lunedì 3 luglio 2006

Dialogo sopra i grandi sistemi


Mi piace oggi riepilogare un carteggio digitale avvenuto all'interno del gruppo email di Libera Uscita, una delle due associazioni italiane per la depenalizzazione dell'eutanasia. Da una comunicazione del  segretario Giampiero Sestini che  scrive giustamente soddisfatto dell'aria nuova che tira - nel campo dei diritti civili - da quando il governo Prodi ha sostituito il malgoverno Berlusconi. Sestini paragona quest'aria nuova che si respira in Italia con l'Atene di Pericle, "fondatore" della moderna democrazia col suo discorso del 461 a.C.
Segue una prima reazione di Marco Aurigi, una controreazione di Giuliano degli Antoni e successive botta e risposta. Le questioni storiche mi sono sempre interessate; vederle attualizzate al mondo d'oggi e mescolate con le personali esperienze di vita (v. la scaletta autobiografica di Marco Aurigi nell'ultima replica) mi intriga particolarmente. E poi voglio dire anch'io la mia su autocrazia e dittatura, destra sinistra e convergenze parallele... Non ho voluto appesantire la hotmail dei soci di Libera Uscita con mie interferenze, anche per non disperdere gli argomenti serrati dei due interlocutori. Ma qui sono in casa mia, e tu che passi non sei obbligato a rallentare il passo per seguire questo dialogo sopra i grandi sistemi di democrazia e dittatura. Un colpo di mouse e ciao.


Si comincia con l'email di Sestini.


30 giugno 2006
Apprendiamo dalla stampa (agenzia ANSA).
"L'iter per arrivare in tempi rapidi ad una legge sul testamento biologico sarà avviato già dalla prossima settimana nella Commissione Sanità del Senato, con l' esame dei disegni di legge presentati fino ad oggi sia dalla maggioranza che dall'opposizione".
Lo rende noto il presidente della stessa Commissione, Ignazio Marino, che descrive il provvedimento come ''una legge per evitare l'accanimento terapeutico e per dare ad ogni persona la possibilità di esprimere in vita le proprie volontà per interrompere le terapie quando non esiste una ragionevole speranza di ritrovare una condizione di vita accettabile''.
''L'obiettivo - commenta il presidente della commissione Ignazio Marino - è quello di arrivare nei tempi più rapidi possibili ad una legge condivisa che tenga conto del lavoro già fatto nella scorsa legislatura e che porti ad una legge in grado di riflettere gli orientamenti di tutti e che sia davvero nell' interesse dei cittadini. L'Italia - continua - soffre per un grave ritardo in questa materia rispetto ad altri Paesi, basti pensare che negli Stati Uniti il testamento biologico è stato introdotto negli anni Settanta''.
''Inoltre - aggiunge Marino - si fanno sempre più pressanti le sollecitazioni da parte della società che risente di questo vuoto legislativo. Il parlamento ha il compito di dare delle risposte e per questo vogliamo dare priorità assoluta all'iter legislativo sul testamento biologico indicandolo come primo atto all'ordine del giorno della Commissione Sanità''.
 
Prendiamo atto con soddisfazione che il risultato delle ultime elezioni, confermato da quello del referendum, ha radicalmente cambiato il clima politico. Per tre anni la proposta di legge sul testamento biologico presentata alla Camera dall'on. Giorgio Benvenuto non è stata neppure discussa in Commissione. Nel contempo, la nostra associazione aveva reiteratamente ma inutilmente richiesto al Presidente del Senato di ricevere le firme di cittadini da noi raccolte a sostegno della proposta di legge sull'eutanasia, presentata dal sen. Battisti oltre due anni orsono.
Ovviamente, nulla è ancora definito, ma almeno si è aperta la speranza, come avevamo auspicato prima delle elezioni.
In proposito, riportiamo una frase stralciata dalla "lettera" di Corrado Augias "Il testamento biologico, una scelta di civiltà" , pubblicata su la Repubblica del 27.6.2006:
 
Nessuno di noi ha chiesto di venire al mondo, ci siamo trovati inconsapevoli in questa 'valle di lacrime'; credo che sia diritto di ognuno decidere di volersene allontanare se le condizioni di sopravvivenza dovessero diventare troppo pesanti, se la scintilla dell'intelligenza (divina o no che sia) dovesse spegnersi, se la dignità dell'alimentarsi, del defecare, del sorridere a una persona cara dovesse spegnersi. Così usa nel mondo civilizzato.
 
