La Umana Commedia VI
La mancanza di rispetto non è nel giocare o nel fare sport. E' in tutto ciò che sta attorno, di corrotto e falso, è nella incapacità di mettere le cose nella giusta prospettiva e di ricordare che la scala dei valori non è la classifica della seria A. Ma di fronte a chi vuole imporci il lutto, anche il gioco è resistenza. Giocare, giocare, giocare.
Vittorio Zucconi su Repubblica
...
Pampinea, fatta reina, comandò che ogni uom tacesse... e disse:
- Acciò che io prima essemplo dea a tutte voi, per lo quale, di bene in meglio procedendo, la nostra compagnia con ordine e con piacere e senza alcuna vergogna viva e duri quanto a grado ne fia, io primieramente costituisco Parmeno, famigliar di Dioneo, mio siniscalco, e a lui la cura e la sollecitudine di tutta la nostra famiglia commetto e ciò che al servigio della sala appartiene. Sirisco, famigliar di Panfilo, voglio che di noi sia spenditore e tesoriere e di Parmeno seguiti i comandamenti. Tindaro al servigio di Filostrato e degli altri due attenda nelle camere loro, qualora gli altri, intorno a' loro ufici impediti, attendere non vi potessero. Misia mia fante, e Licisca, di Filomena, nella cucina saranno continue e quelle vivande diligentemente apparecchieranno che per Parmeno loro saranno imposte. Chimera, di Lauretta, e Stratilia, di Fiammetta, al governo delle camere delle donne intente vogliamo che stieno e alla nettezza de' luoghi dove staremo; e ciascuno generalmente, per quanto egli avrà cara la nostra grazia, vogliamo e comandiamo che si guardi, dove che egli vada, onde che egli torni, che egli oda o vegga, niuna novella, altro che lieta, ci rechi di fuori.
E questi ordini sommariamente dati, li quali da tutti commendati furono, lieta drizzata in piè disse:
- Qui sono giardini, qui sono pratelli, qui altri luoghi dilettevoli assai, per li quali ciascuno a suo piacer sollazzando si vada, e come terza suona, ciascun qui sia, acciò che per lo fresco si mangi.
Licenziata adunque dalla nuova reina la lieta brigata, li giovani insieme colle belle donne, ragionando dilettevoli cose, con lento passo si misono per uno giardino, belle ghirlande di varie frondi faccendosi e amorosamente cantando.
E poi che in quello tanto fur dimorati quanto di spazio dalla reina avuto aveano, a casa tornati, trovarono Parmeno studiosamente aver dato principio al suo uficio, per ciò che, entrati in sala terrena, quivi le tavole messe videro con tovaglie bianchissime e con bicchieri che d'ariento parevano, e ogni cosa di fiori di ginestra coperta; per che, data l'acqua alle mani, come piacque alla reina, secondo il giudicio di Parmeno tutti andarono a sedere.
Le vivande dilicatamente fatte vennero e finissimi vini fur presti; e senza più chetamente li tre famigliari servirono le tavole. Dalle quali cose, per ciò che belle e ordinate erano rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e con festa mangiarono. E levate le tavole (con ciò fosse cosa che tutte le donne carolar sapessero e similmente i giovani e parte di loro ottima mente e sonare e cantare), comandò la reina che gli strumenti venissero; e per comandamento di lei Dioneo preso un liuto e la Fiammetta una viuola, cominciarono soavemente una danza a sonare. Per che la reina coll'altre donne, insieme co' due giovani presa una carola, con lento passo, mandati i famigliari a mangiare, a carolar cominciarono; e quella finita, canzoni vaghette e liete cominciarono a cantare.
E in questa maniera stettero tanto che tempo parve alla reina d'andare a dormire: per che, data a tutti la licenzia, li tre giovani alle lor camere, da quelle delle donne separate, se n'andarono, le quali co' letti ben fatti e così di fiori piene come la sala trovarono, e simigliantemente le donne le loro; per che, spogliatesi, s'andarono a riposare.
