lunedì 10 luglio 2006


La trota ai tempi di Zorro è la prima prova narrativa di Michele Marziani, giornalista quarantenne appassionato di gastronomia e di pesca. Un romanzo in cui gli anni di piombo sono visti con gli occhi di un ragazzino, ingenui e curiosi e la pesca alla trota diventa chiave di lettura del mondo, possibilità di conoscenza e di riscatto rispetto al cinismo della vita.

Nota: A Mic Marziani debbo un ringraziamento: quello di avere aperto il blog collettivo sulla pace e sulla guerra, nel quale io - Stigli - da mesi scarico le mie tensioni indotte dalla premiata ditta Bush&Gang, specializzata nella produzione di guerra continua e terrorismo preventivoI miei 25 lettori possono così sperare di respirare qui su Barbabianca un'aria meno serrata e un po' più distesa.

Se quando che sia Marziani vorrà venire a dare un'occhiata alle trote che stanno acquattate nei "ruscelletti che de' verdi colli del Casentin discendon giuso in Arno, facendo i lor canali freddi e molli" sarà il benvenuto
.


Aggiornamento del 13 luglio.

Paola, la scrittrice-lettrice di casa, mi suggerisce la lettura di uno dei 49 racconti di Hemingway. Insiste che questi racconti sono più belli di certi suoi romanzi. Leggi questo...

Si tratta di una pesca alla trota e lo allego qui in onore di Marziani:


Grande fiume dai due Cuori

 -.Parte seconda


Al mattino il sole era alto e la tenda cominciava a scaldarsi. Nick uscì strisciando sotto la zanzariera tesa sopra l’imboccatura della tenda, per guardare il mattino. Mentre usciva sentì l’erba bagnata sotto le mani. Teneva in mano i calzoni e le scarpe. Il sole era appena spuntato dietro la collina. C’erano il prato, il fiume e la palude. C’erano delle betulle in mezzo al verde della palude sull’altra riva del fiume.

- Il fiume scorreva tranquillo, limpido e veloce nel primo mattino. Duecento metri a valle c’erano tre tronchi che lo sbarravano da una riva all’altra creando sopra di loro una pozza d’acqua profonda e tranquilla. Mentre Nick guardava, un visone attraversò il fiume sui tronchi e sparì nella palude. Nick era elettrizzato. Era elettrizzato dal primo mattino e dal fiume. Aveva veramente troppa fretta per fare colazione, ma sapeva di non poterlo evitare. Accese un focherello e vi mise sopra la caffettiera.

Mentre l’acqua si scaldava nella caffettiera prese una bottiglia vuota e scese sul prato dal rialzo dove aveva piantato la tenda. Il prato era umido di rugiada e Nick voleva prendere delle cavallette come esca prima che il sole asciugasse l’erba. Trovò un mucchio di ottime cavallette. Erano alla base dei fili d’erba. A volte si tenevano attaccate a un filo d’erba. Erano fredde e bagnate di rugiada, e non potevano saltare finché il sole non le avesse scaldate. Nick le raccoglieva, prendendo solo quelle brune di media grandezza, e le infilava nella bottiglia. Rovesciò un tronco e appena sotto l’orlo c’erano parecchie centinaia di cavallette. Era una pensione per cavallette. Nick ne mise una cinquantina, di quelle brune di media grandezza, nella bottiglia. Mentre stava raccogliendo le cavallette, le altre si scaldavano al sole e cominciavano a saltar via. Saltando si mettevano a volare. In principio facevano solo un volo e quando atterravano rimanevano irrigidite, come morte.

Nick sapeva che quando avesse finito di fare colazione sarebbero tornate alla vivacità di sempre. Senza rugiada sull’erba gli ci sarebbe voluto tutto il giorno per riempire una bottiglia di buone cavallette, e avrebbe anche dovuto schiacciarne parecchie, mentre le colpiva col cappello. Si lavò le mani nel fiume. La sua vicinanza lo elettrizzava. Poi ritornò alla tenda. Le cavallette stavano già saltando rigidamente tra l’erba. Nella bottiglia, scaldata dal sole, formavano una massa saltellante. Nick vi ficcò dentro, per tapparla, un ramo di pino. Chiudeva abbastanza bene la bocca della bottiglia, così da impedire alle cavallette di uscire, pur lasciando passare tutta l’aria che ci voleva.

