martedì 13 luglio 2004

Le nostre radici antiche IV bis (fine)


La ricerca della felicità
in Seneca


Lo spunto per la meditazione filosofica è offerto dalla quotidianità: un viaggio, un incontro, una vacanza, un’indisposizione. Le esortazioni riguardano l’uso del tempo (epist. 1 Lucilio, vindica te tibi, renditi padrone di te stesso, raccogli e custodisci quel tempo che ti viene continuamente sottratto o ti sfugge); la concentrazione nella lettura (epist. 2 - C’è qualcosa di vago e instabile nel vagabondare tra un autore e l’altro: dopo aver letto, scegli un solo pensiero che tu possa assimilare quel giorno); la diffidenza nei confronti degli occupati (epist. 8 Credimi, quelli che sembrano non fare nulla compiono azioni molto più grandi di chi è perennemente indaffarato: meditano sulle cose umane e divine); la coerenza fra le parole e i fatti (epist. 20 La filosofia insegna ad agire, non a parlare; le parole non devono essere in contraddizione con la vita né questa deve discordare da se stessa: unus color); il rapporto di benevolenza e perfino di amicizia con gli schiavi (epist. 47 Servi sunt, immo homines. Servi sunt, immo humiles amici. Servi sunt, immo conservi, se pensi che la fortuna esercita lo stesso potere su noi e loro).
Sarebbe impossibile seguire nei particolari questo itinerario rigoroso e complesso verso la perfezione, ma lo si può riassumere prendendo a prestito la frase finale dell’ultima lettera sulla falsa equiparazione tra felicità e successo: “Eccoti, dice Seneca a Lucilio nell’epist. 124, una formula sintetica per misurare i tuoi progressi e darti la coscienza della raggiunta perfezione: possiederai il vero bene il giorno in cui capirai che gli uomini comunemente ritenuti felici sono in realtà i più infelici. Addio”.


Bibliografia
Cicerone, Tuscolane, BUR, Milano 1996
Lucrezio, La natura delle cose, BUR, Milano 1994
Seneca, Lettere a Lucilio, BUR, Milano 1974
De Luise Fulvia – Farinetti Giuseppe, Storia della felicità. Gli antichi e i moderni, Einaudi, Torino 2001
Magnaldi Giuseppina, L’oikeiosis peripatetica in Ario Didimo e nel De finibus di Cicerone, Le Lettere, Firenze 1991
Nussbaum Martha, La fragilità del bene, trad. it. Il Mulino, Bologna

(Magnaldi - fine)


Estratti delle lettere citate.


Liber I, 8
. 5 Seguite questa sana e salutare regola di vita: concedete al corpo solo quanto basta a mantenerlo in salute. Bisogna trattarlo con una certa durezza perché non disobbedisca alla mente: il cibo deve estinguere la fame, il bere la sete, i vesti devono proteggere dal freddo, la casa difendere dalle intemperie. Non importa se è stata costruita con zolle o con marmo variegato di importazione: sappiate che un tetto di foglie copre bene quanto uno d'oro. Ornamenti e fregi ottenuti grazie a inutili fatiche, disprezzateli tutti; pensate che nulla è straordinario tranne l'anima e per un'anima grande nulla è
grande." 6 Dico queste cose a me stesso, le dico ai posteri; e non mi rendo più utile secondo te che se mi presentassi come difensore in giudizio o imprimessi il sigillo ai testamenti o mettessi gesto e voce a servizio di un candidato senatoriale? Credimi, fa di più chi sembra che non faccia niente: si cura nello stesso tempo delle faccende divine e di quelle umane.


