mercoledì 18 agosto 2010

Non era matto


La storia sono loro
L

«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interni (…). Gli universitari? Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì»



In infernum detrude



Noterella


Solo una formica in mezzo ai leoni della foresta; ma era così contento di essere parte del gioco!





Chi ha ucciso Aldo Moro?, studio commissionato dal parlamentare italiano Zamberletti (DC) e pubblicato a Roma nel 1978 1978, che ha fatto luce sull'affiliazione fra le Brigate Rosse e la loggia neofascista P2 e sul ruolo dei servizi segreti angloamericani nel Caso Moro.


Anatomia di un coup d´état: come le esercitazioni e le manovre del Pentagono sono divenute i canali chiave per gli attacchi segreti del governo l´11 settembre, capitolo del libro Zero (2007), a cura di Giulietto Chiesa.


La fabbrica del terrore. Origini e obiettivi dell'11 settembre (2007), edizione italiana di 9/11 Synthetic Terror: Made in USA (2005,quarta edizione, 2007), Presentazione di Thierry Meyssan).




domenica 15 agosto 2010

Il David di Michelangelo


la Repubblica Firenze
15 agosto 2010 pag. 1

Le opere d’arte hanno un’anima


La contesa sulla proprietà del David di Michelangelo si ripropone periodicamente a confermare la pochezza del livello culturale con cui si gestiscono le opere d’arte sia a livello cittadino che statale.
I capolavori d’arte sono usati come oggetti utili a far soldi per un turismo sempre più selvaggio che “consuma” opere di grande valore storico e morale con la stessa superficialità dell’“usa e getta” con cui si mangia il panino fast food. Sono i soldi che hanno il primato nelle politiche culturali, non la pregnanza del messaggio estetico attraverso il quale le opere artistiche trasmettono memoria storica, valori, visioni e senso della vita e della civitas. Non dico, moralisticamente, che i soldi e il richiamo del turismo siano da deprecare. Né rimpiango il tempo in cui la mobilità turistica e il godimento della produzione artistica era riserva a una ristretta elite. Il problema è che oggi la produzione di danaro è al primo posto. Le opere d’arte hanno un’anima, non sono solo mitiche forme estetiche da esporre in una città-museo svuotata di memoria viva e di funzioni vitali. Come s’intrecciano oggi l’arte e la vita?
Ad esempio il David, per tornare al capolavoro dell’artista fiorentino di cui ogni estate si discute la proprietà o la collocazione.
A Michelangelo l’opera fu commissionata nel 1501 dalla potente Arte della lana, in pieno regime di quella feroce restaurazione oligarchica che non piacque certo a Michelangelo. Egli era seguace del Savonarola, credeva nella rinnovazione della Chiesa, aveva a cuore la riforma popolare e la libertà della Repubblica. Michelangelo si piega e scolpisce il David, ma in maniera assolutamente inconsueta rispetto ai trionfalistici canoni iconografici. Egli imprime nell'opera la convinzione che la storia nella sua realtà più profonda è dei deboli. Recupera infatti il simbolo biblico del pastorello disarmato e disprezzato il quale sconfigge Golia, il guerriero apparentemente invincibile, rifiutando le armi del potere, usando invece gli strumenti consueti, umili e poveri, della propria cultura pastorale: la fionda e le pietre levigate del fiume. Il David è una specie di schiaffo al potere. E' una segreta rivincita dell'utopia sulla miseria del compromesso a cui ormai si era piegato. Il David con la sua fierezza gentile, con la sicurezza quasi noncurante con cui tiene la fionda e le pietre, con la sua nudità acerba priva dei simboli e delle maschere del potere è un messaggio troppo importante per essere trascurato.
Mi rendo conto che non è impresa facile dare il senso dell’anima profonda delle opere d’arte. Bisognerebbe incominciare dalla scuola dove l’insegnamento della storia e in particolare di quella dell’arte è per lo più priva di questo senso, le opere e gli eventi sono decontestualizzati e frantumati e soprattutto resi estranei e lontani dalla vita concreta dei giovani. Per finire alla città divenuta museo mitologico in cui si consuma sempre più il divorzio fra l’arte e la vita.
Qualche anno fa feci una misera proposta all’assessore fiorentino del tempo alla cultura: dotare alcune delle più importanti opere d’arte di una didascalia che contestualizzi ogni opera dando il senso profondo della sua anima in relazione ai bisogni attuali di un’etica della socialità, della giustizia, della pace.
Rinnovo oggi la proposta.