Nick aveva rimesso a posto il tronco e sapeva che ogni mattina le cavallette avrebbe potuto trovarle là.

Appoggiò al tronco di un pino la bottiglia piena di cavallette saltellanti. Mescolò rapidamente un goccio d’acqua a un po’ di farina di grano saraceno e lavorò la pasta fino ad ammorbidirla, una tazza di farina, una tazza d’acqua. Mise nella caffettiera un pugno di caffè e tolse un pezzo di grasso da un barattolo e lo fece scivolare, sfrigolando, sul fondo della padella bollente. Sulla padella fumante versò pian piano la pasta di farina di grano saraceno. Si spandeva come lava, col grasso che friggeva scoppiettando. Ai margini la frittella di grano saraceno cominciò a indurirsi, poi a dorarsi, poi a diventare croccante. La superficie, bollendo, acquistava lentamente la sua porosità. Nick spinse sotto la faccia inferiore rosolata una scheggia di pino tagliata di fresco. Scosse trasversalmente la padella e la frittella si staccò dal fondo. A farla saltare non mi azzardo proprio, pensò. Fece scivolare sotto la frittella la scheggia di legno pulito e la voltò. La frittella sfrigolava sul fondo della padella.

Quando fu cotta Nick tornò a ungere la padella. Usò tutta la pasta. Bastò per un’altra frittella e per una più piccina.

Nick mangiò una frittella grande e la più piccola, coperte di purè di mele cotte. Spalmò la marmellata sulla terza, la piegò in due, l’avvolse in un pezzo di carta oleata e se la mise nella tasca della camicia. Ripose nello zaino il vaso di marmellata di mele e tagliò il pane per due sandwich.

Nel sacco trovò una grossa cipolla. La tagliò in due e tolse la lucente pellicola esterna. Poi affettò una delle due metà e fece dei panini con la cipolla. Li avvolse in un pezzo di carta oleata e se li abbottonò nell’altra tasca della camicia cachi. Capovolse la padella sulla graticola, bevve il caffè, addolcito e tinto d’un marrone chiaro dal latte condensato che vi aveva messo dentro, e riordinò il campeggio. Era un buon campeggio.

Nick tolse la canna da mosca dall’astuccio di cuoio delle canne, la montò e rimise l’astuccio nella tenda. Montò il mulinello e infilò la lenza nelle guide. Doveva passarsela da una mano all’altra, mentre la infilava, altrimenti sarebbe stata tirata giù e sfilata dal suo stesso peso. Era una lenza da mosca a fuso doppio, pesante. Nick l’aveva pagata Otto dollari tanto tempo prima. La facevano apposta, pesante, perché fosse possibile prendere la spinta e lanciarla davanti a sé, dritto e lontano, con una mosca che non pesa nulla. Nick aprì la scatola d’alluminio dei bassi di lenza. I bassi erano arrotolati tra due tamponi di flanella umida. Nick aveva inumidito i due tamponi con l’acqua del refrigeratore sul treno per St.Ignace. Tra i due tamponi umidi i bassi di budello si erano ammorbiditi e Nick ne svolse uno e lo assicurò con un nodo all’estremità della pesante lenza da mosca. Alla punta del basso attaccò un amo. Era un amo piccino: molto elastico e sottile.

Nick lo prese dal libretto degli ami, stando seduto con la canna sulle ginocchia. Tirando la lenza provò il nodo e l’elasticità della canna. Era una sensazione piacevole. Nick badò a non farsi mordere il dito dall’amo.

Si avviò lungo il fiume con la canna in mano e la bottiglia di cavallette appesa al collo con una cinghia legata con una serie di nodi mezzo collo intorno al collo della bottiglia. Il guadino era appeso con un ~gancio alla cintura. Sopra la spalla aveva un lungo sacco da farina legato agli angoli con una funicella. La funicella gli passava sopra la spalla. Il sacco gli batteva sulle gambe.

