Stanotte ho sognato il papa; prima tutto curvo e ringobbito; a un certo punto si è raddrizzato,
come ringiovanito, due occhi fuori dalle orbite, mai visti: ha guardato davanti a sé
e ha mandato una madonna. bush, ora basta! Che sogni, ragazzi.
Stanotte ho sognato il papa; prima tutto curvo e ringobbito; a un certo punto si è raddrizzato,
come ringiovanito, due occhi fuori dalle orbite, mai visti: ha guardato davanti a sé
e ha mandato una madonna. bush, ora basta! Che sogni, ragazzi.
Un essere umano è parte di un intero chiamato Universo. Egli sperimenta i suoi pensieri ed i suoi sentimenti
come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della coscienza.
Questa illusione è una specie di prigione.
Nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi
attraverso l'allargamento dei nostri circoli di conoscenza e comprensione,
sino ad includere tutte le creature viventi e l'interezza della natura nella sua bellezza.
Albert Einstein.
Mentre bombe e missili piovevano su Bagdad e i soldati di leva iracheni si nascondevano nel deserto,
George Bush annunciò orgogliosamente lo slogan del nuovo ordine mondiale:
"What we say, goes", ossia "si fa quello che diciamo noi".
"Quello che diciamo noi" venne esplicitato con non minore chiarezza quando le armi tacquero,
e Bush tornò alla vecchia prassi di prestare aiuto e sostegno a Saddam Hussein
mentre quest'ultimo impietosamente soffocava le rivolte sciite e curde sotto gli occhi delle vittoriose forze alleate,
che non si degnarono di alzare anche un solo dito.
Il sostegno a Saddam era così estremo che il comando degli Stati Uniti
non fu disposto nemmeno a concedere ai generali iracheni ribelli
di impiegare gli armamenti sequestrati per difendere la popolazione dalla carneficina del dittatore.
( Da Noam Chomsky, Il Potere, natura umana e ordine sociale, Editori Riuniti, Maggio 2001.)
Vedi il capitolo: La colonizzazione del Medio Oriente: le sue origini e il suo profilo, pg.166.
Ricevo e trasmetto: La rivista "i diritti dell'uomo - cronache e battaglie", edita dall'unione forense, ha dedicato il n. 1 del 2002 all'eutanasia. Al riguardo, sono stati chiamati ad esprimere il loro punto di vista tre giuristi (fra cui Leo Solari, socio di Liberauscita) e tre esponenti del mondo religioso. Dall'interessante confronto è emersa una contrapposizione difficilmente conciliabile. I giuristi, infatti, muovono dal principio che "ogni qual volta la libera volontà degli individui trova riconoscimento, benintesoquando tale riconoscimento non torni a danno per altre persone e non pregiudichi interessi collettivi, si compie un passo nel senso del progresso civile. Se si condivide l'idea che la tolleranza sia un valore, il riconoscimento dell'autonomia delle persone è, infatti,un bene per sé, giacché, mentre non si pongono limitazioni allescelte di coloro che nutrono una certa opinione, non viene imposta alcuna scelta a coloro che nutrono opinioni diverse. " Gli esponenti del mondo religioso muovono invece dai principi della "parola di Dio" contenuti nelle loro rispettive sacre scritture. Nella stessa rivista è pubblicata, in inglese, la sentenza della Corte Europea dei diritti umani sul caso Pretty contro Regno Unito.Giampietro Sestini |
Dalla mail list di Libera Uscita , a cui sono iscritto, ricevo e trasmetto:
La rivista "i diritti dell'uomo - cronache e battaglie", edita dall'unione forense,
ha dedicato il n. 1 del 2002 all'eutanasia.
Al riguardo, sono stati chiamati ad esprimere il loro punto di vista tre giuristi
(fra cui Leo Solari, socio di Liberauscita) e tre esponenti del mondo religioso.
Dall'interessante confronto è emersa una contrapposizione difficilmente conciliabile.
I giuristi, infatti, muovono dal principio che
"ogni qual volta la libera volontà degli individui trova riconoscimento,
benintesoquando tale riconoscimento non torni a danno per altre persone
e non pregiudichi interessi collettivi, si compie un passo
nel senso del progresso civile. Se si condivide l'idea che la tolleranza sia un valore,
il riconoscimento dell'autonomia delle persone è, infatti,un bene per sé,
giacché, mentre non si pongono limitazioni allescelte di coloro
che nutrono una certa opinione, non viene imposta alcuna scelta a coloro
che nutrono opinioni diverse."
Gli esponenti del mondo religioso muovono invece dai principi della "parola di Dio"
contenuti nelle loro rispettive sacre scritture.Nella stessa rivista è pubblicata,
in inglese, la sentenza della Corte Europea dei diritti umani sul caso Pretty contro Regno Unito.
