Marino Biondi (Università di Firenze)
Domenica mattina 25 agosto, alla casa-castello di Cristoforo Landino, come tutte le domeniche estive, incontro culturale a cura dell'Accademia Casentinese, programmata dall'amico Massimo Canuti, grande medico ortopedico in pensione dal lavoro ma non dall'impegno civile e culturale. Dopo i miei tre incontri al Circolo le Stanze di Poppi non potevo mancare, insieme agli amici Franco e Gabriella, per sentire parlare ancora una volta di Dante. Ed ho condiviso la sostanza della riflessione del prof. Biondi che riassumo stenograficamente: Dante sconfitto, umiliato e offeso, esaurite le armi della lotta armata e disarmata per rientrare in Firenze e proseguire il suo cursus honorum, interrotto dall'esilio senza colpa, cerca il riscatto umano ma anche politico costruendosi una nuova personalità, quella dell'uomo profeta, della testimonianza altera e solitaria, affidata al suo "genio" costituito da una padronanza linguistica fuori del comune, da una presa di coscienza morale, da una taratura di maturità umana affinate da una serie di vicende personali, sociali e politiche vissute in un momento storico eccezionale per Firenze e le città d'Italia. Dante si butta nella sua attività che lo fa per lunghi anni "macro" con lo scopo dichiarato di riprendersi il ruolo perduto per la via dell'impegno politico attraverso la via dell'affermazione culturale di prestigio: insomma aspettava l'assegnazione del premio Nobel di lingua e letteratura italiana con la consequente incoronazione nel suo bel S.Giovanni. E l'avrebbe, secondo me, sicuramente ottenuta se fosse vissuto ancora una diecina di anni.
Mentre Marino Biondi parlava mi sono venute in mente la lettera ai duchi di Romena (1) per la sua forzata assenza alle esequie del Conte Alessandro, il passo del Convivio dove confessa l'umiliazione della povertà (2), i versi dedicati a Pier delle Vigne che passò l'ultima parte della sua esistenza "mendicando la vita a frusto a frusto", e il grande Provenzan Salvani che "si ridusse a tremar per ogni vena" e Ulisse che riparte perché sa di dover seguir virtute e conoscenza, e la vista dal cielo delle stelle fisse dell'aiuola che ci fa tanto feroci, dove gli uomini si distraggono "che dietro ad iura e che ad anforismi, chi seguendo sacerdozio, e chi regnar per forza o per sofismi, e chi rubare e che si dà all'ozio, "mentre io - conclude - da tutte queste cose sciolto, con Beatrice m'era suso in cielo cotanto gloriosamente accolto". Ma pensava anche al cielo dipinto nel soffitto del suo bel S.Giovanni. Sì, se fosse vissuto ancora 10 anni sarebbe ritornato a Firenze ricongiungendosi a Gemma che lì lo ha aspettato per i seguenti anni 30 e 40, intenta a salvare i custodire i beni e le proprietà a lei appartenenti in quanto Donati. Dante muore esule non meritato, profugo politico, estracomunitario: per questo gli uomini dei 5 continenti lo sentono fratello, per questo va e andrà sempre di moda.
(1) lettera ai duchi di Romena (1304)
Oltre a ciò come vostro mi scuso di fronte alla vostra discrezione dell'assenza alle lacrimose esequie, poiché né negligenza né ingratitudine mi hanno trattenuto, ma l'improvvisa povertà che l'esilio ha determinato.
Questa infatti, persecutrice crudele, mi ha ormai cacciato nell'antro della sua prigionia, privato d'armi e cavalli, e pur sforzandomi io di levarmi con ogni forza, fin qui prevalendo, cerca, l'empia, di tenermi.
(2) Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza
governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento
secco che vapora la dolorosa povertade; e sono
apparito alli occhi di tanti in modo molto diverso
da come forse per alcuna fama m’aveano imaginato:
nel conspetto de’ quali posso aver perduto stima e
considerazione come persona, in modo che ne
potrebbe risentire il giudizio anche riguardo ad
ogni mia opera, sì già fatta come quella che fosse a
fare.
(Convivio I - 3° cap.)
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