sabato 25 luglio 2009

De l'infinito Universo e mondi

Sidereus nuncius


puoi scaricare gratuitamente la presentazione in powerpoint della serata del 3 luglio scorso con la costellazione del Serpente da questi link :


Per utenti Windows :

http://www.skylive.it/serate/Serpente_UAI_Skylive_win.zip


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http://www.skylive.it/serate/Serpente_UAI_Skylive.zip

                             

Sperando di avere fatto cosa gradita, ti auguriamo cieli sereni.


Il team Skylive.

www.skylive.it


Bel servizio davvero. Complimenti al team dell'UAI,


Nota storico-filosofica


Nel De l'infinito, universo e mondi Giordano Bruno riprende temi già affrontati nei dialoghi precedenti - la necessità di un accordo tra filosofi e teologi, perché «la fede si richiede per l'istituzione di rozzi popoli che denno esser governati», l'infinità dell'universo e l'esistenza di mondi infiniti, la mancanza di un centro in un universo infinito comporta un'ulteriore conseguenza, la scomparsa dell'antico, ipotizzato ordine gerarchico, la «vanissima fantasia» che riteneva che al centro vi fosse il «corpo più denso e crasso» e si ascendesse ai corpi più fini e divini. La concezione aristotelica è difesa ancora da quei dottori che hanno fede nella «fama de gli autori che gli son stati messi nelle mani», ma i filosofi moderni, che non hanno interesse a intendere quello che dicono gli altri, ma pensano con la loro testa, si sbarazzano di queste anticaglie e si avviano «con più sicuri passi alla cognizione della natura». (da Wikipedia)


Le stelle di Dante


Temp'era dal principio del mattino,

e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle

ch'eran con lui quando l'amor divino  39

  mosse di prima quelle cose belle;

 Inf.1


Però, se campi d'esti luoghi bui

e torni a riveder le belle stelle,

quando ti gioverà dicere "I' fui",  84

  fa che di noi a la gente favelle".

Inf.XVI


Tutte le stelle già de l'altro polo

vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,

che non surgëa fuor del marin suolo.

Inf.XXVI


Lo duca e io per quel cammino ascoso

intrammo a ritornar nel chiaro mondo;

e sanza cura aver d'alcun riposo,  135

  salimmo sù, el primo e io secondo,

tanto ch'i' vidi de le cose belle

che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.  138

  E quindi uscimmo a riveder le stelle. 

Inf. XXXIV


Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,

pur là dove le stelle son più tarde,

sì come rota più presso a lo stelo.  87

  E 'l duca mio: "Figliuol, che là sù guarde?".

E io a lui: "A quelle tre facelle

di che 'l polo di qua tutto quanto arde".  90

  Ond'elli a me: "Le quattro chiare stelle

che vedevi staman, son di là basse,

e queste son salite ov'eran quelle". 

Purg.VIII

Poco parer potea lì del di fori;

ma, per quel poco, vedea io le stelle

di lor solere e più chiare e maggiori.  90

  Sì ruminando e sì mirando in quelle,

mi prese il sonno; il sonno che sovente,

anzi che 'l fatto sia, sa le novelle. 

Purg.XXVII


Io ritornai da la santissima onda

rifatto sì come piante novelle

rinovellate di novella fronda,  144

  puro e disposto a salire a le stelle. 

Purg. XXXIII


Imagini, chi bene intender cupe

quel ch'i' or vidi - e ritegna l'image,

mentre ch'io dico, come ferma rupe -,  3

  quindici stelle che 'n diverse plage

lo cielo avvivan di tanto sereno

che soperchia de l'aere ogne compage;  6

  imagini quel carro a cu' il seno

basta del nostro cielo e notte e giorno,

sì ch'al volger del temo non vien meno;  9

  imagini la bocca di quel corno

che si comincia in punta de lo stelo

a cui la prima rota va dintorno,  12

  aver fatto di sé due segni in cielo,

qual fece la figliuola di Minoi

allora che sentì di morte il gelo;  15

  e l'un ne l'altro aver li raggi suoi,

e amendue girarsi per maniera

che l'uno andasse al primo e l'altro al poi;  18

  e avrà quasi l'ombra de la vera

costellazione e de la doppia danza

che circulava il punto dov'io era: 