Il giorno della memoria
Discorso ai quadri di base -
Detroit 10 Novembre 1963
V. Malcom X, Ultimi Discorsi, a cura di George Breitman, Introduzione e traduzione a cura di Roberto Giammanco, Einaudi 1968. pg.23 e sgg.
Detroit 10 Novembre 1963
V. Malcom X, Ultimi Discorsi, a cura di George Breitman, Introduzione e traduzione a cura di Roberto Giammanco, Einaudi 1968. pg.23 e sgg.
Per capire ciò bisogna tornare alle definizioni date poco fa da quel giovane fratello sui due tipi di negro che c’erano durante la schiavitù: il negro da cortile (house Negro) e il negro dei campi (field Negro). Il negro da cortile viveva insieme col padrone, lo vestivano bene, e gli davano da mangiare del cibo buono, quello che restava nel piatto del padrone. Dormiva in soffitta o in cantina, ma era sempre vicino al padrone e lo amava molto di più di quanto il padrone amasse se stesso. Questi negri da cortile avrebbero dato la vita per salvare la casa del padrone, prima ancora di quanto non lo avrebbe fatto lui stesso. Se il padrone diceva: «Abbiamo proprio una bella casa», il negro da cortile rispondeva subito: «Sicuro, abbiamo proprio una bella casa». Ogni volta che il padrone diceva «noi», anche lui diceva «noi». Da ciò si riconosce il negro da cortile.
Se la casa del padrone andava in fiamme, quel negro si dava da fare più dello stesso proprietario per spengere l’incendio e se quello si ammalava, lui gli diceva: « Cosa c’è, padrone, siamo malati? » Figuratevi un po’! Siamo malati! Si identificava col suo padrone più di quanto questi non s’identificasse con se stesso; e se qualcuno fosse andato da lui a dirgli: «Andiamo via! Scappiamo! Separiamoci! », il negro da cortile lo avrebbe guardato in faccia e avrebbe detto: « Amico, ma tu sei pazzo! Ma che vuol dire separarsi? Ma dov’è una casa meglio di questa? Ma dove li trovo dei vestiti migliori di questi e del cibo meglio di questo? »
Ecco com’era il negro da cortile. A quei tempi era chiamato house nigger. Del resto li chiamiamo cosi anche oggi, visto che abbiamo ancora fra i piedi parecchi di questi niggers da cortile.
La versione moderna di questo servo ama il suo padrone e vuole vivere vicino a lui. Pur di fare ciò è disposto a pagare affitti tre volte superiori per poi andare in giro a vantarsi: «Sono l’unico negro qui! » «Sono l’unico negro in questo settore». « Sono l’unico negro in questa scuola». Ma se non sei altro che un negro da cortile! E se qualcuno viene da te e ti propone di separarti dal padrone, tu rispondi le stesse cose che diceva il negro da cortile nella piantagione. «Che vuol dire separarsi? Dall’America? Da questo buon uomo bianco? Dove lo trovi un posto meglio di questo? » Ecco cosa ti dice il negro da cortile:
« Io in Africa non ci ho mica lasciato niente! » Ma si, vai, in Africa ci hai lasciato il cervello!
In quelle stesse piantagioni c’era il negro dei campi: le masse. I negri che lavoravano nei campi erano sempre più numerosi di quelli che erano addetti alla casa del padrone. Nei campi si viveva come all’inferno, si mangiavano gli avanzi. Mentre in casa si mangiavano tutte le parti buone del maiale, al negro nel campo non toccavano altro che le interiora. Oggi le chiamano chitt’lings, ma a quei tempi le chiamavano col loro vero nome, e cioè budella. Ecco cosa eravate voi: dei mangiatori di budella. Alcuni lo sono ancora.
Il negro dei campi prendeva legnate dalla mattina alla sera, abitava in una capanna, anzi una baracca, e indossava vecchi abiti smessi. Odiava il padrone, vi assicuro che odiava il padrone. Era intelligente. Dunque, mentre il negro da cortile amava il suo padrone, quello dei campi, e si trattava della maggioranza, lo odiava. Quando la casa bruciava, non muoveva un dito per spengere l’incendio e anzi pregava perché si alzasse il vento, un bel vento forte. Quando il padrone si ammalava, il negro dei campi pregava perché morisse e se qualcuno andava da lui a dirgli:
« Separiamoci! Corriamo via! », lui non domandava certo: «Dove?», ma rispondeva: «Qualsiasi posto sarà sempre meglio che qui! » Oggi in America ci sono parecchi negri dei campi e io sono uno di quelli. Le masse sono composte di questi negri dei campi e quando vedono che la casa del padrone piglia fuoco non li sentite dire che «il nostro governo è nei guai». Loro dicono: «Il governo è nei guai! »Immaginatevi un po’ un negro che dice: «il nostro governo». Ho persino sentito uno che diceva « i nostri astro-flauti». Non lo lasciano neanche avvicinare alla fabbrica dei missili e lui dice « i nostri astronauti »! « La nostra marina»... Ma quello che dice queste cose è un negro che ha perso il cervello, ve lo dico io, proprio uno che ha perso il cervello.
