giovedì 14 luglio 2005

14 Luglio Pentecoste laica




Questa nuova società, che ho cercato di descri­vere e che voglio giudicare, è ancora sul nascere, il tempo non ne ha ancora fissato la forma; la grande rivoluzione che l’ha creata dura ancora e  in ciò che sta accadendo ai nostri giorni è quasi impossibile discernere ciò che deve passare con la rivoluzione stessa e ciò che deve restare dopo di essa. Il mondo che sorge è ancora seminascosto dai rottami del mondo che cade e, in mezzo all’immensa confusio­ne che regna nelle cose umane, nessuno potrebbe dire ciò che resterà delle vecchie istituzioni e degli antichi costumi e ciò che finirà per scomparire.

Alexis   DE TOCQUE VILLE

             La laicità e la società aperta

Aufklarung (letteralmente “chiarezza”) è la parola che nella lingua tedesca indica l’illuminismo ed è anche il titolo di un quadro allegorico dell’artista tedesco Daniel Chodowiecki, vissuto nel diciottesimo secolo. L’opera raffigura un carro con un carico pesante che percorre una strada solitaria; al lato c’è l’ombra minacciosa e oscura di un bosco, mentre sullo sfondo si vede un paese già immerso nella luce del mattino perché i raggi del sole stanno dissipando la nebbia cattolica.  Anche nella cultura cattolica c’è il riferimento alla luce con lo stesso significato di sottolineare il primato di un’idea.



La teoria della possibilità postula che in ogni situazione ci sia sempre qualcosa che manca, un lato rimasto in ombra che può essere portato alla luce. Ogni cosa lascia intravedere una prospettiva di superamento di quello che è dato, di ciò che è visibile, e non è detto che appaia a tutti nello stesso momento e con la stessa evidenza..

 …il principio democratico ha la capacità di introdurci nella complessità dell’uomo al riparo da ogni ri­duzionismo culturale o religioso. Il terreno di ricomposizione delle differenze non può essere che lo spazio pubblico, quello della relazione e del confronto, dove ciascuno dovrebbe sentirsi a proprio agio e mai costretto a dismettere idee e identità. La democrazia si gioca sul terreno reale del confronto e pro­duce effetti se c’è disponibilità culturale. Karl Popper, in uno dei suoi scritti più affascinanti, “Il mito della cornice”, critica la tesi secondo la quale il dia­logo sarebbe fecondo solo dentro un quadro culturale condiviso, sostenendo che sono proprio le posizioni distanti a rendere la discussione positiva e coin­volgente.  Io penso che in mezzo ad ogni contrapposizione si estenda uno sterminato campo che è quello dell’attività umana, in cui si maturano idee che tendono ad accomunare le persone e si delineano obbiettivi parziali e poteri utili a fronteggiare la transizione, alfine di realizzare una esistenza migliore, più dignitosa e tollerabile.

La democrazia è flessibilità, compromesso, con­sapevolezza di poter raggiungere solo punti d’equilibrio incerti, aggiustamenti precari, accomodamenti provvisori. La democrazia non ammette decisioni ir­revocabili; consapevolmente rinuncia all’onnipotenza e alla perfezione, perché l’idea di perfezione offende il rapporto che ogni individuo ha con se stesso e con i suoi simili; rifugge dalle forme di esaltazione e riposa sulla mediocrità, sul grigiore dell’uguaglianza e sul ragionare paziente. In democrazia il di­scorso politico procede per decisioni prese sulla base della maggioranza. La democrazia non è il regime della verità, rifiuta che la legge possa avere una o­rigine extrasociale: una società democratica deriva dal fatto che nessuno ha il dominio dei significati, che nessuno è al di sopra della legge e tutti ne sono al di sotto.  Le norme che regolano la convivenza civile non ricalcano un codi­ce ereditato dalla tradizione, ma sono il frutto di un patto collettivo. Il diritto positivo è l’oggetto e lo strumento dell’integrazione sociale. Registra gli avan­zamenti come gli arretramenti dell’umanità. E utile finché serve. 

 
Nulla garantisce nulla. Non basta neanche la volontà per garantire che le sorti della storia siano inevitabilmente magnifiche e progressive come abbiamo imparato da quella teoria filosofica chiamata “eterogenesi dei fini”, secondo cui l’ordine delle cose spesso non è prevedibile, è per lo più spontaneo e ininten­zionale perché i buoni propositi individuali, mescolandosi, possono generare risultati disastrosi per la collettività, allo stesso modo che da singole azioni non desiderate e magari negative possono nascere conseguenze positive per tutti.

Pagina conclusiva del libro:

Viviamo tutti nell’età dell’incertezza, un’incertezza che la democrazia anzi istituzionalizza. Stiamo barattando gran parte delle nostre sicurezze con una maggiore libertà. Gli inconvenienti della nostra condizione risultano uniti in modo inestricabile a quelli che pensiamo siano i suoi vantaggi. Dubbio e fati­ca nel tentare di costruire qualcosa che non ci è stato insegnato, sono i natura­li compagni di strada dell’autonomia e della emancipazione. Questa nostra società che sembra condurre allo scetticismo e all’individualismo è anche una società più libera di cercare il senso del suo progredire, magari più dispersa ma forse più adulta, che può trovare i motivi dello stare insieme proprio ri­mettendo in discussione tutte le separazioni storiche sinora imposte.

Non esistono scorciatoie al confronto democratico, nulla si può escludere a  priori. Tutto si decide insieme e quello che si decide dipenderà dal livello di approfondimento maturato, dalla disponibilità di ascolto delle ragioni altrui, dalla capacità di persuasione, di conquistare i consensi con gli argomenti che si riterrà liberamente di utilizzare. Il futuro sviluppo della società religiosa e di quella civile risiede proprio in questo difficile, ma anche inevitabile, con­fronto tra verità religiose e principi democratici, tra una Chiesa che in linea di principio esclude dal suo orizzonte la possibilità di modificare la propria na­tura e cifra strutturale e tuttavia non può fare a meno di interagire con la so­cietà civile, con le sue idee e con le sue istituzioni, e un sistema politico aperto e imperfetto che sopravvive solo a queste condizioni e che sta a ad ognuno e a ciascun fenomeno sociale contribuire a definire e a migliorare. Certo nessuno può prevedere gli esiti di processi così lunghi e complicati. Recita un detto: in fondo le strade le fanno quelli che ci camminano.



 


 



 


 


Da: Luciano Zannotti, La sana democrazia, verità della chiesa e principi dello Stato, G.Giappichelli ed. Torino, maggio 2005, €. 25.



NB. Le sottolineature e la citazione che segue sono mie.



 


 


 Antonio Machado  (1875-1939)

 Caminante, son tus huellas

el camino, y nada más;

caminante, no hay camino,

se hace camino al andar,

Al andar se hace el camino,

y al volver la vista atrás

se ve la senda que nunca

se ha de volver a pisar.

Caminante, no hay camino,

sino estelas en el mar.

 Camminante, sono le tue orme

Il cammino, e nulla più;

Camminante, non c’è cammino,

il cammino si fa andando,

Andando si fa il cammino,

e a volger lo sguardo indietro

si vede il sentiero che mai

può essere calpestato di nuovo.

Camminante, non c’è cammino

All’infuori delle stelle nel mare.




 


 


 

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