martedì 31 gennaio 2012

Sette giorni nella Palestina occupata - VIII



4 gennaio - mercoledì  

Si parte alle 7,30 per la Valle del Giordano, dirigendoci verso nord est. Attraversiamo un paesaggio desertico caratterizzato da aridi rilievi bianco giallastri sui quali ogni tanto si stende un insediamento con tetti rossi. La strada sale e scende ripida con molte curve, infilandosi nelle valli per risalire poi lungo i fianchi aridi delle colline. Dopo 45 minuti si passa per Ma’ale Adumim, l’insediamento più grande della Cisgiordania con circa oggi 40.000 coloni. Gli alloggi sono stati tutti costruiti durante il processo di pace Road Map, nel quale Israele si era impegnato a congelare ogni costruzione nelle colonie. La sua posizione è strategica, in quanto collegamento chiave nella catena di colonie a est di Gerusalemme, il cosiddetto “anello esterno”, concepita da un lato per isolare Gerusalemme est da Gerico, dall’altro per tagliare la Cisgiordania in due da nord a sud. Il suo impatto è enorme perché è di fatto una minaccia alla viabilità di un qualsiasi futuro o futuribile Stato Palestinese. La città con i suoi bianchi edifici a schiera, è ricca di verde, di alberi e di fiori, che si possono vedere anche nelle rotonde agli incroci delle strade. Essa ci appare come un corpo estraneo nella natura desertica del paesaggio così come è estraneo all’ambiente umano in quanto nucleo di occupazione illegale.
Proseguendo verso Gerico, ogni tanto si vedono sui pendii ai lati della strada accampamenti di fortuna di nomadi Beduini, che cercano di sopravvivere, malgrado la riduzione dei terreni a pascolo e la carenza di acqua che ha drasticamente ridotto il numero degli animali. Si comincia ad intravedere lontano il Mar Morto e nella grande pianura prima della città vi sono distese di palme da datteri, piantagioni di vigneti, serre e coltivazioni intensive di ortaggi. Impianti idraulici che attingono acqua nel sottosuolo sono presenti in gran numero e una rete di tubazioni si stende nei campi per distribuirla alle coltivazioni. Siamo a Gerico dopo un’ora di viaggio e alle 9 siamo davanti alla bella sede del Governo, che fu la sede di Arafat, in attesa dell’incontro con il Governatore, che inizia il suo intervento con i soliti saluti e ringraziamenti sinceri. Ci racconta delle grandi difficoltà che la popolazione incontra ogni giorno per vivere, come abbiamo visto ad Hebron, essendo la Cisgiordania dal 1967 sotto occupazione israeliana e di come sia fallito ogni tentativo di riappropriarsi del territorio anche a causa del sostegno che Israele riceve dall’America. Israele vuole la pace con la terra e non la pace in cambio della terra e quindi ogni processo di pace è destinato al fallimento. Nel 1947 la popolazione palestinese aveva il 54% della Palestina storica, mentre con gli accordi del 1967 la percentuale si ridusse al 22% ed anche questo è stato occupato. Pur essendo il più grande Governatorato, loro debbono acquistare l’acqua da Israele, che la gestisce per l’85%. La popolazione è diminuita molto, circa 1/5, in quanto tante persone si sono rifugiate in Giordania. Mentre qui lavorano oltre 6000 coloni, molta della popolazione vive in tende o rifugi temporanei, non potendo costruire fuori Gerico. Comunque si è riusciti a costruire 10 nuove scuole e 8 dispensari per la sanità pubblica. Così il 98% sa leggere  e scrivere e questo è il dato più alto di tutti i paesi arabi. Gerico, che è a 300 metri sotto il livello del mare, è anche la città più antica del mondo e qui sono forti le                                           
 radici di ebrei, musulmani e cristiani, che vivevano insieme pacificamente.
 E’ stata formulata all’ONU la richiesta di diventare Stato membro delle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza la fissazione di misure di sicurezza certe. La richiesta è: sospendere l’occupazione; accettare 2 Stati, secondo i confini del 1967. Per ora sono in attesa, anche perché ci saranno le elezioni negli USA. La loro forma di resistenza alla sottrazione continua delle terre e dell’acqua è quella di curare al meglio il territorio, cercando di rimanere attaccati alla loro terra. La soluzione che loro auspicano è la fine dell’occupazione, vivere in pace e in autonomia, non importa se con due Stati o con un unico Stato. Purtroppo sulla situazione palestinese la Comunità internazionale è ancora timida se non completamente assente. Prima di uscire visitiamo la stanza di Arafat, dove lui abitava durante i suoi soggiorni a Gerico.

