Dante e Darwish
La perla e l’ostrica
La Perla è un prodotto
del dolore, risultato dell'entrata di una sostanza estranea o indesiderabile
nell'interno dell'ostrica, come un parassita o un granello di sabbia. Un'ostrica
che non è mai stata ferita, in un modo o in un altro, non produce perle, perché
le perle sono ferite cicatrizzate.
O vos omnes qui transitis per viam
attendite et videte si est dolor vester sicut dolor meus. (Bibbia,
Geremia,I,12 )
O voi che per la via
d'Amore passate
attendete e guardate
s'elli è dolore alcun,
quanto 'l mio, grave.
(Dante, Vita Nova, VII, 3-6)
Ahi dal dolor comincia e nasce
L'italo canto. (Leopardi: ad Angelo Mai)
La
mia letteratura corrisponde a un preciso momento storico: Il poeta in fin dei
conti cerca di umanizzare la storia e fa emergere la bellezza come risposta
alla crudeltà dei nostri tempi. Io sono orgoglioso di essere palestinese, ma
auspico che l’occupazione non sia condizione necessaria per diventare poeta.
(Darwish – Intervista fatta a Firenze nel
2005)
Sono tutti e due poeti dell’esilio e della
sconfitta;
Tutti e due hanno fatto esperienze di governo;
Tutti e due hanno trovato nella poesia la
fuoriuscita dalla banalità del male presente intorno a loro.
La Trilogia palestinese e la Divina Commedia a confronto:
L’Inferno
e il Purgatorio di Dante li apparento al
“Diario di ordinaria tristezza” e “Memoria per l’oblio” di Darwish; il Paradiso
ci fa vedere Dante che si distacca dall’”aiuola che ci fa tanto feroci” volando
in cielo con Beatrice-teologia; “In presenza d’assenza” Darwis supera le
barriere della morte con la poesia che “vince di mille secoli il silenzio”, per
dirla con Ugo Foscolo.
Dante è la farfalla che vola via libera:
Non v’accorgete voi che noi siam vermi
Nati a formar l’angelica farfalla
che vola alla giustizia sanza schermi?
(Purgatorio,
X, 24-27)
Darwish
esce da se stesso, finalmente libero, verso una seconda vita:
Lascia che ti guardi, ora che ti sei staccato da me, indenne
come pura prosa su di una pietra che si tinge di verde o di giallo in tua
assenza, lascia che ti guardi, ora che mi sono staccato da te. Lascia che
raccolga te il tuo nome come fanno i passanti con le olive dimenticate,
nascoste tra i sassolini. Andiamocene insieme, tu e io, in due direzioni
diverse: tu verso una seconda vita, promessa dalla lingua, in un lettore che
forse sopravvivrà all’impatto di una cometa con la terra; io, verso un
appuntamento più volte posticipato con la morte a cui, in una poesia, ho
promesso un calice di vino rosso. (Trilogia
palestinese, p. 287)
Dante
ci saluta dal cielo, finalmente libero:
O insensata cura de’ mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali!
Chi dietro a iura, e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,
e chi rubare, e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s’affaticava e chi si dava a l’ozio,
quando, da tutte queste cose sciolto,
con Beatrice m’era suso in cielo
cotanto gloriosamente accolto.
(Paradiso, XI, 1-12)
Darwish: Voglio
cantare e poi andar via.
Voglio cantare. Sì, esatto voglio cantare questo giorno
bruciato. Voglio cantare. Trovare le parole che muteranno la lingua in acciaio
dell’anima, una lingua che sappia battere questi aerei, questi insetti
d’argento scintillante. Voglio cantare. Inventare una lingua che mi sostenga,
che sosterrò, la lingua che mi dia prova e a cui darò prova della forza che ci
abita, una forza capace di trionfare sulla solitudine universale. Voglio cantare
e poi andare via. (Trilogia p. 179)
Dante
contempla il mondo dalla costellazione dei Gemelli (la
sua):
Col viso ritornai per tutte quante
Le sette spere, e vidi questo globo
Tal,
ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel
consiglio per migliore approbo
che l’ha
per meno; e chi ad altro pensa
chiamar
si puote veramente probo …
E tutti e sette mi si dimostraro
Quanto son grandi e quanto son veloci
E come
sono in distante riparo.
