venerdì 24 ottobre 2008

Petra, la variopinta



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Diario di viaggio

In Giordania e Siria (III)


Petra Prima di chiamarsi Petra ( “roccia” in greco) si chiamava Raqmu la “variopinta”.

Due paesaggi mi sono venuti in mente quando ho visto Petra: il grande cavone etrusco di Sovana e i Canyons dell’Arizona. Ma sono paragoni che servono poco perché in realtà Petra non somiglia che a se stessa. Lungo e quasi un po’ inquietante il grande canalone di entrata. Già ci si abitua a questa roccia particolare, piena di sfaldamenti, di faglie sovrapposte dai colori diversi, di esplosioni rotondeggianti che fanno apparire qua e là strane forme di animali, enormi teschi, sagome di elefanti e via dicendo. Il colore dominante è giallo ocra, ma subito intorno appaiono il giallo acceso, l’azzurro, il bianco, il rosso pompeiano, il fucsia. Mai mi ricordo di aver visto una roccia esprimere naturalmente tanti colori. Se la tocchi con le mani, questa terra si sgretola e ti macchi la pelle. 

Quando il lungo e profondo canalone finisce, ti trovi di fronte al primo splendido monumento, il Tesoro, scolpito nella roccia. Color mattone scuro, grandi colonne corinzie. Un’elegante facciata alessandrina. Figure di divinità rese ormai evanescenti dal tempo e dagli agenti atmosferici, resti di leoni che dovevano incutere paura, vasi e lucerne che splendevano al loro tempo di grazia e realismo. Ora la pietra si è ripresa molto di quest’opera umana che con grande arte aveva scolpito la roccia senza costruirvi qualcosa di esterno, di sovrapposto. Ne è venuto fuori uno strano miscuglio in cui la roccia stessa si è piegata e contorta ingoiando in parte l’opera dell’uomo, in parte modificandola. Natura umanizzata; in questo credo stia una non piccola parte del fascino di questo luogo.

Certo col tempo molte opere dell’uomo, nello scolorire e perdere forma, assumono un carattere diverso, speso un po’ misterioso, diventano quasi altro da quello che furono e ci si respira il soffio del tempo che è passato e delle generazioni che le hanno realizzate.

A Petra questo accade in modo particolare. Le facciate dei templi si sono ritirate a poco a poco dentro la roccia da cui emersero, la terra le ha ricoperte e attraversate con tutti i suoi inconsueti colori che arrivano a formare in certi puntai disegni di una modernità bellissima. Così scorre davanti ai nostri occhi questa strana città in cui l’opera dell’uomo che volle rispettare la materia offerta dalla natura, ne è stata a sua volta ritrasformata in un ibrido di particolare bellezza. Si capisce perché Petra sia restata sconosciuta per tanto tempo. Perché è come un mondo chiuso, quasi sotterraneo, in cui ci si immerge con qualche inquietudine e da cui si emerge quasi con sollievo, come sempre quando si resta coinvolti per un certo tempo in una realtà a cui la lontananza nel tempo e la bellezza fuori dai canoni conosciuti conferiscono un carattere particolare. (Paola)


Qualche foto delle nostre.


Postilla di Barbabianca


I Re Maghi Nabatei ovvero la fuga in Egitto


Dovevano proprio apparire come figure magiche i ricchi mercanti che da ottocento anni percorrevano la via carovaniera che dallo Yemen e da  Aqaba, sul mar Rosso, faceva centro a Petra per proseguire fino a Gaza, sul Mediterraneo. Tali sicuramente apparvero i tre ricchi Petrani ai pastori della Galilea che li guidarono verso quella grotta scavata nella roccia dove la dea della maternità, la grande dea Madre Allat, aveva benedetto una giovane bella povera coppia – Miriam e Joseph - arrivata in quei giorni da un paese non lontano. Di dove venite? Nazareth…Dov’è? Ah, sulla via dell’Assisria, un po’ a Nord.  Le offerte erano di prammatica per i Nabatei, produttori di incenso e mirra, divenuti anche tesorieri, proprio a Petra, del denaro e dei beni ad essi affidati dalle grandi “Compagnie Carovaniere” dell’epoca. Fu un omaggio dovuto alla dea Madre quella visita “rituale” alla coppia incontrata sulla via (non era diretta in Egitto?) e fu per loro poco fatica spostarsi dal vicino lussuoso caravanserraglio fino a quella incavatura sulla roccia che, oddio, non reggeva il confronto con i quartieri residenziali di Petra, ma era pur sempre una vista familiare, come familiare era la vista dell’asino e del…cammello. Infatti non  si trattava di un bue, refuso del trascrittore biblico. Il cammello, un cammellino giovane già addomesticato glielo regalarono loro, una volta sentita la storia. Con un biglietto di saluto agli amici cammellieri d’Egitto…Presentatevi a quel caravan con la tale insegna…Nessuno vi dirà: l’albergo è troppo pieno, soppalchi i ballatoi…Che Dushara vi benedica.