Ore 10,25: si prosegue lungo la Valle del Giordano. Come il resto della Cisgiordania, la Valle rientra nel piano di appropriazione delle terre della colonizzazione israeliana. Ci colpiscono le grandi distese di palmizi, le grandi serre e coltivazioni protette, le moderne strutture per  l’allevamento del bestiame, che sono ovunque. Tutto questo fa contrasto con la natura desertica del territorio e con le misere capanne dei nomadi beduini, che ogni tanto punteggiano gli aridi terreni. Tutta la grande pianura alluvionale del Giordano, al di là del quale si stagliano le montagne della Giordania, è costellata di fattorie di coloni che, grazie all’acqua strappata al sottosuolo, riescono a rendere i suoli fertili e produttivi. Esse, insieme agli insediamenti militari, sono più di 30. Degli 85 pozzi utilizzati dai palestinesi nei primi anni ’70, oggi ne rimangono 17 e anch’essi poco ricchi di acqua. Perciò solo una piccola parte della popolazione, a differenza degli anni ’60, riesce a vivere coltivando la terra, anche perché i prodotti palestinesi non trovano più una collocazione all’estero e il trasporto interno è quasi impossibile per la condizione delle strade e il sistema dei permessi. Pertanto i produttori palestinesi dipendono quasi esclusivamente dal mercato israeliano e così molti di loro non hanno altra scelta che andare a lavorare come braccianti nelle colonie vicine, quando però riescono ad ottenere i permessi. Arriviamo in una zona dove ci sono molti nuclei abitati dai beduini, fatti di baracche di lamiera  e di argilla. Alcuni grandi pietre con scritto Danger delimitano questi ammassi di casupole. Entriamo in un ambiente molto particolare, costruito con mattoni di argilla fatti artigianalmente, ricoperto con covoni di paglia e saggina e sostenuto da tronchi d’albero, che funge da centro sociale. Dentro c’è di tutto, anche un comodo divano ricoperto di vecchi cuscini, dove ci viene offerto tè o caffè. Esso è gestito da volontari che ci raccontano la difficile lotta per la sopravvivenza in questa  zona, soprattutto per i beduini, che spesso sono emarginati anche dagli altri palestinesi. Incontriamo un giovane pastore, Mohamed, che conosce tutti gli altri pastori della zona  e per questo è stato coinvolto in un Comitato Popolare per la resistenza non violenta. Si arrangia a fare un po’ di tutto, fabbrica anche i mattoni per le case e insieme ai volontari fa quello che può per aiutare la popolazione della zona, che è stata abbandonata anche dai palestinesi stessi. Qui vi sono anche da vincere tanti pregiudizi e diffidenze verso gli stranieri, in particolare verso le donne volontarie. I controlli sono severi effettuati oltre che dai soldati, anche dai satelliti. Non c’è elettricità e l’acqua deve essere acquistata dagli israeliani. Ci viene spontaneo chiederci come facciano queste persone a resistere in condizioni al limite della resistenza umana.
Facciamo una rapida puntata a Kalia Beach sul Mar Morto, che però è irraggiungibile per noi, in quanto fitti canneti e reti con l’immancabile filo spinato impediscono il passaggio verso la riva. Al di là del mare si ergono le alture della Giordania.
Si va a Gerico e ci dividiamo in due gruppi, uno va visitare il Palazzo di Hisham, una delle più belle residenze di campagna del periodo omayyade, noi con l’altro saliamo con la moderna telecabina svizzera sul Monte della Tentazione, dove c’è il Monastero dei 40 giorni. Secondo la tradizione questo sarebbe il monte dove Gesù digiunò per 40 giorni, ripetutamente tentato dal diavolo. In epoca bizantina, numerosi eremiti cristiani si stabilirono nelle grotte vicine al Monastero, che ancora oggi sono visibili sui fianchi brulli e scoscesi della montagna. Da quassù il panorama sul Mar Morto, la Valle del Giordano e Gerico è veramente sensazionale. Si sale a piedi verso il Monastero greco ortodosso, dove alcuni pellegrini sono in attesa e il custode apre la porta per farci entrare. Dentro è presente una bella collezione di icone del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Attualmente vi sono nel Monastero due monaci ed uno, seduto su uno scanno nell’oscurità della Cappella, si presta a parlare con noi per spiegare la vita del Monastero. Quassù, come in ogni luogo sacro, soprattutto se isolato dalla vita esterna, l’eco dei problemi dei palestinesi e in generale quelli del mondo oppresso, sembra non arrivare….  Ritornati a valle si parte per Ben Sahour dove arriviamo alle 18. Oggi è l’ultimo giorno di questo breve ma intenso viaggio un questa terra martoriata, che sicuramente lascerà un segno forte in ciascuno di noi. E’ il momento perciò di salutare il nostro prezioso amico Mike.

5 gennaio - giovedì

 Alle 5,30 abbiamo il pullman per l’aeroporto. Si parte in leggero ritardo, dopo aver
salutato Luisa che fa una levataccia per essere presente alla nostra partenza e darci un po’ preoccupata le ultime raccomandazioni. All’aeroporto di Tel Aviv, salutiamo anche il bravo Maher con un grande applauso e ci mettiamo in fila per i numerosi e rigorosi controlli. I nostri capi gruppo se la cavano bene, ma non possono evitare che molte valige siano aperte e ispezionate accuratamente, dopo che è stato trovato un libro su Hebron. Finalmente, circa due ore più tardi, dopo che i passaggi  fra i metal detectors hanno più volte messo in allarme i controllori per i metalli che rinforzano le articolazioni di Pier Luigi, siamo al Gate pronti ad imbarcarci. Alle 9,10 l’aereo decolla per ricondurre ognuno di noi al proprio vissuto, ai problemi e agli avvenimenti piccoli e grandi che contraddistinguono la nostra quotidianità.
Ma sentiamo che dentro di noi qualcosa è cambiato o meglio abbiamo acquisito, vivendolo da vicino,  la consapevolezza di un dramma che colpisce un popolo a poche ore di volo dalle nostre comodità, che ci ha chiesto con forza aiuto, ripetendo continuamente il suo motto: Resistere per esistere.

E così, concludendo questa cronaca di viaggio, ci sentiamo ora di dire che cercheremo di impegnarci, per quanto è nelle nostre possibilità e pur nei nostri limiti, affinchè le  aspettative e le speranze di Omar e dei suoi bambini e di tutti coloro che abbiamo avuto la fortuna di incontrare, comincino a vedere in fondo al tunnel un barlume di luce.
(dal diario di Fiorella - fine)

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