Diomede come Schumacher
anzi meglio (parte ultimo e arriva primo)
La corsa delle bighe
Montati i carri, si gittâr le sorti.
Agitolle il Pelìde, e uscì primiero
Antìloco; indi Eumelo, indi l'Atride,
fu quarto Merïon, quinto il fortissimo
Dïomede. Locârsi in ordinanza
tutti, ed Achille mostrò lor lontana
nel pian la meta a cui giudice avea
posto del padre lo scudier Fenice
venerando vegliardo, onde notasse
le corse attento, e riferisse il vero.
Stavano tutti colle sferze alzate
su gli ardenti destrieri, e dato il segno,
lentâr tutti le briglie, e co' flagelli
e co' gridi animaro i generosi
corsier che ratti si lanciâr nel campo,
e dal lido spariro in un baleno.
Sorge sotto i lor petti alta la polve
che di nugolo a guisa o di procella
si condensa, ed al vento abbandonate
svolazzano le giubbe. Or vedi i cocchi
rader bassi la terra, ed or sublimi
balzarsi, né perciò perde mai piede
degli aurighi veruno, e batte a tutti
per desiderio della palma il core;
e in un nembo di polve ognun dà spirto
a' suoi volanti alipedi. Varcata
la meta, e preso il rimanente corso
di ritorno alle mosse, allor rifulse
di ciascun la prodezza, allor si stese
nello stadio ogni cocchio. Innanzi a tutti
le puledre volavano veloci
del Ferezìade Eumelo; e dopo queste,
ma di poco intervallo, i corridori
di Troe, guidati dal Tidìde, e tanto
imminenti che ognor parean sul carro
montar d'Eumelo, a cui co' fiati ardenti
già scaldano le spalle, e già le toccano
colle fervide teste. E oltrepassato
forse l'avrebbe, o pareggiato almeno,
se al figlio di Tidèo Febo la palma
invidïando, non gli fea sdegnoso
balzar dal pugno la lucente sferza.
Lagrime d'ira e di dolor le gote
inondâr dell'eroe, vista d'Eumelo
lontanarsi più rapida la biga,
e per difetto di flagel più lenta
correr la sua. Ma Pallade d'Apollo
scorta la frode, e del Tidìde il danno,
presta a lui corse, e alla sua man rimessa
la sferza, aggiunse ai corridor la lena.
Indi al figlio d'Admeto avvicinossi
irata, e il giogo gli spezzò. Turbate
si svïar le cavalle, andò per terra
il timon, riversossi il cavaliero
presso alla ruota, e il cubito e la bocca
lacerossi e le nari, e su le ciglia
n'ebbe pesta la fronte: le pupille
s'empîr di pianto, s'arrestò la voce,
e Dïomede il trapassò sferzando
gli animosi destrier che innanzi a tutti
scappan di molto, perocché Minerva
gli afforza, e vincitor vuole il Tidìde.
Vien dopo questi Menelao cui preme
di Nèstore il figliuol che confortando
i paterni destrier, grida: Correte,
stendetevi prestissimi: non io
già vi comando gareggiar con quelli
del forte Dïomède, a' quai Minerva
diè l'ali al piede, e a lui la palma: solo
raggiungete l'Atride, e non soffrite
restando addietro, ch'Eta, una giumenta,
vi sorpassi di corso e disonori.
Che lentezza s'è questa? ov'è l'antica
vostra prestanza? Io lo vi giuro, e il giuro
s'adempirà; se pigri un premio vile
riporterem, negletti, anzi trafitti
da Nèstore sarete. Or via, volate,
ch'io di astuzia giovandomi senz'erro
trapasserò l'Atride nello stretto.
Antìloco sì disse, e quei temendo
le sue minacce rinforzaro il corso;
ed ecco dopo poco il passo angusto
del concavo cammin. V'era una frana
ove l'acqua invernal, raccolta in copia,
dirotta avea la strada, e tutto intorno
affondato il terren. Per quella parte
si drizzava l'Atride, onde il concorso
ischivar delle bighe. Ivi si spinse
Antìloco pur esso; e devïando
dalla carriera un cotal poco, e forte
flagellando i corsier, lo stringe, e tenta
prevenirlo. Temettene l'Atride,
e gridò: Dove vai, pazzo? rattieni,
Antìloco, i destrier: stretta è la via.
Aspetta che s'allarghi, e trapassarmi
potrai: qui entrambi romperemo i cocchi.
Antìloco non l'ode, e stimolando
più veemente i corridor, s'avanza.
Quanto è il tratto d'un disco da robusto
giovin scagliato per provar sue forze,
tanto trascorse la nestòrea biga.
