.
Solo la metafora comprovarlo
la metafora che ha insegnato il gioco delle
parole alle creature
La metafora che adesso
l’ombra geografia
La metafora che raccoglierà
te il tuo nome.
…
Scrivi tu stesso la storia
del tuo cuore
da quando Adamo si è
innamorato
fino a quando il tuo popolo è
risorto.
… Alzati affinché ti porti
avvicinati affinché ti
riconosca
allontanati affinché ti
riconosca.
L’esilio
334 l’esilio non è un viaggio, un andare e
tornare, né un soggiornare nella nostalgia. Forse è visita, attesa degli
effetti del tempo, uscita da se stessi incontro agli altri per fare conoscenza
e stare in armonia o per tornare nella propria conchiglia.
…In
esilio ti scegli uno spazio per domare l’abitudine, uno spazio personale per il
tuo diario e scrivi: il luogo non è trappola possiamo dire:
qui
abbiamo una strada laterale
un
fornaio
una
lavanderia
una
tabaccheria
un
angolino
un
odore che ricorda…
L’esilio
è un ponte tra le immagini per attraversare la fragilità, è il narciso
sottoposto al test della superbia e della modestia al contempo, è la disputa
dei diversi, è l’accordo dei simili. Non tutto ciò che somiglia al laggiù, qui
chi accoglie. Non tutto ciò che qui che rifiuta, laggiù ti accoglie.
p.
335
Le città sono odori:
San
Giovanni d’Acri e l’odore di iodio e spezie,
Haifa,
l’odore di pini e lenzuola sgualcite.
Mosca,
l’odore di vodka con ghiaccio.
Il
Cairo, l’odore di mango e zenzero.
Beirut,
l’odore di sole, mare, fumo e limone.
Parigi, l’odore di pane fresco, formaggi
prodotti di seduzione.
Damasco,
l’odore di gelsomino e frutta secca.
Tunisi, l’odore di muschio notturno e sale.
Rabat,
l’odore d’hennè, incenso e miele..
Gli
esili hanno un odore condiviso: odore di nostalgia per qualcos’altro, odore che
ne rievoca un altro. L’odore del luogo d’origine. L’odore è memoria e tramonto.
Le parole
Le
parole sono le materie prime per costruire una casa. Le parole sono una patria.
(336)
La nostalgia
p.355
La
nostalgia è l’ospite della sera che arriva quando cerchi le tue tracce in quel
che ti circonda e non le trovi, quando un passerotto si posa sul balcone e ti
sembra un messaggio inviato da un paese che, quando si abitavi, non amavi come
la mia adesso che è dentro di te. Prima era aria, terra e acqua, ora è poesia.
La nostalgia è il lamento del diritto incapace di dimostrare la forza del
diritto davanti al diritto della forza.
356…La
nostalgia è il dolore che non ha nostalgia del dolore. E’ il dolore provocato
dall’aria pura che viene dall’alto di un monte lontano, il dolore della ricerca
di una gioia passata.
Però
è un dolore di quelli sani, perché ci ricorda che siamo malati di speranza e
inguaribilmente sentimentali.
L’amore
357
l’amore
è un cammino battuto come il significato, ma impervio come la poesia. Richiede
talento, tenacia e foggia valente perché ha molti gradi. Non basta amare,
quella è una delle magie della natura simile al cadere della pioggia
all’abbaglio del lampo. L’amore che porta su un’altra orbita e poi te la deve
sbrigare da solo. Non basta amare, devi sapere come amare. Hai imparato come?
