domenica 12 gennaio 2003

E così, tanto per pr...

E così, tanto per prender pratica, inserisco nel mio blog (son d'accordo con Bellacci: non mi piace il nome) un racconto d'una persona a me vicina che si chiama Paola Galli. Provo anche con una foto ( la mamma di Paola ai suoi verdi anni)

 
















In autobus

 


Quando sono in autobus, mi vengono delle idee che mi fanno star bene. Così se ne sento il bisogno, salgo e vado. Non importa dove. Una volta dentro, appoggiata alla spalliera di una sedia o appesa al sostegno clic passa sulla testa (mai alla maniglia, che mi dà una sensazione di sporco), mi sento come se entrassi in una galleria di volti e di corpi che sono lì quasi immobili e mancanti di qualcosa, come se aspettassero proprio me per mettersi in moto ed entrare in un gioco vitale e appagante.

 


Guardo la gente com’è seduta, che espressione ha, la pettinatura, i vestiti. L’altro giorno avevo accanto una donna di mezz’età, vestita di un rosa stinto, coi capelli biondicci appiccicati alla testa. L’ho scompigliata tutta e l’ho costretta a indossare un tailleur rosso con dei revers lucidi di un tono appena più scuro. Una zazzeretta nuova color platino le copriva appena la fronte e scendeva dietro le orecchie che, così scoperte, si rivelavano belle; per questo ci ho aggiunto sopra due gocce di perla. Era diventata molto attraente e dal momento che lo sapeva, stava seduta con una grazia assorta e vigile al tempo stesso, consapevole dello sguardo compiaciuto del signore in grigio che era ìn piedi accanto a lei e a cui avevo regalato un paio di baffetti alla Daniel Day-Lewis in "Seduzione del male", togliendogli quel brutto cappello floscio. Ero orgogliosa della mia creazione, ma dovetti lasciar li la cosa appena impostata, perché la ragazza in terza fila aveva urgente bisogno di un intervento.

 


Via gli occhiali che le stavano male, una permanente morbida ai capelli che erano di un bel biondo cenere, ma radi e tutti ammazzettati. Via anche I ‘impermeabile verdino, al suo posto pantaloni e maglietta grigio chiaro. Ora si notava la grazia del busto snello e delle gambe lunghe e acerbe. Quando sì alzò per scendere, molti la seguirono con lo sguardo. Ondeggiava un po’, in modo inconsapevolmente provocante, sui tacchi troppo alti che mi ero ricordata di metterle. Mi venne in mente un uccello acquatico, un fenicottero slanciato e luminoso che avevo visto al lago di Massaciuccoli. Il ragazzo bruno, ritto vicino all’uscita, sbatté le ciglia, quando lei gli passò davanti, col suo profumo giovane. Riconoscente, gli regalai una maglia a righe con maniche lunghe. Azzeccatissima; ora sembrava davvero Modigliani giovane in tutta la sua bellezza un po’ triste. Avrei voluto.., ma mi resi conto che proprio non potevo fare di più. Mi chiedevo se lavorava, se la mattina qualcuno gli preparava ancora la colazione. Poteva avere diciassette-diciotto anni o forse più. Non è facile oggi indovinare l’età dei giovani perché o hanno l’aria tenera che li fa sembrare adolescenti ancora a trent’ anni o sono così sciupati dalla vita che a sedici ne dimostrano dieci di più.

 


Scese e io seguii con gli occhi la sua piccola nuca scura che immaginai calda e ispida al tatto.

 


La mia inventiva era un po’ esaurita sul momento. Pensai di riposarmi seguendo il percorso del fiume che l’autobus costeggiava. Era un autobus stupendo che toccava tutti i punti più belli della città e appena si impadroniva di un luogo, lo tirava a lucido facendo risplendere le finestre dei palazzi, le tegole rosse dei tetti e le terrazzine delle altane che cantavano lassù come uccelli sui rami più alti. Poi infilava veloce, sussultando di piacere, le vie più eleganti, vestite di grigio e miele e io mi incantai a rubare ai negozi certe stoffe damascate giallo ocra e azzurro mare per drappeggiarle intorno alle statue che si affacciavano in pose antiche e ispirate sulla facciata della grande chiesa barocca in fondo alla strada. E mentre l’autobus avanzava, lasciandosi dietro un tappeto morbido, la statua della santa con gli occhi al cielo e quella del vecchio evangelista dalla capigliatura leonina ci si posarono, scendendo dalle loro nicchie di pietra. Per il momento non mi pareva avessero il coraggio di muoversi - del resto, con tutta quella gente - ma gli occhi di lei, sebbene sempre rivolti al cielo, avevano messo su un luccichio di malizia mentre lui, col manto color ocra e i capelli a grandi onde, appariva incredibilmente bello e virile. - Ma cosa sono - mi domandavo - i nostri belli attuali, i Di Caprio, i Richard Gere, carini, ma effeminati, in confronto a questa colonna d’uomo, dalle membra michelangiolesche, e dal viso di dio rannuvolato?- Mi prese un po’ d’invidia di lei, che stava lì tutta fermina, col viso di santarella, gli occhi troppo tondi e il doppio mento incipiente.

 


Il doppio mento è una delle mie ossessioni, tanto che a volte, quando leggo, mi passo sotto il mento un foulard che poi lego stretto in cima alla testa, tipo uovo di Pasqua. A volte ci dormo pure, anche se sono poco convinta dell’efficacia di questo ritrovato perché lo usava spesso anche la mia cugina Nicla che ora, poveretta, è ridotta una palletta di grasso con un triplice giro di ciccia intorno al collo. E sì che la zia che l’adorava quella sua flgliola bruttina le diceva spesso: -Nicla, non invecchiare mai. Lo vedi com’è brutta la vecchiaia. E dire che ero così bellina alla tua età -.

 


E il cognato, che era appunto il marito della sorella della zia e si divertiva un po’ malvagiamente a buttar docce fredde su qualunque nostalgia di bellezza vera o presunta venisse fuori dalle donne di casa,

 


- Giusto - sbottò. Come quando ci s’incontrò con quelle figliole degli Adorno e la più piccina disse: - Chi è quella con la faccia di lupo? -. A questo punto si veriflcavano i soliti battibecchi simpatici che mi fa tanta tenerezza ricordare.

 


Io intanto mi ero riscossa dai miei pensieri vaganti e avevo deciso che mi conveniva scendere perché davvero stavo troppo allontanandomi dalle parti di casa. Scesi e guardai il mio bell’autobus allontanarsi. Peccato che non avessi fatto in tempo a immaginare nulla per l’anziana donna somala che sedeva là in fondo come una regina. Ma forse un’idea bella, all’altezza dei suoi occhi umidi color caffè e del suo mantello dai colori di deserto e di luna non avrei saputo farmela venire.


 

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