Nick si sentiva goffo e felice, professionalmente, con addosso tutto quell’armamentario. La bottiglia delle cavallette gli dondolava su1 petto. Il pranzo e il libretto degli ami gli gonfiavano le tasche della camicia.

Entrò nell’acqua. Fu un colpo. I calzoni gli aderivano alle gambe. Le scarpe tastavano la ghiaia. L’acqua fredda era uno shock.

Impetuosa, la corrente gli risucchiava le gambe. Dov’era entrato lui, l’acqua gli arrivava sopra le ginocchia. Camminò seguendo la corrente. La ghiaia gli scivolava sotto le scarpe. Abbassò lo sguardo al mulinello che l’acqua gli formava sotto le gambe e capovolse la bottiglia per prendere una cavalletta.

La prima cavalletta saltò fuori dal collo della bottiglia e cadde in acqua. Venne risucchiata sotto la superficie dal gorgo vicino alla gamba destra di Nick e riemerse un po’ più a valle. Galleggiava, muovendo le zampine. Scomparve in un cerchio improvviso che aveva rotto la liscia superficie. Una trota l’aveva catturata.

Un’altra cavalletta si affacciò alla bottiglia. Le sue antenne vibravano. Stava mettendo fuori le zampe anteriori per saltare. Nick la prese per la testa e la tenne ferma mentre le infilava il sottile amo sotto il mento, attraverso il torace e negli ultimi segmenti dell’addome. La cavalletta si aggrappò all’amo con le zampe anteriori, sputandovi sopra sugo di tabacco. Nick la lasciò cadere in acqua.

Tenendo la canna nella destra diede filo alla cavalletta portata dalla corrente. Svolse con la sinistra la lenza dal mulinello e lo lasciò girare. Vedeva la cavalletta sulle piccole onde del fiume. Poi la cavalletta scomparve.

Ci fu uno strappo. Nick tirò e la lenza si tese. Era il suo primo ferraggio. Tenendo la canna, ora viva, oltre la corrente, tirò la lenza con la mano sinistra. La canna si piegava, a scatti, quando la trota dava un guizzo per fuggire. Nick sapeva che era un pesce piccolo. Alzò dritta in aria la canna che s incurvava per la tensione.

Vide la trota nell’acqua opporsi con la testa e tutto il corpo alla volubile tangente della lenza nel fiume.

Nick prese la lenza con la sinistra e tirò la trota, che lottava stancamente contro la corrente, a galla. Il dorso era screziato dei colori chiari dell’acqua sulla ghiaia, il fianco brillava sotto i raggi del sole. Con la canna sotto il braccio destro, Nick si chinò, immergendo la mano destra nella corrente. Tenne la trota, mai ferma, con la destra bagnata, mentre le staccava l’amo dalla bocca, poi la lasciò ricadere nel fiume.

La trota oscillò incerta nella corrente, poi si fermò sul fondo vicino a un sasso. Nick abbassò la mano per toccarla, col braccio immerso fino al gomito. La trota era immobile nell’acqua in movimento, posata sulla ghiaia, vicino a un sasso. Quando le dita di Nick la toccarono, quando toccarono, sott’acqua, la sua pelle viscida e fresca, la trota sparì, sparì come un’ombra sul fondo del fiume.

Sta benone, pensò Nick. Era solo stanca.

Si era bagnato la mano prima di toccare la trota per non togliere il delicatissimo muco che la copriva. Se si toccavano le trote con le mani asciutte, un fungo bianco attaccava il punto rimasto senza protezione. Alcuni anni prima, quando pescava in fiumi affollati, con pescatori alla mosca a monte e a valle, Nick aveva trovato molto spesso delle trote morte, coperte da una peluria di funghi bianchi, spinte dalla corrente contro un masso o galleggianti in una pozza a pancia in su. Nick non amava pescare con altri uomini sul fiume. Se non erano della tua comitiva, rovinavano tutto.

