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martedì 17 marzo 2015

La situazione dei prigionieri politici palestinesi


La situazione delle carceri israeliane e dei prigionieri politici palestinesi

La situazione all’interno delle carceri per i prigionieri politici Palestinesi peggiora di mese in mese.
Sono diversi i dati che possiamo leggere di questa degenerazione, a partire dal numero stesso dei prigionieri che aumenta proporzionalmente all’intensificarsi dell’occupazione israeliana dei territori.
Come si vede dalle tabelle sotto riportate (tabella 1 - dicembre 2013 e tabella 2 - dicembre 2014), in un anno i prigionieri sono aumentati del 23%.
È importante notare come anche siano aumentati i prigionieri provenienti dall’area Est di Gerusalemme (+122%). Tale intensificazione sta ad indicare un’inasprimento da parte di Israele nei confronti degli abitanti della Città Vecchia, vista sempre più evidentemente come il nuovo epicentro degli insediamenti.
Sono significativamente anche aumentati le detenzioni amministrative. Questo strumento è stato sempre più usato dalle forze israeliane soprattutto in seguito della Seconda Intifada. L’amministrazione detentiva permette ai militari israeliani di trattenere prigionieri senza limiti di tempo e sotto informazioni segrete, senza aver l’obbligo di definire l’accusa o senza permesso di poter partecipare ad un normale processo. Nonostante per le leggi internazionali le detenzioni amministrative dovrebbero essere usate solo in via eccezionale, Israele le usa come routine in modo da poter eludere alle strette leggi internazionali.
La detenzione amministrativa può durare qualche giorno, come nel caso dell’ultima ragazza ventitreenne arrestata a Ramallah solo qualche giorno fa (Lina Khattab), la quale dopo 10 giorni di detenzione amministrativa è stata condannata a 6 mesi di prigione più ad una pena pecuniaria, ma può durare anche mesi, anni, come nel caso di Mohammad Ghazal, che dopo essere stato arrestato ha visto una lunga serie di reiterazioni di detenzioni amministrative (3 mesi + 3 mesi...).
Detenzioni amministrative e detenzioni legali hanno comunque un minimo comune denominatore: le condizioni intollerabili di vita dentro le carceri israeliane.
Ogni diritto umano viene violato, i prigionieri vengono torturati, maltrattati e le condizioni della loro esistenza vengono rese insopportabili.
Vengono sottoposti a mesi interi di isolamento, intesa come misura preventiva, e per questo infatti spesso indirizzata nello specifico a prigionieri politici, ossia a persone attive nel mondo politico e per questo scomode all’interno delle carceri. Ma anche il solitary confinement, che prevede un isolamento totale all’interno di una cella minuscola senza luce e senza aria, con all’interno solo un materasso e un tempo indefinito da trascorrerci dentro.
È inoltre quasi impossibile per le famiglie andare a visitare i propri parenti in carcere. I parenti di primo grado infatti non posso andare a visitare il prigioniero (solo moglie, figli e genitore), e a praticamente nessun uomo in età compresa tra i 16 e i 35 anni viene permessa la visita. Quando possibili le visite possono avvenire una volta ogni due settimane per 45 minuti.
La vita nelle e delle prigioni diventa insostenibile non solo per chi è dentro, ma l’obiettivo è proprio quello di creare un isolamento completo del detenuto, rendendo impossibile anche alla famiglia resistere a questa tortura psichica e fisica.
Tra le ultime, ma non per importanza, cause di violazione dei diritti umani nelle carceri israeliane troviamo la negligenza medica. Oltre alle malsane condizioni di vita all’interno delle carceri (poca luce, dieta non corretta, sporcizia), è fondamentale per un malato poter comunicare, e anche ciò non può avvenire: i medici nelle carceri sono tutti ebrei e non parlano arabo, rendendo impossibile la comunicazione medico-paziente.
Questo si ripercuote negli ultimi casi di sciopero della fame. Sono sempre di più i prigionieri che scelgono la via della resistenza attraverso lo sciopero della fame. Il non rispetto e la violenza delle corti militari israeliane fanno si che anche questi metodi diventino un vero e proprio mezzo di tortura per i prigionieri stessi: a questi ultimi vengono negate infatti le principali cure mediche e i sali minerali di cui, anche se in sciopero della fame, si continuano a nutrire.
Fonte: www.addameer.org

