venerdì 23 gennaio 2015

Dante Alighieri e Mahmud Darwish

Ho finito di leggere (attentamente) "Una trilogia palestinese" di Mahmud Darwish (Feltrinelli, Milano, 2014); sto mettendo insieme appunti e riflessioni di cui voglio dare un anticipo a chi ha l'avventura di capitare da queste parti. Il primo pezzo è una scelta di brani, il secondo lo chiamo il fattore DD, Dante Darwish.
Pubblico il primo e rimando il secondo al prossimo post.
Le pagine indicate sono quelle del libro.



Mahmud Darwish
 Una trilogia palestinese

vorrei un funerale con mazzi di rose rosse e gialle vorrei che a celebrare fosse qualcuno di poche parole con la voce un po' roca, qualcuno che sappia simulare sufficiente tristezza e che alterni la sua orazione alla registrazione della mia voce; vorrei un funerale tranquillo semplice e partecipato.  Pag.159


1 - DIARIO DI ORDINARIA TRISTEZZA         p.19

Pag.7             Quando, nel 1973, dà alle stampe diario di ordinaria tristezza, Darwin  ha  trent’anni , ha pubblicato cinque raccolte di poesie e, al termine di un biennio scivolato via tra gli studi all’Università di Mosca e un lungo soggiorno al Cairo, ha preso casa a Beirut. Prima aveva sempre vissuto in Palestina. In Palestina era nato, in Palestina aveva trascorso infanzia e adolescenza, in Palestina aveva studiato, era diventato  un giovane uomo  e aveva dato forma alla sua coscienza politica. Prima profugo, poi presente-assente e arabo di Israele senza cittadinanza, più volte incarcerato  più volte condannato agli arresti domiciliari nella sua casa di Haifa, aveva patito nella sua carne la condizione vissuta della sua gente: l’esilio, l’esilio in patria, la sete di libertà, le miserie del vivere quotidiano, l’atroce dolore della disfatta del giugno 1967.  

Pag, 8            Con diario di ordinaria tristezza   chiude quella che i critici chiamano la fase rivoluzionaria patriottica del suo percorso poetico, una fase che si era inaugurata nel 1964 con la sua poesia forse più famosa:
carta  d’identità :
scrivi sono arabo
defraudato delle vigne dei miei avi 
E della terra che coltivavo
Insieme ai miei figli         
A noi e a tutti i nostri posteri
Non hai lasciato
Che queste pietre.
Più tardi nel 1987 quando pubblica memoria per l’oblio Darwish ha lasciato Beirut e dopo una breve sosta prima a Tunisi poi al Cairo vive a Parigi.



L’altro,  il nemico, lo straniero
Il rapporto di M. D. con l’altro il nemico lo straniero è parte importante dell’analisi dell’opera di M. D.
p.13    L’altro, per D. non è solo Rita. L’altro sono tutte le persone, illustri e sconosciute, che pervicacemente allinea una accanto all’altra nel secondo e terzo capitolo di diario di ordinaria tristezza in cui la denuncia dell’ideologia sionista e le distorsioni del pensiero politico sono supportate da una profonda conoscenza della società e della psiche israeliane.

p. 54 - il senso di colpa
Nella letteratura ebraica moderna si trovano vari esempi di trasfigurazione del senso di colpa. Tuttavia è un sentimento che emerge dalla fiducia in se stessi, una sorta di confessione del più forte, fuori dai denti, in cui forza e vittoria si mescolano a un velo di cipria liberalista e umanista, ma solo molto più tardi e a strage avvenuta. E a ogni modo non sta a significare né pentimento nel rammarico. Somiglia molto di più ai monologhi interiori dell’assassino, a omicidio commesso. Come, per esempio, l’intellettuale americano che descrive la tragedia dei pellerossa simpatizzando con i vinti.
v. Ioshua, Di fronte ai boschi, Torino 1999      p.52-54