…360
Tu
sei quello che conosce l’amore solo quando ama e non si chiede cos’è né lo
cerca. Una volta una donna ti ha chiesto se amavi l’amore in sé e per sé, hai glissato
e te la sei cavata rispondendo: amo te. Non ami l’amore?- Ha insistito. E
tu:-ti amo per quello che sei-. Ti ha lasciato, non eri affidabile quando lei
non c’era. L’amore non è un’idea. È un sentimento che riscalda e raffredda, che
viene e va. Un sentimento che prende forma e corpo, che ha cinque sensi e più
sensi. Talvolta ci appare in forma d’Angelo, dalle ali lievi, capace di
sollevarsi in aria. Talvolta ci travolge in forma di toro: ci scaraventa a
terra se ne va. Alcune volte si abbatte in forma di tempesta che riconosciamo
soltanto poi, dagli effetti devastanti che si lascia alle spalle. Altre volte
ancora scende su di noi in forma di rugiada notturna, quando una mano magica
punge una nuvola vagabonda.
La frutta come un’allegoria cerebrale
p.364
La
mela è forma da mordere, senza la punizione della conoscenza.
La
pena è un seno di perfetta proporzione, né più né meno di un palmo di mano.
L’uva
è il richiamo dello zucchero: spremermi in bocca o nei tini.
L’albicocca
il ritorno della nostalgia la sua pallida origine.
La
lancia l’idea che illumina, nella notte, e può essere mangiata sempre.
Il
fico è un paio di labbra che si schiudono con due dita per ricevere erotico
significato in un colpo solo.
Il
fico d’India della vergine che difende il suo tesoro.
La
ciliegia e accorciare la distanza tra il desiderio degli occhi la fregola delle
labbra.
La
mela cotogna alla femmina che litiga per il maschio, lasciando al deluso groppo
in gola.
Il
mango alla bava che cola per visibile piacere.
La
fragola è un insieme di acidi di colore, né rossi né altro, che rinvia lo
scandalo della similitudine.
Il
gelso, con lo zucchero nero, e ricordo del primo bacio.
Il
melograno è rubino celato nell’allusione.
In
viaggio da Ramallah a Gerico.
Il papavero e l’erba.
p.371 La vita è arrivata qui in fuga dal Mar
Morto? Eppure, dalla desolazione del luogo, ecco spuntare papaveri, ecco le
loro piccole corolle affacciarsi dalle rocce grigie e nere. Bastano un po’ di
pioggerellina di luce, a che la vita prevalga sul nulla. Basta un po’ di
speranza di tempo, a che tu attraversi le diramazioni del mito risparmiato dai
destini dei tuoi avi. Prende in prestito alla saggezza dai papaveri e di: non ha
niente a che fare con il nulla, sebbene sia circondato dalla morte.
E
se ti chiedono della forza della poesia rispondi:
-l’erba
non è così fragile come pensiamo. Da quando ha nascosto la sua ombra modesta
nel segreto della terra, non si spezza più. Nell’erba spuntata dalla roccia c’è
il prodigio della parola rivelata dal mistero divino, senza clamore né squilli
di trombe. L’erba è profezia spontanea, senza altro profeta del proprio colore
opposto a quello della terra arida. L’erba è la salvezza del viaggiatore
scampato alla cultura del paesaggio e a un esercito che preclude la strada
possibile. L’erba all’avvicinarsi della lingua significato e il connubio del
significato con l’ospitalità della speranza-.
E
se ti chiedono della lotta tra poesia e morte, guarda l’erba e di quello che
rasenta la verità:-nessuna poesia sconfigge la morte nell’ora dell’incontro,
però può posticipare una per il tempo necessario a saggiare l’utilità del canto
fino alla fine di un lungo concerto, dopodiché il cantante cade nelle mani del
suo cacciatore ritto dietro la porta. Forse nessuno si accorgerebbe della morte
del cantante, se la canzone diventasse collettiva e i compagni di veglia
continuassero il canto. È in quel posticipo, immaginando che la morte se si è
addormentata, i nuovi cantanti si sveglieranno senza badarle affacciandosi su
papaveri che danno loro il benvenuto, come dice picca nei lasciati incompiuti
da pastori di gazzelle, occupati a dare la caccia ai lupi e sciacalli-.
…
All’improvviso, una pioggia leggera bagna la tua anima, bagna le farfalle.
Luce, pioggerella, farfalle che svolazzano radenti alla litoranea. Le farfalle,
pensieri sparsi, sensazioni che volano nell’aria.