L’aiuola
che ci fa tanto feroci,
volgendom
’io con li eterni Gemelli,
tutta
m’apparve da’ colli alle foci;
poscia rivolsi gli occhi a li occhi belli.
(Paradiso,
XXII, 133 sgg)
Darwish,
più modestamente ma non meno acutamente, guarda i passanti dalla finestra:
Fa’ quel che devi: difendi il diritto della finestra di
guardare i passanti. Non schernirti se non sei capace di addurre prove: l’aria
è l’aria, non ha bisogno di certificato del sangue. Non abbandonarti al
rimpianto. Non rimpiangere quel che hai perso quando ti sei assopito annotando
i nomi degli invasori nel libro di sabbia. La formica racconta, la pioggia
cancella. Quando ti svegli non rimpiangere di aver sognato. (Trilogia, p.289)
Dante rifiorisce
come una pianta tramite la poesia:
Io ritornai da la santissima
onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire alle
stelle.
(Purg.
XXXIII, 136-144)
Darwish: La
poesia fa spuntare l’erba dalla roccia:
“l’erba non è così fragile come pensiamo. Da quando ha
nascosto la sua ombra modesta nel segreto della terra, non si spezza più.
Nell’erba spuntata dalla roccia c’è il prodigio della parola rivelata dal
mistero divino, senza clamore né squilli di trombe. L’erba è profezia
spontanea, senz’altro profeta che il proprio colore opposto a quello della
terra arida. L’erba è fluente poesia di intuizione, semplicemente inafferrabile
e inafferrabilmente semplice. È l’avvicinarsi della lingua al significato e il
connubio del significato con l’ospitalità della speranza”. ( Trilogia, p.372)
Dante: La
poesia potrà riportarmi in patria:
Se mai continga che il poema sacro
vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bell’ovile ov’io dormì’ agnello,
nimico ai lupi che mi danno guerra,
con altra voce ormai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò il cappello.
(Paradiso
25,1-19 )
Darwish:
Le
parole valgono una patria
In questo tramonto soltanto le parole sono
qualificate a riparare il tempo e il luogo spezzati e a nominare dei che ti
hanno trascurato e si sono gettati nelle proprie guerre con armi primitive. Le
parole sono le materie prime per costruire una casa. Le parole sono una patria.
(Trilogia, pag. 336)
Dante
ha
problemi con i compagni di sventura:
“Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e il salir per l’altrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle,
sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle;
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr'a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova” …ma, poco appresso,
ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.”
(Paradiso
XVII, 58-66)
Darwish: “Quante
incongruenze tra noi palestinesi”
“quante incongruenze,” ho esclamato, “tra noi
palestinesi. Ci sono interi uffici con tanto di aria condizionata e saloni di
rappresentanza che servono solo a diffondere calunnie maldicenze. Quel
gruppuscolo si è specializzato nel commercio di martiri: ‘ce ne servirebbero
altri 20 per portarci al livello’. E così si è combattuto per accaparrarsi un martire
di cui non si conosceva l’affiliazione. Si è messo a morte un combattente
perché ha rifiutato di sparare a un amico che militava in un’altra
organizzazione. Si è buttato il suo cadavere in un pozzo abbandonato e li è
rimasto finché una veggente non l’ha ritrovato”. (Trilogia, p.197)
Il materiale
di cui si compongono le opere di Dante e Darwish comprende tutto lo scibile a
loro contemporaneo,
impastato con le loro esperienze di
vita:
Nel “ poema sacro al quale han posto mano e
cielo e terra” trovi l’impegno politico di Dante, l’esilio, i classici latini
(Virgilio, Ovidio, Lucano, Stazio, Orazio, Cicerone…), I padre della chiesa, la
bibbia, la letteratura romanza, la filosofia e letteratura araba.