Cosi come il padrone di schiavi del passato si serviva di Tom, il negro da cortile, per tenere a bada i negri dei campi, lo stesso padrone di schiavi oggi ha a sua disposizione i moderni zii Tom, gli zii Tom del ventesimo secolo, per tenere sotto controllo voi e me, per mantenerci passivi, pacifici e non violenti. ~ proprio Tom che vi rende non violenti. E' come uno che va dal dentista. Questi si appresta a strappargli un dente: quando comincia a tirare bisogna reagire per forza ed è per ciò che il dottore vi mette in bocca un po’ di novocaina che vi rende insensibili dafidovi l’impressione che non vi stia facendo niente. Il paziente sta li seduto e poiché ha assorbito tutta quella dose di novocaina, soffre pacificamente. Il sangue gli scorre giù dalla mascella e lui non sa cosa gli sta succedendo perché c’è chi gli hà inségnato a soffrire: pacificamente.
L’uomo bianco vi fa la stessa cosa per le strade, quando vuole riempirvi la testa di botte, sopraffarvi senza aver paura che voi vi ribelliate. Per impedire appunto che vi ribelliate, prende questi vecchi « zii Tom » religiosi perché insegnino a voi e a me, proprio come fa la novocaina, a soffrire pacificamente. Non è che cessiate di soffrire: soffrite solo pacificamente! Come ha messo in evidenza il reverendo Cleage, essi dicono che dovete far scorrere il vostro sangue per le strade. E una vergogna! Sapete che lui è un predicatore cristiano e se è una vergogna per lui, potete immaginare cos’è per me.
Nel nostro libro, il Corano, non c’è nessun insegnamento a soffrire pacificamente. La nostra religione ci insegna ad essere intelligenti. Siate pacifici, gentili, obbedite alle leggi, rispettate chiunque, ma se qualcuno leva la mano contro di voi, mandatelo al cimitero. Questa è una religione come si deve, e infatti è la religione del buon tempo antico, quella di cui parlavano i vecchi: occhio per occhio, dente per dente, testa per testa, vita per vita. Questa è una religione come si deve e nessuno protesta perché viene insegnata, all’infuori del lupo che ha in mente di divorarvi.
Questo è il modo in cui si comporta l’uomo bianco in America. Lui è il lupo e voi siete le pecore. Tutte le volte che un pastore, dico un pastore, insegna a voi e a me di non distaccarsi dall’uomo bianco e nello stesso tempo di non combatterlo, ebbene, quel pastore per voi e per me non è altro che un traditore. Non buttate via una vita, ma difendetela perché è la cosa migliore che avete. Però se dovete rinunciarvi, che sia alla pari!
Il padrone prendeva Tom e lo vestiva bene, lo nutriva bene e gli dava persino un po’ d’istruzione: un po’. Gli regalava un cappotto lungo e un cappello a cilindro e cosf tutti gli altri schiavi lo guardavano con invidia. Poi si serviva di lui per controllare gli altri. La stessa strategia di cui si serviva in quei tempi, lo stesso uomo bianco l’adopera oggi: prende un negro, un cosiddetto negro, e lo rende famoso, gli suona la grancassa, gli fa tutta la pubblicità possibile fino a farlo diventare celebre, fino a farne un portavoce e un leader dei negri.
Vorrei parlare brevemente del metodo di cui si serve l’uomo bianco contro la rivoluzione negra, del modo in cui adopera i «grossi calibri» o i leader negri contro le masse. Essi non fanno parte della rivoluzione negra, ma sono adoperati proprio contro di essa.
Quando Martin Luther King falli nel suo tentativo di abolire la segregazione razziale ad Albany nella Georgia, la lotta per i diritti civili in America toccò il suo punto più basso. King cessò quasi di esser considerato un leader, la Southern Christian Leadership Conference venne a trovarsi in gravi difficoltà finanziarie e altri leader negri di statura nazionale divennero ben presto degli idoli infranti. Quando ciò accadde, quando essi cominciarono a perdere prestigio e influenza, i leader negri locali si dettero ad agitare le masse. A Cambridge, nello stato del Maryland, Gloria Richardson; a Danville, nella Virginia, e in altre parti del paese, i leader locali cominciarono ad agitare la nostra gente al livello di base. Una cosa del genere non era mai stata fatta da questi negri che voi riconoscete come leader di statura nazionale. Vi controllano, ma non vi hanno mai incitato né stimolato. Vi controllano, vi impediscono di scagliarvi contro i vostri nemici e finora vi hanno tenuti dentro la piantagione.