Così usa il mondo civilizzato, scrive giustamente Augias. E allora ci torna alla memoria il discorso di Pericle agli ateniesi del 461 avanti Cristo, dal quale prese le mosse la democrazia. Ecco la sintesi che ne ha fatto Paolo Rossi nel suo spettacolo:
 
"Qui ad Atene noi facciamo così.
Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi per questo è detto democrazia. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ma in nessun caso si occupa delle pubbliche faccende per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e c'è stato insegnato a rispettare le leggi, anche quelle leggi non scritte la cui sanzione risiede soltanto nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso. La nostra città è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così."
 
Da parte nostra, nel rispetto della cultura di allora, possiamo aggiungere:
 
"Qui ad Atene noi facciamo così.
Ringraziamo gli Dei per i favori che ci accordano ma crediamo che spetti a noi mortali giudicare sulla dignità e sull’onore della nostra esistenza.”
 
Cordiali saluti
Giampietro Sestini


Prima breve replica di Aurigi:


Con Pericle (un tiranno) non cominciò la democrazia a Atene, ma finì.
Esattamente come con Lorenzo il Magnifico a Firenze: la democrazia finì e con essa, come ad Atene, finì il primato di Firenze e della Toscana nel mondo, com'è logico che sia ogniqualvolta la democrazia è in declino. Basta un'occhiata all'Italia di oggi: il declino è inarrestabile per colpa congiuntamente e solidalmente dei due poli (che stupidamente se ne rinfacciano reciprocamente la responsabilità), perché ambedue indaffarati a restringere gli spazi democratici del popolo "sovrano".
Mauro Aurigi


Ad Aurigi risponde Giuliano degli Antoni


>..Ne era motivo il fatto che Pericle, potente per dignità e senno, chiaramente incorruttibile al denaro, dominava il popolo senza limitarne la libertà, e non era da lui condotto più di quanto egli stesso non lo conducesse, poiché Pericle non parlava per lusingarlo, come avrebbe fatto se avesse ottenuto il potere con mezzi illeciti, ma lo contraddiceva anche sotto l'influsso dell'ira, avendo ottenuto il potere per suo merito personale. [...] Vi era così ad Atene una democrazia, ma di fatto un potere affidato al primo cittadino. (Tucidide, Storie, II, 65)
se Lei immagina la Democrazia Ateniese del V secolo a.e.v. simile o paragonabile alla democrazia moderna che noi nei paesi del primo mondo viviamo...beh, ne abbiamo da discutere!!
Anche Tucidide, che non era propriamente un appartenente al partito di Pericle  non manifesta alcuna considerazione negativa su di lui; d'altra parte uno che si sottopose per quindici volte al suffragio popolare di Atene e per quindici volte venne eletto "stratega" non mi pare risponda all'immagine che noi abbiamo dei tiranni: l'accusa che normalmente viene fatta a Pericle è quella di aver spinto molto verso l'emancipazione , anche culturale, del popolo offuscando così la sua immagine con l'accusa di "populismo" lanciatagli dagli ipercritici. d'altra parte quella che volgarmente si chiama "età di Pericle" comprese sotto la sua guida la spinta al miglioramento della flotta non solo militare, la pace di Callia con i Persiani e la conseguente delimitazione degli ambiti di influenza, le mura di collegamento del Pireo con Atene, il Partenone,l'impulso allo sviluppo dei commerci e dell'influenza economico-commerciale, il tempio dei misteri di Eleusi, e tantissime altre cose  non da ultimo il suo aderire alla politica di Temistocle, la sua frequentazione con Anassagora e tanti altri personaggi della cultura immortale, come Euripide. basta pensare che a detta di Cicerone  Pericle era criticato da quei politici che lo biasimavano per  spendere nel campo della cultura capitali che avrebbero dovuto essere investiti negli armamenti in previsione di eventuali guerre. a queste critiche Pericle rispondeva che se non altro gli investimenti nella cultura e nelle costruzioni, che sarebbero poi diventate immortali, rappresentavano possibilità di lavoro per gli ateniesi. ci sono voluti circa duemilatrecentocinquant'anni (fino al 1930 con il "trattato della moneta" di Keynes) per vedere un economista teorizzare queste idee.
In effetti dopo di lui la storia ateniese subì una precipitazione sino ad arrivare ai trenta tiranni imposti da Sparta dopo la sconfitta nella guerra del peloponneso e poi , verso il 340 ai Macedoni ed Alessandro. ma però è tutta la storia della grecia ad essere caratterizzata da costante instabilità e mutevolezza.
Tutte queste chiacchiere per arrivare a dire che non mi pare proprio di riscontrare quanto da lei detto nell'Unione. anzi: si trova nel comportamento del Governo una sensibilità nei confronti del sentimento democratico imparagonabile con quanto evidenziato dal precedente disastroso governo: un semplice esempio è l'impegno a far rivivere la "concertazione" indebitamente affossata dalle destre. se poi Lei si riferisce all'insieme di scandali che da più di anno ci perseguita, io vedo in quelli  più che la presenza dei "due poli"  da parte di tutta la cittadinanza una assolluta mancanza di cultura, di senso dello stato, di senso della moralità. sarebbe interessante discutere sulle cause di un simile "imbarbarimento civile": io modestamente le mie idee le ho, ma il discorso si farebbe un pò lunghetto.. per questo La saluto qui.
Cordialità giuliano