Libertà per Marwan Barghouthi & tutti i prigionieri palestinesi D&R


Campagna Internazionale Libertà per Marwan Barghouthi & tutti i prigionieri palestinesi
D&R 
Chi ha lanciato questa Campagna Internazionale?
La Campagna Internazionale per la liberazione di Marwan Barghouthi e di tutti i prigionieri palestinesi è stata lanciata dalla cella di Nelson Mandela, il simbolo universale della libertà, il 27 ottobre 2013. Questa iniziativa comune tra la Campagna popolare per la liberazione di Marwan Barghouthi e di tutti i prigionieri e la Kathrada Foundation ha segnato la realizzazione della raccomandazione centrale adottata dalla conferenza internazionale “Freedom & Dignity” [“Libertà e Dignità”].
La Conferenza Internazionale “Freedom & Dignity”
Nell’aprile 2013, nell’undicesimo anniversario dell’arresto di Marwan Barghouthi, la Campagna popolare ha organizzato una conferenza internazionale intitolata “Freedom & Dignity”, basata su un invito del Comitato della Leadership nazionale1 composto da leader di tutti i gruppi politici palestinesi e da figure nazionali. La conferenza ha avuto il supporto del Coordinamento palestinese della difesa internazionale dei prigionieri palestinesi2. La conferenza si è svolta a Ramallah, Palestina, il 27 di Aprile (Giorno della Libertà in Sud Africa) ed è stata l’apice degli sforzi internazionali della Campagna popolare, che è iniziata quando Marwan è stato arrestato nel 2002.
Hanno partecipato all’incontro 120 delegati internazionali, inclusi più di 50 parlamentari dall’America Latina, Africa e Europa. Il Presidente del Parlamento Europeo ha mandato una delegazione interpartitica guidata dal Vice-Presidente del Parlamento Europeo. Personalità internazionali hanno mandato lettere di sostegno, incluso l’ex Presidente USA Jimmy Carter, il Segretario generale della Lega Araba Nabil El Arabi, l’ex Ministro degli Esteri francese Hubert Védrine, e l’ex Direttore generale dell’UNESCO Federico Mayor Zaragoza. Anche i Presidenti della Federazione internazionale dei Diritti Umani e della rete dei Diritti Umani Euro- mediterranea erano presenti all’incontro. Ahmed Kathrada, un’icona della lotta anti-apartheid, era l’ospite d’onore. Ha chiesto il lancio di una campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouthi e di tutti i prigionieri palestinesi a Robben Island, ispirata dalla campagna Mandela Libero.
Il lancio di una campagna internazionale dalla cella di Mandela a Robben Island
Ahmed Kathrada ha lanciato la campagna Mandela Libero nel 1962, prima di spendere 26 anni in prigioni di apartheid, inclusi 18 a Robben Island. 51 anni dopo, lui e la sua fondazione,
1
Il comitato di leadership nazionale e’ composto da leaders di tutti I blocchi parlamentari nel PLC (Fatah,
Hamas, PFLP, DFLP, PPP, PI, Independenti e Fida) ed e’ stato costituito nel 2013 per aggiornare gli sforzi per il
rilascio di Marwan Barghouthi e di tutti i prigionieri palestinesi.
2
IIl coordinamento palestinese della difesa dei prigionieri raggruppa istituzioni ufficiali (Ministro degli Affari Esteri e Ministro dei detenuti e degli ex-detenuti) e organizzazioni della societa’ civile (Al Haq, PCHR, Addameer, DCI, Ensan). Il suo scopo e’ coordinare gli sforzi per il rilascio e i diritti dei prigionieri palestinesi.
insieme alla moglie di Marwan, Fadwa, capo della Campagna Popolare, hanno lanciato la Campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouthi e di tutti i prigionieri palestinesi. La delegazione palestinese era composta di rappresentanti del coordinamento palestinese della difesa internazionale dei prigionieri palestinesi e da Luisa Morgantini già Vice Presidente del Parlamento Europeo. Ahmed Kathrada ha anche annunciato la formazione di un comitato internazionale di alto livello (International High Level Committee, IHLC) per la campagna internazionale.
Il comitato internazionale di alto livello e la Dichiarazione di Robben Island
Il comitato internazionale di alto livello (IHLC) è composto da rinomati ex prigionieri, leaders e ex leaders, figure per la difesa dei diritti umani e Laureati del Premio Nobel per la pace. Il comitato IHLC ha emanato un documento, la Dichiarazione di Robben Island per la liberazione di Marwan Barghouthi e di tutti i prigionieri palestinesi, affinché sia firmata da personalità importanti, organizzazioni e cittadini in tutto il mondo.
I Comitati nazionali
Nei paesi dove sono stati creati comitati nazionali, i comitati porteranno avanti la campagna lavorando con istituzioni e organizzazioni della società civile, rappresentanti eletti e cittadini.
Perché Marwan Barghouthi?
Un simbolo nazionale e internazionale
Tutte le campagne per la liberazione dei prigionieri hanno un simbolo. Il caso più emblematico è la campagna Free Mandela durante la lotta anti-apartheid. Ma possiamo pensare anche alla campagna per liberare Angela Davis e tutti i prigionieri in supporto del movimento dei diritti civili americani, o alla campagna per liberare Aung San Suu Kyi in Birmania.
Nel caso della Palestina, Marwan Barghouthi è quel simbolo. Il suo arresto ha portato a una ampia condanna nazionale e internazionale e ha segnato il punto di inizio dell’internazionalizzazione del problema dei prigionieri palestinesi. La sua eccezionale popolarità e il suo ruolo nella lotta nazionale lo hanno reso un simbolo incontestato della lotta palestinese per la libertà. Sia a casa che internazionalmente, Marwan è largamente conosciuto come il ‘Mandela palestinese’.
Una figura che unisce
In una comune lettera scritta nell’Aprile 2013, leader di tutti i gruppi politici palestinesi in Parlamento, incluso Fatah, Hamas, PFLP, PDLP e il People's Party, insieme a figure nazionali e indipendenti, hanno caratterizzato Marwan Barghouthi come “il più prominente e rinomato prigioniero politico palestinese in prigioni israeliane”. La lettera inoltre affermava: “il leader nazionale Marwan Barghouthi è un forte fautore della libertà e della dignità del suo popolo, di riconciliazione e democrazia, di pace basata sulla legge internazionale. Il nostro obiettivo è che Marwan Barghouthi e tutti i prigionieri riottengano la loro libertà.”
Una figura popolare
La popolarità di Marwan Barghouthi rimane ineguagliata in Palestina, come confermato da sondaggi successivi.
Perchè i prigionieri?
Un punto centrale
Per lungo tempo, i prigionieri palestinesi sono stati trattati come un tema sussidiario che sarebbe stato risolto una volta che il conflitto dovesse terminare. Questo ignora completamente quello che è stato confermato da e in molti conflitti intorno al mondo: i prigionieri, una volta rilasciati, possono svolgere un ruolo centrale nell’aiutare a raggiungere la libertà, la riconciliazione e la pace. Con più di 800 000 palestinesi che hanno fatto esperienza di detenzione, i prigionieri sono un elemento critico che tocca virtualmente ogni famiglia palestinese. 6200 Palestinesi sono attualmente in prigioni israeliane.
Sicurezza per l’occupazione vs. Libertà e pace
Israele è tradizionalmente riuscita a imporre un approccio di sicurezza al suo trattare con i prigionieri. E’ adesso tempo di promuovere un approccio basato sui diritti, che confronti le violazioni della legge umanitaria internazionale e i diritti umani, mentre riaffermi che questo conflitto è dovuto all’occupazione, e perciò la libertà è la chiave per porvi fine.
La libertà dei prigionieri palestinesi aprirà la strada alla libertà della popolazione palestinese, portando, così, alla pace e alla sicurezza.
Un tema che unifica
Se c’è un tema che unifica tutti i palestinesi, ovunque essi siano, al di là delle divisioni politiche, questo sono i prigionieri. I leader in prigione hanno svolto un ruolo chiave nel sostenere gli sforzi di riconciliazione, anche attraverso il documento dei prigionieri e la costante richiesta ai loro partiti politici di mettere fine alla divisione.
Cosa è il documento dei prigionieri?
Background
Nel 2006, seguendo le elezioni generali che hanno portato Hamas al governo, le preoccupazioni sono aumentate riguardo alla divisione tra Fatah e Hamas. I leaders politici imprigionati hanno scritto un documento per la conciliazione nazionale. Marwan Barghouthi è stato il maggiore architetto del documento, che è stato poi firmato dai leaders di tutte le fazioni. E’ il primo documento scritto a essere approvato da tutti i partiti politici rappresentati all’interno del PLO e da Hamas e la Jihad islamica.
I punti principali
Il documento:
- Chiede la costituzione di uno stato palestinese su tutti i territori occupati nel 1967 con Gerusalemme come sua capitale, e il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi. - Riafferma che il PLO è il solo e legittimo rappresentante del popolo palestinese, mentre
si insiste sul bisogno per Hamas e la Jihad islamica di unirsi al PLO - Sottolinea il diritto del popolo palestinese a resistere all’occupazione, mentre chiede di focalizzare la resistenza nel territorio occupato nel 1967. Chiede azione politica e
diplomatica per liberare il paese, incluse le negoziazioni, così come la resistenza di massa
e popolare contro l’occupazione - Chiede la formazione di un governo di unità nazionale su una base che assicuri la
partecipazione di tutti i blocchi parlamentari - Sottolinea che le negoziazioni sono giurisdizione del PLO e del Presidente dell’Autorità
Nazionale palestinese, a condizione che ogni accordo debba essere presentato al nuovo Consiglio palestinese nazionale per la ratifica finale o essere ratificato da un referendum generale, se possibile.
- Sottolinea l’importanza degli sforzi rivolti alla costruzione dello stato e del preservare la democrazia palestinese
Un documento rilevante
Il documento dei prigionieri ha portato alla formazione del primo governo in assoluto di unità nazionale nel febbraio del 2007, che collassò alcuni mesi dopo. Il documento rimane il punto di riferimento centrale per mettere fine alla divisione. Dimostra, inoltre, il ruolo centrale che i prigionieri possono avere nel raggiungere l’unità, la libertà e la pace, così come la loro potente influenza e l’impatto di moderazione.