Iscansossi l'Atride, e volontario
i suoi destrieri rallentò, temendo
che da quegli altri urtati in quello stretto
non gli versino il cocchio, e al suol stramazzino
essi medesmi nel voler per troppo
amor di lode acccelerarsi. Intanto
dietro al figlio di Nèstore l'Atride
gridar s'udiva: Antìloco, non avvi
il più tristo di te: va pure: a torto
noi saggio ti tenemmo: ma tu premio
non toccherai, per dio! se pria non giuri.
Quindi animando i suoi corsier, dicea:
non v'impigrite, non mi state afflitti;
pria di voi perderan quelli la lena,
ch'ei son vecchi ambidue. - Così lor grida,
e docili i destrieri alla sua voce
doppiaro il corso, e tosto li raggiunsero.
Nel circo assisi intanto i prenci achei
stavansi attenti ad osservar da lungi
i volanti cavalli che nel campo
sollevavan la polve. Idomeneo
re de' Cretesi gli avvisò primiero,
che fuor del circo si sedea sublime
a una vedetta. E di lontano udita
del primo auriga che venìa, la voce,
lo conobbe, e distinse il precorrente
destrier che tutto sauro in fronte avea
bianca una macchia, tonda come luna.
Rizzossi in piedi, e disse: O degli Achei
prenci amici, m'inganno, o ravvisate
quei cavalli voi pure? Altri mi sembrano
da quei di prima, ed altro il condottiero.
Le puledre che dianzi eran davanti
forse sofferto han qualche sconcio. Al certo
girar primiere le vid'io la meta;
or come che pel campo il guardo io volga,
più non le scorgo. O che scappâr di mano
all'auriga le briglie, o ch'ei non seppe
rattenerne la foga, e non fe' netto
il giro della meta. Ei forse quivi
cadde, e infranse la biga, e le cavalle
deviâr furïose. Or voi pur anco
alzatevi e guardate: io non discerno
abbastanza; ma parmi esser quel primo
l'ètolo prence argivo Dïomede.
Che vai tu vaneggiando? aspro riprese
Aiace d'Oilèo. Quelle che miri
da lungi a noi volar son le puledre.
Più non sei giovinetto, o Idomenèo:
la vista hai corta, e ciance assai, né il farne
molte t'è bello ov'altri è più prestante.
Quelle davanti son, qual pria, d'Eumelo
le puledre, e ne regge esso le briglie.
E a lui cruccioso de' Cretesi il sire:
Malèdico rissoso, in questo solo
tra noi valente, ed ultimo nel resto,
villano Aiace, deponiam su via
un tripode o un lebète, e Agamennóne
giudichi e dica che corsier sian primi,
e pagando il saprai. Sorgea parato
a far risposta con acerbi detti
lo stizzito Oilìde, e la contesa
crescea: ma grave la precise Achille:
Fine, o duci, a un ontoso ed indecoro
parlar che in altri biasmereste. In pace
sedetevi e guardate. I gareggianti
corridori son presso, e voi ben tosto
chi sia primo saprete, e chi secondo.
Fra questo dire, a furia ecco il Tidìde
avanzarsi, e le groppe senza posa
tempestar de' cavalli che sublimi
divorano la via. Schizzi di polve
incessanti percuotono l'auriga.
D'ôr raggiante e di stagno si rivolve
dietro i ratti corsier sì lieve il cocchio
che appena vedi della ruota il solco
nella sabbia sottil. Giunto alle mosse,
fra le plaudenti turbe il vincitore
fermossi. Un rivo di sudor dal collo
e dal petto scorrea degli anelanti
corsieri, ed esso dal lucente carro
leggier d'un salto al suol gittossi, e al giogo
lo scudiscio appoggiò. Né stette a bada
Stenelo, il forte suo scudier, che pronto
il tripode si tolse e la donzella
premio del corso, e consegnato il tutto
ai prodi amici, i corridor disciolse.
Secondo giunse Antìloco che avea
non per rattezza di destrier precorso
Menelao, ma per arte; e nondimeno
questi a tergo gli è sì, che quasi il tocca.
Quanto si scosta dalla ruota il piede
di corsier che pel campo alla distesa
tragge sul cocchio il suo signor, lambendo
co' crini estremi della coda il cerchio
del volubile giro che diviso
da minimo intervallo ognor si volve
dietro i rapidi passi; iva l'Atride
sol di tanto discosto allor dal figlio
di Nèstore, quantunque egli da prima
fosse rimasto un trar di disco indietro.
Ma dell'agamennònia Eta fu tale
la prestezza e il valor, che tosto il giunse.
E l'avrìa pure oltrepassato, e fatta
non dubbia la vittoria, ove più lunga
stata si fosse d'ambedue la corsa.
Seguìa l'Atride Merïon, preclaro
scudier d'Idomenèo, distante il tiro
d'una lancia, perché belli, ma pigri
i corridori egli ebbe, e perché desso
era il men destro nel guidar la biga.
Ultimo ne venìa d'Admeto il figlio,
a stento il cocchio traendo, e dinanzi
cacciandosi i destrieri…
Iliade c.XXIII
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