Sguazzò lungo il fiume, che in mezzo alla corrente gli copriva le ginocchia, attraverso i cinquanta metri d’acqua bassa a monte del mucchio di tronchi che sbarravano il fiume. Non tornò a innescare l’amo e lo tenne in mano mentre camminava. Era certo di poter prendere delle trotelle nell’acqua bassa, ma non le voleva. E a quell’ora nell’acqua bassa non potevano esserci trote grosse.

Poi l’acqua divenne più alta, fredda e pungente intorno al-

le sue cosce. Davanti a lui c’era la cascatella formata dalla diga di tronchi. Qui l’acqua era placida e scura; a sinistra, la parte inferiore del prato; a destra la palude.

Nick puntò i piedi contro la corrente e tolse una cavalletta dalla bottiglia. Infilò la cavalletta sull’amo e ci sputò sopra per scaramanzia. Poi srotolò dal mulinello parecchi metri di lenza e lanciò la cavalletta davanti a sé sull’acqua scura e veloce. L’esca scese galleggiando verso i tronchi, poi il peso della lenza la trascinò sotto la superficie. Nick teneva la canna nella destra, lasciando scorrere il filo tra le dita.

Ci fu un lungo strattone. Nick tirò e la canna diventò viva e pericolosa, piegandosi in due, mentre la lenza si tendeva, usciva dall’acqua, si tendeva, sempre più forte e pericolosamente. Nick avvertì che il basso di lenza si sarebbe spezzato, se fosse aumentata la tensione, e allora mollò il filo.

Il mulinello mandava uno stridulo lamento mentre la lenza si svolgeva a precipizio. Troppo in fretta. Nick non riusciva a frenarla, la lenza si svolgeva, e mentre la lenza finiva la nota del mulinello diventava più acuta.

Col mulinello quasi vuoto, col cuore in gola per l’emozione, puntando i piedi contro la corrente che gli lambiva gelidamente le cosce, Nick cercava di fermare il mulinello col pollice della sinistra. Non era facile ficcare il pollice nel tamburo del mulinello.

Quando premette col dito la lenza si tese all’improvviso e dietro i tronchi una grossissima trota fece un salto fuori dall’acqua. Mentre saltava, Nick abbassò la punta della canna. Ma sentì, mentre abbassava il cimino per ridurre la tensione, il momento in cui lo sforzo era troppo sostenuto, e il filo troppo teso. Di sicuro il basso di lenza si era rotto. Impossibile sbagliarsi, quando il filo perdeva tutta la sua elasticità e diventava secco e duro, per poi allentarsi di colpo.

La bocca asciutta, il cuore in tumulto, Nick girò il mulinello. Non aveva mai visto una trota così grossa. C’era una pesantezza, una forza irresistibile, e poi la sua mole, mentre saltava. Pareva grossa come un salmone.

Gli tremava la mano, mentre girava lentamente il mulinello. L’emozione era stata troppo forte. Nick provava un vago senso di nausea. Forse sarebbe stato meglio mettersi a sedere.

Il basso di lenza si era rotto nel punto in cui era attaccato all’amo. Nick lo prese in mano. Pensò alla trota là sui fondo, chissà dove, che si teneva sospesa sopra i sassi, lontano dalla luce, sotto i tronchi, con l’amo infisso nella mandibola. Nick sapeva che i denti della trota avrebbero tagliato il filo dell’amo. L’amo le si sarebbe incistato nella mandibola. Per forza la trota era furiosa. Chi non si sarebbe infuriato, se fosse stato grosso come lei? Che trota. Nick l’aveva ferrata bene. Ma era solida come una roccia. E sembrava davvero una roccia, prima di scappare. Pendio, che trota. Pendio, era la più grossa di cui si fosse mai sentito parlare.

Nick si arrampicò sulla riva e si fermò sul prato, con l’acqua che gli grondava dai calzoni e dalle scarpe, che mandavano rumori chiocci. Attraversò il prato e si sedette sui tronchi. Voleva assaporare con calma le proprie sensazioni.

Mosse le dita nell’acqua, nelle scarpe, e tolse una sigaretta dal taschino. L’accese e gettò il fiammifero nell’acqua che scorreva veloce sotto i tronchi. Una minuscola trota venne a galla, attirata dal fiammifero che girava su se stesso nella corrente impetuosa. Nick scoppiò in una risata. Prima voleva finire la sigaretta.