Marwan non è un terrorista colpevole di reato?
Un prigioniero politico
Marwan Barghouthi, sequestrato a Ramallah nel 2002, è stato il primo parlamentare a essere arrestato. Israele ha voluto perseguire la lotta palestinese, e criminalizzare la richiesta palestinese di libertà. Ha perciò arrestato uno dei simboli di questa lotta contro l’occupazione. Marwan Barghouthi, il quale, come un rappresentante di un popolo sotto occupazione ha rifiutato di riconoscere la legittimità del potere occupante, ha boicottato il tribunale. Lui perciò non ha perorato il suo caso ma semmai ha usato questo processo per perseguire l’occupazione.
Un processo farsa
Il report dell’esperto legale dell’Unione Inter-Parlamentare, il Signor Simon Foreman, ha affermato: “le numerose violazioni della legge internazionale richiamate in questo report rendono impossibile concludere che al Signor Barghouti sia stato fatto un processo giusto”. “Il caso di Barghouti ha chiaramente dimostrato che, lontano dal portare sicurezza, le violazioni della legge internazionale hanno, soprattutto, minato l’autorità della giustizia israeliana gettando discredito sul suo condurre le indagini e le procedure usate.” Questo processo ha così dimostrato un’altra volta che i tribunali israeliani erano strumenti per servire l’occupazione piuttosto che la giustizia. L’Unione Inter-Parlamentari e il Parlamento Europeo hanno entrambi richiesto il rilascio di Marwan Barghouthi e hanno adottato risoluzioni in supporto del rilascio dei ministri palestinesi imprigionati e dei diritti dei prigionieri palestinesi.
Non sono forse i prigionieri colpevoli e per questo non dovrebbero essere ritenuti responsabili delle loro azioni?
Tutti colpevoli?
Israele, il potere occupante, ha criminalizzato tutte le forme di impegno civile e politico, incluso il far parte di un partito politico, l’esercitare la libertà di espressione, assemblea e dimostrazione, il partecipare alla lotta sia pacifica che alla lotta armata, incluse forme considerate pienamente legittime per la legge internazionale. Allo stesso tempo, ha accordato quasi totale impunità ai suoi soldati e ai coloni. Dal 1967, 800 000 palestinesi hanno esperito la detenzione, una chiara manifestazione dell’uso di Israele dell’imprigionamento come mezzo per spezzare il volere di un’intera nazione che cerca la libertà. I tribunali militari israeliani hanno un tasso di condanne superiore al 99%!
Strumenti di occupazione
Le massicce violazioni della legge internazionale umanitaria e dei diritti umani durante l’arresto, l’interrogatorio, il processo e l’imprigionamento sono una chiara indicazione che il ruolo delle corti israeliani è di sostenere l’occupazione, non di ottenere giustizia.
Il rilascio di tutti i prigionieri politici è una necessità per la pace
Come dimostrati da altri conflitti nel mondo, il rilascio dei prigionieri politici è strumentale al fine di ottenere la pace. In molti casi, incluso il caso del Sud Africa, questo rilascio ha costituito un prerequisito per il lancio delle negoziazioni formali. Nel caso palestinese, comunque, nonostante la liberazione di migliaia di prigionieri, la firma degli accordi di Oslo non ha portato al rilascio di tutti i prigionieri. 20 anni dopo, questo estremamente tardivo rilascio dei prigionieri pre-Oslo sta finalmente accadendo rivelando un inerente fallimento del processo di pace: la sua incapacità ad assicurare la libertà per la popolazione occupata. Allo stesso tempo, 5000 prigionieri continuano ad aspettare la loro libertà mentre Israele persegue le sue quotidiane campagne di arresti.
Marwan è il nuovo Mandela?
Il Mandela palestinese
Non appena fu arrestato nel 2002, Marwan Barghouthi fu soprannominato “il Mandela palestinese”. Avendo passato ad oggi circa due decenni della sua vita in carceri di occupazione, inclusi gli ultimi 12 anni, il paragone con Mandela è difficile da evitare.
Lunga marcia per la libertà
Il cammino seguito da Mandela e da Marwan è molto simile: Entrambi hanno fondato il movimento giovanile della loro fazione politica ed erano
coinvolti nello sviluppo di un movimento di base e di resistenza popolare. Entrambi hanno difeso il diritto alla resistenza, inclusa la lotta armata, Mandela essendo il capo dell’ala militare dell’ANC al tempo del suo arresto, mentre Marwan era considerato un leader chiave durante la prima e seconda Intifada. Entrambi si sono poi avvicinati alla difesa della pacifica resistenza popolare come una opzione strategica verso
l’acquisizione della libertà.
Entrambi hanno rifiutato di riconoscere la legittimità dei tribunali dell’oppressore e hanno usato il loro processo per perseguire i regimi dei loro oppressori.
Entrambi hanno imparato il linguaggio del loro nemico in prigione e hanno mostrato una grande capacità per il dialogo.
Entrambi hanno trasformato la loro prigione in una scuola per altri e sono diventati maestri della lotta dietro le sbarre, uno in quella che è diventata conosciuta come l’Accademia di Robben Island e l’altro nella cosiddetta Accademia Hadarim (Marwan è detenuto nella cella n°28 nella prigione Hadarim).
In ultimo, entrambi hanno continuato ad avere un ruolo chiave durante l’incarcerazione, diventando simboli della lotta del loro popolo, unificando figure e attori politici chiave. Mandela è stato la figura centrale nel porre fine all’apartheid e nel raggiungimento della pace e della riconciliazione, mentre Marwan, attraverso il documento dei prigionieri, ha provato che lui può, usando la sua ampia credibilità e popolarità, raccogliere supporto da tutte le fazioni politiche per la riconciliazione palestinese, una comune strategia di resistenza e una visione per raggiungere la pace.
Il nuovo Mandela
Al di là delle impressionanti somiglianza nelle loro traiettorie politiche, il paragone tra Marwan e Mandela prende anche forza dall’universalità della lotta contro l’occupazione in Palestina, e le molte analogie con la lotta contro l’apartheid. In entrambi i casi, questi conflitti sono diventati emblematici della lotta per la libertà e la dignità contro l’oppressione, e per il trionfo di valori universali, dei diritti umani e della legge internazionale.
Come posso aiutare?
Firma la Dichiarazione di Robben Island
La Dichiarazione di Robben Island costituisce il testo fondante della campagna. Aiutaci a fare la storia firmando questo documento e incoraggiando altri a firmare, individui, organizzazioni e figure prominenti nella società.
Organizza eventi in supporto della campagna
Aiutaci a organizzare eventi per promuovere la consapevolezza, sii avvocato dei prigionieri palestinesi e raccogli il sostegno per il loro rilascio. Partecipa e forma dei comitati locali per promuovere la campagna.
Chiedi a rappresentanti eletti e a funzionari di governo di prendere posizione
Ci sono molti modi in cui puoi chiedere ai tuoi eletti di sostenere la campagna. Iniziative di successo per adesso hanno incluso: - l’adozione di risoluzioni da parte di Parlamenti locali, nazionali e internazionali - iniziative di viaggi e missioni che indagano sui fatti per vedere direttamente la situazione dei prigionieri palestinesi - assegnazione di cittadinanza onoraria a Marwan Barghouthi da autorità locali come segnale di appoggio per la liberazione dei prigionieri palestinesi e la libertà della popolazione palestinese - formulazione e promozione di interrogazioni parlamentari ai governi ufficiali
- esortazione ai governi per emanare dichiarazioni, fare pressione, e prendere chiara posizione per il rilascio dei prigionieri e del sostegno dei loro diritti fino a quando non saranno liberati.
Per informazioni sulla Campagna
In Italia
Coordinamento Comitato Italiano Free Marwan Barghuthi e i prigionieri politici palestinesi
www.assopacepalestina.org https://www.facebook.com/assopace.palestina
Luisa Morgantini Tel. 348 3921465
Segreteria Nazionale tel. 320 4695598 – 3459119605
freemarwan.italia@gmail.com
Comitati locali
freemarwan.firenze@gmail.com freemarwan.palermo@gmail.com freemarwan.genova@gmail.com freemarwan.ravenna@gmail.com freemarwan.vicenza@gmail.com
Internazionale
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Versa il tuo contributo
Assopace Palestina – causale Free Marwan Banca Unipol IBAN IT 50 O 03127 74610 00000 0001527
Chi aderisce alla Campagna
Organizzazioni Nazionali Arci - Libera - Fiom-Cgil - C.G.I.L. - Comunità palestinese in Italia - Rete della pace Associazione Italia Palestina - Un Ponte Per - Associazione per la Pace - Associazione Amici Mezzaluna Rossa - Donne in Nero - Rete Radiè Resh -Pax Christi - Cipsi - Rivista Solidarietà Internazionale - Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila Associazione Amici dei prigionieri palestinesi - Rete Ebrei Contro l’Occupazione - Soccorso Sociale per i Palestinesi - Unione Generale degli Ingegneri e Architetti Palestinesi in Italia - Per non dimenticare Gaza - Osservatorio Irak Uniti per la Palestina - Medici contro la Tortura - Associazione Amici del Libano - Donne in lotta - Sbilanciamoci!
Associazioni territoriali Associazione Senza Paura, Genova. Commercio Equo e Solidale Coop. Soc. Onlus, Lecce. Restiamo Umani con Vik, Venezia. Rete Romana di solidarietà con il popolo palestinese. Donne in Nero, Ravenna. Cooperativa Rosse Torri. Redazione varieventuali, Ivrea (TO). Associazione CRESM. Associazione Mediterraneo di Pace. U.S.
Citizens for Peace & Justice, Roma. Tavola delle donne sulla violenza e sulla sicurezza nella città, Bologna. Associazione Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze. Associazione Ex Lavanderia, Roma. FISAC-CGIL Regionale Campania. Design Zingaro. Comunità di Base San Paolo, Roma. Rete italiana per il disarmo. Comunità Cristiana di Base di San Paolo. Centro di documentazione pace Onlus, Ivrea.
Personalità Leoluca Orlando (sindaco di Palermo), Egidia Beretta (sindaco di Bulciago e madre di Vittorio Arrigoni); Moni Ovadia, Daniela Giordano, Valerio Mastrandrea, Andrea Camilleri, Don Luigi Ciotti, Gino Strada, Massimo D'Alema, Guglielmo Epifani, Nicki Vendola, Paolo Ferrero, Luciana Castellina, Ettore Scola, Citto Maselli, Susanna Camusso e Maurizio Landini.