Cosa significa la parola patria:
55
La carta geografica non ha la risposta perché somiglia molto più a un disegno astratto. La tomba di tuo nonno non è una risposta, perché un boschetto può farla scomparire. Non hanno occupato soltanto la terra e il lavoro, ma anche la tua psiche, il tuo carattere e quello che ti lega alla patria tanto da farti sorgere domande sul significato di patria.
Ti hanno strappato la terra da sotto i piedi, così l’hai nascosta sotto la pelle. Ti hanno torturato, ma hai confessato un amore ancora più folle per quel che ha causato la tua tortura.
Sotto lo stridio delle catene, l’alienazione che ti viene da ogni singolo giorno, si trasforma in una tregua con il vento. In prigione ti abbraccia la libertà, in prigione ti riempi anche di patria. La lotta è la risposta. Se combatti appartieni a qualcosa. La pace è lotta. Tra valigia e memoria non c’è altra soluzione che la lotta. Diritto, libertà, appartenenza, merito si dichiarano soltanto con la lotta.


Palestina ( vedi pagine 39-57).
42 - molto presto la parola Palestina è diventata proibita. Se tu ammetti di essere venuto dal Libano sei considerato un infiltrato clandestino: non ottieni più la carta d’identità. A cinque minuti di distanza da questo paese passa la strada che da Acri porta a  Safed. Per te non è una strada, ma un confine che divide la terra del tuo esilio e del tuo rifugio dalla tua patria. A sud della strada c’è la terra di tuo padre e di tuo nonno oggi coltivata da immigrati ebrei yemeniti. Nel momento in cui sono arrivati lì definendo il loro destino e quello dei loro figli, in quello stesso momento hanno definito anche il tuo destino. Nel momento in cui loro sono diventati cittadini tu sei diventato profugo.
44       Un soldato israeliano, un poeta, mi ha raccontato che soltanto un giorno in vita sua si era sentito straniero in Palestina, quando era entrato in un paese arabo in Cisgiordania dopo la guerra del 1967. Era in uniforme e per strada aveva visto una bambina che lo guardava in modo da fargli tremare la terra sotto i piedi. Da quegli occhi, da quello sguardo inspiegabile si era reso conto che lui era un occupante.
…Scontro tra due memorie

p.117-120     Silenzio per Gaza
Si è legata l’esplosivo alla vita e si è fatta esplodere. Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
È il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Gaza non si vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio. Lei offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e verso il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore, non a gola. È la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo, il nemico lo odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo gli amici suoi cari la mano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e talvolta la paura, perché Gaza e Barbara lezione e luminoso esempio sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe. Le sue arance non sono dei migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia, tende abbandonate dal vento, merce di contrabbando, braccia noleggio.)
Non è la città più raffinata, nella più grande, ma equivale alla storia di una nazione. Perché agli occhi dei nemici è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata, la più feroce di tutti noi. Perché è la più abile a guastare l’umore e il riposo del nemico ed il suo incubo. Perché arance esplosive, bambini senza infanzia, vecchi senza vecchiaia, donne senza desideri. Proprio perché, nella più bella, la più pura, la più ricca, la più degna d’amore tra tutti noi.
            Facciamo torto a Gaza quando la trasformiamo in un mito, perché potremmo odiarla scoprendo che non è niente di più di una piccola e povera città che resiste. Faremmo torto a Gaza se la glorificassimo. Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi, non ci libererà. Non ha cavalleria, né aeronautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi invasori.
Gaza ha circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino alla firma né al marchio di nessuno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo  sarà un tesoro etico e morale inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie. Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico. Né il modo di spartire le poltrone nel congresso nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo nella parte est della luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà completamente esplorato. Niente la distoglie. È dedita al dissenso: fame e dissenso, site e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e dissenso, assedio e dissenso, morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio sul Gaza.
Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare i carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini. Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei:
non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio. Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed., 2014, p.117-120)
Scritto nel 1973!