Appena King falli a Birmingham, i negri si buttarono per le strade. King andò in California per partecipare a una grande manifestazione di massa e raccolse non ricordo quante migliaia di dollari. Poi venne a Detroit, organizzò una marcia e raccolse non so quante altre migliaia di dollari. Ricorderete che, subito dopo, Roy Wilkins attaccò King accusando lui e il CORE [Congress of Racial Equality] di creare disordini dappertutto costringendo poi la NAACP [National Association for the Advancement of Co~ lored People] a spendere un sacco di soldi per liberare gli arrestati. Si accusava King e il CORE di raccogliere tanto denaro e di non restituirlo. Questo è quello che accadde e la documentazione l’ho tutta qui nel giornale. Roy si mise ad attaccare King, questi ad attaccare Roy mentre Farmer si mise ad attaccarli tùtti e due. Nella misura in cui qùesti negri di statura nazionale cominciarono a dilaniarsi uno con l’altro, cominciò anche il declino del loro controllo sulle masse negre.
I negri erano là nelle strade e discutevano come organizzare la marcia su Washington. Fu a quel tempo, ricorderete, che esplose Birmingham; i negri di Birmingham cominciarono a muoversi, a pugnalare i delinquenti bianchi e a far loro la festa. Fu allora che Kennedy mandò giù a Birmingham la guardia nazionale e, dopo aver fatto ciò, apparve in televisione e disse che si trattava di «una questione morale». Fu allora che egli disse di voler presentare un progetto di legge sui diritti civili, ma quando accennò soltanto a quella sua intenzione e i razzisti del Sud cominciarono subito a discutere come boicottarla, i negri si misero a parlare: di che cosa? Che volevano marciare su Washington, andar davanti al Senato, alla Casa Bianca, al Congresso e fermare tutto, impedire che il governo continuasse su quella strada. Ci fu persino chi propose di andare all’aeroporto, sdraiarsi tutti sulle piste per impedire che gli aerei atterrassero. Vi dico cosa fu detto allora. Si parlava di rivoluzione, era la rivoluzione, la rivoluzione nera.
Erano le masse, i quadri di base là nelle strade e ciò spaventò i bianchi, terrorizzò la struttura di potere bianca di Washington. C’ero anch’io là a vedere. Quando si accorsero che il rullo compressore nero si sarebbe mosso verso la capitale, mandarono a chiamare Wilkins, Randolph e tutti quei leader negri di statura nazionale che voi rispettate: dissero loro di impedire la marcia. «Pensateci bene, — disse Kennedy — avete permesso che la faccenda àndasse troppo avanti». E il vecchio Tom rispose:
«Padrone, non posso fermarla, perché non sono io che l’hò iniziata». Ecco quello che dissero. «Non ne facciamo neanche parte, figurarsi se ne siamo a capo». «Questi negri fanno tutto da sé e ci corrono avanti». Allora quella vecchia astutissima volpe dell’uomo bianco disse: «Se non ne fate parte, farò in modo che ci entriate. Vi metterò a capo di tutta l’iniziativa. La saluterò con entusiasmo, la appoggerò, la aiuterò. Io stesso vi parteciperò».
lo può fare avere, grazie.
La traduzione riprende soltanto la seconda parte, e non tutta, indicata nel sito:part 2: 24 minutes. Non ho trovato il testo in inglese. Se qualcuno me lo può fare avere, grazie.
November 10, 1963
Message to the Grass Roots
Malcolm X
Northern Grass Roots Leadership Conference
Detroit, Michigan
Message to the Grass Roots
Part 1: 22 minutes
Part 2: 24 minutes
De rerum natura
Dedicato a (in ordine alfabetico): agnostici, anarchici, atei, bestemmiatori, dubbiosi, emarginati, epicurei, esclusi, laici, minoritari...
Lucrezio, De rerum natura, libro primo, inizio.