martedì 27 gennaio 2015

Le due memorie

Gli israeliani rifiutano di convivere con la memoria palestinese, rifiutano di riconoscerla, nonostante uno degli slogan nazionali ebraici sia “non dimenticheremo”.
(Mahmud Darwish, Birwa(Alta Galilea 1942, Houston 2008)

Apri link

venerdì 23 gennaio 2015

Dante Alighieri e Mahmud Darwish

Ho finito di leggere (attentamente) "Una trilogia palestinese" di Mahmud Darwish (Feltrinelli, Milano, 2014); sto mettendo insieme appunti e riflessioni di cui voglio dare un anticipo a chi ha l'avventura di capitare da queste parti. Il primo pezzo è una scelta di brani, il secondo lo chiamo il fattore DD, Dante Darwish.
Pubblico il primo e rimando il secondo al prossimo post.
Le pagine indicate sono quelle del libro.



Mahmud Darwish
 Una trilogia palestinese

vorrei un funerale con mazzi di rose rosse e gialle vorrei che a celebrare fosse qualcuno di poche parole con la voce un po' roca, qualcuno che sappia simulare sufficiente tristezza e che alterni la sua orazione alla registrazione della mia voce; vorrei un funerale tranquillo semplice e partecipato.  Pag.159


1 - DIARIO DI ORDINARIA TRISTEZZA         p.19

Pag.7             Quando, nel 1973, dà alle stampe diario di ordinaria tristezza, Darwin  ha  trent’anni , ha pubblicato cinque raccolte di poesie e, al termine di un biennio scivolato via tra gli studi all’Università di Mosca e un lungo soggiorno al Cairo, ha preso casa a Beirut. Prima aveva sempre vissuto in Palestina. In Palestina era nato, in Palestina aveva trascorso infanzia e adolescenza, in Palestina aveva studiato, era diventato  un giovane uomo  e aveva dato forma alla sua coscienza politica. Prima profugo, poi presente-assente e arabo di Israele senza cittadinanza, più volte incarcerato  più volte condannato agli arresti domiciliari nella sua casa di Haifa, aveva patito nella sua carne la condizione vissuta della sua gente: l’esilio, l’esilio in patria, la sete di libertà, le miserie del vivere quotidiano, l’atroce dolore della disfatta del giugno 1967.  

Pag, 8            Con diario di ordinaria tristezza   chiude quella che i critici chiamano la fase rivoluzionaria patriottica del suo percorso poetico, una fase che si era inaugurata nel 1964 con la sua poesia forse più famosa:
carta  d’identità :
scrivi sono arabo
defraudato delle vigne dei miei avi 
E della terra che coltivavo
Insieme ai miei figli         
A noi e a tutti i nostri posteri
Non hai lasciato
Che queste pietre.
Più tardi nel 1987 quando pubblica memoria per l’oblio Darwish ha lasciato Beirut e dopo una breve sosta prima a Tunisi poi al Cairo vive a Parigi.



