Trovato sul blog di Giuseppe Granieri
Malattia, sofferenza, accanimento terapeutico e dolce morte: non sono temi da fumetto popolare? Il numero 280 ha un titolo forte, «Mater Morbi», e una storia altrettanto forte per «l’indagatore dell’incubo», che stavolta si ritrova malato, poi molto malato, infine moribondo e al suo capezzale due medici, quello accanito che vuole mantenerlo in vita ad ogni costo e quello mosso a pietà, che vorrebbe «portare sollievo alla sofferenza».Il finale è fantasy ma il dibattito si riaccende, stavolta lontano dagli arroccamenti politici. Prima su il Fatto Quotidiano, poi ieri sul Secolo d’Italia, quotidiano vicino a Fini, e sull’Unità.
L'eutanasia di Dylan Dog
PRESA DI COSCIENZA - Il Fatto Quotidiano, L'Unità, Il Secolo d'Italia e venerdì Liberazione hanno indugiato in questi giorni sul canovaccio di Mater Morbi: malattia, terapie intensive, sofferenza, dilemmi etici della medicina. Del resto Recchioni, romano classe '74, ha scritto la sceneggiatura rifacendosi alla sua esperienza di malato che dalla nascita è costretto a un continuo andirivieni negli ospedali. Un percorso che lo ha condotto a una serena presa di coscienza: lui, che oltre a sceneggiare è anche disegnatore, si è ritratto in una vignetta in un letto di ospedale, mentre si domanda «Perché a me?», e una voce fuori campo gli risponde: «E perché non a te?». «Però non mi interessa 'vendere' la mia malattia», si schermisce il cartoonist, «ciò che conta è dire che il fumetto parla continuamente di cose serie, eppure non c'è attenzione per questo mezzo di comunicazione».
A pagina 97 Dylan scrive nel suo diario: «Cosa succede quando il male è una parte di noi? Ignorarlo o rifiutarlo è inutile o dannoso». Ma poche pagine prima Recchioni fa dire a Dylan: «Sono convinto che chiunque sia in possesso delle sue facoltà mentali debba essere anche padrone del proprio destino.. specie se quel destino è fatto di atroci sofferenze»
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