Non era di molto spazio sonata nona, che la reina, levatasi, tutte l'altre fece levare, e similmente i giovani, affermando esser nocivo il troppo dormire di giorno; e così se n'andarono in uno pratello, nel quale l'erba era verde e grande né vi poteva d'alcuna parte il sole; e quivi sentendo un soave venticello venire, sì come volle la lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a sedere, a' quali ella disse così:
- Come voi vedete, il sole è alto e il caldo è grande, né altro s'ode che le cicale su per gli ulivi; per che l'andare al presente in alcun luogo sarebbe senza dubbio sciocchezza. Qui è bello e fresco stare, e hacci, come voi vedete, e tavolieri e scacchieri, e puote ciascuno, secondo che all'animo gli è più di piacere, diletto pigliare. Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel quale l'animo dell'una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell'altra o di chi sta a vedere, ma novellando questa calda parte del giorno trapasseremo. ... Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare.
- Adunque, disse la reina, se questo vi piace, per questa prima giornata voglio che libero sia a ciascuno di quella materia ragionare che più gli sarà a grado.
E rivolta a Panfilo, il quale alla sua destra sedea, piacevolmente gli disse che con una delle sue novelle all'altre desse principio. Laonde Panfilo, udito il comandamento, prestamente, essendo da tutti ascoltato, cominciò così.
Per il testo completo qui
("SER CIAPPELLETTO" Giornata I, Novella I, Panfilo)
"Si racconta che Musciatto Franzesi, grande e ricco mercante toscano che aveva ottenuto titoli nobiliari alla corte di Francia, dovendo accompagnare Carlo "Senzaterra" in Italia, e sapendo che i suoi affari erano molto intricati e disseminati in molti luoghi, e che non si potevano concludere velocemente, pensò di affidarli a diverse persone: rimase solo indeciso sul chi mandare a riscuotere i suoi crediti in Borgogna.
Il motivo della sua titubanza era che conosceva i "borgognoni" come uomini litigiosi, di carattere cattivo e sleali, e non gli veniva in mente nessun uomo così cattivo che potesse a loro opporre.
Dopo aver riflettuto a lungo su questo problema, gli venne in mente un certo Ser Cepparello da Prato che spesso gli aveva chiesto riparo nella sua casa di Parigi, e che i francesi chiamavano erroneamente Ser Ciappelletto.
Questi era un notaio che provava grandissima vergogna quando doveva redigere un documento autentico, infatti, faceva documenti falsi gratis meglio che chiunque altro a pagamento. Diceva il falso per divertimento, sia quando era necessario per la sua professione, sia quando non lo era, e siccome allora in Francia si prestava gran fede ai giuramenti, aveva vinto molti processi giurando il falso, cosa che faceva senza nessuno scrupolo o preoccupazione.
Inoltre si divertiva e s'impegnava molto a far sorgere tra amici e parenti odi, scandali, inimicizie, e più ne scaturivano malvagità più era contento e divertito.
Invitato ad assistere ad un omicidio o a qualsiasi altro reato, vi andava di propria volontà senza mai negarlo, e più volte si trovò a ferire e uccidere uomini con le proprie mani, provandone un gran piacere.
Bestemmiava inoltre per ogni piccola cosa, poiché era la persona più irascibile che potesse esistere; non andava mai in chiesa, insultava i sacramenti con orrende parole e, al contrario, visitava volentieri e frequentemente le taverne e tutti gli altri luoghi disonesti.
Desiderava le donne come i cani le bastonate, mentre più che ogni altra persona provava piacere nell'andare con altri uomini.
Avrebbe rubato con astuzia e violenza, mettendosi gli stessi scrupoli che si mette un sant uomo per fare l'elemosina. Così goloso e amante del vino che spesso i suoi vizi gli procuravano orrendi malesseri, accanito giocatore e abile baro ai dadi.
Ma perché mi dilungo tanto a descriverlo? Egli era probabilmente solo il peggior uomo che mai fosse nato.
...
Essendosi ricordato di Ser Cepparello, Messer Musciatto pensò che fosse proprio la persona che la malvagità dei borgognoni richiedeva, e perciò dopo averlo fatto chiamare gli chiese di assumersi questo incarico in cambio di una cospicua ricompensa e della protezione della corte reale.
Ricevute da Messer Musciatto le lettere di raccomandazione firmate dal re e la procura per agire nelle veci del suo protettore, partì per la Borgogna dove ...
maniera trovò alloggio in casa di due fratelli fiorentini i quali svolgevano la professione illecita di usurai, e che gli riservarono ogni cortesia in onore di Messer Musciatto, e qui accadde che Ser Ciappelletto fu colto da infermità.