L’altro,  il nemico, lo straniero
Il rapporto di M. D. con l’altro il nemico lo straniero è parte importante dell’analisi dell’opera di M. D.
p.13    L’altro, per D. non è solo Rita. L’altro sono tutte le persone, illustri e sconosciute, che pervicacemente allinea una accanto all’altra nel secondo e terzo capitolo di diario di ordinaria tristezza in cui la denuncia dell’ideologia sionista e le distorsioni del pensiero politico sono supportate da una profonda conoscenza della società e della psiche israeliane.

p. 54 - il senso di colpa
Nella letteratura ebraica moderna si trovano vari esempi di trasfigurazione del senso di colpa. Tuttavia è un sentimento che emerge dalla fiducia in se stessi, una sorta di confessione del più forte, fuori dai denti, in cui forza e vittoria si mescolano a un velo di cipria liberalista e umanista, ma solo molto più tardi e a strage avvenuta. E a ogni modo non sta a significare né pentimento nel rammarico. Somiglia molto di più ai monologhi interiori dell’assassino, a omicidio commesso. Come, per esempio, l’intellettuale americano che descrive la tragedia dei pellerossa simpatizzando con i vinti.
v. Ioshua, Di fronte ai boschi, Torino 1999      p.52-54

Cosa significa la parola patria:
55
La carta geografica non ha la risposta perché somiglia molto più a un disegno astratto. La tomba di tuo nonno non è una risposta, perché un boschetto può farla scomparire. Non hanno occupato soltanto la terra e il lavoro, ma anche la tua psiche, il tuo carattere e quello che ti lega alla patria tanto da farti sorgere domande sul significato di patria.
Ti hanno strappato la terra da sotto i piedi, così l’hai nascosta sotto la pelle. Ti hanno torturato, ma hai confessato un amore ancora più folle per quel che ha causato la tua tortura.
Sotto lo stridio delle catene, l’alienazione che ti viene da ogni singolo giorno, si trasforma in una tregua con il vento. In prigione ti abbraccia la libertà, in prigione ti riempi anche di patria. La lotta è la risposta. Se combatti appartieni a qualcosa. La pace è lotta. Tra valigia e memoria non c’è altra soluzione che la lotta. Diritto, libertà, appartenenza, merito si dichiarano soltanto con la lotta.


Palestina ( vedi pagine 39-57).
42 - molto presto la parola Palestina è diventata proibita. Se tu ammetti di essere venuto dal Libano sei considerato un infiltrato clandestino: non ottieni più la carta d’identità. A cinque minuti di distanza da questo paese passa la strada che da Acri porta a  Safed. Per te non è una strada, ma un confine che divide la terra del tuo esilio e del tuo rifugio dalla tua patria. A sud della strada c’è la terra di tuo padre e di tuo nonno oggi coltivata da immigrati ebrei yemeniti. Nel momento in cui sono arrivati lì definendo il loro destino e quello dei loro figli, in quello stesso momento hanno definito anche il tuo destino. Nel momento in cui loro sono diventati cittadini tu sei diventato profugo.
44       Un soldato israeliano, un poeta, mi ha raccontato che soltanto un giorno in vita sua si era sentito straniero in Palestina, quando era entrato in un paese arabo in Cisgiordania dopo la guerra del 1967. Era in uniforme e per strada aveva visto una bambina che lo guardava in modo da fargli tremare la terra sotto i piedi. Da quegli occhi, da quello sguardo inspiegabile si era reso conto che lui era un occupante.
…Scontro tra due memorie

p.117-120     Silenzio per Gaza
Si è legata l’esplosivo alla vita e si è fatta esplodere. Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
È il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Gaza non si vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio. Lei offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e verso il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore, non a gola. È la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo, il nemico lo odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo gli amici suoi cari la mano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e talvolta la paura, perché Gaza e Barbara lezione e luminoso esempio sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe. Le sue arance non sono dei migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia, tende abbandonate dal vento, merce di contrabbando, braccia noleggio.)
Non è la città più raffinata, nella più grande, ma equivale alla storia di una nazione. Perché agli occhi dei nemici è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata, la più feroce di tutti noi. Perché è la più abile a guastare l’umore e il riposo del nemico ed il suo incubo. Perché arance esplosive, bambini senza infanzia, vecchi senza vecchiaia, donne senza desideri. Proprio perché, nella più bella, la più pura, la più ricca, la più degna d’amore tra tutti noi.
            Facciamo torto a Gaza quando la trasformiamo in un mito, perché potremmo odiarla scoprendo che non è niente di più di una piccola e povera città che resiste. Faremmo torto a Gaza se la glorificassimo. Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi, non ci libererà. Non ha cavalleria, né aeronautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi invasori.
Gaza ha circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino alla firma né al marchio di nessuno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo  sarà un tesoro etico e morale inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie. Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico. Né il modo di spartire le poltrone nel congresso nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo nella parte est della luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà completamente esplorato. Niente la distoglie. È dedita al dissenso: fame e dissenso, site e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e dissenso, assedio e dissenso, morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio sul Gaza.
Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare i carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini. Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei:
non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio. Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed., 2014, p.117-120)
Scritto nel 1973!


p. 46   L’olocausto e sua utilizzazione a fini politici

Non dimenticare le stragi naziste è un dovere di tutti, non soltanto degli ebrei. Qualsiasi livello di antagonismo arabo-israeliano si sia raggiunto, nessun arabo ha il diritto di simpatizzare con il nemico del proprio nemico, perché il nazismo è nemico di tutti i popoli. E questa è una cosa.
Però Israele sfoga i suoi rancori su un altro popolo chiedendo ai palestinesi e a qualsiasi altro arabo di pagare il prezzo di crimini che non hanno commesso. E questa è un’altra cosa.
Gli israeliani si vantano di fronte al mondo di essere i primi profughi ed esiliati nella storia dell’umanità, fino al punto di trasformare questo attributo in un segno distintivo. Però sono completamente incapaci di comprendere che anche altri possono possedere lo stesso senso.
Non è crudele affermare che il comportamento dei sionisti contro il popolo palestinese è paragonabile alle pratiche naziste applicate contro gli stessi ebrei.
 Non è crudele affermare che il comportamento israeliano e quello del movimento sionista nei rapporti internazionali strappano proprio di bocca il commento: commerciano con il sangue delle vittime ebree. Con i soldi e l’equipaggiamento ricevuti in risarcimento delle vittime del nazismo uccidono un altro popolo.
Dunque non è crudele nemmeno affermare che il modo in cui Israele commemora le vittime del nazismo è caratterizzato dal ricatto emotivo; in quanto saturare gli israeliani tramite il senso dell’olocausto spinto all’eccesso e contemporaneamente tramite il bisogno di vendicarsi non del proprio carnefice ma di un’altra vittima, ossia il popolo palestinese, è un obiettivo politico.
il sionista arrogante non si vergogna di vantare che la perdita di 6 milioni di ebrei, o giù di lì,  gli è valsa una patria.
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed., 2014, p.46-47)

p.121 a tarda notte il mondo va a dormire.
Uccidiamo la memoria
Così il mondo va a dormire e mi dimentica.
Non svegliare la vittima, potrebbe gridare.
Chi l’ha svegliata? Chi è stato?
Un vento che soffia all’improvviso, rianima i morti.
Da dove soffia?
Da ogni direzione, dalla patria.
Chi ha insegnato loro questo termine desueto?
Poeti che cantano al suono del rababà.
Uccideteli.
Li abbiamo uccisi, ma hanno inventato un altro termine: libertà.
Chi ha insegnato loro questo termine sedizioso?
Ferventi rivoluzionari.
Uccideteli.
Ne abbiamo uccisi, ma hanno imparato un’altra parola: giustizia.
Chi ha insegnato loro questo termine?
L’oppressione.
Possiamo uccidere l’oppressione?
Se annientate l’oppressione, annientate voi stessi.
Che facciamo?
Uccidiamo la memoria.