p. 46   L’olocausto e sua utilizzazione a fini politici

Non dimenticare le stragi naziste è un dovere di tutti, non soltanto degli ebrei. Qualsiasi livello di antagonismo arabo-israeliano si sia raggiunto, nessun arabo ha il diritto di simpatizzare con il nemico del proprio nemico, perché il nazismo è nemico di tutti i popoli. E questa è una cosa.
Però Israele sfoga i suoi rancori su un altro popolo chiedendo ai palestinesi e a qualsiasi altro arabo di pagare il prezzo di crimini che non hanno commesso. E questa è un’altra cosa.
Gli israeliani si vantano di fronte al mondo di essere i primi profughi ed esiliati nella storia dell’umanità, fino al punto di trasformare questo attributo in un segno distintivo. Però sono completamente incapaci di comprendere che anche altri possono possedere lo stesso senso.
Non è crudele affermare che il comportamento dei sionisti contro il popolo palestinese è paragonabile alle pratiche naziste applicate contro gli stessi ebrei.
 Non è crudele affermare che il comportamento israeliano e quello del movimento sionista nei rapporti internazionali strappano proprio di bocca il commento: commerciano con il sangue delle vittime ebree. Con i soldi e l’equipaggiamento ricevuti in risarcimento delle vittime del nazismo uccidono un altro popolo.
Dunque non è crudele nemmeno affermare che il modo in cui Israele commemora le vittime del nazismo è caratterizzato dal ricatto emotivo; in quanto saturare gli israeliani tramite il senso dell’olocausto spinto all’eccesso e contemporaneamente tramite il bisogno di vendicarsi non del proprio carnefice ma di un’altra vittima, ossia il popolo palestinese, è un obiettivo politico.
il sionista arrogante non si vergogna di vantare che la perdita di 6 milioni di ebrei, o giù di lì,  gli è valsa una patria.
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed., 2014, p.46-47)

p.121 a tarda notte il mondo va a dormire.
Uccidiamo la memoria
Così il mondo va a dormire e mi dimentica.
Non svegliare la vittima, potrebbe gridare.
Chi l’ha svegliata? Chi è stato?
Un vento che soffia all’improvviso, rianima i morti.
Da dove soffia?
Da ogni direzione, dalla patria.
Chi ha insegnato loro questo termine desueto?
Poeti che cantano al suono del rababà.
Uccideteli.
Li abbiamo uccisi, ma hanno inventato un altro termine: libertà.
Chi ha insegnato loro questo termine sedizioso?
Ferventi rivoluzionari.
Uccideteli.
Ne abbiamo uccisi, ma hanno imparato un’altra parola: giustizia.
Chi ha insegnato loro questo termine?
L’oppressione.
Possiamo uccidere l’oppressione?
Se annientate l’oppressione, annientate voi stessi.
Che facciamo?
Uccidiamo la memoria.


Pag. 139                                         
2 - MEMORIA PER L'OBLIO

Pag. 9                       Memoria per l’oblio è un testo polifonico che accosta discorsi diretti e indiretti, monologhi interiori, narrative contrapposte, sogni, descrizioni, poesie e articoli di giornale, citazioni delle sacre scritture, esegesi mussulmana, storiografia araba e non araba, lessicografia e letteratura europea.


Il caffè. 154
Ecco, sto tornando al mondo. Nelle vene mi scorre una stimolante droga, un fiume di vita nata dal matrimonio tra caffeina e nicotina, una cerimonia officiata dalla mia mano.
Conosco il mio caffè, il caffè di mia madre, il caffè dei miei amici. Non esistono due caffè che si somiglino e il mio panegirico del caffè è come un'apologia della diversità.
L'odore del caffè è un ritorno, un rientro nell'elemento primigenio, perché rimanda l'essenza del luogo d'origine; è un viaggio iniziato migliaia d'anni fa ed eternamente ripetuto. Il caffè è un luogo. Il caffè è una porosità da cui l'interno traspira all'esterno, è un'interruzione che unisce quel che solo l'odore di caffè può unire. Il caffè l'antitesi dello svezzamento, è una mammella che nutre da lontano, un mattino che nasce da un sapore amaro, è l'arte della virilità.  Il caffè è geografia.