Enzo Mazzi


martedì 3 agosto 2010

Il depistaggio ha funzionato.

 
Il messaggio di Napolitano e quel primo depistaggio
Enzo Mazzi
 



La memoria delle stragi impegna tutti i magistrati e le istituzioni a far luce finalmente sulle trame e le complicità sottese: questa la sostanza del messaggio di Napolitano per l’anniversario della strage di Bologna.
Firenze è coinvolta in pieno in questa ricerca di luce, per la ferita profonda che si è aperta nella notte frail 26 il 27 maggio 1993 con la strage degli Uffizi, cinque morti, quarantuno feriti e lo sfregio del cuore culturale della capitale del Rinascimento.
I fiorentini, quantomeno le coscienze più sveglie, hanno saputo da sempre che altri hanno armato la mano mafiosa, per interessi politici molto legati alla politica attuale. Un medesimo perverso intreccio fra politica inquinata-neofascismo-servizi-Gladio-logge segrete-mafia unifica lo stragismo dell'ultimo quarto di secolo che parte da piazza Fontana e arriva agli Uffizi, alle stragi dei magistrati siciliani e alla politica oggi dominante. Il depistaggio ha funzionato. Anziché investigare sull'intreccio criminale si preferì depistare la forza repressiva dello Stato, distogliendola da quell'intreccio perverso e indirizzandola contro la gente che cercava pacificamente un cambiamento. “Niente cambiamento” ci ha detto una magistratura tutta dedita a perseguire, con i processi penali che a decine migliaia pioveranno sul movimento del '68-'69, gli stessi obiettivi che quell'intreccio criminale indicato sopra raggiungeva con le stragi: reprimere e bloccare la profonda trasformazione in senso sociale che si stava affermando in ogni settore della società.
Anche in questo preciso ambito Firenze ha  una memoria da spendere per cercare luce. Il processo all'Isolotto è emblematico di quest’uso depistante del potere repressivo dello stato e forse lo inaugura. La notte del 5 gennaio 1969, alle porte della chiesa dell'Isolotto, nella quale il giorno dopo dovrà esser celebrata la prima Messa dell'inviato del vescovo, dopo la mia remozione da parroco, viene affisso un volantino che porta una firma inedita e inquietante: "Le squadre d'azione fiorentine". "Italiani, fiorentini - è scritto nel volantino -un branco di teppisti, strumentalizzati da partiti antinazionali e da preti sovversivi, insidiano la religione, insultano cittadini, sviliscono le Autorità, offendono le Forze Armate, vogliono una polizia disarmata. In questa situazione, con i valorosi tutori dell'ordine pubblico, sempre più impotenti ad arginare il sovvertimento scatenato per la mancanza di un Potere centrale capace di precise disposizioni, NOI ...siamo pronti a tutte le iniziative necessarie...Siamo certi che tutti gli Italiani saranno con noi il giorno che, dietro la bandiera tricolore, marceremo alla riconquista dell'Italia". E così il giorno dopo, il 6 gennaio, una squadra di una trentina di neofascisti, armati di catene e bastoni, marcerà alla riconquista della chiesa dell'Isolotto, provocando le migliaia di persone riunite a pregare, imponendo loro di uscire, assicurando così la celebrazione della Messa da parte dell'inviato del vescovo e mettendo in moto la decisione della gente di non uscire dalla chiesa la domenica successiva, per non lasciarla in mano ai fascisti. Di fronte a tale inquietante emergere del neofascismo, che fa la magistratura fiorentina di quel tempo? Invece di incriminare, come avrebbe dovuto, i provocatori neofascisti e indagare sui loro propositi criminali e sulle trame e complicità con altri centri eversivi, incrimina mille pacifiche persone che in maniera assolutamente nonviolenta si oppongono alla "riconquista dell'Italia" e della loro chiesa. Il procuratore che guida l’indagine è Pierluigi Vigna, dal quale oggi che egli è profondamente cambiato, ci si aspetterebbe una qualche rivelazione su quanto successe a Firenze nel gennaio 1969, quali trame e complicità sottese si intrecciarono, quali pressioni furono messe in atto. Lo chiede Napoletano, lo chiede implicitamente l’impegno coerente di alcuni magistrati che oggi ricoprono alti incarichi istituzionali e che fin dai tempi caldi si sono opposti apertamente alla politica repressiva e depistante dei Vigna e dei Calamari allora Procuratore generale a Firenze.
La ricerca della verità è primaria perché i misteri sono ancora lì con tutta la loro carica distruttiva e impediscono che dopo ogni “fine” si possa sempre ricominciare, come ci dice la piccola Nadia nella sua struggente poesia scritta la sera prima della bomba che l’uccise in via dei Georgofili.