Pag. 139                                         
2 - MEMORIA PER L'OBLIO

Pag. 9                       Memoria per l’oblio è un testo polifonico che accosta discorsi diretti e indiretti, monologhi interiori, narrative contrapposte, sogni, descrizioni, poesie e articoli di giornale, citazioni delle sacre scritture, esegesi mussulmana, storiografia araba e non araba, lessicografia e letteratura europea.


Il caffè. 154
Ecco, sto tornando al mondo. Nelle vene mi scorre una stimolante droga, un fiume di vita nata dal matrimonio tra caffeina e nicotina, una cerimonia officiata dalla mia mano.
Conosco il mio caffè, il caffè di mia madre, il caffè dei miei amici. Non esistono due caffè che si somiglino e il mio panegirico del caffè è come un'apologia della diversità.
L'odore del caffè è un ritorno, un rientro nell'elemento primigenio, perché rimanda l'essenza del luogo d'origine; è un viaggio iniziato migliaia d'anni fa ed eternamente ripetuto. Il caffè è un luogo. Il caffè è una porosità da cui l'interno traspira all'esterno, è un'interruzione che unisce quel che solo l'odore di caffè può unire. Il caffè l'antitesi dello svezzamento, è una mammella che nutre da lontano, un mattino che nasce da un sapore amaro, è l'arte della virilità.  Il caffè è geografia.

L'acqua
165
mi importa poco di quel che succede al di là del vetro. Bombe. Missili. Sirene. Aerei. Corazzate. Mi soffiano contro come soffia il vento. Piovono come pioggia che cade. Sussultano come farebbe un terremoto. La volontà umana non può far nulla per fermarli, pare sia un destino ineluttabile. Sui nostri corpi, oggi, si sta testando ogni nefandezza che l'ingegno umano ha potuto partorire e, in aggiunta, tutto un bagaglio di innovazione tecnologica. Sarà il giorno più lungo della storia? Nessuno lava i morti, siano quindi i morti a lavarsi da sé. Col sangue, intendo, visto che l'acqua è introvabile. Faccio sempre tesoro, io, delle mie preziose riserve idriche, utilizzo ogni goccia con estrema parsimonia. Ogni goccia ha il suo ruolo. Le conto, quasi. 500 per lavarmi i capelli. Duemila per il corpo. 100 per la bocca. 100 per farmi la barba. 20 per ogni orecchio. 50 per ogni ascella via di seguito. Ogni goccia ha il suo pezzetto di corpo.
166
L'acqua è aria in gocce, palpabile, tangibile, pegno di luce. È per questo che i profeti hanno voluto che i loro popoli la amassero: dall'acqua abbiamo fatto germinare ogni cosa vivente(Corano, 21º, 30).
A Tell al-Za’tar  i cecchini aspettavano le donne palestinesi vicino all'acqua, vicino alle condutture bucate, esattamente come fanno i cacciatori quando braccano le gazzelle assetate. Acqua assassina. Acqua che diluisce il sangue di gente disidratata, disposta a rischiare la vita pur di inumidirsi le labbra. Acqua che ha mosso i re degli arabi e li ha costretti loro malgrado a telefonare al presidente americano per proporre uno scambio vantaggioso: sangue in cambio dell'acqua. Petrolio in cambio dell'acqua. Noi stessi in cambio dell'acqua.
Il rumore dell'acqua è come uno schiamazzo di nozze, più forte, molto più forte di qualsiasi aereo. Il rumore dell'acqua fa da specchio alle vene della terra che vive, il rumore dell'acqua è libertà. Il rumore dell'acqua è umanità.

179
Nell’area invasa, sul mare invaso, sulla montagna invasa e sulle sue distese di pini continuano a piovere bombe, bombe di paure primordiali; la cacciata di Adamo dal paradiso terrestre si inserisce nella moltitudine di storie che raccontano un esodo. Non ho patria, non ha più corpo. Continuano a piovere bombe sui cantici di gloria, sul conversare di morte che scorre nel sangue come luce che infiamma domande gelide. I missili mi penetrano in ogni poro della pelle e ne escono indenni. Non sento l’inferno che l’area diffonde, perché lo respiro, lo sudo in ogni goccia di sudore.

179     Voglio cantare
sì, esatto, voglio cantare questo giorno bruciato. Voglio cantare. Trovare le parole che muteranno la lingua in acciaio dell’anima, una lingua che sappia battere questi aerei, questi insetti d’argento scintillante. Voglio cantare.  Inventare una lingua che mi sostenga e che sosterrò, la lingua che mi dia prova e a cui darò prova della forza che ci abita, una forza capace di trionfare sulla solitudine universale. Voglio cantare e poi andar via.

197
quante incongruenze tra noi palestinesi.
Ci sono interi uffici con tanto di aria condizionata e saloni di rappresentanza che servono solo a diffondere calunnie maldicenze. Qualche gruppuscolo si è specializzato nel commercio di martiri: ce ne servirebbero altri 20 per portarci al livello.
E così si è combattuto per accaparrarsi un martire di cui non si conosceva l’affiliazione. Si è messo a morte un combattente perché ha rifiutato di sparare a un amico che militava in un’altra organizzazione. Si è buttato il suo cadavere in un pozzo abbandonato e lì è rimasto finché un una veggente non l’ha ritrovato.

p.200 Begin come Giosuè (VI,16-26)
v. testo…

223     Paolo Rossi
Anche noi amiamo il calcio. Anche noi abbiamo il diritto di amare il calcio. E abbiamo il diritto di assistere alla partita. Perché no? Perché non sfuggire un po’ alla routine della morte? In un rifugio, siamo riusciti a procurarci l’energia elettrica usando alla batteria di un’automobile. In un battibaleno Paolo Rossi ci ha trasmesso la gioia che ci mancava. È un uomo che, in campo, si vede solo dove conviene che lo si veda. Un diavolo smilzo che noti solo dopo che ha segnato la rete, esattamente come un aereo da bombardamento si vede solo dopo che i bersagli sono esplosi. Dove c’è Paolo Rossi c’è un gol, c’è un’ovazione. Poi lui scompare, oppure si nasconde per aprire nell’aria un varco per quei suoi piedi pronti a cercare le buone occasioni, a portarle a maturazione, a raggiungerle in un picco di voluttà. Non è mai chiaro se sta giocando a calcio oppure facendo l’amore con la rete, una rete ritrosa che lui, sul torrido campo spagnolo, tenta e seduce con una raffinata galanteria italiana. Che lusinga come farebbe un gatto in calore. E poi, infine, ecco che Paolo Rossi, sotto gli occhi dei guardiani della virtù, un imene di 10 uomini posto a protezione della verginità della rete, ecco che Paolo Rossi avanza, avanza in un impeto di lussuria, avanza, muscolo d’aria, e sfonda. Ed ecco che la rete, incapace di resistergli, si rilassa e si arrende al suo ineffabile stupro.

225-229        in quell’anno i franchi conquistarono Gerusalemme
 Ibn Kathir (1301-1373) l’inizio e la fine.

