sabato 22 ottobre 2005

La questione del parecchio.


Approfitto di questo sabato piovigginoso passato in casa, anche perché domattina si parte con Paola per una scappata a Roma (ho comprato i biglietti online, mi presento all'Eurostar delle 7,54, non timbro il cartellino, salgo sulla vettura n.9, prendo il mio posto numerato e quando passa il controllore gli presento l'email. Già: il biglietto, formato A4. Riflessione sul classico tema scolastico: l'uomo progredisce nella tecnica e poi va indietro nel progresso umano).


Di questi tempi mi capita spesso di pensare a Giolitti. Il quale era di Dronero, alta Italia, basso Piemonte. Qui in Toscana, parlando, si usa dire parecchio nel senso di molto. Si vede che usa così anche nel cuneese, perché ci fu un momento nella storia d'Italia che questo avverbio campeggiò a caratteri cubitali sui nostri giornali, intorno al 1913-14. Era successo che Giolitti, capo del governo come è oggi il Berlusca, di fronte a chi voleva la guerra contro l' Austria e gli Imperi centrali, per riscattare le terre ancora irredente, fece un discorso più o meno così: la Germania e l'Austria non sono la Libia;  la guerra non è uno scherzo; . Francia e Inghilterra, grandi potenze coloniali, stanno per fare la guerra agli Imperi Centrali; noi avremmo qualche contenzioso anche con la Francia, tanto è vero che i nostri cannoni fino a ora sono stati voltati verso Mentone e la Savoia e i nostri generali sanno a memoria le cartine dell'Istituto geografico militare di Firenze; Verso il Nord c'eravamo sistemati col trattato della Triplice Alleanza, la quale, stretta ora alle corde da Francia e Inghilterra ci fa capire che, in cambio della nostra neutralità, noi si potrebbe ottenere "parecchio". L'avverbio era in tedesco, ma Giolitti lo tradusse così. Apriti cielo! Tutti i giornali a ridere su questo parecchio; anche in Corte il re ridacchiava coi nipotini che andavano a scuola e raccomandava di usare l'avverbio "molto", magari anche "tanto", ma non parecchio. Si riunirono le testate dei giornali insieme ai testoni dell'industria pesante, quella che usa il ferro col quale si fanno i cannoni, e tutti furono d'accordo: Giolitti rompe e parecchio (anzi,sorry, molto molto); mandiamolo via. La Patria irredenta pianse lacrime di gioia alla notizia dell'arrivo di Salamandra o Salandra o non so chi, vado a memoria. Anche Salvemini, del resto, aveva bollato Giolitti, motivatamente, come "Ministro della malavita", colluso con la mafia del mezzogiorno d'Italia. E così vennero il Carso, il Montello, Monte Sabotino, Caporetto, il Piave su una montagna di ragazzi di vent'anni sbudellati dalle granate austriache, colpiti dal fuoco amico dei carabinieri che li vigilavano alle spalle se al momento dell'ordine di attacco non si fossero buttati - col moschetto 91 e baionetta innestata -  contro le mitragliatrici austriache. (V. Nota a fondo pagina)

Novecentomila i morti ammazzati.

Il conto degli altri fatti fuori dai nostri novecentomila prima di morire non ce l'ho sul momento. 

Ancora dei nostri, più di un milione tornarono a casa feriti nel corpo e nello spirito, disperati, disoccupati, mentalmente disturbati. Crearono una confusione tale che portò altri impauriti e disperati da tutto quel terrorismo di strada a rifugiarsi nelle braccia della buon'anima. Sopra le Alpi la Repubblica democratica di Weimar, messa alla fame dall'embargo franco-inglese cercò rifugio sotto i baffi striminziti ma protettivi di Adolfo. I quali, dopo poco tempo, aritonfa...

La seconda guerra mondiale è figlia diretta della prima.


