lunedì 2 agosto 2004


Musica per i miei orecchi


Siena 30 luglio 2004


Teatro dei Rozzi.


Il mio primo approccio di conoscenza a distanza con Pollini fu quello di tanti anni fa quando lessi sui giornali la notizia di un giovane pianista in carriera, Pollini, che nel bel mezzo di un concerto aveva rotto l'incanto musicale per ricordare ai presenti in sala che la guerra del Vietnam era sporca e creava dissonanze e stonature gravi con inferenze negative nei raccordi degli strumenti musicali che spandono le loro note nel bel pianeta che d'amar conforta.. Doveva essere un giovane o molto coraggioso o molto sicuro delle sue qualità di esecutore musicale per sfidare così apertamente il mondo formale e ovattato della grandi sale da concerto. O tutte e due le cose.
Ero arrivato a Siena da Firenze già ben disposto: passeggiare per Siena in una fresca serata d'estate, il semicerchio del Campo nella luce crepuscolare, tra Fonte Gaia e Palazzo della Signoria, tutto sparso di giovani turisti come fiori variopinti lì arrivati da diversi porti e foci e lidi, seduti semisdraiati lì a celebrare la festa della vita, Banchi di sopra piena di gelaterie, il pan pepato ricordo della lontana infanzia, Via di Città che mi porta verso il teatro - "quinta traversa a siinistra, prima del Corso..., 500 metri più avanti", presentare la ricevuta del versamento ed avere i biglietti (16 euro in tutto per me e Paola), loggione non numerato, timore di stare in piedi, ritrovarsi comodo in un palchetto centrale di terzo ordine, ottima visibilità (anche le mani del pianista), ottima acustica: Teatro dei Rozzi molto raffinato, da poco restaurato, una bomboniera stile 700 in una città stile duetrecento.
21,30, un silenzio irreale; non ho mai visto di persona Maurizio Pollini (30 anni prima era giovane, ora...). Eccolo, abito a coda, stempiato, brizzolato, passo inclinato in avanti come fosse già sul pianoforte. Si spengono le luci, faro sul palco, neppure il tempo di sedersi e le mani son già sui tasti bianchi e neri, decise e veloci con il Presto della sonata in re magg. op.10, n.3.
Non sono un musicofilo, piuttosto stonato, preferisco il piano quando sta insieme agli altri strumenti. Preferivo. Perché non avevo mai ascoltato Pollini dal vivo, non al teatro dei Rozzi di Siena, conoscevo - poco e male come tutto nella musica - la "Patetica" di Beethoven (grave, allegro con brio, adagio cantabile (l'ho sentito davvero canterellare!), rondò allegro.
Ma, amici miei, non sapevo dell'esistenza in vita della Sonata in sì bem. magg. op.106 "Hammerklavier": Allegro, Scherzo, Assai vivace, Adagio sostenuto, Allegro risoluto, Fuga a tre voci con alcune licenze.
Mi aiuto con la guida: "La Sonata in Sì bem magg. è il corrispettivo pianistico della Nona Sinfonia, ma ciò limitatamente alle proporzioni inusitate; giacché la tensione sperimentale che in essa si esplica supera di gran lunga quella dell'analogo sinfonico e i suoi procedimenti compositivi adottati fanno della Sonata un casi limite in tutta l'opera beethoveniana".
Che invenzione il pianoforte; altro che clavicembalo.
Con che immagini posso cercare di rendere le mie emozioni insieme a quelle di Paola e Franco e Pinuccia (quella della "felicità degli antichi" dei post sottostanti)?
Il pianista sull'oceano, il pianista nello spazio: il piano che diventa orchestra, le risonanze dilatate dai tasti a pedale ...Mi ci vorrebbe la penna di Thomas Mann...
E, esperienza mai prima vissuta con tale intensità, lo scroscio degli applausi alla fine della Fuga conclusiva del pezzo durato almeno tre quarti d'ora e di tutta la serata.  L'applauso sembrava scritto nella partitura, tanto la sua potenza era catartica e liberatoria.
Questo uscire e rientrare dell'applaudito che mi è sempre sembrato cosa ridicola, mi si è trasformato in emozione quando Pollini, dopo l'ennesima chiamata, al timido accenno di richiesta di un bis ha allargato leggermente le braccia come a dire "non ce la faccio più" o, forse, (con Dante): l'immagine di Dio si può vedere solo una volta.
Pollini: no alla guerra al Vietnam no alla guerra all'Iraq: le sue idee non sono cambiate. Me lo conferma Franco, cattedra di storia contemporanea. Grande amico di Abbado. E che cosa non dice di Berlusconi.
Musica per i miei orecchi.

Nessun commento:

Posta un commento