Par.XIII


O glorïose stelle, o lume pregno

di gran virtù, dal quale io riconosco

tutto, qual che si sia, il mio ingegno,  114

  con voi nasceva e s'ascondeva vosco

quelli ch'è padre d'ogne mortal vita,

quand'io senti' di prima l'aere tosco;  117

  e poi, quando mi fu grazia largita

d'entrar ne l'alta rota che vi gira,

la vostra regïon mi fu sortita.  120

  A voi divotamente ora sospira

l'anima mia, per acquistar virtute

al passo forte che a sé la tira.

...

Col viso ritornai per tutte quante

le sette spere, e vidi questo globo

tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;  135

  e quel consiglio per migliore approbo

che l' ha per meno; e chi ad altro pensa

chiamar si puote veramente probo.  138

  Vidi la figlia di Latona incensa

sanza quell'ombra che mi fu cagione

per che già la credetti rara e densa.  141

  L'aspetto del tuo nato, Iperïone,

quivi sostenni, e vidi com' si move

circa e vicino a lui Maia e Dïone.  144

  Quindi m'apparve il temperar di Giove

tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro

il varïar che fanno di lor dove;  147

  e tutti e sette mi si dimostraro

quanto son grandi e quanto son veloci

e come sono in distante riparo.  150

  L'aiuola che ci fa tanto feroci,

volgendom'io con li etterni Gemelli,

tutta m'apparve da' colli a le foci;  153

  poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.

Par.XXII


Da molte stelle mi vien questa luce;

ma quei la distillò nel mio cor pria

che fu sommo cantor del sommo duce.

Par.XXV


Qual è 'l geomètra che tutto s'affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond'elli indige,  135

  tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne

l'imago al cerchio e come vi s'indova;  138

  ma non eran da ciò le proprie penne:

se non che la mia mente fu percossa

da un fulgore in che sua voglia venne.  141

  A l'alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio disio e 'l velle,

sì come rota ch'igualmente è mossa,  144

  l'amor che move il sole e l'altre stelle. 

Par.XXXIII


Dico adunque che del numero delli cieli e del sito diversamente è sentito da molti, avegna che la veritade all'ultimo sia trovata. Aristotile credette, seguitando solamente l'antica grossezza delli astrologi, che fossero pur otto cieli, delli quali lo estremo, e che contenesse tutto, fosse quello dove le stelle fisse sono, cioè la spera ottava; e che di fuori da esso non fosse altro alcuno.

Convivio trattato II, cap.3


17 Li quali, secondo che nel libro dell'Aggregazioni delle stelle epilogato si truova dalla migliore dimostrazione delli astrologi, sono tre: uno, secondo che la stella si muove per lo suo epiciclo; l'altro, secondo che lo epiciclo si muove con tutto lo cielo igualmente con quello del Sole; lo terzo, secondo che tutto quello cielo si muove seguendo lo movimento della stellata spera, da occidente a oriente, in cento anni uno grado. Sì che [a] questi tre movimenti sono tre movitori.

 Convivio trattato II, cap.5


E la terza similitudine si è lo inducere perfezione nelle disposte cose. Della quale induzione, quanto alla prima perfezione, cioè della generazione sustanziale, tutti li filosofi concordano che li cieli siano cagione, avegna che diversamente questo pongano: quali dalli motori, sì come Plato, Avicenna e Algazel; quali da esse stelle, spezialmente l'anime umane, sì come Socrate, e anche Plato e Dionisio Academico; e quali da vertude celestiale che è nel calore naturale del seme, sì come Aristotile e li altri Peripatetici.