L'acqua
165
mi importa poco di quel che succede al di là del vetro. Bombe. Missili. Sirene. Aerei. Corazzate. Mi soffiano contro come soffia il vento. Piovono come pioggia che cade. Sussultano come farebbe un terremoto. La volontà umana non può far nulla per fermarli, pare sia un destino ineluttabile. Sui nostri corpi, oggi, si sta testando ogni nefandezza che l'ingegno umano ha potuto partorire e, in aggiunta, tutto un bagaglio di innovazione tecnologica. Sarà il giorno più lungo della storia? Nessuno lava i morti, siano quindi i morti a lavarsi da sé. Col sangue, intendo, visto che l'acqua è introvabile. Faccio sempre tesoro, io, delle mie preziose riserve idriche, utilizzo ogni goccia con estrema parsimonia. Ogni goccia ha il suo ruolo. Le conto, quasi. 500 per lavarmi i capelli. Duemila per il corpo. 100 per la bocca. 100 per farmi la barba. 20 per ogni orecchio. 50 per ogni ascella via di seguito. Ogni goccia ha il suo pezzetto di corpo.
166
L'acqua è aria in gocce, palpabile, tangibile, pegno di luce. È per questo che i profeti hanno voluto che i loro popoli la amassero: dall'acqua abbiamo fatto germinare ogni cosa vivente(Corano, 21º, 30).
A Tell al-Za’tar  i cecchini aspettavano le donne palestinesi vicino all'acqua, vicino alle condutture bucate, esattamente come fanno i cacciatori quando braccano le gazzelle assetate. Acqua assassina. Acqua che diluisce il sangue di gente disidratata, disposta a rischiare la vita pur di inumidirsi le labbra. Acqua che ha mosso i re degli arabi e li ha costretti loro malgrado a telefonare al presidente americano per proporre uno scambio vantaggioso: sangue in cambio dell'acqua. Petrolio in cambio dell'acqua. Noi stessi in cambio dell'acqua.
Il rumore dell'acqua è come uno schiamazzo di nozze, più forte, molto più forte di qualsiasi aereo. Il rumore dell'acqua fa da specchio alle vene della terra che vive, il rumore dell'acqua è libertà. Il rumore dell'acqua è umanità.

179
Nell’area invasa, sul mare invaso, sulla montagna invasa e sulle sue distese di pini continuano a piovere bombe, bombe di paure primordiali; la cacciata di Adamo dal paradiso terrestre si inserisce nella moltitudine di storie che raccontano un esodo. Non ho patria, non ha più corpo. Continuano a piovere bombe sui cantici di gloria, sul conversare di morte che scorre nel sangue come luce che infiamma domande gelide. I missili mi penetrano in ogni poro della pelle e ne escono indenni. Non sento l’inferno che l’area diffonde, perché lo respiro, lo sudo in ogni goccia di sudore.

179     Voglio cantare
sì, esatto, voglio cantare questo giorno bruciato. Voglio cantare. Trovare le parole che muteranno la lingua in acciaio dell’anima, una lingua che sappia battere questi aerei, questi insetti d’argento scintillante. Voglio cantare.  Inventare una lingua che mi sostenga e che sosterrò, la lingua che mi dia prova e a cui darò prova della forza che ci abita, una forza capace di trionfare sulla solitudine universale. Voglio cantare e poi andar via.

197
quante incongruenze tra noi palestinesi.
Ci sono interi uffici con tanto di aria condizionata e saloni di rappresentanza che servono solo a diffondere calunnie maldicenze. Qualche gruppuscolo si è specializzato nel commercio di martiri: ce ne servirebbero altri 20 per portarci al livello.
E così si è combattuto per accaparrarsi un martire di cui non si conosceva l’affiliazione. Si è messo a morte un combattente perché ha rifiutato di sparare a un amico che militava in un’altra organizzazione. Si è buttato il suo cadavere in un pozzo abbandonato e lì è rimasto finché un una veggente non l’ha ritrovato.

