venerdì 13 giugno 2003

Lo spirito dell'Islam



Lo spirito dell'Islam


22 Maggio Da Marrakech a Rabat, via Casablanca. L’Agenzia tiene evidentemente conto degli attentati suicidi di una settimana fa e ci evita la sosta notturna a Casablanca, milioni di abitanti, concentrazione di modernità e sottosviluppo, brodo di cultura dei dannati della terra. Durante la sosta per il pranzo e le esigenze idrauliche, con Paola ho modo di mettere i piedi nell’acqua dell’oceano, dopo aver camminato a lungo sulla spiaggia libera, ampia, bella e sudicia la sua parte. Per arrivarci abbiamo dovuto deviare due volte, respinti dai guardiani posti a custodia degli spazi occupati in via permanente dai grandi alberghi prospicienti il litorale, tutti attrezzati con piscine di acqua marina, costruite per il conforto di turisti che non intendono inoltrarsi piu‘ di tanto nei bassifondi prospicienti o affrontare le onde lunghe con le frequenti mareggiate: mare virtuale. Viva Stintino, viva il golfo di Baratti. Sulla spiaggia libera tanti giovani che giocano a calcio. Assenza delle ragazze. Sulla via del ritorno un delizioso, come sempre, thè alla menta in un piccolo accogliente bar popolare dove avventori indigeni giocano a dama. Di nuovo in pulman: ecco la zona residenziale, ville nel verde, con piscine, consolati. banche, agenzie di rappresentanza…Costeggiamo i bastioni possenti, cinquecenteschi, color mattone, della vecchia Medina di cui immaginiamo le viuzze strette e tortuose descritte nelle guide, finchè arriviamo là, sulla baia, fuori città e la vediamo, la Grande Moschea (1993), dono di Hassan II, architetto francese, minareto alto 216 metri, raggio laser – la notte – in direzione della Mecca, 90 mila m. quadrati. Miraggio di fronte al deserto del paradiso mussulmano. Noi infedeli la possiamo ammirare solo da fuori. L’interno lo vediamo nelle illustrazioni. Il buon Hasam commenterà poi sul pulman: tanto sperpero è contrario allo spirito dell’Islam, ma dobbiamo riconoscere che è una grande opera d’arte. Rispondiamo, tutti d’accordo, „guacà“, rendendo omaggio soprattutto alla prima parte della sua riflessione. E via verso Rabat, la capitale amministrativa del Regno. La strada segue per un po‘ la costa e poi si inoltra tra campi coltivati, impianti di irrigazione, boschi di eucaliptus, oliveti, campi mietuti di cereali, lunghe distese di fragole, piante di patate, di pomodori e via cosi‘: è una vista che rallegra il cuore. Sosta idraulica a Larache, antica ma recente piazzaforte militare francese ( ricordo i marocchini de La Noia di Moravia e la versione filmica con Sofia Loren) dove Paola trova il modo di chiacchierare, in francese, con una vecchietta che torna dal mercato e che a un certo punto si mette a cantare una canzone. Regalo del viaggio, non previsto dalle agenzie turistiche. Ed eccola, Rabat: le grandi mura della città vecchia le hanno costruite gli Almohadi nel lontano 1197. Tra il 1609 e il 1610 i profughi andalusi musulmani, cacciati dalla Spagna da Filippo III, arrivarono a Rabat e si insediarono sull’altra sponda del fiume Bou Regreb, costruendo una ulteriore lunga muraglia fortificata e rafforzata da torri e bastioni, ricongiungendosi alla Medina dal lato sud: sono le mura degli andalusi. Dalla terrazza del nostro albergo si gode la vista di tutto questo. Uno spettacolo: il fiume, le due città, col tramonto sulla foce verso l’oceano e le prime luci della sera. Davvero un incanto. Dalla finestra della nostra camera, anzi, proprio sotto, ci sono le fermate-capolinea dei bus cittadini con tutto il movimento della gente che va e viene per le faccende quotidiane. Vita vissuta, vita vera. Ma altrettanto vero è il contrasto tra noi turisti occidentali serviti e riveriti, ben alloggiati sotte le 4 stelle, e la gente, povera e dignitosa, che ti scorre di fianco. Il fast food turistico di Rabat, il giorno dopo: Primo - visita guidata al palazzo del giovane re, 39 anni, moglie di Fes, primogenito nato da pochi giorni. La residenza, racchiusa tra mura e cancelli, è accessibile ai turisti che si fermano pero‘ davanti ai portoni della residenza vera e propria. Qui dentro, ci spiega la guida locale, monarchica convinta, risiede un intero paese, composto dalle 500 famiglie che accudiscono il palazzo reale. Secondo – visita al mausoleo di Mohammed V, padre dell’indipendenza dai francesi, sepolto sopra la collina adiacente al nostro albergo, sulle rive del fiume, panoramica sulla grande terrazza, splendida nel tramonto, punteggiata dalle colonne di una antica moschea mai finita, e coronata dalla torre trigemina della Giralda di Siviglia e della Koutoubia di Marrakech, troncata a mezzo dal terremoto cosiddetto di Lisbona del 1750. Bella questa mescolanza di storia e geografia: le colonne a cielo aperto mi richiamano il foro romano, Orazio che passeggia sulla Via Sacra al momento dello struscio, preda dell’importuno attaccabottoni che non lo vuol mollare…qui invece gli andalusi in fuga dai cattivi, ma davvero, cristiani di Siviglia, accolti come fratelli e tutta l’acqua che è passata sotto i ponti del Tevere e del Bou Regreb. Historia magistra vitae. Tangeri – siamo alla fine – non è da meno quanto a vicende e vicissitudini umane.

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