giovedì 11 agosto 2005

Budapest settimo giorno  II parte


La parte alta di Veszprem ci riporta indietro di 3 secoli, in un settecento di case dai colori pastello, com’é la Buda vista nei giorni scorsi, rosa, giallino, verdolino. Siamo lontani dal traffico e dalla quotidianitá per entrare in un mondo passato quasi arcaico con i grandi palazzi del potere, primo fra tutti il palazzo vescovile costruito da un illustre vescovo Castiglione o simile, italiano che qui trovó il suo paradiso in terra. Prevale il barocco evidente nel monumento centrale della piazzetta costituito da una colonna dedicata alla Trinitá, tutta decorata di fregi angeli e putti. Nascosta tra tutte queste esibizioni barocche, in un angolo della piazza la Gizela Kapolna, piccola cappella gotica, con affreschi residui piuttosto malconci ma originali, come la vecchia grassa custode che sorridendo ci chiede i soldi del biglietto che ci abilita a vedere il giá visto, data la piccolezza dell’unico ambiente. In carattere con questo sentirsi fuori dal dal mondo, nella chiesa che delimita un lato della piazza, ci accoglie il suono di un organo accompagnato dal violino. Si tratta della prova generale del concerto programmato per la sera stessa, con musiche di Bach, Haydn, Mendelson…Al termine di ogni pezzo Franco, seguito da tutti noi, dá il via ad un rispettoso discreto applauso.  Dietro la chiesa, da una balaustrata sporgente nello spazio sottostante, ci si spalanca un panorama di antico paese ricco di storia e di lavoro, con un fiumicello che scorre in basso, ai piedi di una grande rupe, strumento indispensabile per le antiche concerie e lavori di tessitura. Una serie di case dai tetti rossi, sparse su un terreno accidentato, collinare, circondate da una vegetazione rigogliosa. La nostra scampagnata in automobile si conclude qui. La sorpresa negativa é costituita dal rientro a Budapest. Avevamo azzeccato tutte o quasi le vie del ritorno in cittá, centrando il ponte Elisabetta giá attraversato all’andata. Si dá il caso che esistano i sensi unici e Budapest si é presentata come un unico grande senso unico che mi ha tenuto sulla corda (del volante, intendo) per una intera buona mezz’ora. Si doveva voltare a sinistra e non c’era verso.


Mi son sentito il gambero di Paola. Quando raccontava ai nostri due bambini piccoli di un gambero che voleva andare, mettiamo, dalla Piazza dell’Isolotto alla passerella antistante che porta alle cascine. Puntava in linea retta verso la passerella, ma siccome il gambero cammina per traverso, si trovava in direzione del Ponte alla Vittoria o, al contrario, in direzione Ponte all’Indiano. E tutti i posti impossibili che Paola inventava per il divertimento di Michele e Simone che volevano sempre la ripartenza del gambero per il gusto di vederlo finire disperato  nei posti piú improbabili. Il gambero non bestemmia, ma uno dei miei amici in vettura imprecava ad ogni svolta vietata e bestemmiava la cartellonistica stradale che parla magiaro e non ha la chiarezza della nostra segnaletica stradale. É stato come quando un aereo in atterraggio viene trattenuto in aria in attesa che si liberi la pista assegnata. La pista nostra si chiamava Var utza e si deve alle indicazioni di Pinuccia, dottoressa ad honorem di stradariologia, se l’atterraggio é avvenuto in condizioni ancora accettabili: un’ora e mezza di coda nell’ora di punta di una cittá che contiene metá della popolazione di un intero Stato. Questo dovevo per la cronaca.


 

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