Madre degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dèi, Venere datrice di vita, che sotto i corsi celesti degli astri dovunque ravvivi della tua presenza il mare percorso dalle navi, le terre fertili di messi, poiché grazie a te ogni specie di viventi è concepita e, sorta, vede la luce del sole - te, o dea, te fuggono i venti, te le nuvole del cielo, e il tuo arrivare; a te soavi fiori sotto i piedi fa spuntare l'artefice terra, a te sorridono le distese del mare e placato splende di un diffuso lume il cielo. Ché appena è dischiuso l'aspetto primaverile del giorno e, disserrato, si ravviva il soffio del fecondo zefiro, prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo giungere annunziano, colpiti nei cuori dalla tua potenza. Poi fiere e animali domestici bàlzano per i pascoli in rigoglio e attraversano a nuoto i rapidi fiumi; così preso dal fascino ognuno ti segue ardentemente dove intendi condurlo. Infine, per i mari e i monti e i fiumi rapinosi e le frondose dimore degli uccelli e le pianure verdeggianti, a tutti infondendo nei petti carezzevole amore, fai sì che ardentemente propaghino le generazioni secondo le stirpi - poiché tu sola governi la natura e senza di te niente sorge alle celesti plaghe della luce, niente si fa gioioso, niente amabile, te desidero compagna nello scrivere i versi ch'io tento di comporre sulla natura per il nostro Memmiade, che tu, o dea, in ogni tempo volesti eccellesse ornato di ogni dote. Tanto più dunque, o dea, da' ai miei detti fascino eterno. Fa' sì che frattanto i fieri travagli della guerra, per i mari e le terre tutte placati, restino quieti. Tu sola infatti puoi con tranquilla pace giovare ai mortali, poiché sui fieri travagli della guerra ha dominio Marte possente in armi, che spesso sul tuo grembo s'abbandona vinto da eterna ferita d'amore; e così, levando lo sguardo, col ben tornito collo arrovesciato, pasce d'amore gli avidi occhi anelando a te, o dea, e, mentre sta supino, il suo respiro pende dalle tue labbra. Quando egli sta adagiato sul tuo corpo santo, tu, o dea, avvolgendolo dall'alto, effondi dalla bocca soavi parole: chiedi, o gloriosa, pei Romani placida pace. Ché in tempi avversi per la patria non possiamo noi compiere quest'opera con animo sereno, né l'illustre progenie di Memmio può in tali frangenti mancare alla comune salvezza. Infatti è necessario che ogni natura divina goda di per sé vita immortale con somma pace, remota dalle nostre cose e immensamente distaccata. Ché immune da ogni dolore, immune da pericoli, in sé possente di proprie risorse, per nulla bisognosa di noi, né dalle benemerenze è avvinta, né è toccata dall'ira. * Quanto al resto, presta alla vera dottrina orecchie sgombre ‹ed animo sagace›, scevro d'affanni, affinché non abbandoni con disprezzo, prima di averli intesi, i miei doni disposti per te con cura fedele. Ché mi accingo ad esporti la suprema dottrina del cielo e degli dèi, e ti rivelerò i primi principi delle cose, da cui la natura produce tutte le cose, le accresce e alimenta, e in cui la stessa natura di nuovo risolve le cose dissolte: questi nell'esporre la dottrina noi siamo soliti chiamare materia e corpi generatori delle cose, e li denominiamo semi delle cose, e inoltre li designamo corpi primi, perché tutto da essi primamente ha esistenza. La vita umana giaceva sulla terra alla vista di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione, che mostrava il capo dalle regioni celesti, con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali. Un uomo greco per la prima volta osò levare contro di lei gli occhi mortali, e per primo resistere contro di lei. Né le favole intorno agli dèi, né i fulmini, né il cielo col minaccioso rimbombo lo trattennero: anzi più gli accesero il fiero valore dell'animo, sì che volle, per primo, infrangere gli stretti serrami delle porte della natura. Così il vivido vigore dell'animo prevalse, ed egli s'inoltrò lontano, di là dalle fiammeggianti mura del mondo, e il tutto immenso percorse con la mente e col cuore. Di là, vittorioso, riporta a noi che cosa possa nascere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto. Quindi la religione è a sua volta sottomessa e dominata, mentre noi la vittoria uguaglia al cielo. Questo, a tale proposito, io temo: che per caso tu creda d'essere iniziato ai fondamenti d'una dottrina empia e d'entrare nella via della scelleratezza. Mentre per contro assai spesso proprio essa, la religione, cagionò azioni scellerate ed empie. Così in Aulide l'altare della vergine Trivia col sangue d'Ifianassa turpemente macchiarono gli eletti condottieri dei Danai, il fiore degli eroi. Appena la benda avvolta attorno alla bella chioma virginea le scese lungo le guance in due liste uguali, appena si accorse che il padre stava mesto innanzi all'altare, e accanto a lui i sacerdoti celavano il ferro, e il popolo effondeva lacrime alla sua vista, muta di terrore, piegate le ginocchia, crollava a terra. Né alla misera in tale frangente poteva giovare l'aver dato per prima al re il nome di padre. Ché sollevata dalle mani dei guerrieri e tremante fu portata all'altare, non già perché, compiuto il rito solenne, potesse essere accompagnata al suono dello splendido imeneo, ma perché pura impuramente, nel tempo stesso delle nozze, cadesse vittima mesta immolata per mano del padre, e così fosse data alla flotta partenza felice e fausta. A tali misfatti poté indurre la religione. | Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas, |
Cristo è il centro, il fondamento e il termine del cammino degli uomini e, In particolare, di uno degli aspetti più fondamentali di tale cammino: la ricerca della Verità, la ricerca di Dio.
