martedì 12 settembre 2006

 


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 Un’intervista a Paola Galli 

Paola Galli è una donna molto attiva e de­terminata nelle sue scelte. Per lei è sem­pre stata primaria l’esigenza di costruire e far crescere relazioni. Insegnante con pas­sione per molti anni, soprattutto dopo es­sere andata in pensione ha lavorato molto nel sociale, da sempre nella Comunità dell’Isolotto, quartiere fiorentino dove vi­ve, poi in vari altri progetti, tra cui per ot­to anni in “Un ponte per Bagdad”, e da dieci anni nella Cooperativa sociale “Ki­meta”, nata da un’idea della stessa Comu­nità dell’Isolotto, dove lavorano donne Rom in attività di taglio, cucito e stiro, nel e col sostegno del Quartiere 4 di Firenze. Contemporaneamente Paola si dedica alla scrittura, ma, ci tiene a specificare, nei momenti di sosta, comunque sempre con passione e con un angolo visuale origina­le. Un ‘identità intermedia è il primo libro che l’autrice pubblica con l’editrice Lu­ciana Tufani. Diciotto racconti che utiliz­zano l’irruzione del surreale per rappre­sentare la parte più nascosta degli esseri umani, quella non realizzata, più in om­bra, desideri, paure, fantasie.

 

Il surreale è anche un ‘aggiunta e muta­mento alla realtà, come Anna Maria Or-tese definisce la propria scrittura. Anche per te questo elemento consente un am­pliamento e una correzione dell ‘esperien­za esistenziale?

I personaggi di questi racconti hanno bi­sogno di uscire dai limiti del quotidiano, nelle situazioni inconsuete in cui si ven­gono a trovare riescono a esprimere un parte intima e repressa di sé, poiché l’im­maginazione è una ricchezza che compen­sa una realtà per molti opaca e povera.

Mi sembra che questa scelta narrativa mostri in atto anche la possibilità di scon­finamenti di identità, che fluttano al di qua e al di là di un limite, talvolta di limi­ti radicali, come la morte o i confini tra le specie. Queste situazioni estreme possono essere figurazioni dell’identità di tutte e tutti noi, multipla in una società di muta­menti veloci e di incontri tra persone di tante culture?

Ho voluto in un certo senso rappresentare narrativamente l’attenzione a condizioni e forme di esistenza diverse da quella che conduciamo quotidianamente. Morti che tornano alle loro case, ai loro oggetti o a incontrare qualcuno, che continuano a vi­vere per fare quello che non hanno saputo fare da vivi, perché «in fondo il tempo èstato così breve». Ma anche identità di es­seri che, dopo essere stati animali sono divenuti donne e uomini (assumendo ap­punto identità intermedie) o che gradual­

mente si trasformano in animali, non per­dendo ma aggiungendo qualcosa alla pro­pria natura. Ad esempio in Ciottè: «lei non era più solo una donna, ma qualcosa di più, un animale ardente e amoroso, gio­cherellona e capricciosa». L’attenzione a identità diverse è assolutamente necessa­ria sia per comprendere meglio la nostra soggettività, sia per aprirsi al mondo che ci sta intorno.

I cani umanizzati che compaiono nelle tue pagine sono sempre femmine. Qual è il motivo di questa predilezione?

Intanto amo molto i cani. Ritengo che nella relazione tra un cane e un essere umano ci sia una forte dipendenza reci­proca e sia più evidente che in altri rap­porti l’intensità del coinvolgimento, che trae origine da una primordiale fisicità. Femmine perché trovo che le relazioni tra

soggetti femminili presentino minori ele­menti di violenza e perché il femminile istintuale ha più capacità di reintegrare i propri vari aspetti, compreso quello cor­poreo.

Questo tuo sottolineare l’istintualità, la fisicità del femminile non rischia di ripre­sentare uno stereotipo che è stato abba­stanza contraddetto in anni recenti?

So che è un discorso che può apparire ri­schioso. Secondo me, il razionale non èsuperiore all’istintuale. Entrambi sono aspetti importanti, ineliminabili e comple­mentari. La capacità razionale delle don­ne è attestata dalla capacità con cui assol­vono normalmente i loro numerosi com­piti, di cura nella famiglia, ma anche di contributo nel lavoro sociale e politico.

Però ritengo che sia anche uno specifico delle donne lasciare affiorare di più l’ani­malità che è nell’essere umano, forse per­ché più libere degli uomini su questo aspetto, più “terrestri”.

Tu hai concentrato la tua attenzione su questo spazio mentale che è l’immagina­zione, come uscita dal reale nel mondo dei desideri, dell’appagamento. Vorrei di­re però che il modo come ti muovi nelle cose, come descrivi i fiori, gli alberi, gli oggetti è un modo di chi ha attaccamento alle cose reali.

In parte è così. Sentirsi attaccati alla terra è un grande piacere (e, come ho detto pri­ma, credo che sia spesso un piacere fem­minile), ma c’è sempre un limite che si vorrebbe superare. La donna di Un ‘iden­tità intermedia, uno dei racconti che pre­ferisco, aspira a trovare una sua comple­tezza “terrestre” e la raggiunge mediante un viaggio che la fa passare attraverso le cose amate, le foglie, i buchi degli alberi, le tane di animali, per poi approdare com­pletamente anche lei a quel mondo. 5cm-mai si potrebbe dire che il desiderio dei miei personaggi è di fuggire dal reale per ritrovare un reale più profondo, più intimo e sconosciuto a loro stessi, ma di cui sen­tono pulsare l’esistenza.

L’elemento di utopia, insito nelle aggiun­te e mutamenti che gli elementi surreali introducono nel reale, si manifesta più esplicitamente nell’ultimo racconto La dea è già in viaggio, dove la fantasia èun ‘utopia che si realizza, contrariamente a ciò che accade di solito alle utopie, per definizione, come tu stessa scrivi, progetti positivi possibili ma non attuati a causa del veto della legge del potere e del più forte. Il protagonista è un uomo comune, una persona anziana che ha perso la mo­glie, con tutti i suoi problemi e le sue con­traddizioni.

Sì, è uno come tanti per molti aspetti, ma in più ha la consapevolezza e l’indignazio­ne per i soprusi con cui quotidianamente vengono oppresse le persone semplici, gli umili della terra. Contro queste situazioni impegna le sue pur limitate capacità. Mol­te più persone di quanto si creda si com­portano in questo modo ed è questo che deve continuare a darci speranza.

I tuoi racconti sono sempre brevi, è una scelta precisa?

Per me l’importante è trovare una situa­zione emotiva, uno scarto intorno a cui costruire il racconto, piuttosto che svilup­pare una trama complessa. Inoltre non mi piace diluire troppo, amo il ritmo veloce e 1’ unità di luogo e di tempo.

 

Intervista di Maria Letizia Grossi

Su Leggere Donna, bimestrale di informazione culturale, n.124, settembre-ottobre 2006.

Nota disinteressata:

Il libro di Paola è da leggere. Anche per fare un dispetto alla grande editoria dei potenti e raccomandati. Anche per aiutare i piccoli editori. In più sono 16 racconti che ti piaceranno. Scritti bene. Anche se la copertina dice poco.

1 commento:

  1. il libro è da leggere e scopri una donna vera e sensuale, sensibile ed imprevedibile, da trattare come cristallo puro

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