Dopo una lunga apnea da computer, anzi, ordenador, mi ripresento.
Savàh hel hir
Buon giorno da Barbabianca
La Medina di Fes
19 maggio – visita alla medina di Fes – accompagnati dalla guida locale, un trentacinquenne sorridente e ben pasciuto, smaliziato la sua parte. Ci fa vedere la porta centrale del Palazzo reale e poi ci accompagna per le stradine della Medina, mettendoci alle costole, in funzione di angelo custode anti smarrimenti Alì, una faccia da povero cristo, brutto come la fame e buono come il pane (unico desiderio confessato alla Paola: trovare una ragazza che ci stia, ma tutte gli dicono di no). E’ lui che ci procura un ciuffetto di menta al momento di entrare nella zona delle concerie, per resistere al puzzo. Se qualcuno si perde deve rimanere fermo dov’è: le guide sapranno ritrovarlo. ( Capisco perché la Casba di Algeri durante la omonima battaglia di Pontecorvo era sicuro rifugio dei guerriglieri; impenetrabile ai francesi). A proposito, il Marocco parla francese: soddisfazione per Paola che lo parla perfettamente. E per Barbabianca che contro Bush tifa Chirac per far rima con Iraq. Le due ore passate nella Medina rappresentano la quintessenza del nostro viaggio in Marocco: una sintesi concentrata e conclusiva, un flash da elettrochoc che ti fa intravedere verità sommerse, storie antiche e finora nascoste, emozioni in presa diretta; rapporto carnale con l’intimità di un popolo intero: la conoscenza in senso biblico. Ti passano davanti il cortile luminoso della “più antica Università del mondo” (al tempo di Timbuctù, prima di Oxford e Salamanca), la tienda o il suq (mercato) degli artigiani del metallo – secoli di manualità di battitura e incisione – il suq dei tappeti con due soste distinte, una specifica per i tappeti berberi – e poi la ceramica e infine le stoffe: qui Simone compra il caftan, il grande mantello a cappuccio,poi le babbucce a punta e se ne va così in giro per l’intera giornata. Però, questi giovani! Il giro finisce con la visita alle conce. Da lì al pulman un km di stradine, vicoli, sottopassi, gallerie, odore di terra e polvere, travi di legno del tempo di Timbuctù, seguiti e perseguiti da venditori mendicanti- bambini, giovani,e anche qualche adulto - che ti tengono incollato per interminabili minuti e cercano il tuo sguardo per stabilire il contatto e conquistare 1 euro. Due occhi che ti guardano, senza odio né rancore, durante il tuo interminabile rifiuto; occhi di sconfitti e perdenti della vita alla quale non si rassegnano a rinunciare; la forza dell’istinto di sopravvivenza di madre Natura: a qualsiasi costo. Per Barbabianca è stato il trauma negativo del viaggio; cacciato dalla mente come un incubo notturno, non confessato a nessuno, neppure a Paola che lo viene a sapere con la lettura di questo post. Il rovescio della medaglia nei bassofondi di Casablanca, pochi giorni prima, qualche km di distanza: uomini come questi hanno smesso di chiedere, hanno sostituito il ciondolo di metallo, la collanina di ambra, con il corpetto esplosivo e si sono abbracciati a te, per portarti via con sè in un giardino da re, dove scorre il latte e il miele, le ragazze ti sorridono e i turisti sono loro, finalmente: sorridenti, ben pasciuti, senza pensieri.
La sera dello stesso giorno, ai bordi della Medina, cena al ristorante Al Fassia; un grande patio sotto il cielo, arcate e pareti rivestite di azulejos, le piastrelle azzurre, l’incanto delle sere estive, l’aria fresca, camerieri sorridenti, non servili; diciamo professionali.
Ricordo del menù gli spiedini di agnello, il Kebab; una carne di pollo ruspante simile alla scottiglia che una vita fa ho assaporato alla Buca di Stia (oggi non esiste più, intendo La Buca). E poi un dolce, misto di salato: un sapore nuovo, originale, buono. Tutto questo mentre “l’orchestra andalusa” ci regala un sottofondo acustico, armonico e non assordante: violino, mandola, cembalo, tamburo. Le facce e le mani dei suonatori richiamano il trincetto del calzolaio, il martello dello stagnino, la ruota del vasaio, la sella del somaro.
E poi il prestigiatore che mangia il fuoco, l’equilibrista che sulla testa porta tutti i pesi che per secoli, per finire con le ballerine: la prima fa la danza del ventre e mangia pure il fuoco, la seconda è una danseuse populaire: semplici, con la bella vita quasi panciuta, le gambe piuttosto tozze. tanti fratellini da aiutare.
Tra i turisti c’è un gigante americano – body building – in calzoni corti e maglietta da sollevatore pesi: l’equilibrista se lo prende con sé e si diverte, ci diverte col confronto.
Le ballerine richiamano dietro le quinte quattro o cinque delle donne ai tavoli e ce le riportano dopo quasi una mezzora vestite e inghirlandate per una festa simulata di fidanzamento o matrimonio.
Una serata magnifica.
La Medina di Fes: inferno, purgatorio, paradiso.
Prendere appunto: da non mancare.
Nessun commento:
Posta un commento