Nella Trilogia palestinese Darwish inserisce le
vicende della patria e della famiglia, la Bibbia, il Vangelo, la Thora, il Corano, i filosofi e saggi arabi:Abd
Allah ibn Salam, Ka’ab, Dahhak, Mujahid, Akrama. Al-Sirri, Abi Salik e Abu
Malik, Murra al-Hamadhani, Ibn Mas’ud, Ibn al-Athir…
Vedi a p. 186,
in Matteo XIII Gesù che,
cedendo alle insistenze di una madre, le guarisce la figlia ( leggi:
Palestina), vedi a p. 200 Begin marchiato da terrorista crudele come il Giosuè
biblico ( Bibbia, libro di Giosuè, VI,
6-26).
Vedi a p. 173-74 la sura del Calamo dove si evidenziano i vaneggiamenti pseudo
religiosi dei cosiddetti saggi.
Il tema dell’esilio
Dante
affronta così l’esilio:
E io, che ascolto nel parlar divino
Consolarsi e dolersi
Così alti dispersi,
I'essilio che m'è dato, onor mi tegno.
(mi
ritengo onorato di soffrire l’esilio
visto che
così nobili esiliati soffrono
e si
consolano col loro parlare divino.)
(Dante, la canzone dell'esilio )
E ancora:
…lungi da un uomo che predica la giustizia il
pagare, dopo aver patito ingiustizie, il suo denaro ai persecutori come a benefattori.
Non è questa la via del ritorno in patria; ché
se non si entra Firenze per una qualche siffatta via, a Firenze non entrerò
mai.
E che mai? Forse che non vedrò dovunque la luce
del sole e degli astri? Forse che non potrò meditare dolcissime verità dovunque
sotto il cielo, se prima non mi riconsegni alla città, senza gloria e anzi
ignominioso per il popolo fiorentino? Né certo il pane mancherà. (Dante, lettera all’amico fiorentino, 1215)
Darwish
affronta l’esilio, lo sfida e lo elogia:
l’esilio non è un
viaggio, un andare e tornare, né un soggiornare nella nostalgia. Forse è
visita, attesa degli effetti del tempo, uscita da se stessi incontro agli altri
per fare conoscenza e stare in armonia o per tornare nella propria conchiglia.
…In esilio ti scegli uno spazio
per domare l’abitudine, uno spazio personale per il tuo diario e scrivi:
il luogo non è trappola
possiamo dire:
qui abbiamo una strada laterale
un fornaio
una lavanderia
una tabaccheria
un angolino
un odore che ricorda…
L’esilio è un ponte tra le immagini per
attraversare la fragilità, è il narciso sottoposto al test della superbia e
della modestia al contempo, è la disputa dei diversi, è l’accordo dei simili.
Non tutto ciò che qui ti rifiuta, laggiù ti accoglie. Non tutto ciò che
somiglia al laggiù, qui chi accoglie.
E non dimenticare di ringraziare l’esilio con
magnanimità: “ti elogerò, esilio, degno di elogio, laggiù, sotto un fico che mi
darà ospitalità, presso la casa di mia madre, come un passante in un autunno
passeggero”.(Darwish, Trilogia, p.334).
Post scriptum: Concludiamo con le seguenti parole di Dante che dedichiamo ai
palestinesi figli della Nakba, esiliati in patria e dispersi in ogni parte del
pianeta Terra:
“Soffro per tutti coloro che soffrono, ma
maggior pietà provo per coloro che visitano la loro patria soltanto in sogno”.
(Dante, De Vulgari Eloquentia, II,6)
Firenze,
BibliotecaNova dell’Isolotto, 12 marzo 2015 Urbano Cipriani
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