Tutto questo immodico,  illetterato quasi dislessico fraseggio mi viene in questi tempi di sovente alla mente quando leggo nei commenti a Beppe Grillo o ad altri validi blogghisti le espressioni disperate: me ne vado dall'Italia, non voto per questa sinistra alla mortadella, devota e baciapile. Sono tutti uguali. Giolitti o Salandra, cosa cambia. Bush o Kerry cosa cambia.

Per Giolitti non ci fu bisogno di una giornalista fiorentina disturbata, capitò al punto giusto un poeta indebitato e via con Le Laudi degli Eroi. Penso a Celentano che attacca "I politici" che intende giudicare Berlusca e Prode in base a quello che "faranno", e si mantiene neutrale, perché ancora deve capire; penso a Bertinotti rivoluzionario che tira giù il governo Prode, non so se per la questione delle 35 ore;  penso a quando pensavo che Berlusconi non avrebbe fatto gran danno, perché - destra o sinistra - l'Italia essendo talmente condizionata dalle macropotenze, dalla macroeconomia e dalla macrovaticania, mi ripetevo: ha potuto far poco d'Alema, potrà far poco Berlusconi. Amici miei mi sbagliavo.  Berluscone fa, e fa davvero.

Ma oggi penso a Giolitti e Salandra, a Zapatero ed Aznar, a  Kerry e Bush, a Sandino e Somoza, a Chavez e chi l'ha preceduto, a Lula e chi prima di lui. Gli abbinamenti sono un po' sbuccioni, mi rendo conto e chiedo scusa.

Ma ero già in età di intendere e di volere quando nelle mie campagne e montagne del Casentino i briganti badogliani venivano perseguiti a morte dai tedesco repubblichini.

Occhio, ragazzi. Se Giolitti fosse rimasto a capo del governo, non saremmo entrati in guerra, avremmo avuto lo stesso Trieste e Bolzano città, non la provincia abitata da tedeschi, come già aveva riconosciuto Cesare Battisti, deputato italiano al Parlamento di Vienna. E invece no: milioni e milioni di morti cullati dalla
ninna nanna di Trilussa, osannati come eroi sui monumenti di tutte le piazze e piazzette e paesini d'italia.

E quando noi li chiamiamo eroi, assolviamo  
gli assassini che li hanno mandati a morire, perché riconosciamo che era loro dovere obbedire ad un ordine giusto, oltreché legittimo. Se invece li chiamiamo vittime la cosa cambia. Ragione per cui non sentirete mai questa parola nei discorsi commemorativi ufficiali. Pensate: 400.000 cause per renitenza alla leva, rifiuto di combattere, autolesionismo mirato ad evitare il servizio militare. Se ti spari a una mano o a un piede senza frapporre, non so, un pane o un oggetto assorbente, e la corte marziale stabilisce che il colpo è partito da distanza ravvicinata, perché sul moncone ti è rimasto l'alone nero della polvere da sparo, per te c'è il plotone d'esecuzione.


Occhio ragazzi. La Germania aveva il più forte partito operaio d'Europa. Quando le SA e poi le SS cominciarono a menar le mani, quel partito trovò il modo di continuare a litigare al suo interno, sino alla fine.

Turiamoci il naso, amigos, ma non gli occhi.

Abbiamo parecchio ancora da perdere, perché questi sono determinati, non si fermano se non li fermiamo.


Dedico questo mio post-iccio ai Die-ins che in questo momento sono in presidio permanente davanti alla Casa Bianca in attesa del prossimo 2 Novembre, giorno d'inizio delle manifestazioni nazionali per la fine del regime Bush.


  Nota di fondo pagina

Andare avanti significava morire, ma anche tornare indietro significava morire; a decine venivano infatti fucilati sommariamente, senza processo, per vigliaccheria o per ammutinamento e, laddove non si individuavano i responsabili, si procedeva alla drammatica strategia della decimazione:un soldato su dieci, innocente o colpevole, veniva cioè sorteggiato e  mandato di fronte al plotone di esecuzione, senza pietà, in una sorta di  agghiacciante roulette russa.

Continua qui.

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