Cristo, il Figlio dell’Uomo’, fa propria la ricerca e la esperienza di Dio, compiuta dal suo popolo e da tutti i popoli della terra.
Cristo non distrugge la religione ebraica, ma la supera dandole il significato di figura.
Egli si dichiara l’autentico continuatore della tradizione ebraica più genuina. Egli afferma di essere il compimento delle linee più pure della esperienza religiosa ebraica, cui aderivano gli Ebrei sinceri.
Al contempo, però, si trova a dover colpire alla radice l’apparato religioso ebraico retto e imposto dalle classi dominanti.
Egli deve abbattere la pretesa, che avevano tali classi, di essere i rappresentanti esclusivi di Dio, gli intermediari o i mediatori tra Dio e gli uomini; deve distruggere l’immagine falsa e cristallizzata di Dio, che veniva imposta al popolo.
Il contrasto tra Gesù e i capi del popolo ebraico mette in evidenza tutto questo in modo particolarmente chiaro. Ai loro occhi egli appare un sovversivo, un ateo, un bestemmiatore. E tale egli era nei confronti di una religione cristallizzata e strumentalizzata, nei confronti di un dio accaparrato dai potenti, dai ricchi e dai sapienti a scopo di dominio e di potenza (salva sempre la loro buona fede individuale...).
Essi, infatti, in sostanza dicevano: « chi vuole il perdono, la grazia e la benedizione di Dio deve accettare la nostra mediazione di sacerdoti, guide, maestri, dottori; deve assoggettarsi all’immagine di Dio che noi autenticamente offriamo; deve aver fiducia nei riti che soltanto noi in modo efficace celebriamo; deve ascoltare la nostra parola come parola di Dio, poichè di questa siamo depositari, interpreti e ripetitori; deve credere alle verità che noi, a nome di Dio, insegnamo; deve seguire la legge dì Dio di cui noi siamo I custodi e gli interpreti; è tenuto a rispettare i privilegi che spettano a noi come rappresentanti di Dio, a pagare i tributi che ci sono dovuti come ministri di Dio...
Arriva un uomo, una persona ignorante ‘ del popolo, un operaio di Nazareth, e dice: « Il Figlio dell’Uomo ha sulla terra Il potere di rimettere i peccati! ».
Di fronte a questa semplicissima affermazione, considerata blasfema cadono tutte quelle pretese di mediazione. Così Gesù toglie ai potenti, ai sapienti e ai ricchi l’arma più forte che essi avevano per tenere soggetto il popolo: la violenza sulle coscienze, attraverso la cristallizzazione di Dio e attraverso la pretesa di mediazione del rapporto con lui.
Nonostante questa chiarezza evangelica, in epoche successive, ferma restando la verità che Gesù rimane l’unico mediatore, altri sapienti, potenti e ricchi hanno scoperto che c’era ancora posto per la loro strumentalizzazione e mediazione di Dio.
Si sono fatti mediatori esclusivi fra gli uomini e Cristol
Così essi hanno trovato il modo di tornare all’antico giuoco, all’antico circolo vizioso. Accaparrando Cristo sono riusciti di nuovo ad accaparrare Dio e a dominare le coscienze.
Dedicato a G.W.Bush
Seguramente, ésta será la última oportunidad en que pueda dirigirme a ustedes. La Fuerza Aérea ha bombardeado las antenas de Radio Magallanes. Mis palabras no tienen amargura sino decepción. Que sean ellas un castigo moral para quienes han traicionado su juramento: soldados de Chile, comandantes en jefe titulares, el almirante Merino, que se ha autodesignado comandante de la Armada, más el señor Mendoza, general rastrero que sólo ayer manifestara su fidelidad y lealtad al Gobierno, y que también se ha autodenominado Director General de carabineros. Ante estos hechos sólo me cabe decir a los trabajadores: ¡No voy a renunciar!
Colocado en un tránsito histórico, pagaré con mi vida la lealtad al pueblo. Y les digo que tengo la certeza de que la semilla que hemos entregado a la conciencia digna de miles y miles de chilenos, no podrá ser segada definitivamente. Tienen la fuerza, podrán avasallarnos, pero no se detienen los procesos sociales ni con el crimen ni con la fuerza. La historia es nuestra y la hacen los pueblos.