Nota storica sui Nabatei

I Nabatei: una strana civiltà

Questo popolo appare intorno al VI secolo a.C. Nomadi della penisola arabica, i Nabatei approfittano dei problemi in terra edomita (l'attuale sud della Giordania), causati da Babilonesi e Persiani, per infiltrarsi prima a Gaia (Wadi Musa) e in seguito a Petra. Poco a poco si sedentarizzano e sviluppano il commercio della mirra, dell'incenso e delle spezie. Un terzetto vincente visto che i Greci e in seguito i Romani, grandi consumatori di questi prodotti di lusso, assicureranno paradossalmente la prosperità dei Nabatei. Inoltre, i Nabatei possiedono il monopolio della produzione di asfalto (roccia naturale raccolta nel mar Morto) che veniva utilizzato, in particolare, per l'imbalsamatura dei corpi.

La fortezza naturale di Petra viene utilizzata come magazzino per le merci e le innumerevoli ricchezze ma nello stesso tempo assicura una posizione strategica sulle vie delle carovane, diventando una vera e propria «Wall Street dell'Oriente». La sua posizione permette infatti di controllare rapidamente le strade che vanno dallo Yemen al porto mediterraneo di Ghaza, dalla Siria allo Hijaz (regione della Mecca), dall'Egitto alla Mesopotamia. Ecco perché le tracce dei Nabatei si ritrovano un po' dappertutto in Giordania, anche se Petra continua a essere la testimonianza più sorprendente di questa straordinaria civiltà.

La loro società si fonda su un sistema egualitario: non esistono distinzioni di rango o di fortuna e non esiste la schiavitù. Il re, come un qualsiasi altro cittadino, ha il dovere di svolgere i normali doveri quotidiani. Deve anche rendere conto delle sue attività e delle sue spese. Se ognuno è responsabile nei confronti di tutti, l'arricchimento personale viene considerato come una virtù. In compenso, la persona che si impoverisce viene punita.

Il pantheon nabateo si compone di Dushara, il dio del Sole (il suo nome è stato dato alle montagne che circondano Petra: Shara Mountains), Allat, la dea-madre, e Uzzat, che si usa paragonare a Venere. Questa credenza si estese fino alla Mecca e non scomparve con l'avvento dell'Islam.

Sotto la protezione degli dei, questo popolo intelligente e armonioso rivela una grande ingegnosità. La posizione di Petra, situata in una conca circondata da montagne, permette di raccogliere le acque delle sorgenti. A questo scopo, i Nabatei costruiscono dei canali sul fianco della montagna (come nel siq) e scavano profonde cisterne che si possono ancora oggi vedere in diversi punti del sito. Il loro sistema di irrigazione è talmente elaborato che gli israeliani hanno restaurato un'antica canalizzazione nabatea scoperta nel Negev (regione desertica che copre il 60% dello Stato d'Israele).
(Guida routard, ed. 2002-2003, Il Viaggiatore, p.135)


Ancora dubbi sui re magi nabatei?


Piaciuto, Elisa?

2 commenti:

  1. Carissimi Paola e Urbano, sto leggendo con molto interesse i racconti sul viaggio che pubblicate sul vostro blog. Che dire... siete mitici !!!

    Con affetto, Elisa.

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  2. Aspettavamo il tuo segnale. Un abbraccio a te e Cinzia.

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