Risponde Marco Aurigi
Caro Giuliano, la sua lunga risposta mi ha lusingato: non pretendevo né mi aspettavo tanto. Ma devo dire che non mi ha convinto o non mi ha convinto fino in fondo. A prescindere dalle persone che le hanno pronunciate, queste tre frasi celebri sono di sinistra:
"Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini" (Rousseau)
"Non domandatevi cosa il governo possa fare per voi, ma domandatevi cosa voi potete fare per la nazione" (Kennedy)
"Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi" (Brecht).
D'altra parte questo ritratto di Pericle che lei fa:
"l'accusa che normalmente viene fatta a Pericle è quella di aver spinto molto verso l'emancipazione , anche culturale, del popolo offuscando così la sua immagine con l'accusa di "populismo" lanciatagli dagli ipercritici. d'altra parte quella che volgarmente si chiama "età di Pericle" comprese sotto la sua guida la spinta al miglioramento della flotta non solo militare, la pace di Callia con i Persiani e la conseguente delimitazione degli ambiti di influenza, le mura di collegamento del Pireo con Atene, il Partenone,l'impulso allo sviluppo dei commerci e dell'influenza economico-commerciale, il tempio dei misteri di Eleusi, e tantissime altre cose  non da ultimo il suo aderire alla politica di Temistocle, la sua frequentazione con Anassagora e tanti altri personaggi della cultura immortale, come Euripide ecc."
si attaglia perfettamente a qualsiasi tiranno moderno o contemporaneo (Napoleone, Stalin, Hitler, Mussolini). E' QUINDI UN RITRATTO DI DITTATORE-TIRANNO, OSSIA DI DESTRA.
Il fatto è che dei paesi più civili, ricchi e colti del mondo (Svizzera, Scandinavia, Olanda, Nuova Zelanda, Canadà e perfino gli USA ecc.) non si conosce il nome di un solo Pericle o Lorenzo il Magnifico locale, responsabile  di quella civiltà, ricchezza e cultura, mentre i nomi dei Pericle e Lorenzo il Magnifico dei paesi più incivili, poveri e incolti del mondo sono tutti senza eccezione ben noti a tutti.
Quello dell' "età di Pericle" che fece splendere Atene e quello dell' "età del Magnifico" che fece splendere Firenze, sono falsi storici tra i meglio conservati. Se i due "eroi" fossero nati a Timbuctù, pure esistente ai tempi di Atene e Firenze, di loro oggi non avremmo traccia alcuna, mentre le due città sarebbero state ugualmente splendenti e assai probabilmente per un periodo più lungo. In realtà i due rilucono oggi come allora di luce riflessa, quella della grande civiltà in cui ebbero la fortuna di nascere, frutto esclusivo della "democrazia" dell'epoca, che in ambedue casi era la più avanzata del mondo contemporaneo. Insomma ereditarono le due città più colte, ricche e potenti della loro epoca, e fecero il possibile, riuscendoci, affinché quello splendore fosse loro accreditato (autentiche mosche cocchiere!), assoldando e pagando profumatamente i migliori mercenari della cultura delle loro epoche rispettive. E noi oggi invertiamo il rapporto di causa-effetto: Pericle e Lorenzo (non meno di Aristotele e Machiavelli) furono due effetti, non la causa di quella civiltà. Diciamo pure che ambedue furono i becchini di quelle civiltà.
 