p.200 Begin come Giosuè (VI,16-26)
v. testo…

223     Paolo Rossi
Anche noi amiamo il calcio. Anche noi abbiamo il diritto di amare il calcio. E abbiamo il diritto di assistere alla partita. Perché no? Perché non sfuggire un po’ alla routine della morte? In un rifugio, siamo riusciti a procurarci l’energia elettrica usando alla batteria di un’automobile. In un battibaleno Paolo Rossi ci ha trasmesso la gioia che ci mancava. È un uomo che, in campo, si vede solo dove conviene che lo si veda. Un diavolo smilzo che noti solo dopo che ha segnato la rete, esattamente come un aereo da bombardamento si vede solo dopo che i bersagli sono esplosi. Dove c’è Paolo Rossi c’è un gol, c’è un’ovazione. Poi lui scompare, oppure si nasconde per aprire nell’aria un varco per quei suoi piedi pronti a cercare le buone occasioni, a portarle a maturazione, a raggiungerle in un picco di voluttà. Non è mai chiaro se sta giocando a calcio oppure facendo l’amore con la rete, una rete ritrosa che lui, sul torrido campo spagnolo, tenta e seduce con una raffinata galanteria italiana. Che lusinga come farebbe un gatto in calore. E poi, infine, ecco che Paolo Rossi, sotto gli occhi dei guardiani della virtù, un imene di 10 uomini posto a protezione della verginità della rete, ecco che Paolo Rossi avanza, avanza in un impeto di lussuria, avanza, muscolo d’aria, e sfonda. Ed ecco che la rete, incapace di resistergli, si rilassa e si arrende al suo ineffabile stupro.

225-229        in quell’anno i franchi conquistarono Gerusalemme
 Ibn Kathir (1301-1373) l’inizio e la fine.

229     presso i franchi non c’è ombra di senso dell’onore e di gelosia.
Usama ibn Munqidh (1095-1188), Il libro dell’ammaestramento con gli esempi.
238     i tacchi alti e l’amore in tempo di guerra
sbatti i tuoi tacchi alti sulla pietra delle scale e maciulla le pareti del mio cuore facendone pastura per i cani randagi. Ah, quanto mi piacciono i tacchi alti che fanno stendere le gambe in un assoluto di femminilità pronta a esplodere, che rimpiccioliscono il ventre, lo fanno arcuare quando è raggrinzito per la sete, che arrotondano i seni e li fanno passare alti e superbi sopra le teste dei passanti al cui desiderio si negano. I tacchi alti fanno sì che il collo si tenda come quello di un cavallo quando sta per precipitare in un baratro, fanno sì che la lancia si rizzi su un pulpito d’aria solidificata. Sbatti contro il selciato con ombrosità di una gazzella che né braccia né parole possono afferrare. Mostrati pian piano da dietro la porta chiusa. Dall’altro lato c’è una poltroncina in pelle. Ci potrà reggere, è abbastanza larga per noi due. Ma non toglierti i vestiti perché la morte non ci veda nudi. C’è tempo solo per un amore frettoloso, per un sobbalzo di eternità temporanea.
…Non c’è tempo per l’amore in una guerra a cui dobbiamo solo sorsi di vita.
 È insito nella guerra generare lussuria? È insito nella paura di morire, generare tensione? Amo questo amore senza chiacchiere, senza belle parole, senza orpelli inutili. Senza tempo per i rituali che rendono magico separarsi e sciogliersi lentamente dall’abbraccio, come quando ci si rifugia in una sigaretta fingendo di contemplare gli anelli di fumo azzurrognolo che disegna. Come quando si guarda l’orologio non tanto per vedere l’ora, ma per sapere se è tempo che uno dei due furtivamente si sfili. Amo questo amore che non lascia dolore nei ricordi né cicatrici in petto. Un amore come un volo di farfalla sulla rosa dell’anima. Un capriccio che porta il poeta a confondere la donna con il canto.

246 … Facciamo attenzione alle armi letterarie capaci di nascondere il loro tradimento e la loro pretesa di santità, capaci di infrangere i nostri sogni fingendo disgusto per la politica - detto in altri termini: disgusto per la lotta. Un uso corretto della lingua è diventato sinonimo di arretratezza, la precisione della metrica regresso. La chiarezza è diventata una vergogna, la parola e l’effetto della parola sul pubblico  inciviltà. Per dirla in breve: siamo in piena reazione. Lo spirito reazionario, spacciandosi per sinistrorso, si è fatta avanti con tutto l’armamentario tipico della modernità, stracolmo però di tutte le teorie sul ritorno al passato.
…E intanto il figliol prodigo faceva ritorno alla sua comunità confessionale, al suo ascetismo o al suo esoterismo e dichiarava a gran voce che era pentito di essersi rovinato la vita partecipando a quei movimenti di liberazione che avevano prodotto solo difficoltà impreviste e a quella rivoluzione che ha dimostrato di avere costi troppo elevati.