229     presso i franchi non c’è ombra di senso dell’onore e di gelosia.
Usama ibn Munqidh (1095-1188), Il libro dell’ammaestramento con gli esempi.
238     i tacchi alti e l’amore in tempo di guerra
sbatti i tuoi tacchi alti sulla pietra delle scale e maciulla le pareti del mio cuore facendone pastura per i cani randagi. Ah, quanto mi piacciono i tacchi alti che fanno stendere le gambe in un assoluto di femminilità pronta a esplodere, che rimpiccioliscono il ventre, lo fanno arcuare quando è raggrinzito per la sete, che arrotondano i seni e li fanno passare alti e superbi sopra le teste dei passanti al cui desiderio si negano. I tacchi alti fanno sì che il collo si tenda come quello di un cavallo quando sta per precipitare in un baratro, fanno sì che la lancia si rizzi su un pulpito d’aria solidificata. Sbatti contro il selciato con ombrosità di una gazzella che né braccia né parole possono afferrare. Mostrati pian piano da dietro la porta chiusa. Dall’altro lato c’è una poltroncina in pelle. Ci potrà reggere, è abbastanza larga per noi due. Ma non toglierti i vestiti perché la morte non ci veda nudi. C’è tempo solo per un amore frettoloso, per un sobbalzo di eternità temporanea.
…Non c’è tempo per l’amore in una guerra a cui dobbiamo solo sorsi di vita.
 È insito nella guerra generare lussuria? È insito nella paura di morire, generare tensione? Amo questo amore senza chiacchiere, senza belle parole, senza orpelli inutili. Senza tempo per i rituali che rendono magico separarsi e sciogliersi lentamente dall’abbraccio, come quando ci si rifugia in una sigaretta fingendo di contemplare gli anelli di fumo azzurrognolo che disegna. Come quando si guarda l’orologio non tanto per vedere l’ora, ma per sapere se è tempo che uno dei due furtivamente si sfili. Amo questo amore che non lascia dolore nei ricordi né cicatrici in petto. Un amore come un volo di farfalla sulla rosa dell’anima. Un capriccio che porta il poeta a confondere la donna con il canto.

246 … Facciamo attenzione alle armi letterarie capaci di nascondere il loro tradimento e la loro pretesa di santità, capaci di infrangere i nostri sogni fingendo disgusto per la politica - detto in altri termini: disgusto per la lotta. Un uso corretto della lingua è diventato sinonimo di arretratezza, la precisione della metrica regresso. La chiarezza è diventata una vergogna, la parola e l’effetto della parola sul pubblico  inciviltà. Per dirla in breve: siamo in piena reazione. Lo spirito reazionario, spacciandosi per sinistrorso, si è fatta avanti con tutto l’armamentario tipico della modernità, stracolmo però di tutte le teorie sul ritorno al passato.
…E intanto il figliol prodigo faceva ritorno alla sua comunità confessionale, al suo ascetismo o al suo esoterismo e dichiarava a gran voce che era pentito di essersi rovinato la vita partecipando a quei movimenti di liberazione che avevano prodotto solo difficoltà impreviste e a quella rivoluzione che ha dimostrato di avere costi troppo elevati.

260… Il cambiamento degli arabi.
Io non credo, né voglio credere, che la storia del medio oriente continuerà meccanicamente a ripetere se stessa, né che lo farà per guizzi creativi. Per quanto gli slogan della moderna politica siano ormai lontani anni luce dai principi che li hanno generati, per quanto i discorsi siano vuoti di contenuto, io, comunque, non mi convincerò che il cambiamento degli arabi, che il progresso degli arabi, verrà dall’esterno, da qualcosa che non sia arabo. Secondo me, un modello che si prefigge di sedurre con la fede quanti non hanno fiducia nel presente non può che riportarci a un conflitto che affonda in questioni non più nostre. E io cosa ho a che spartire con gli errori del terzo successore del profeta, il califfo Uthman ibn ‘Affan? Ho altre storie, io, questa non è l’unica che mi riguarda.


3 – IN PRESENZA D’ASSENZA p.283

Nel 2006, quando pubblica in presenza d’assenza, Darwish vive tra Ramallah, in Palestina, e Amman in Giordania. Nell’ultimo decennio si è quasi totalmente liberato della pressione politica che gli pesava addosso in quanto “poeta nazionale”. Ha potuto e voluto essere in prima istanza semplicemente un poeta. I critici chiamano questa fase “lirico-epica” e “dei temi indipendenti”.
Mentre si interroga sul posto che la Palestina occupa nel mondo, il lirismo intimista e il lirismo epico si riconciliano nell’immagine del palestinese non più eroe e vittima, ma come essere umano che anela a una vita banale, semplice, ordinaria.  p.10

p.11    A un certo punto la sua traiettoria poetica si spinge verso l’alto alla ricerca di un punto di equilibrio in cui prosa e poesia si avvicinino l’una all’altra, tanto da arrivare a confondersi.
In presenza di assenza il poeta si sforza di elevare al suo massimo potenziale la prosa in arabo. Ed è una sorta di addio a se stesso quando si dice:
Allora riposa in pace, se possibile
Riposa in pace nelle tue parole.

la crisalide e la farfalla

p. 287                 secondo le tue volontà, eccomi qui, in piedi, a ringraziare a nome tuo chi è venuto a darti l’estremo saluto per quest’ultimo viaggio. L’invito a non dilungarsi troppo nel congedo per passare un banchetto più  consono a ricordarti.
Lascia che ti guardi, ora che ti sei staccato da me, indenne come pura prosa su di una pietra che si tinge di verde o di giallo in tua assenza, lascia che ti guardi, ora che mi sono staccato da te. Lascia che raccolga te il tuo nome come fanno i passanti con le olive dimenticate, nascoste tra i sassolini. Andiamocene insieme, tu e io, in due direzioni diverse: tu, verso una seconda vita, promessa dalla lingua, in un lettore che forse sopravviverà all’impatto della cometa con la terra; io, verso l’appuntamento più volte posticipato con la morte a cui, in una poesia, ho promesso un calice di vino rosso.
289… Mentre ci separiamo presso questo limbo dalla vita alla morte, lasciami, dunque, rescindere il contratto stipulato tra me e te, tra un’assurdità e l’altra. Non sappiamo chi di noi ha vinto e chi ha perso, se io, tu o la morte.
Tu, mio opposto, sei sempre alla spasmodica ricerca di un’assurdità necessaria ad allenare lo spirito alla tolleranza e a esercitare il privilegio di contemplare acqua che ride nelle fossette, o vola di farfalla in farfalla e crea poesia da ogni viva forza. Perché la leggerezza, come la rugiada, vince il metallo, lei vergine del tempo, lei che insegna alle bestie a suonare il flauto.
… Ti hanno buttato fuori dal campo. La tua ombra, però, non si ha seguito né tradito, si è pietrificata inchiodata laggiù, poi si è trasformata in una pianta di sesamo: verde di giorno, blu di notte. È cresciuta fino a diventare alta come un salice, verde di giorno, blu di notte.
Nonostante tu sia lontano sarai vicino
nonostante  ti abbiano ammazzato vivrai
non credere di essere morto laggiù
sei vivo qui.
Solo la metafora comprovarlo
 la metafora che ha insegnato il gioco delle parole alle creature
La metafora che adesso l’ombra geografia
La metafora che raccoglierà te il tuo nome.
Scrivi tu stesso la storia del tuo cuore
da quando Adamo si è innamorato
fino a quando il tuo popolo è risorto.
… Alzati affinché ti porti
avvicinati affinché ti riconosca
allontanati affinché ti riconosca.