Capisco che concetti del genere, comuni nel mondo anglo-sassone, siano da noi piuttosto ostici da digerire. Questo Paese è fascista non dal 1924, ma dal '500 grazie alla Controriforma (ed all'avvento delle signorie rinascimentali e della dominazione spagnola che la Controriforma favorirono): il Ventennio fu solo il culmine di quel plurisecolare processo. 60 anni dopo è illusorio e infantile credere che quella lunga gestazione culturale non abbia lasciato segni: la nostra cultura è ancora fascista. E quando la cultura di una comunità è fascista, non si salvano dal fascismo le sue espressioni culturali più importanti (si salvano solo alcune ristrettissime frange minori, spesso perseguitate), per cui non si salva, per esempio, il PCI-PDS-DS (figurarsi gli altri). Fatto sta che, rinnegando Rousseau, Kennedy e Brecht, siamo ancora alla ricerca (ma ci può essere cosa più fascista?) dell'uomo della provvidenza, dell'unto del signore che ci tragga fuori dal pantano (che si chiami Prodi o D'Alema o Berlusconi o Bossi non fa differenza alcuna: sempre del salvator patriae si tratta). E più ci rinfidiamo in lui, ossia più concentriamo nelle sue mani il potere (altrimenti come potrebbe risolvere la crisi!) e più la crisi cresce, come è logico che sia sotto ogni forma di dittatura. E più la crisi cresce, più siamo disposti ad affidargli ulteriore potere. Una spirale senza fine, anzi con alla fine, stando ad analisti americani, un nuovo caso Argentina (temo che gli americani sbaglino per difetto: secondo me stiamo navigando a vele spiegate verso il Nord Africa).
 Mi scusi se ho usato più l'ascia del bisturi, ossia se non ricorro ai chiaro-scuri, che invece ci sono, ma lo faccio per essere certo di non essere frainteso.
E comunque grazie per l'attenzione riservatami
. Cordialità. Mauro Aurigi
PS n.1
Quando lei dice:
"io vedo ... da parte di tutta la cittadinanza una assoluta mancanza di cultura, di senso dello stato, di senso della moralità. sarebbe interessante discutere sulle cause di un simile "imbarbarimento civile" non solo ricalca il Rousseau, il Kennedy e Brecht, ma dice esattamente quello che dico io: si tratta del persistere di quella plurisecolare cultura fascista. La colpa e del popolo (della sua cultura) e non dei capi (tutti, sia quelli della cosiddetta destra che quelli della cosiddetta sinistra) che questo popolo esprime, che non possono non esserne li specchio.
PS n.2
Non mi passa neanche per la testa di paragonare le democrazie di Atene e Firenze alla nostra italiana. Tutto è relativo: quelle erano le massime del mondo di allora e, giustamente, produssero i due balzi culturali più importanti dell'intera storia dell'umanità. La nostra al confronto, sempre in termini temporalmente relativi, è una farsa: non solo non è la più avanzata del mondo contemporaneo, ma non è neanche una democrazia (sennò qualcuno dovrebbe meglio spiegarmi Berlusconi, Fini e Bossi "democraticamente" al governo). E gli effetti si vedono. MA


Ancora Degli Antoni:
Caro Mauro. mi permetta di chiamarLa "caro" se non altro perchè vivacizza con una conversazione colta ed interessante queste giornate di calura estiva e per più "tormentate dal tormentone" delle partite di calcio, veri circenses di questo oscuro periodo. potremmo io e Lei stare qui a farci pelo e contropelo per almeno un paio d'anni senza arrivare ad una conclusione comune. sono sempre più convinto, a leggerLa, che son più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono; quelle che ci dividono mi pare siano, però, di non secondaria importanza: il giudizio storico sulla "sinistra", prima di lotta, ora di governo. se Le dicessi che il comportamento sia privato che pubblico dei componenti della cosiddetta "sinistra" di oggi mi affascina e mi convince , direi una bugia; come LEi vedo in QUESTA sinistra una grossa componente di arrivismo, clientelarismo, e di tutti i maggiori difetti tipici dell'italico popolo; non posso dimenticare però che questo è solo un "momento" del percorso storico: la sinistra viene da lontano: dalle lotte bracciantili dei primi socialisti, dalle rpime camere del lavoro, dal popolo bombardato di bava-beccaris che obbediva agli ordini di quel bastardo del savoia il cui discendente dà prova di sè e di tutta la sua stirpe in questi giorni, dagli scioperi operai di Torino del 43, dalla sinistra tedesca per la quale fu inugurato il campo di Dachau nel febbraio 33, dalla lotta di Resistenza al nazifascismo; certo che dopo la "sinistra" ha dovuto beccarsi l'amnistia di togliattiana memoria la quale, impedendo la elaborazione storico/popolare del ventennio è stata la madre di tutti i neofascismi e populismi italiani: non da ultimo quello del dott. berlusconi. vede, è questa "memoria" che vedo assente nelle sue lettere:ed è questa assenza che mi spinge a sottolineare di più quella che chiamo afflizione. non ho il minimo dubbio che Lei sia una persona impegnata: la stessa Sua presenza qui ne fa testo! e soprattutto non avevo la minima intenzione di "accusarLa" di qualunquismo. se pensa di essere stato offeso, abbia la cortesia di scusarmi.
con sincera stima giuliano.
p.s. senza Stalin ( a Venezia lo chiamavamo "bepi dal giaso"=giuseppe dal ghiaccio) e i ventinove milioni di morti dell'Unione Sovietica oggi, domenica, io, Lei, i nostri figli e nipotini, se ne abbiamo, saremmo al Campo di Marte a marciare ai "paramilitari" in camicia nera.
Saluti g.