Sedeva sui tronchi, fumando, asciugandosi al sole, col sole che gli scaldava la schiena, col fiume poco profondo davanti a sé che entrava nel bosco, che formava un’ansa e poi entrava nel bosco; lingue di terra, luci sfavillanti, grandi massi levigati dall’acqua, cedri lungo la riva e bianche betulle, i tronchi caldi sotto i raggi del sole, lisci sotto il sedere, senza corteccia, grigi sotto le dita; piano piano la delusione gli passò. Scomparve lentamente, la delusione che lo aveva preso subito dopo il brivido di emozione che gli aveva fatto dolere le spalle. Ora andava tutto bene. Con la canna posata sui tronchi, Nick legò al basso di lenza un altro amo, tirando il budello finché non si fu stretto in un nodo indissolubile.

Mise l’esca, poi prese la canna e si diresse verso l’altra estremità della diga di tronchi per entrare in acqua, dove non era troppo alta. Sotto i tronchi, e al di là, c’era una pozza profonda. Nick passò tra il fiume e la palude, dove l’acqua era bassa, e tornò a inoltrarsi nel fiume dove il suo letto quasi riaffiorava.

A sinistra, dove il prato finiva e cominciava il bosco, c’era un grande olmo sradicato. Caduto durante un temporale, era disteso nel bosco, con le radici incrostate di terriccio e l’erba che vi cresceva in mezzo, e formava una solida sponda lungo il fiume. Il fiume scorreva proprio ai margini dell’albero sradicato. Da dove si trovava Nick poteva vedere i profondi canali, simili ai solchi lasciati dalle ruote di un carro, scavati dalla corrente nel letto poco profondo del fiume. Sassoso dove si trovava lui e sassoso e pieno di massi più in là; dove il fiume formava un’ansa, vicino alle radici dell’albero, il suo letto era marnoso, e tra i solchi scavati dall’acqua ciuffi di alghe verdi ondeggiavano nella corrente.

Nick fece roteare la canna e lanciò, e il filo, descrivendo una parabola, depose la cavalletta sopra uno dei profondi canali pieni di alghe. Una trota abboccò e Nick la prese all’amo.

Tenendo la canna puntata verso l’albero sradicato e sguazzando all’indietro nella corrente, Nick portò la trota, che tirava, con la canna piegata come una cosa viva, fuori dal pericolo delle alghe, nel fiume aperto. Tenendo la canna, che come una cosa viva lottava contro la corrente, Nick tirava la trota verso di lui. La trota dava degli strappi, ma finiva sempre per cedere terreno, con la canna che assorbiva gli strappi grazie alla sua elasticità, e che a volte finiva con la punta sott’acqua, ma che non la smetteva di trascinare il pesce. Piano piano Nick vinse la sua resistenza. Con la canna sopra la testa, portò la trota sopra il guadino e la sollevò.

La trota era pesante nella rete, col suo dorso screziato e i fianchi argentei tra le maglie. Nick la staccò dall’amo —fianchi pesanti, facili da stringere, grossa mandibola sporgente — e la fece scivolare, grossa e guizzante com’era, nel lungo sacco che dalle spalle gli pendeva in acqua.

Nick allargò la bocca del sacco contro la corrente e il sacco si riempì, gonfiandosi d’acqua. Lo sollevò, col fondo nel fiume, e l’acqua zampillò dalle pareti. Dentro, sul fondo, c’era la grossa trota, viva nell’acqua.

Nick scese un po’ a valle. Il sacco, spinto dalla corrente davanti a lui, affondava nell’acqua, segandogli le spalle.

Cominciava a far caldo, il sole scottava sulla nuca.

Nick aveva una bella trota. Non gli importava di prenderne molte. Ora il fiume era largo e poco profondo. C’erano alberi su entrambe le rive. Gli alberi della riva sinistra formavano, sotto il sole del mattino, brevi ombre sulla corrente. Nick sapeva che in ciascuna di quelle ombre c’erano delle trote. Nel pomeriggio, dopo che il sole, scavalcando il corso d’acqua, si fosse spostato verso le colline, le trote avrebbero indugiato nelle ombre fresche dall’altra parte del fiume.