260… Il cambiamento degli arabi.
Io non credo, né voglio credere, che la storia del medio oriente continuerà meccanicamente a ripetere se stessa, né che lo farà per guizzi creativi. Per quanto gli slogan della moderna politica siano ormai lontani anni luce dai principi che li hanno generati, per quanto i discorsi siano vuoti di contenuto, io, comunque, non mi convincerò che il cambiamento degli arabi, che il progresso degli arabi, verrà dall’esterno, da qualcosa che non sia arabo. Secondo me, un modello che si prefigge di sedurre con la fede quanti non hanno fiducia nel presente non può che riportarci a un conflitto che affonda in questioni non più nostre. E io cosa ho a che spartire con gli errori del terzo successore del profeta, il califfo Uthman ibn ‘Affan? Ho altre storie, io, questa non è l’unica che mi riguarda.


3 – IN PRESENZA D’ASSENZA p.283

Nel 2006, quando pubblica in presenza d’assenza, Darwish vive tra Ramallah, in Palestina, e Amman in Giordania. Nell’ultimo decennio si è quasi totalmente liberato della pressione politica che gli pesava addosso in quanto “poeta nazionale”. Ha potuto e voluto essere in prima istanza semplicemente un poeta. I critici chiamano questa fase “lirico-epica” e “dei temi indipendenti”.
Mentre si interroga sul posto che la Palestina occupa nel mondo, il lirismo intimista e il lirismo epico si riconciliano nell’immagine del palestinese non più eroe e vittima, ma come essere umano che anela a una vita banale, semplice, ordinaria.  p.10

p.11    A un certo punto la sua traiettoria poetica si spinge verso l’alto alla ricerca di un punto di equilibrio in cui prosa e poesia si avvicinino l’una all’altra, tanto da arrivare a confondersi.
In presenza di assenza il poeta si sforza di elevare al suo massimo potenziale la prosa in arabo. Ed è una sorta di addio a se stesso quando si dice:
Allora riposa in pace, se possibile
Riposa in pace nelle tue parole.

la crisalide e la farfalla

p. 287                 secondo le tue volontà, eccomi qui, in piedi, a ringraziare a nome tuo chi è venuto a darti l’estremo saluto per quest’ultimo viaggio. L’invito a non dilungarsi troppo nel congedo per passare un banchetto più  consono a ricordarti.
Lascia che ti guardi, ora che ti sei staccato da me, indenne come pura prosa su di una pietra che si tinge di verde o di giallo in tua assenza, lascia che ti guardi, ora che mi sono staccato da te. Lascia che raccolga te il tuo nome come fanno i passanti con le olive dimenticate, nascoste tra i sassolini. Andiamocene insieme, tu e io, in due direzioni diverse: tu, verso una seconda vita, promessa dalla lingua, in un lettore che forse sopravviverà all’impatto della cometa con la terra; io, verso l’appuntamento più volte posticipato con la morte a cui, in una poesia, ho promesso un calice di vino rosso.
289… Mentre ci separiamo presso questo limbo dalla vita alla morte, lasciami, dunque, rescindere il contratto stipulato tra me e te, tra un’assurdità e l’altra. Non sappiamo chi di noi ha vinto e chi ha perso, se io, tu o la morte.
Tu, mio opposto, sei sempre alla spasmodica ricerca di un’assurdità necessaria ad allenare lo spirito alla tolleranza e a esercitare il privilegio di contemplare acqua che ride nelle fossette, o vola di farfalla in farfalla e crea poesia da ogni viva forza. Perché la leggerezza, come la rugiada, vince il metallo, lei vergine del tempo, lei che insegna alle bestie a suonare il flauto.
… Ti hanno buttato fuori dal campo. La tua ombra, però, non si ha seguito né tradito, si è pietrificata inchiodata laggiù, poi si è trasformata in una pianta di sesamo: verde di giorno, blu di notte. È cresciuta fino a diventare alta come un salice, verde di giorno, blu di notte.
Nonostante tu sia lontano sarai vicino
nonostante  ti abbiano ammazzato vivrai
non credere di essere morto laggiù
sei vivo qui.
Solo la metafora comprovarlo
 la metafora che ha insegnato il gioco delle parole alle creature
La metafora che adesso l’ombra geografia
La metafora che raccoglierà te il tuo nome.
Scrivi tu stesso la storia del tuo cuore
da quando Adamo si è innamorato
fino a quando il tuo popolo è risorto.
… Alzati affinché ti porti
avvicinati affinché ti riconosca
allontanati affinché ti riconosca.