Trabajadores de mi Patria: quiero agradecerles la lealtad que siempre tuvieron, la confianza que depositaron en un hombre que sólo fue intérprete de grandes anhelos de justicia, que empeño su palabra en que respetaría la Constitución y la ley, y así lo hizo. En este momento definitivo, el último en que yo pueda dirigirme a ustedes, quiero que aprovechen la lección: el capital foráneo, el imperialismo, unidos a la reaccióncrearon el clima para que las Fuerzas Armadas rompieran su tradición, la que les enseñara el general Schneider y reafirmara el comandante Araya, victimas del mismo sector social que hoy estará esperando con mano ajena, reconquistar el poder para seguir defendiendo sus granjerías y sus privilegios.
Me dirijo a ustedes, sobre todo a la modesta mujer de nuestra tierra, a la campesina que creyó en nosotros, a la madre que supo de nuestra preocupación por los niños. Me dirijo a los profesionales de la Patria, a los profesionales patriotas que siguieron trabajando contra la sedición auspiciada por los colegios profesionales, colegios clasistas que defendieron también las ventajas de una sociedad capitalista.
Me dirijo a la juventud, a aquellos que cantaron y entregaron su alegría y su espíritu de lucha. Me dirijo al hombre de Chile, al obrero, al campesino, al intelectual, a aquellos que serán perseguidos, porque en nuestro país el fascismo ya estuvo hace muchas horas presente; en los atentados terroristas, volando los puentes, cortando las vías férreas, destruyendo lo oleoductos y los gaseoductos, frente al silencio de quienes tenían la obligación de proceder.
Estaban comprometidos. La historia los juzgará.
Seguramente Radio Magallanes será acallada y el metal tranquilo de mi voz ya no llegará a ustedes. No importa. La seguirán oyendo. Siempre estaré junto a ustedes. Por lo menos mi recuerdo será el de un hombre digno que fue leal con la Patria.
El pueblo debe defenderse, pero no sacrificarse. El pueblo no debe dejarse arrasar ni acribillar, pero tampoco puede humillarse.
Trabajadores de mi Patria, tengo fe en Chile y su destino. Superarán otros hombres este momento gris y amargo en el que la traición pretende imponerse. Sigan ustedes sabiendo que, mucho más temprano que tarde, de nuevo se abrirán las grandes alamedas por donde pase el hombre libre, para construir una sociedad mejor.
¡Viva Chile! ¡Viva el pueblo! ¡Vivan los trabajadores!
Estas son mis últimas palabras y tengo la certeza de que mi sacrificio no será en vano, tengo la certeza de que, por lo menos, será una lección moral que castigará la felonía, la cobardía y la traición.
Santiago de Chile, 11 de septiembre de 1973
Ascolta Allende ( se non ti entra vai a Chilevive , e scarica direttamente l'ultimo discorso di Allende, portando il mouse su "downloads" : è il primo della serie).
Five score years ago, a great American, in whose symbolic shadow we stand signed the Emancipation Proclamation. This momentous decree came as a great beacon light of hope to millions of Negro slaves who had been seared in the flames of withering injustice. It came as a joyous daybreak to end the long night of captivity. But one hundred years later, we must face the tragic fact that the Negro is still not free. One hundred years later, the life of the Negro is still sadly crippled by the manacles of segregation and the chains of discrimination. One hundred years later, the Negro lives on a lonely island of poverty in the midst of a vast ocean of material prosperity. One hundred years later, the Negro is still languishing in the corners of American society and finds himself an exile in his own land. So we have come here today to dramatize an appalling condition. In a sense we have come to our nation's capital to cash a check. When the architects of our republic wrote the magnificent words of the Constitution and the Declaration of Independence, they were signing a promissory note to which every American was to fall heir. This note was a promise that all men would be guaranteed the inalienable rights of life, liberty, and the pursuit of happiness. It is obvious today that America has defaulted on this promissory note insofar as her citizens of color are concerned. Instead of honoring this sacred obligation, America has given the Negro people a bad check which has come back marked "insufficient funds." But we refuse to believe that the bank of justice is bankrupt. We refuse to believe that there are insufficient funds in the great vaults of opportunity of this nation. So we have come to cash this check -- a check that will give us upon demand the riches of freedom and the security of justice. We have also come to this hallowed spot to remind America of the fierce urgency of now. This is no time to engage in the luxury of cooling off or to take the tranquilizing drug of gradualism. Now is the time to rise from the dark and desolate valley of segregation to the sunlit path of racial justice. Now is the time to open the doors of opportunity to all of God's children. Now is the time to lift our nation from the quicksands of racial injustice to the solid rock of brotherhood. It would be fatal for the nation to overlook the urgency of the moment and to underestimate the determination of the Negro. This sweltering summer of the Negro's legitimate discontent will not pass until there is an invigorating autumn of freedom and equality. Nineteen sixty-three is not an end, but a beginning. Those who hope that the Negro needed to blow off steam and will now be content will have a rude awakening if the nation returns to business as usual. There