UNA “HISTORIA FIORENTINA”
Simone di Piero della ricca e influente famiglia Vespucci, visse e operò a Firenze nel 14° secolo. Tra il 1382 e il 1388 fondò l’ospedale di Santa Maria dell’Umiltà, corrispondente all’odierno San Giovanni di Dio in Borgo Ognissanti. Prima di morire, nell’anno 1400 lo donò alla Compagnia di Santa Maria del Bigallo, che già si occupava di altri luoghi di cura. Simone era avvezzo agli affari e ben sapeva come va il mondo, perciò articolò la sua donazione in precisi dettati e clausole: i beni mobili e immobili da lui lasciati alla Compagnia si dovevano destinare unicamente “…all’ospitalità e al servizio uso e vantaggio, utilità accoglienza sostentamento dei poveri e degli infermi e delle persone miserabili per il tempo che verrà” [sott. nostra] ad esclusione di ogni altro “uso e servizio”.
Nei secoli successivi la volontà di Simone è sempre stata rispettata dalla Compagnia del Bigallo e dagli altri gestori di quel bene che la saggia previdenza del donatore aveva destinato al miglioramento della vita nella città al tempo suo e “per il tempo che verrà”.
E’ venuto un tempo, il presente, in cui previdenza e civica saggezza sono virtù generalmente poco praticate. Né si distingue dall’andazzo l’attuale gestore dello storico ospedale di Borgo Ognissanti, l’ASL fiorentina, che infatti progetta di continuare le insensatezze della sua finanza creativa (e probabilmente di sanarne le voragini di bilancio) con un piano di vendite che include pure quegli edifici.
Si dà il caso però che Simone abbia tuttora in Firenze delle degne eredi. Tre di queste, appresi gli sciagurati progetti, per quel che le riguarda, hanno rinverdito la civile cura dell’antenato per il bene collettivo, che evidentemente sentono come propria. Consultati gli opportuni documenti, hanno incaricato un avvocato di produrre una Osservazione all’adottando Piano Strutturale della città con cui si avvisano Comune e ASL che non è possibile fare ciò che si vuole dell’ospedale in questione alterando le volontà del donatore chiaramente espresse e vincolanti. Di fatto hanno preannunciato una diffida alle due amministrazioni verso qualsiasi disegno speculativo che volessero attuare sugli edifici che Simone ha voluto pubblici anche “per il tempo che verrà”.
Il comitato “San Salvi chi può” pratica altre e differenti forme di conflittualità nella difesa dei beni pubblici, in particolare dell’ex ospedale psichiatrico da cui prende il nome, in consonanza con quanti lottano contro l’esproprio dei beni comuni cittadini e metropolitani da parte di avidi e potenti interessi privati, molto ascoltati dalle Amministrazioni locali. Da questo punto di vista e di azione, ritiene originale e certamente incardinata nel ricchissimo contesto storico e culturale toscano, la difesa di un bene pubblico attraverso l’uso di un testamento risalente al 1400.
Ritiene inoltre, che quelle lontane parole dell’estensore suonino di attualissimo rimprovero politico a quanti – pubblici amministratori o politici di professione – solerti al “decoro” dei territori loro affidati, nella sostanza servono i poteri forti e le loro logiche di profitto, nell’ostentato disinteresse e perfino nell’ostilità verso i “poveri”, gli “infermi” e “le persone miserabili” del nostro tempo, che si risolve in disinteresse e danno per lo svolgersi di una civile e umana vita di tutti.
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