Le più grosse si tenevano vicino alla riva. Era sempre lì che le trovavi, sul Black. Quando il sole tramontava si spostavano tutte. Nel preciso momento in cui il sole, prima di sparire, trasformava con i suoi raggi la superficie dell’acqua in uno specchio abbacinante, potevi prendere una grossa trota pescando in qualsiasi punto della corrente. Era quasi impossibile pescare, allora, perché la superficie dell’acqua era accecante come uno specchio esposto al sole. Naturalmente potevi pescare controcorrente, ma in un fiume come il Black, o come questo, dovevi procedere, sguazzando, controcorrente, e nei punti dove l’acqua era profonda la corrente ti portava via. C’era poco da divertirsi a pescare contro-corrente, in quelle condizioni.

Nick camminava nell’acqua bassa cercando i buchi profondi vicino alle rive. C’era un faggio che cresceva lungo il fiume, lasciando pendere i rami nell’acqua. Il fiume si spingeva sotto le foglie. C’erano sempre delle trote in un posto come quello.

Nick non voleva pescare in quel buco. Era certo che avrebbe impigliato l’amo nei rami.

Sembrava profondo, però. Nick lasciò cadere la cavalletta in modo che la corrente la trascinasse sott’acqua, sotto il ramo proteso. La lenza si tese e Nick tirò. La trota si dibatteva pesantemente, mezzo fuor d’acqua tra i rami e le foglie. La lenza s’impigliò. Nick diede uno strattone e la trota guizzò via. Nick riavvolse il filo sul mulinello e, con l’amo in mano, continuò a scendere a valle.

Davanti a lui, vicino alla riva sinistra, c’era un grosso tronco. Nick vide che era cavo; descrivendo una curva come se volesse risalire il fiume, la corrente vi entrava senza intoppi, increspandosi appena ai lati del tronco. L’acqua stava diventando più alta. La parte superiore del tronco cavo era grigia e asciutta. Il tronco era, in parte, all’ombra.

Nick tolse il tappo dalla bottiglia delle cavallette e scoprì che c’era attaccata una cavalletta. La prese, la mise sull’amo e la gettò in acqua. Tenne la canna lontano, in modo che la cavalletta, galleggiando, venisse presa dalla corrente che entrava nella cavità del tronco. Nick abbassò la canna e la cavalletta sparì dentro il tronco. Ci fu uno strappo violento. Nick strinse e tirò nell’altro senso. Sembrava che l’amo si fosse impigliato nel tronco, se non ci fosse stata quella sensazione di aver pescato qualcosa di vivo.

Nick cercò di costringere il pesce a uscire da sotto il tronco. Faticosamente vi riuscì.

Poi la lenza si allentò e Nick credette che la trota fosse scappata via. La vide, invece, vicinissima, nella corrente, che scuoteva la testa, cercando di liberarsi. Teneva la bocca ermeticamente chiusa. Lottava contro l’amo nell’acqua limpida del fiume.

Avvolgendo la lenza con la mano sinistra, Nick girò la canna per tendere il filo e cercò di guidare la trota verso il guadino, ma la trota fece un guizzo e scomparve, dando degli strappi alla lenza. Nick la tenne ferma, controcorrente, lasciando che lottasse, nell’acqua contro l’elasticità della canna. Passò la canna nella mano sinistra, tirò la trota a sé, guadagnando terreno a poco a poco, spostando la canna su e giù, e alla fine la portò sopra il guadino. La sollevò dall’acqua, un pesante semicerchio nella rete, con la rete gocciolante, la staccò dall’amo e la mise nel sacco.

Aprì la bocca del sacco e guardò le due grosse trote vive nell’acqua.