Aurigi:
- Bisnipote di un  prete spretato (nella profonda provincia di una Toscana ancora pigramente lorenese),
- nipote di un nonno operaio totalmente autodidatta (neanche un giorno di scuola, ma i compagni in fabbrica lo chiamavano avvocato perché sapeva leggere e scrivere) e co-fondatore della federazione socialista senese nel 1896,
- figlio di operai antifascisti perseguitati (uno zio assassinato durante i fatti della Camera del Lavoro di Siena nel 1924),
- perseguitato, nel mio piccolo, io stesso nonostante sia nato nel 1939 (escluso da Scelba dal corso allievi ufficiali di complemento per l'antifascismo dei genitori: scoprimmo allora che le prefetture avevano accuratamente conservato i fascicoli dei "sovversivi"),
- ho fatto il '68 da studente e il '69 da lavoratore,
- Iscritto al PCI dal 1968 al 1984 durante la segreteria di Enrico Berlinguer (ossia dallo strappo dall'URSS e dalla denuncia dell'invasione della Cecoslovacchia e della persecuzione dei dissidenti, fino alla sua morte) e quadro sindacale (ma lavoratore) della Cgil.
- uscito dal PCI e Cgil nel 1984 e presente da allora in tutte le istanze di iniziativa popolare extra e/o anti partitiche (da Italia Nostra a Survival, dai comitati spontanei alle liste civiche).
 
Caro Giuliano (certo che ci siamo "cari" reciprocamente: vorrei vedere!), questo per rispondere al suo << è questa "memoria" che vedo assente nelle sue lettere>>.
 
E' un secolo di storia e di esperienze di sinistra. E tollero male che mi si faccia la predica da pulpiti di "sinistra" (come quello di D'Alema, uno che non ha mai lavorato e letto e che deve la carica a un fatto dinastico: l'ho sentito l'anno scorso dire che aveva cominciato la lettura del Principe di Machiavelli e che ne era rimasto molto colpito!).
Voglio perciò rassicurarla che non rinnego e soprattutto non sottovaluto nulla di quella storia (dalle cannonote del Bava Beccaris alle lotte bracciantili), ma per quanti sforzi faccia non riesco a riconoscere nella sinistra di oggi (una sostanziale e robusta destra), la sinistra di allora. Quella di oggi è una chiesa con i suoi preti, vescovi, cardinali e papi (si è accorto che fino a Occhetto i suoi segretari restavano in carica fino alla morte come i papi?). Come nella chiesa ufficiale, come dice lei, si tratta di una casta tutta tesa a difendere i privilegi di casta, del suo potere temporale, e niente affatto interessata alle questioni ideali (e spessissimo morali), prima tra tutte quella per cui la sinistra è nata: portare il popolo a gestire se stesso.
 
Tutto sommato sono comunque anche io convinto che ciò che ci unisce sia assai più di ciò che ci divide. Ma ciò che ci divide - ha ancora ragione lei - non è cosa di poco conto.
 
Io sono arrivato alla conclusione che, a parte particolari ininfluenti, nulla distinguesse il nazismo tedesco dal comunismo sovietico (lo sa che ogni prezzo, salario, costo, ricavo nella Germania nazista era determinato dal partito?). Unica differenza: il primo si dichiarava anticomunista e il secondo antinazista. Anzi, un'altra differenza c'era: Hitler non aveva mai neanche pensato (e neanche lo Zar) di costruire ospedali e case e negozi ovviamente riforniti di tutto quello che mancava al popolo, ad uso esclusivo e privilegiato dei propri gerarchi (o della propria nobiltà), come invece fece Stalin per i suoi membri del Soviet supremo (sono testimone diretto dell'arrogante abbondanza nei negozi per membri del Soviet e della disperata penuria nei negozi del popolo e delle tristissime file per approvvigionarsi del poco che c'era).
 