will be neither rest nor tranquility in America until the Negro is granted his citizenship rights. The whirlwinds of revolt will continue to shake the foundations of our nation until the bright day of justice emerges. But there is something that I must say to my people who stand on the warm threshold which leads into the palace of justice. In the process of gaining our rightful place we must not be guilty of wrongful deeds. Let us not seek to satisfy our thirst for freedom by drinking from the cup of bitterness and hatred. We must forever conduct our struggle on the high plane of dignity and discipline. we must not allow our creative protest to degenerate into physical violence. Again and again we must rise to the majestic heights of meeting physical force with soul force. The marvelous new militancy which has engulfed the Negro community must not lead us to distrust of all white people, for many of our white brothers, as evidenced by their presence here today, have come to realize that their destiny is tied up with our destiny and their freedom is inextricably bound to our freedom. We cannot walk alone. And as we walk, we must make the pledge that we shall march ahead. We cannot turn back. There are those who are asking the devotees of civil rights, "When will you be satisfied?" we can never be satisfied as long as our bodies, heavy with the fatigue of travel, cannot gain lodging in the motels of the highways and the hotels of the cities. We cannot be satisfied as long as the Negro's basic mobility is from a smaller ghetto to a larger one. We can never be satisfied as long as a Negro in Mississippi cannot vote and a Negro in New York believes he has nothing for which to vote. No, no, we are not satisfied, and we will not be satisfied until justice rolls down like waters and righteousness like a mighty stream. I am not unmindful that some of you have come here out of great trials and tribulations. Some of you have come fresh from narrow cells. Some of you have come from areas where your quest for freedom left you battered by the storms of persecution and staggered by the winds of police brutality. You have been the veterans of creative suffering. Continue to work with the faith that unearned suffering is redemptive. Go back to Mississippi, go back to Alabama, go back to Georgia, go back to Louisiana, go back to the slums and ghettos of our northern cities, knowing that somehow this situation can and will be changed. Let us not wallow in the valley of despair. I say to you today, my friends, that in spite of the difficulties and frustrations of the moment, I still have a dream. It is a dream deeply rooted in the American dream. I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: "We hold these truths to be self-evident: that all men are created equal." I have a dream that one day on the red hills of Georgia the sons of former slaves and the sons of former slaveowners will be able to sit down together at a table of brotherhood. I have a dream that one day even the state of Mississippi, a desert state, sweltering with the heat of injustice and oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice. I have a dream that my four children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character. I have a dream today. I have a dream that one day the state of Alabama, whose governor's lips are presently dripping with the words of interposition and nullification, will be transformed into a situation where little black boys and black girls will be able to join hands with little white boys and white girls and walk together as sisters and brothers. I have a dream today. I have a dream that one day every valley shall be exalted, every hill and mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight, and the glory of the Lord shall be revealed, and all flesh shall see it together. This is our hope. This is the faith with which I return to the South. With this faith we will be able to hew out of the mountain of despair a stone of hope. With this faith we will be able to transform the jangling discords of our nation into a beautiful symphony of brotherhood. With this faith we will be able to work together, to pray together, to struggle together, to go to jail together, to stand up for freedom together, knowing that we will be free one day. This will be the day when all of God's children will be able to sing with a new meaning, "My country, 'tis of thee, sweet land of liberty, of thee I sing. Land where my fathers died, land of the pilgrim's pride, from every mountainside, let freedom ring." And if America is to be a great nation, this must become true. So let freedom ring from the prodigious hilltops of New Hampshire. Let freedom ring from the mighty mountains of New York. Let freedom ring from the heightening Alleghenies of Pennsylvania! Let freedom ring from the snowcapped Rockies of Colorado! Let freedom ring from the curvaceous peaks of California! But not only that; let freedom ring from Stone Mountain of Georgia! Let freedom ring from Lookout Mountain of Tennessee! Let freedom ring from every hill and every molehill of Mississippi. From every mountainside, let freedom ring. When we let freedom ring, when we let it ring from every village and every hamlet, from every state and every city, we will be able to speed up that day when all of God's children, black men and white men, Jews and Gentiles, Protestants and Catholics, will be able to join hands and sing in the words of the old Negro spiritual, "Free at last! free at last! thank God Almighty, we are free at last!"