...Un giorno passando vicino alla camera dell'infermo, i due fratelli cominciarono a discutere su come liberarsi di colui che era diventato per loro un grosso problema: liberarsene dopo averlo accolto e fatto medicare in maniera così sollecita, sarebbe stato un segno di poco senno che la gente non avrebbe accolto bene. D'altra parte però, loro sapevano benissimo che genere di uomo era stato fino ad allora Ser Ciappelletto, e perciò sapevano anche che non avrebbe mai accettato di confessarsi, e perciò nessuna chiesa avrebbe mai accolto il suo corpo e probabilmente sarebbe stato gettato in una fossa come un cane. E se anche avesse deciso di confessarsi, i suoi peccati dovevano essere così tanti che avrebbe fatto la stessa fine.
E se mai egli avesse subito questa fine, la gente di questa città, che sempre parlava male del loro lavoro che considerava il peggiore di questo mondo, avrebbe causato dei tumulti per derubarli e forse per ucciderli; in ogni caso avrebbero avuto comunque da rimetterci.
Ser Ciappelleto, che giaceva lì vicino e avendo l'udito fine aveva udito questi discorsi, fece chiamare i due fratelli e li rassicurò, assicurando loro che non avrebbero dovuto temere di nulla a causa sua, infatti, egli aveva ormai commesso così tanti peccati, che uno più o uno meno non avrebbe ormai fatto differenza, perciò li istruì affinché quando egli si trovasse in punto di morte gli chiamassero il più valente frate della regione, garantendogli che avrebbe pensato lui ad aggiustare gli interessi suoi e loro.
I due fratelli, nonostante non avessero molta fiducia nell'infermo, andarono in un convento a chiamare uno dei frati più conosciuti e rispettati della regione, il quale una volta giunto al capezzale del moribondo, dopo averlo confortato, gli chiese quando fosse stata l'ultima volta che si era confessato.
Ser Ciappelletto, il quale non si era mai confessato, a questa attesa domanda rispose che era solito confessarsi una volta la settimana, se non più spesso, ma che purtroppo, da quando l'infermità l'aveva colpito, non aveva più potuto confessarsi, e purtroppo erano già passati otto giorni.
.................
Il frate gli fece tante altre piccole domande, ma mentre sempre più convinto della sua rettitudine morale si stava avviando a dargli l'assoluzione, Ser Ciappelletto gli confidò di non aver ancora rivelato alcuni suoi peccati, cioè di non aver rispettato in un'occasione il riposo domenicale, e poi di aver sputato per sbaglio in chiesa, e una serie di piccolezze che il frate definì inezie delle quali non doveva preoccuparsi, ma sentite queste parole, il malato cominciò a piangere dicendo di avere un ultimo peccato che non aveva mai avuto il coraggio di confessare, essendo certo che Dio non l'avrebbe mai perdonato.
Sollecitato dal frate al quale aveva chiesto di pregare per lui, e sempre piangendo, Ser Ciappelletto confessò di aver una volta da bambino offeso la propria madre; il religioso allora lo rassicurò una volta per tutte dicendogli che se lui se ne era pentito sicuramente Dio l'avrebbe perdonato.
...
Ser Ciappelletto prese la comunione, e peggiorando le sue condizioni, ebbe l'ultima unzione, e il giorno stesso morì e i due fratelli subito prepararono tutti i particolari della sepoltura, pagando con i soldi del defunto.
Saputa della sua morte il santo frate convinse gli altri suoi confratelli che fosse loro dovere accogliere il corpo di quel sant'uomo presso di loro; la mattina seguente si tenne la processione funebre a cui partecipò tutta la città e giunti in chiesa il frate che lo aveva confessato portò la sua vita ad esempio per tutti i credenti.
Questi lo lodò così a lungo e in maniera così convinta che tutti vollero, alla fine della messa, baciarlo e prendere un brandello delle sue vesti, e la notte stessa egli fu seppellito in una grande arca di marmo.
Tutti cominciarono ad adorarlo come ad un santo, cominciando a chiamarlo San Ciappelletto, attribuendogli molti meriti e miracoli.
Così visse e morì dunque ser Cepparello da Prato il quale infine divenne santo.
Per la lettura completa apri qui. ( Da leggere tutta la parte della confessione, dove il gioco della finzione giunge al parossismo, nel momento che Ciappelletto comincia a "piangere forte", provocando una inversione delle parti, tale che il santo frate confessore non si sente all'altezza del penitente, quasi si inginocchia davanti a lui e lo proclama santo).
Per la versione originale qui.