Contemnite omnia quae supervacuus labor velut ornamentum ac decus ponit;cogitate nihil praeter animum esse mirabile, cui magno nihil magnum est.'[6] Si haec mecum, si haec cum posteris loquor, non videor tibi plusprodesse quam cum ad vadimonium advocatus descenderem aut tabulis testamentianulum imprimerem aut in senatu candidato vocem et manum commodarem? Mihicrede, qui nihil agere videntur maiora agunt: humana divinaque simultractant



Liber II, 20


Ti esorto caldamente, Lucilio mio, scolpisci nel profondo del tuo animo i principî filosofici e constata i tuoi progressi non in base ai discorsi o agli scritti, ma alla fermezza d'animo e al controllo delle passioni: dimostra con i fatti la verità delle parole. 2 Diverso proposito hanno gli oratori che cercano di ottenere il consenso del pubblico, oppure coloro che attirano l'attenzione dei giovani e degli oziosi dissertando con scioltezza su svariati argomenti: la filosofia insegna ad agire, non a parlare, ed esige che si viva secondo le sue leggi, perché la vita non sia in contrasto con le parole, né con se stessa, e tutte le nostre azioni si uniformino a un unico principio. Questo è il compito principale della saggezza, e anche l'indizio più certo: che le azioni concordino con i discorsi, così che l'uomo sia sempre uguale e identico a se stesso. "Chi si comporta così?" Pochi, ma qualcuno c'è. Certo non è facile; io non
sostengo che il saggio avanzerà sempre con lo stesso passo, ma per una stessa via.

20 SENECA LUCILIO SUO SALUTEM


[1] Si vales et te dignum putas qui aliquando fias tuus, gaudeo; mea enim gloria erit, si te istinc ubi sine spe exeundi fluctuaris extraxero. Illud autem te, mi Lucili, rogo atque hortor, ut philosophiam in praecordia ima demittas et experimentum profectus tui capias non oratione nec scripto, sed animi firmitate, cupiditatum deminutione: verba rebus proba. [2] Aliud propositum est declamantibus et assensionem coronae captantibus, aliud his qui iuvenum et otiosorum aures disputatione varia aut volubili detinent: facere docet philosophia, non dicere, et hoc exigit, ut ad legem suam quisque vivat, ne orationi vita dissentiat vel ipsa inter se vita; unus sit omnium actio[dissentio]num color [sit].


47
1 Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini. "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. 2 Perciò rido di chi giudica disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non perché è una consuetudine dettata dalla piú grande superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in piedi? Egli mangia oltre la capacità del suo stomaco e con grande avidità riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni: è più affaticato a vomitare
il cibo che a ingerirlo. 3 Ma a quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio è represso col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare tutta la notte in piedi digiuni e zitti. 4 Così accade che costoro, che non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male. Invece quei servi che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa per lui e a stornare su di sé un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante i banchetti, ma tacevano sotto tortura. 5 Inoltre, viene spesso ripetuto quel proverbio frutto della medesima arroganza: "Tanti nemici, quanti schiavi": loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi. Tralascio per ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero uomini, ma bestie. Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un altro, stando sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi.

47 SENECA LUCILIO SUO SALUTEM
[1] Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. 'Servi sunt.' Immo homines. 'Servi sunt ' Immo contubernales. 'Servi sunt.' Immo humiles amici. 'Servi sunt.' Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. [2] Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore opera omnia egerat quam ingessit. [3] At infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem ut loquantur, licet; virga murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ulla voce interpellatum silentium luitur; nocte tota ieiuni mutique perstant. [4] Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet. At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum imminens in caput suum avertere; in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant. [5] Deinde eiusdem arrogantiae proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos: non habemus illos hostes sed facimus.


Liber XX lett.124
24 Stìmati felice solo quando ogni gioia nascerà dal tuo intimo, quando, alla vista di quei beni che gli uomini cercano di afferrare, desiderano e custodiscono gelosamente, non troverai nulla che, non dico preferisci, ma neppure desideri. Ti darò una piccola regola per valutare i tuoi progressi e per renderti conto di avere ormai raggiunto la perfezione: possiederai il tuo bene quando capirai che gli uomini considerati felici sono in realtà i più infelici. Stammi bene.


[24] Tunc beatum esse te iudica cum tibi ex te gaudium omne nascetur,cum visis quae homines eripiunt, optant, custodiunt, nihil inveneris, nondico quod malis, sed quod velis. Brevem tibi formulam dabo qua te metiaris,qua perfectum esse iam sentias: tunc habebis tuum cum intelleges infelicissimosesse felices. Vale.
Seneca - Lettere a Lucilio:
Per il testo latino
Per il testo italiano

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