Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in istato di souffrance, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. [4176]Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall'aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell'altro ha più foglie secche; quest'altro è roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco. L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co' tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile, va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro. (Bologna. 19. Aprile. 1826.). Certamente queste piante vivono; alcune perchè le loro infermità non sono mortali, altre perchè ancora con malattie mortali, le piante, e gli animali altresì, possono durare a vivere qualche poco di tempo. Lo spettacolo di tanta copia di vita all'entrare in questo giardino ci rallegra l'anima, e di qui è che questo ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verità questa vita è trista e infelice, ogni giardino è quasi un vasto ospitale (luogo ben più deplorabile che un cemeterio), e se questi esseri [4177]sentono, o vogliamo dire, sentissero, certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l'essere.
(Bologna. 22. Apr. 1826.)
E' un passo dello Zibaldone di Leopardi. Lo sono andato a ricercare, suggestionato da frequenti incontri ed esperienze che mi mettono nella posizione di vedere sotto la facciata, oltre l'apparenza o semplicemente di fronte alla realtà.
Alla mia età, nella condizione di uomo stipendiato ed esonerato dal lavoro, c'è molto spazio per la riflessione; "è l'età più bella" mi ha detto Vera durante una lunga camminata sull'Appennino delle foreste casentinesi; in effetti ci si sente liberati da cose come l'incertezza del domani, la lotta per trovare il lavoro e i doveri che questo impone una volta trovato, gli assilli, gli affanni, le illusioni-delusioni degli amori, le preoccupazioni per i figli appena nati, poi pargoli, poi puberi, sempre in fieri... Per parte mia non finirò mai di ringraziare il Quarto Stato ottocentesco che con le sue lotte mi ha regalato la pensione e l'assistenza sanitaria...
Sto dicendo che io ho avuto quello che è mancato a Leopardi (il tempo di vita e una donna a fianco per semplificare), non sottoscrivo nella sua cruda interezza il paragone tra ospitale e cemeterio, ma devo dire che sempre più spesso incontro la sofferenza, non quella terrificante e violenta esibita a oltranza dai telegiornali; parlo della sofferenza sommessa, intima, interna, corrosiva la sua parte che mi si presenta in un Roberto alle prese con la causa di separazione, in un Luigi dializzato, sofferente agli arti e alla muscolatura, in una Roberta rimasta vedova dopo 33 anni di grande amore-intesa ora "disperata", in una figlia alle prese col padre infermo anche mentale; personalmente mi si presenta nel vuoto che si allarga intorno a me con la partenza di tanti miei coetanei...E allora diventa quasi un conforto il cemeterio che libera dall'ospitale. E devo dire, per concludere questa riflessione di una sera di piena estate, che coscientemente mi sto preparando, avendo già firmato la mia biocard e avendo già esposto in video la mia riflessione sul vivere e morire.
Pace e bene. E buonanotte (ore 23,45).
PS.
Trovo proprio ora su Facebook di Meri Negrelli:
In anni di volontariato con i malati terminali o comunque malati con malattie irreversibili ho imparato molte cose ma la più importante è sospendere il giudizio! Ho visto gente con enormi sofferenze che lottavano per vivere e progettavano se pur poche ore di vita, altre che a me la sua sofferenza poteva sembrare accettabile decidere che il suo tempo era finito. Nessuno conosce fino in fondo il vissuto, le relazioni, le convinzioni personali la spiritualità e il loro concetto di vita.
Tutti i giudizi sono sempre imperfetti, per questo dico: Sospendiamo il giudizio e siamo giudici solo di noi stessi.
Tutti i giudizi sono sempre imperfetti, per questo dico: Sospendiamo il giudizio e siamo giudici solo di noi stessi.
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