Never again? Mai più?
In Palestina è in atto un olocausto al rallentatore, un assassinio col silenziatore.
Sfruttando la sofferenza degli ebrei:
http://www.vho.org/aaargh/fran/livres3/NFOlocausto.pdf
L'industria dell'olocausto
Rizzoli Proprietà letteraria riservata C 2000 Norman G. Finkelstein 0 2002 RCS Libri Sp-4., Milano ISBN 88-17-86827-2
Titolo originale dell'opera: The Holocaust Industry Prima edizione. settembre 2002 Traduzione di Daria Restani Traduzione dal tedesco e dall'inglese delle Appendici di Roberta Zuppet Realizzazione editoriale. Abracadabra s.n.c., Milano
Il mio interesse nei confronti dell'Olocausto nazista prese le mosse da vicende personali. Mia madre e mio padre erano dei sopravvissuti al ghetto di Varsavia e ai campi di concentramento. Tranne loro, tutti gli altri membri dei due rami della mia famiglia furono sterminati dai nazisti. Il mio primo ricordo, per così dire, dell'Olocausto nazista è l'immagine di mia madre incollata davanti al televisore a seguire il processo ad Adolf Eichmann (1961) quando io rientravo a casa da scuola. Anche se erano stati liberati dai campi solamente sedici anni prima del processo, nella mia mente un abisso incolmabile separò sempre i genitori che conoscevo da quella cosa. A una parete del soggiorno erano appese fotografie di parenti di mia madre. (Nessuna foto della famiglia di mio padre sopravvisse alla guerra.) In pratica non riuscii mai a mettere in relazione me stesso con quelle facce, men che mai a immaginare quello che era successo. Erano le sorelle, il fratello e i genitori di mia madre, non le mie zie, mio zio e i miei nonni. Ricordo di avere letto da bambino The Wall [Il muro di Varsavial, di John Hersey, e Mila 18, di Leon Uris, due romanzi ambientati nel ghetto di Varsavia. (Mi torna alla mente mia madre che si lamentava perché, immersa nella lettura di The Wall aveva sbagliato fermata andando al lavoro.) Per quanto mi sforzassi, non riuscii [13] mai, nemmeno per un istante, a fare quel salto d'immaginazione che saldava i miei genitori, con tutta la loro normalità, a quel passato. Francamente, non ci riesco neanche ora. p.6
Mio padre e mia madre si chiesero spesso perché m'indignassi di fronte alla falsificazione e allo sfruttamento del genocidio perpetrato dai nazisti. La risposta più ovvia è che è stato usato per giustificare la politica criminale dello Stato d'Israele e il sostegno americano a tale politica. Ma c'è anche un motivo personale. Ho infatti a cuore che si conservi la memoria della persecuzione della mia famiglia. L'attuale campagna dell'industria dell'Olocausto per estorcere denaro all'Europa in nome delle «vittime bisognose dell'Olocausto» ha ridotto la statura morale del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo.
Troppe risorse pubbliche e private sono state investite nella commemorazione del genocidio e gran parte di questa produzione è indegna, un tributo [16] non alla sofferenza degli ebrei, ma all'accrescimento del loro prestigio. È da tempo che dobbiamo aprire il nostro cuore alle altre sofferenze dell'umanità: questa è la lezione più importante impartitami da mia madre. Non l'ho mai sentita dire: «Non fare paragoni». Lei li fece sempre. Certo si devono fare distinzioni storiche, ma porre distinzioni morali tra la «nostra» sofferenza e la «loro» è a sua volta un travisamento morale. «Non potete mettere a confronto due sventurati» osservò Platone «e dire quale dei due sia più felice.» Di fronte alle sofferenze degli afroamericani, dei vietnamiti e dei palestinesi, il credo di mia madre fu sempre: siamo tutti vittime dell'Olocausto. p.7
Hannah Arendt: La banalità del male. ("solo il bene ha profondità e può essere radicale")
http://www.youtube.com/watch?v=u3VT6A_9_A0
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