L’esilio
334      l’esilio non è un viaggio, un andare e tornare, né un soggiornare nella nostalgia. Forse è visita, attesa degli effetti del tempo, uscita da se stessi incontro agli altri per fare conoscenza e stare in armonia o per tornare nella propria conchiglia.
…In esilio ti scegli uno spazio per domare l’abitudine, uno spazio personale per il tuo diario e scrivi: il luogo non è trappola possiamo dire:
qui abbiamo una strada laterale
un fornaio
una lavanderia
una tabaccheria
un angolino
un odore che ricorda…

L’esilio è un ponte tra le immagini per attraversare la fragilità, è il narciso sottoposto al test della superbia e della modestia al contempo, è la disputa dei diversi, è l’accordo dei simili. Non tutto ciò che somiglia al laggiù, qui chi accoglie. Non tutto ciò che qui che rifiuta, laggiù ti accoglie.


p. 335                                                          
Le città sono odori:
San Giovanni d’Acri e l’odore di iodio e spezie,
Haifa, l’odore di pini e lenzuola sgualcite.
Mosca, l’odore di vodka con ghiaccio.
Il Cairo, l’odore di mango e zenzero.
Beirut, l’odore di sole, mare, fumo e limone.
 Parigi, l’odore di pane fresco, formaggi prodotti di seduzione.
Damasco, l’odore di gelsomino e frutta secca.
 Tunisi, l’odore di muschio notturno e sale.
Rabat, l’odore d’hennè, incenso e miele..
Gli esili hanno un odore condiviso: odore di nostalgia per qualcos’altro, odore che ne rievoca un altro. L’odore del luogo d’origine. L’odore è memoria e tramonto.

Le parole
Le parole sono le materie prime per costruire una casa. Le parole sono una patria. (336)

La nostalgia
p.355
La nostalgia è l’ospite della sera che arriva quando cerchi le tue tracce in quel che ti circonda e non le trovi, quando un passerotto si posa sul balcone e ti sembra un messaggio inviato da un paese che, quando si abitavi, non amavi come la mia adesso che è dentro di te. Prima era aria, terra e acqua, ora è poesia. La nostalgia è il lamento del diritto incapace di dimostrare la forza del diritto davanti al diritto della forza.
356…La nostalgia è il dolore che non ha nostalgia del dolore. E’ il dolore provocato dall’aria pura che viene dall’alto di un monte lontano, il dolore della ricerca di una gioia passata.
Però è un dolore di quelli sani, perché ci ricorda che siamo malati di speranza e inguaribilmente sentimentali.

L’amore
357
l’amore è un cammino battuto come il significato, ma impervio come la poesia. Richiede talento, tenacia e foggia valente perché ha molti gradi. Non basta amare, quella è una delle magie della natura simile al cadere della pioggia all’abbaglio del lampo. L’amore che porta su un’altra orbita e poi te la deve sbrigare da solo. Non basta amare, devi sapere come amare. Hai imparato come?
…360
Tu sei quello che conosce l’amore solo quando ama e non si chiede cos’è né lo cerca. Una volta una donna ti ha chiesto se amavi l’amore in sé e per sé, hai glissato e te la sei cavata rispondendo: amo te. Non ami l’amore?- Ha insistito. E tu:-ti amo per quello che sei-. Ti ha lasciato, non eri affidabile quando lei non c’era. L’amore non è un’idea. È un sentimento che riscalda e raffredda, che viene e va. Un sentimento che prende forma e corpo, che ha cinque sensi e più sensi. Talvolta ci appare in forma d’Angelo, dalle ali lievi, capace di sollevarsi in aria. Talvolta ci travolge in forma di toro: ci scaraventa a terra se ne va. Alcune volte si abbatte in forma di tempesta che riconosciamo soltanto poi, dagli effetti devastanti che si lascia alle spalle. Altre volte ancora scende su di noi in forma di rugiada notturna, quando una mano magica punge una nuvola vagabonda.

La frutta come un’allegoria cerebrale
p.364   
La mela è forma da mordere, senza la punizione della conoscenza.
La pena è un seno di perfetta proporzione, né più né meno di un palmo di mano.
L’uva è il richiamo dello zucchero: spremermi in bocca o nei tini.
L’albicocca il ritorno della nostalgia la sua pallida origine.
La lancia l’idea che illumina, nella notte, e può essere mangiata sempre.
Il fico è un paio di labbra che si schiudono con due dita per ricevere erotico significato in un colpo solo.
Il fico d’India della vergine che difende il suo tesoro.
La ciliegia e accorciare la distanza tra il desiderio degli occhi la fregola delle labbra.
La mela cotogna alla femmina che litiga per il maschio, lasciando al deluso groppo in gola.
Il mango alla bava che cola per visibile piacere.
La fragola è un insieme di acidi di colore, né rossi né altro, che rinvia lo scandalo della similitudine.
Il gelso, con lo zucchero nero, e ricordo del primo bacio.
Il melograno è rubino celato nell’allusione.

In viaggio da Ramallah a Gerico.
Il papavero e l’erba.
p.371      La vita è arrivata qui in fuga dal Mar Morto? Eppure, dalla desolazione del luogo, ecco spuntare papaveri, ecco le loro piccole corolle affacciarsi dalle rocce grigie e nere. Bastano un po’ di pioggerellina di luce, a che la vita prevalga sul nulla. Basta un po’ di speranza di tempo, a che tu attraversi le diramazioni del mito risparmiato dai destini dei tuoi avi. Prende in prestito alla saggezza dai papaveri e di: non ha niente a che fare con il nulla, sebbene sia circondato dalla morte.
E se ti chiedono della forza della poesia rispondi:
-l’erba non è così fragile come pensiamo. Da quando ha nascosto la sua ombra modesta nel segreto della terra, non si spezza più. Nell’erba spuntata dalla roccia c’è il prodigio della parola rivelata dal mistero divino, senza clamore né squilli di trombe. L’erba è profezia spontanea, senza altro profeta del proprio colore opposto a quello della terra arida. L’erba è la salvezza del viaggiatore scampato alla cultura del paesaggio e a un esercito che preclude la strada possibile. L’erba all’avvicinarsi della lingua significato e il connubio del significato con l’ospitalità della speranza-.
E se ti chiedono della lotta tra poesia e morte, guarda l’erba e di quello che rasenta la verità:-nessuna poesia sconfigge la morte nell’ora dell’incontro, però può posticipare una per il tempo necessario a saggiare l’utilità del canto fino alla fine di un lungo concerto, dopodiché il cantante cade nelle mani del suo cacciatore ritto dietro la porta. Forse nessuno si accorgerebbe della morte del cantante, se la canzone diventasse collettiva e i compagni di veglia continuassero il canto. È in quel posticipo, immaginando che la morte se si è addormentata, i nuovi cantanti si sveglieranno senza badarle affacciandosi su papaveri che danno loro il benvenuto, come dice picca nei lasciati incompiuti da pastori di gazzelle, occupati a dare la caccia ai lupi e sciacalli-.
… All’improvviso, una pioggia leggera bagna la tua anima, bagna le farfalle. Luce, pioggerella, farfalle che svolazzano radenti alla litoranea. Le farfalle, pensieri sparsi, sensazioni che volano nell’aria.