L'Egitto vittima delle parole
È vero invece, con ogni probabilità, che l’Islam politico sia definitivamente morto e che la sola e unica grande incognita che adombra l’avvenire dell’Egitto sia il posto che i militari assumeranno nella futura configurazione del paese. Disponendo di enormi ricchezze – il 35% del patrimonio nazionale – è evidente che cercheranno di conservare i loro privilegi. Ma come non mi stancherò di ricordare: ora il nuovo protagonista della storia egiziana è il popolo. E che in Occidente lo si creda o meno – o meglio, che all’Occidente piaccia o non piaccia crederlo – questo popolo non tornerà indietro. La sua non è stata solo una metamorfosi politica o sociale, storica o culturale: la sua è stata una metamorfosi antropologica. E quando un popolo conosce una simile metamorfosi un ritorno al passato – alla solita congettura l’Egitto è tornato a un regime militare, la giunta ha strumentalizzato la piazza per riprendere il potere, il popolo egiziano non è pronto per la democrazia – è quanto di più inverosimile si possa prospettare. Certo, la rivoluzione è un cammino irto di ostacoli, lungo, doloroso, spesso violento, pieno di ricadute e contraccolpi. È anche un cammino in cui la forza del revanscismo e l’ostinazione dei nostalgici producono quel persistente stato di instabilità che contraddistingue tutte le democrazie ai primi passi. Ed è anche un cammino in cui l’informazione internazionale congiura, con strano e compiaciuto accanimento, affinché alla volontà del popolo, alle sue rivendicazioni, al suo coraggio, alla nobiltà dei suoi propositi, ai suoi sogni, alla sua dignità, alla sua cultura e alla sua identità, siano anteposte le formulette generiche che ne qualificano i limiti e i difetti, e contrapposte le certezze della presunta oggettività. Ed è soprattutto un cammino in cui le parole, i nomi delle cose, la loro complessità, saranno sempre insidiati dalla violenza del preconcetto e dalla voluttà di declinarle all’europea o all’occidentale, come se Mussolini, Hitler, Franco, Stalin, Salazar e Tito fossero perle di una collana dimenticata, l’imperialismo la forma ante litteram dell’esportazione della democrazia e Nagasaki e Hiroshima due petardi sparati a una fiera di paese. Ma malgrado tutto questo cammino è segnato, e prima o poi si avrà l’umiltà di riconoscergli quel che rappresenta di prezioso per la storia. Una pagina come quella che è stata aperta il 25 gennaio 2011, e che al suo secondo capitolo segna la data del 30 giugno 2013, non potrà essere strappata nemmeno se l’amministrazione americana decidesse di scoprire finalmente le carte e, invece dei solerti corrispondenti della Cnn, mandasse al Cairo l’intero Pentagono.
(Marco Alloni)
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