Il detto che la storia non si faccia con i "se" e con i "ma" è un po' abusato. Ma devo dirle che senza Stalin (quello a cui dobbiamo, secondo lei, il fatto che oggi non si sia  tutti obbligati a marciare in camicia nera) o senza quella che è chiamata la rivoluzione d'ottobre (molto fascista e poco comunista e comunque nient'affatto marxista, e non solo negli esiti) i fascismi e i nazismi non avrebbero avuto la stessa virulenza e soprattutto ben difficilmente sarebbero arrivati al potere.
E comunque Stalin non fece quello che fece affinché io e i miei discenti non fossimo obbligati a marciare in Campo di Marte in camicia nera (ma a causa di Stalin e "compagni" abbiamo corso il rischio di dovervi marciare in camicia rossa e non vedo ancora una volta la differenza), ma assolutamente per motivi di pura potenza. Ha anche pesanti responsabilità: inizialmente andò molto d'accordo con il nazismo e, per aggirare il trattato di pace della prima guerra mondiale che impediva certe attività militari alla Germania, mise a disposizione dei militari tedeschi le sue accademie militari per la costituzione di quella che poi fu la Luftwaffe. L'episodio della spartizione della Polonia tra URSS e Germania è esemplare (onore a Terracini che unico tra i "grandi compagni" condannò il patto Hitler-Stalin e per questo fu espulso dal partito  mentre era al confino). Quando la Germania invase l'URSS il primo a restarci male fu proprio Stalin che tutto si sarebbe aspettato tranne che il tradimento dell' "amico". E comunque non fu Stalin a vincere quella guerra, ma il popolo russo, che si decise a farla sul serio solo quando Stalin abbandonò la strategia della "difesa del comunismo" e abbracciò (ma solo per opportunismo) quella della difesa della patria.
Devo anche dirle che non  me la sento più di attribuire le lotte bracciantili e quelle operaie alla "sinistra", ma, appunto ai braccianti e agli operai (quelle lotte c'erano state per secoli prima che la sinistra vedesse la luce). E comunque senza braccianti e operai il termine "sinistra" non avrebbe avuto alcun senso (come non ce l'ha più oggi, visto cos'è diventata la sinistra ufficiale). Lo stesso vale per la Resistenza, il cui merito va tutto ai partigiani, infima minoranza (forse 100.000, forse 200.000 anche se poi ufficialmente sono diventati due milioni) di questo fascistissimo Paese.
Il fatto di continuare a dare il merito di tutte queste lotte alla "sinistra", ossia a Gramsci, Togliatti e compagnia e alla loro ideologia, rischia di farci compiere un'operazione assai simile a quella della Chiesa, con i suoi santi, la sua storia, le sue incensate tradizioni e la sua liturgia (tradimento dei valori primordiali: ecclesia=assemblea del popolo e non di preti). Si ricorda lo slogan "Viva Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer!" urlato nei cortei? Che differenza c'è col grido "Viva Maria!" delle processioni cattoliche?
E comunque Stalin era un dittatore, e il suo regime una dittatura, ossia era di destra, quella più nera. Tutte le volte che sento dire dittatura di sinistra o terrorismo di sinistra trasecolo e mi domando come la nostra cultura possa essersi così degradata. Si tratta di ossimori perfetti: una ristrettissima minoranza (tale è una dittatura o un terrorismo) che vuole imporre con la violenza il proprio credo "religioso" alla stragrande maggioranza, ossia al popolo, (questo è esattamente quello che storicamente ha fatto santa romana chiesa) non può che essere di destra. Almeno tale appare a chi sa per quali motivi la sinistra è nata (non a Mosca, ma nell'Umanesimo dei liberi comuni italiani, nella riforma protestante e nell'Illuminismo europeo).
 
Mi accorgo di avere approfittato troppo della pazienza di tutti. Era almeno un decennio, ossia da quando mi sono convinto della sua totale inutilità, che non avevo un confronto dialettico di questo tipo con i compagni. Dovete comprendermi.
Scusatemi: non lo farò più.
Mauro


NB. A comodo vorrò dire anch'io la mia.

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