Da la Repubblica – Firenze martedì 3 agosto 2010 pag. 1

lunedì 2 agosto 2010

Caimano, siamo pronti a fermarti


Bindi: «Caimano, siamo pronti a fermarti»


di Giovanni Maria Bellututti gli articoli dell'autore


«Noi siamo pronti», dice Rosy Bindi, presidente del Partito democratico. Pronti alle elezioni, intende, o anche pronti a contribuire a un governo “di transizione” o meglio “di salute pubblica”. Lo dice prima di tutto ai militanti e agli elettori, ma lo dice anche ai commentatori politici che (ieri, sul <CF161>Corriere</CF>, Angelo Panebianco) vedono nella fine del Pdl la parallela fine delle ragioni del Pd: «Non siamo nati perché esisteva Berlusconi e non moriremo con lui. Non siamo nati su un predellino ma stiamo lavorando ormai da quindici anni su questo progetto le cui prime tracce si trovano nello spirito dei costituenti», dice Rosy Bindi.

Il richiamo alle radici non è retorico. Se, infatti, il tonfo del progetto berlusconiano provoca un certo comprensibile “godimento”, il timore che il Caimano ferito sia tentato di dare qualche micidiale colpo di coda alla nostra democrazia è alto. Ed è altissima la posta in gioco. Quel «siamo pronti», dunque, è anche un messaggio al presidente del Consiglio: «Berlusconi deve sapere che siamo pronti, in Parlamento, a isolarlo nella sua irresponsabilità. E, nell’elettorato, a sconfiggere la sua temerarietà».

Insomma, diamo per scontato che anche questa legislatura finirà in anticipo…
«Mi sembra molto improbabile che si arrivi alla scadenza naturale. Non dico che sia impossibile, ma occorrerebbe proprio quella capacità di guida politica che Berlusconi ha dimostrato di non possedere. Dovrebbe di colpo cambiare metodo: capire che non si governa a palazzo Grazioli, ma nel rapporto col Parlamento, con l’opposizione, con le parti sociali… Ma, a giudicare dalle ultime mosse, in testa la cacciata di Fini, il premier mi sembra molto poco lucido…».

E anche molto tentato dalle elezioni anticipate.
«Sì. Ma non è a lui che spetta il compito di sciogliere le Camere. E non credo che Fini e i suoi mentano quando dicono di non volere le elezioni e di essere intenzionati a sostenere il governo. Certo, per il premier sarà dura, ed è anche da questo che nasce il godimento. Se ripenso alla sicurezza che ostentava, al suo non venire mai in aula, a quell’arroganza… mentre ora lo vedo ora andare alla ricerca di voti…».

Ragioniamo sui due aspetti del suo «siamo pronti». A partire dall'ipotesi estrema delle elezioni a novembre. Il Pd è davvero “pronto”? Immagini di spiegarlo a un militante o a un elettore.
«Al militante o all'elettore dico che il Partito democratico ha un suo candidato che è il segretario Bersani, un leader che ha già come suo profilo dominante quello dell'uomo di governo. Se poi si andasse a individuare un candidato di coalizione ci sarebbero le primarie, un grande strumento che ci ha portato bene… Non dimentichiamoci che Berlusconi l’abbiamo già battuto due volte».

Le faccio due nomi che circolano, Vendola o Draghi?
«Vendola dovrà fare le primarie. E Draghi potrà essere uno dei nomi scelti dal presidente della Repubblica».

Altro scenario, più probabile: caduta “a medio termine” di Berlusconi…
«Penso che il capo dello Stato prima verificherà se la maggioranza uscita dalla urne può esprimere un governo. Ma qua si ripropone il problema della capacità di Berlusconi di fare politica e ribadisco il mio pessimismo sulla possibilità di un cambiamento così radicale…».