Camminando nell’acqua sempre più profonda, Nick si avvicinò al tronco cavo. Si tolse il sacco, sfilandoselo dalla testa, con le trote che si dibattevano quando uscivano dall’acqua, e lo appese in modo che le trote rimanessero sott’acqua. Poi si issò sul tronco e si sedette, con l’acqua che gli zampillava dai calzoni e dagli scarponi nel fiume. Depose la canna, si spostò verso l’estremità del tronco che era all’ombra e trasse di tasca i panini. Tuffò i panini nell’acqua fredda. La corrente portò via le briciole. Mangiò i panini e riempì il cappello d’acqua da bere, con l’acqua che gli sfuggiva dalle labbra per colare giù dal fondo.Faceva fresco all’ombra, seduti sul tronco. Nick tirò fuori una sigaretta e strofinò un fiammifero per accenderla. 11 fiammifero affondò nel legno grigio, scavandovi un piccolo solco. Nick si sporse da un lato del tronco, trovò un punto duro e accese il fiammifero. Sedette a fumare e a guardare il fiume.

Più avanti, il fiume si restringeva ed entrava in una palude. Il fiume diventava tranquillo e profondo e la palude pareva fitta di cedri, con i tronchi vicinissimi e i rami intrecciati. Non sarebbe stato possibile attraversare una palude come quella. I rami erano troppo bassi. Bisognava tenersi quasi a livello del terreno, per potersi muovere. Non potevi farti largo tra i rami. Doveva essere questo il motivo per cui gli animali che vivevano nelle paludi erano fatti com’erano, pensò Nick.

Gli dispiaceva di non aver portato qualcosa da leggere. Aveva voglia di leggere. Non aveva voglia di entrare nella palude. Guardò nella direzione in cui scendeva il fiume. C’era un grosso cedro inclinato che lo attraversava da una sponda all’altra. Dopo quell’albero, il fiume entrava nella palude.

Ora Nick non aveva voglia di andarci. Lo infastidiva l’idea di camminare nella palude con l’acqua fino alle ascelle, di prendere grosse trote in posti dov’era impossibile tirarle a riva. Nella palude le rive erano brulle, i grossi cedri si univano sopra la testa, il sole non penetrava, salvo che a tratti; nell’acqua rapida e profonda, nella mezza luce, pescare sarebbe stato una tragedia. Pescare nella palude era una tragica avventura. Nick poteva farne a meno. Oggi non aveva voglia di scendere ancora più a valle.

Estrasse il coltello, lo aprì e lo piantò nei tronco. Poi tirò il sacco fuori dall’acqua, vi ficcò una mano dentro e ne tolse una trota. Reggendo per la coda quel pesce così difficile da tenere in mano, vivo, lo sbatté sul tronco. La trota ebbe un fremito e s’irrigidì. Nick la depose sul tronco, all’ombra, e spezzò nello stesso modo il dorso all’altro pesce. Depose le due trote sul tronco, fianco a fianco. Erano belle.

Nick le pulì, aprendole dall’ano alla punta della mascella. Tutte le interiora e le branchie e la lingua vennero via in un colpo solo. Erano due maschi; lunghe strisce bianco-grigie di sperma, lisce e pulite. Tutte le interiora pulite e compatte, che venivano via tutte insieme. Nick gettò i rifiuti sulla riva, dove li avrebbero trovati i visoni.

Lavò le trote nel fiume. Mentre le teneva nell’acqua, col dorso in alto, sembravano pesci vivi. Il colore non era ancora andato via. Nick si lavò le mani e le asciugò sul tronco. Poi depose le trote sopra il sacco disteso sui tronco, ve le avvolse, legò l’involto e lo mise nel guadino. Il coltello era ancora diritto, con la lama piantata nel tronco. Nick lo pulì sul legno e se lo mise in tasca.

Si alzò in piedi sul tronco, con la canna, e il guadino appesantito dalle trote, poi entrò nell’acqua e sguazzò verso la riva. Si arrampicò sulla sponda e tagliò per il bosco, verso il rialzo nel terreno. Tornava al campo. Si voltò indietro. Il fiume, tra gli alberi, si vedeva appena. Aveva tutto il tempo che voleva, per pescare nella palude.

(Ernest Hemingway I quarantanove racconti Traduzione di Vincenzo Mantovani – Oscar Mondatori).

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