martedì 5 aprile 2005

Masse e potere



 



 



 



“Quanto più impotente è l’individuo nello Stato, tanto più ha bisogno di credere che capi potenti si prendono cura di lui”

Il sentimento di impotenza, di essere « soltanto un pover’uomo », niente altro che un oggetto in balia del volere altrui, porta con sé un bisogno di compensazione. Il bambino che dipende dal genitore per sopravvivere deve credere nella bontà del genitore stesso, perché soltanto in questo caso egli può sentirsi sicuro che questi avrà cura di lui. I sentimenti critici o aggressivi nei confronti del genitore creano sentimenti di colpa proprio perché il bambino dipende da lui in maniera così totale. Analogamente, quanto più impotente diventa l’individuo nello Stato di massa, socialmente, politicamente, economicamente, tanto più im­portanti gli appaiono coloro che detengono il potere; perciò l’individuo ha biso­gno di credere che questi capi potenti si prendano cura di lui. Solo in questa fede risiede la sua sicurezza psicologica. Se si subisce un’ingiustizia, se ne attribuisce la colpa alla cattiva volontà dell’uomo medio, al capo squadra della fabbrica, o al caporione locale.

Anche qui l’uomo moderno si trova in una situazione stranamente contrad­dittoria. Mentre si sente invischiato senza rimedio nella grande organizzazione della società moderna, e in balìa di essa, in lui si forma a poco a poco la convin­zione che la sua società sia di gran lunga la più potente che l’uomo abbia mai conosciuto. Quanto più aumenta la potenza della società in cui vive, tanto più potente (egli pensa giustamente) dovrebbe egli stesso diventare come parte di essa. Ma in pratica è vero proprio l’opposto, cosicché, dal punto di vista emotivo, ciò aggiunge le beffe ai danni. Questo potrebbe spiegare in parte l’angoscia e il risentimento che molti pro­vano nei confronti della potenza nucleare. Un così grandioso passo avanti nella scienza e nella tecnica dovrebbe aver dato ad ognuno un senso di maggiore sicurezza. Invece ha aumentato la nostra sensazione di essere alla mercé di forze che sono al di là della nostra comprensione. Con la società che esercita un potere più grande che mai, e se stesso più angosciato di prima, l’individuo per sopravvivere deve affidarsi alla saggezza dei dirigenti.

L
a distanza fisica dai dirigenti impedisce alle persone qualsiasi di confrontare con la realtà la propria fede nella buona volontà di costoro; processo questo che, del resto, si potrebbe rivelare disastroso per il loro senso di sicurezza sociale ed economica. Ciò protegge anche la loro illusione che i dirigenti siano saggi e cor­retti, illusione sulla quale essi basano la propria sicurezza psicologica. Questo pro­cesso mentale è vecchio quanto la civiltà; nel corso dei secoli il potere del con­quistatore ha sempre fatto sì che gli uomini lo investissero di ogni virtù, anzi, che talvolta lo trasfigurassero in un semidio o in un eroe. Questo processo men­tale sembra quasi inevitabile. Più grande è il potere dell’individuo sugli altri, più grande il male che può derivare da lui. Quanto maggiore è il timore, tanto mag­giore è il bisogno di negarlo credendo nella sua virtù.

La distanza che impedisce un controllo concreto della virtù del capo era sfrut­tata con grande vantaggio nello Stato di massa. Il capo appariva in pubblico soltanto nelle grandi occasioni, e sempre circondato dalle sue guardie del corpo, per parlare a grandi masse di popolo. Così si stabiliva una doppia di­stanza fra lui e l’individuo: le guardie strette intorno al capo e l’immenso uditorio impedivano ogni contatto personale. 

Anche un altro genere di distanza veniva usato a scopo intimidatorio: la di­stanza nel tempo. Le masse aspettavano per ore intere l’apparizione del capo. Per tutte queste ore la loro tensione era accresciuta, fino a diventare insoppor­tabile, da dimostrazioni, da musiche eccitanti e dalla semplice spossatezza fisica. L’apparizione del capo e la fine della tensione che ne derivava erano sentite come un grande sollievo emotivo, ed infatti lo erano. L’apparizione del capo che por­tava con sé quel sollievo e la fine della tensione lasciavano l’impressione che egli avesse un potere intrinseco per sollevare dalla tensione stessa. Questo ispirava gratitudine e fede nel suo « magico » potere sull’individuo.  Poiché il contenuto del suo discorso non aveva nulla a che fare col sollievo della tensione, qualunque discorso faceva sui presenti l’effetto desiderato. Questo divorzio fra il contenuto del discorso e il suo effetto sugli ascoltatori aumentava in essi la fede nel carisma del capo. ... 

Bruno Bettelheim, Il prezzo della vita. Milano, Adelphi, 1965, pg.68-72, passim.

BRUNO BETTELHEIM Nato a Vienna nel 1903, reduce dal lager, si trasferì in America dove ha fondato e diretto la Orthogenic School per bambini psicotici; si e' tolto la vita nel 1990. Tra i massimi esperti di psicologia infantile. 

 Opere di Bruno Bettelheim: Il prezzo della vita, Adelphi; Sopravvivere, Feltrinelli; I figli del sogno, Mondadori; Dialoghi con le madri, Comunita'; L'amore non basta, Ferro; Ferite simboliche, Sansoni; La fortezza vuota, Garzanti;  Il mondo incantato, Feltrinelli; Psichiatria non oppressiva, Feltrinelli; Imparare a leggere (con Karen Zelan), Feltrinelli; Freud e l'anima dell'uomo, Feltrinelli; Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli. Cfr. anche il libro ricavato da un'ampia intervista televisiva: Bruno Bettelheim, Daniel Karlin, Uno sguardo diverso sulla follia, Cittadella. 


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