Governo di “salute pubblica” dunque…
«Sì, ma deve essere chiarissimo un punto. E lo dico a chi, con un riflesso automatico, appena si prospetta un’ eventualità del genere comincia a parlare di “inciuci”. L'obiettivo è l'alternativa, cioè chiudere definitivamente col berlusconismo. L’obiettivo è chiudere con questa cosiddetta Seconda Repubblica che, secondo me, non è altro che il proseguimento malato della Prima. Stiamo attraversando contemporaneamente una crisi di sistema e una crisi politica e sociale senza precedenti, non paragonabile con quella degli anni Novanta. Il caso Fiat sta dimostrando che la crisi porta via anche le sicurezze sociali. In più abbiamo una legge elettorale disastrosa che ha costretto prima noi, poi il centrodestra, ad alleanze disomogenee… È in questo quadro che vedo un governo dove le forze politiche che ci stanno, senza confusioni, senza annullare il passato né pregiudicare il futuro, si assumano un supplemento di responsabilità condivisa».

Ma quale legge elettorale? Anche nel Pd esistono molte visioni.
«Abbiamo già una nostra proposta e, lo dico da presidente, ci siamo espressi nell’assemblea nazionale. Bisogna approfondirla e giungere a una mediazione accettabile. Ma la sintesi è chiara ed è quella che ha illustrato Bersani. Ci vuole una legge che - in una sintesi equilibrata tra il sistema maggioritario e quello proporzionale - consenta agli elettori di scegliere chi va in Parlamento e qual è la coalizione che deve governare. Dire che questo bipolarismo è malato non significa voler tornare al parlamentarismo delle mani libere, ma arrivare un bipolarismo maturo, europeo. Anche i più critici verso il bipolarismo, Casini compreso, sanno bene che il centro o è uno dei poli, oppure si deve alleare con uno dei due poli. Non dimentichiamo che è nella nostra storia Roberto Ruffilli il quale, prima di essere assassinato dalla Brigate rosse, lavorava proprio a una riforma elettorale che aveva alla sua base l’idea di fare di ogni cittadino l’arbitro della scelta della maggioranza di governo».

A proposito di centro, quanto ritiene alto il rischio che la nuova fase politica spinga in quell'area i moderati del Partito democratico?
«Penso che in un momento come questo il Pd debba dedicare le sue energie per rafforzare la sua unità e dare voce a tutti, far sentire tutti a casa propria. A maggior ragione se in una fase di emergenza si va verso alleanze molto larghe. Perché ci si può stare a testa alta anche con alleati “innaturali”, ma a condizione che non ci siano fianchi scoperti. A chi avesse la tentazione di andare via dico che si può lavorare a un progetto politico in modo non subalterno se si sta dentro un grande partito. D’altra parte non mi pare che chi si è allontanato abbia ottenuto grandi risultati».

Parlava di “alleati innaturali”. Intende dire che così come può nascere un governo di salute pubblica, potrebbe nascere addirittura una “coalizione di salute pubblica”?
«Non lo escluderei affatto. È un’ipotesi della quale, al di là delle definizioni, hanno parlato Bersani, Di Pietro e Casini. Certo, dovremmo spiegarlo molto bene agli elettori. Dovremmo chiarire che ci sono forze politiche molto diverse tra loro che non intendono far passare un programma eversivo quale sarebbe quello che Berlusconi, non avendo nient’altro, porterebbe in campagna elettorale. Perché, se guardiamo ai risultati di questi due anni, vediamo un bilancio disastroso, un paese allo stremo. Non ho lanciato la proposta di una commissione d’inchiesta sulla P3 per divertimento ma per arrivare a capire quanto è ramificato l’uso scorretto del potere».

A proposito di “alleati innaturali”. Ritiene che la Lega, che ora tiene in ostaggio Berlusconi, potrebbe rientrare nella categoria?
«Se Berlusconi va a votare, il primo alleato sarà la Lega che non farà fatica ad assecondare le sue pulsioni eversive. In un’eventuale fase transitoria potrebbe essere l’interlocutore per una riforma sul federalismo fiscale solidale e davvero condivisa».



L'Unità - 01 agosto 2010