L’esilio
334      l’esilio non è un viaggio, un andare e tornare, né un soggiornare nella nostalgia. Forse è visita, attesa degli effetti del tempo, uscita da se stessi incontro agli altri per fare conoscenza e stare in armonia o per tornare nella propria conchiglia.
…In esilio ti scegli uno spazio per domare l’abitudine, uno spazio personale per il tuo diario e scrivi: il luogo non è trappola possiamo dire:
qui abbiamo una strada laterale
un fornaio
una lavanderia
una tabaccheria
un angolino
un odore che ricorda…

L’esilio è un ponte tra le immagini per attraversare la fragilità, è il narciso sottoposto al test della superbia e della modestia al contempo, è la disputa dei diversi, è l’accordo dei simili. Non tutto ciò che somiglia al laggiù, qui chi accoglie. Non tutto ciò che qui che rifiuta, laggiù ti accoglie.


p. 335                                                          
Le città sono odori:
San Giovanni d’Acri e l’odore di iodio e spezie,
Haifa, l’odore di pini e lenzuola sgualcite.
Mosca, l’odore di vodka con ghiaccio.
Il Cairo, l’odore di mango e zenzero.
Beirut, l’odore di sole, mare, fumo e limone.
 Parigi, l’odore di pane fresco, formaggi prodotti di seduzione.
Damasco, l’odore di gelsomino e frutta secca.
 Tunisi, l’odore di muschio notturno e sale.
Rabat, l’odore d’hennè, incenso e miele..
Gli esili hanno un odore condiviso: odore di nostalgia per qualcos’altro, odore che ne rievoca un altro. L’odore del luogo d’origine. L’odore è memoria e tramonto.

Le parole
Le parole sono le materie prime per costruire una casa. Le parole sono una patria. (336)

La nostalgia
p.355
La nostalgia è l’ospite della sera che arriva quando cerchi le tue tracce in quel che ti circonda e non le trovi, quando un passerotto si posa sul balcone e ti sembra un messaggio inviato da un paese che, quando si abitavi, non amavi come la mia adesso che è dentro di te. Prima era aria, terra e acqua, ora è poesia. La nostalgia è il lamento del diritto incapace di dimostrare la forza del diritto davanti al diritto della forza.
356…La nostalgia è il dolore che non ha nostalgia del dolore. E’ il dolore provocato dall’aria pura che viene dall’alto di un monte lontano, il dolore della ricerca di una gioia passata.
Però è un dolore di quelli sani, perché ci ricorda che siamo malati di speranza e inguaribilmente sentimentali.