 Convivio trattato II, cap.13


Dico che lo Cielo stellato ci mostra molte stelle: ché, secondo che li savi d'Egitto hanno veduto, infino all'ultima stella che appare loro in meridie, mille ventidue corpora di stelle pongono, di cu' io parlo. E di questo ha esso grandissima similitudine colla Fisica, se bene si guardano sottilmente questi tre numeri, cioè due e venti e mille.

 Convivio trattato II, cap.14

Questo mondo volse Pittagora e li suoi seguaci dicere che fosse una delle stelle, e che un'altra a lei fosse opposita, così fatta, e chiamava quella Anticthona; e dicea ch'erano ambe in una spera che si volvea da occidente in oriente (e per questa revoluzione si girava lo sole intorno a noi, e ora si vedea e ora non si vedea).

 Convivio trattato III, cap.5


E io fui esperto di questo l'anno medesimo che nacque questa canzone, che per affaticare lo viso molto a studio di leggere, in tanto debilitai li spiriti visivi che le stelle mi pareano tutte d'alcuno albore ombrate.

 Convivio trattato III, cap.9


E a maggiore testimonianza di questa imperfezione, ecco Boezio in quello Di Consolazione dicente: "Se quanta rena volve lo mare turbato dal vento, se quante stelle rilucono, la dea della ricchezza


largisca, l'umana generazione non cesserà di piangere".

 Convivio trattato IV, cap.12


Dice adunque:

sì com'è 'l cielo dovunqu'è la stella,

e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è virtute, e non virtute dovunque è nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente [nobilitade] è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, [e] le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza e fortezza e quasi perpetua valitudine.

 E tante sono le sue stelle che del cielo risplendono, che certo non è da maravigliare se molti e diversi frutti fanno nella umana nobilitade: tante sono le nature e le potenze di quella, in una sotto una semplice sustanza comprese e adunate, nelle quali sì come in diversi rami fruttifica diversamente. Certo da dovero ardisco a dire che la nobilitade umana, quanto è dalla parte di molti suoi frutti,


quella dell'angelo soperchia, tutto che l'angelica in sua unitade sia più divina.

  Convivio trattato IV, cap.19


In prima è da sapere che l'uomo è composto d'anima e di corpo; ma dell'anima è quella; sì come detto è che è a guisa di semente della vertù divina. Veramente per diversi filosofi della differenza delle nostre anime fue diversamente ragionato: ché Avicenna e Algazel volsero che esse da loro e per loro principio fossero nobili e vili; e Plato ed altri volsero che esse procedessero dalle stelle,


e fossero nobili e più e meno secondo la nobilitade della stella.

  Convivio trattato IV, cap.21


Così cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello ch'io non sapea ove io mi fosse; e vedere mi parea donne andare scapigliate piangendo per via, maravigliosamente triste; e pareami vedere lo sole oscurare, sì che le stelle si mostravano di colore ch'elle mi faceano giudicare che piangessero; e pareami che li uccelli volando per l'aria cadessero morti, e che fossero grandissimi


terremuoti.

Vita Nova, cap.XXIII


Oh falsi cavalier, malvagi e rei,

nemici di costei,

ch'al prenze de le stelle s'assimiglia!

Dona e riceve l'om cui questa vole,  115

  mai non sen dole;

né 'l sole per donar luce a le stelle,

né per prender da elle

nel suo effetto aiuto;

ma l'uno e l'altro in ciò diletto tragge

Rime, LXXXIII


Fuggito è ogne augel che 'l caldo segue

del paese d'Europa, che non perde

le sette stelle gelide unquemai;

Rime, C


Videmus in eo differentiam in magnitudine stellarum et in luce, in figuris et ymaginibus constellationum; que quidem differentie frustra esse non possunt, ut manifestissimum esse debet omnibus in phylosophia nutritis. Unde alia est virtus huius stelle et illius, et alia huius constellationis et illius, et alia virtus stellarum que sunt citra equinoctialem, et alia earum que sunt ultra.

Questio de aqua et terra


 


 

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