L’amore
357
l’amore è un cammino battuto come il significato, ma impervio come la poesia. Richiede talento, tenacia e foggia valente perché ha molti gradi. Non basta amare, quella è una delle magie della natura simile al cadere della pioggia all’abbaglio del lampo. L’amore che porta su un’altra orbita e poi te la deve sbrigare da solo. Non basta amare, devi sapere come amare. Hai imparato come?
…360
Tu sei quello che conosce l’amore solo quando ama e non si chiede cos’è né lo cerca. Una volta una donna ti ha chiesto se amavi l’amore in sé e per sé, hai glissato e te la sei cavata rispondendo: amo te. Non ami l’amore?- Ha insistito. E tu:-ti amo per quello che sei-. Ti ha lasciato, non eri affidabile quando lei non c’era. L’amore non è un’idea. È un sentimento che riscalda e raffredda, che viene e va. Un sentimento che prende forma e corpo, che ha cinque sensi e più sensi. Talvolta ci appare in forma d’Angelo, dalle ali lievi, capace di sollevarsi in aria. Talvolta ci travolge in forma di toro: ci scaraventa a terra se ne va. Alcune volte si abbatte in forma di tempesta che riconosciamo soltanto poi, dagli effetti devastanti che si lascia alle spalle. Altre volte ancora scende su di noi in forma di rugiada notturna, quando una mano magica punge una nuvola vagabonda.

La frutta come un’allegoria cerebrale
p.364   
La mela è forma da mordere, senza la punizione della conoscenza.
La pena è un seno di perfetta proporzione, né più né meno di un palmo di mano.
L’uva è il richiamo dello zucchero: spremermi in bocca o nei tini.
L’albicocca il ritorno della nostalgia la sua pallida origine.
La lancia l’idea che illumina, nella notte, e può essere mangiata sempre.
Il fico è un paio di labbra che si schiudono con due dita per ricevere erotico significato in un colpo solo.
Il fico d’India della vergine che difende il suo tesoro.
La ciliegia e accorciare la distanza tra il desiderio degli occhi la fregola delle labbra.
La mela cotogna alla femmina che litiga per il maschio, lasciando al deluso groppo in gola.
Il mango alla bava che cola per visibile piacere.
La fragola è un insieme di acidi di colore, né rossi né altro, che rinvia lo scandalo della similitudine.
Il gelso, con lo zucchero nero, e ricordo del primo bacio.
Il melograno è rubino celato nell’allusione.

In viaggio da Ramallah a Gerico.
Il papavero e l’erba.
p.371      La vita è arrivata qui in fuga dal Mar Morto? Eppure, dalla desolazione del luogo, ecco spuntare papaveri, ecco le loro piccole corolle affacciarsi dalle rocce grigie e nere. Bastano un po’ di pioggerellina di luce, a che la vita prevalga sul nulla. Basta un po’ di speranza di tempo, a che tu attraversi le diramazioni del mito risparmiato dai destini dei tuoi avi. Prende in prestito alla saggezza dai papaveri e di: non ha niente a che fare con il nulla, sebbene sia circondato dalla morte.
E se ti chiedono della forza della poesia rispondi:
-l’erba non è così fragile come pensiamo. Da quando ha nascosto la sua ombra modesta nel segreto della terra, non si spezza più. Nell’erba spuntata dalla roccia c’è il prodigio della parola rivelata dal mistero divino, senza clamore né squilli di trombe. L’erba è profezia spontanea, senza altro profeta del proprio colore opposto a quello della terra arida. L’erba è la salvezza del viaggiatore scampato alla cultura del paesaggio e a un esercito che preclude la strada possibile. L’erba all’avvicinarsi della lingua significato e il connubio del significato con l’ospitalità della speranza-.
E se ti chiedono della lotta tra poesia e morte, guarda l’erba e di quello che rasenta la verità:-nessuna poesia sconfigge la morte nell’ora dell’incontro, però può posticipare una per il tempo necessario a saggiare l’utilità del canto fino alla fine di un lungo concerto, dopodiché il cantante cade nelle mani del suo cacciatore ritto dietro la porta. Forse nessuno si accorgerebbe della morte del cantante, se la canzone diventasse collettiva e i compagni di veglia continuassero il canto. È in quel posticipo, immaginando che la morte se si è addormentata, i nuovi cantanti si sveglieranno senza badarle affacciandosi su papaveri che danno loro il benvenuto, come dice picca nei lasciati incompiuti da pastori di gazzelle, occupati a dare la caccia ai lupi e sciacalli-.
… All’improvviso, una pioggia leggera bagna la tua anima, bagna le farfalle. Luce, pioggerella, farfalle che svolazzano radenti alla litoranea. Le farfalle, pensieri sparsi, sensazioni che volano nell’aria.

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