NEL PAESE DI “MARIO E IL MAGO” - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di venerdì 26 febbraio 2011
Gentile Augias, sono un cittadino dell’Italistan. Vivo a Milano 2, in un palazzo costruito dal presidente del Consiglio. Lavoro a Milano in un’azienda di cui è azionista il presidente del Consiglio. L’assicurazione dell’auto è del presidente del Consiglio, come l’assicurazione della mia previdenza integrativa. Compro il giornale, di cui è proprietario il presidente del Consiglio, o suo fratello, che è lo stesso. Vado in una banca del presidente del Consiglio. Esco dal lavoro faccio spese in un ipermercato del presidente del Consiglio, dove compro prodotti realizzati da aziende partecipate dal presidente del Consiglio. Se decido di andare al cinema, ho una sala del circuito di proprietà del presidente del Consiglio dove guardo un film prodotto e distribuito da una società del presidente del Consiglio (questi film godono anche di finanziamenti pubblici elargiti dal governo presieduto dal presidente del Consiglio). Se rimango a casa, guardo la tv del presidente del Consiglio con decoder prodotto da società del presidente del Consiglio, dove i film realizzati da società del presidente del Consiglio sono interrotti da spot realizzati dall’agenzia pubblicitaria del presidente del Consiglio. Faccio il tifo per la squadra di cui il presidente del Consiglio è proprietario. Guardo anche la Rai, i cui dirigenti sono stati nominati dai parlamentari che il presidente del Consiglio ha fatto eleggere. Se non ho voglia di tv, leggo un libro, la cui editrice è di proprietà del presidente del Consiglio. E il presidente del Consiglio a predisporre le leggi approvate da un Parlamento dove molti dei deputati della maggioranza sono dipendenti e/o avvocati del presidente del Consiglio, il quale governa nel mio esclusivo interesse.
Per fortuna!
Antonio Di Furia - antoniodifuria2@alice.it
Risponde Corrado Augias
Questa lettera è ovviamente un apologo, ma come spesso succede, rispecchia la possibile verità di una vita che potrebbe svolgersi proprio come il signor Di Furia scrive. Una volta si diceva che Torino era una città Fiat-dipendente nel senso che ogni attività e ogni passatempo (compreso il calcio) facevano capo a quella grande industria. Oggi potremmo dire che l’intera penisola dipende in qualche modo dalle attività del presidente del Consiglio. Cosa che, in questa parte del mondo, succede solo da noi. Perché? Perché l’uomo, per tanti aspetti goffo fino al ridicolo, possiede indubbia genialità, e altrettanta sfrontatezza, quando si tratta dei suoi affari. Ma abilità e sfrontatezza non sarebbero bastate se non si fosse trovato davanti un popolo provato da anni di corruzione e di cattiva politica, pronto a consegnarsi al ‘mago’ che pareva tirar fuori dal cilindro la soluzione di ogni problema. C’è una bella novella di Thomas Mann che bisognerebbe rileggere: ‘Mario e il mago’, appunto.
(trovato stamani nell'email di Libera Uscita)
Appendice di Barbabianca:
La tessera 1816 fa parte di un mosaico prodotto in Italia a nome e per conto delle Multinazionali (le "tigri di New York" di Pablo Neruda morto di disperazione all'arrivo di Pinochet: Wall Street e la City di Londra). Il vizio e la virtù sono un prodotto, come il vetriolo o lo zucchero (E'mile Zola), il Silvio nazionale è un prodotto di laboratorio, ben riuscito, troppo ben riuscito, troppo bravo, troppo autoreferenziale, troppo compromesso (leggi sputtanato); il problema di Lor Signori, prima che nostro, è di liberarsene, mantenendo la colonia italiana all'interno dei bandustan imperiali. Napoleone fu portato all'Elba e non bastò, poi a S.Elena e non moriva mai; fu aiutato dai custodi inglesi con cibi via via avvelenati. Pinochet è stato salvato dalla galera per anzianità pregressa; liquidare il Silvio salvandolo dalla galera è il gran busillis dei Servizi. L'Impero è in mano a un meticcio premio nobel della pace che pretende di dar le medicine gratis a tutti, ma sta portando avanti la guerra più stupida del mondo, tirandosi dietro l'Europa istupidita quanto lui; ma fino a quando?
Ma questo c. d'italiano? Tutta la fatica degli anni di piombo, la banca dell'agricoltura, S.Benedetto Val di Sambro, Bologna, Brescia, le BR, Aldo Moro...Che crede: che abbiamo fatto tutto per il suo mausoleo di Arcore? Un nuovo Napoleone prodotto dai nostri laboratori? Ma dove ha la testa. E questa Piazza del Popolo oggi a Roma? Basta! lo dobbiamo dire noi.
Operazione mascherata? Una escort nuova Giuditta? Un incidente stradale? L'aereo presidenziale, l'elicottero di Arcore? Kissinger che cosa propone? Invecchiato anche lui. Il Mossad che dice? Ce lo trova un arabo alla Ali Achka? Che giallo!
Altro che la fantascienza della Mondadori. Vale la pena vivere per vedere i prossimi capitoli della fantarealtà. Buona lettura. E buona giornata: una domenica di sole. Parto per il Casentino.
Nota letteraria
Mario und der Zauberer, 1930. Tradotto in italiano come Mario e il mago.
Una coppia di tedeschi colti e benestanti trascorrono le vacanze assieme ai due figlioletti in Italia, l'Italia del ventennio fascista, tronfia e ridicola, prepotente e chiusa.
Una sera vanno allo spettacolo del Cavalier Cipolla, prestigiatore e ipnotizzatore: come un plebeo branco di servi, il pubblico perde la libertà e si lascia soggiogare e manipolare dall'imbonitore. Chi prova a opporsi lo fa in modo fiacco e viene travolto anche lui.
Finchè...Mario, giovane cameriere, sotto ipnosi, viene indotto a baciarlo credendo di avere tra le braccia la ragazza dei suoi sogni. Quando torna in sé, Mario, resosi conto della beffa e dell’umiliazione subite, uccide il mago Cavaliere Cipolla.
Appendice alla nota:
Frate Cipolla, prima di diventare Cavaliere:
- Signori e donne, voi dovete sapere che, essendo io ancora molto giovane, io fui mandato dal mio superiore in quelle parti dove apparisce il sole, e fummi commesso con espresso comandamento che io cercassi tanto che io trovassi i privilegi del Porcellana, li quali, ancora che a bollar niente costassero, molto più utili sono a altrui che a noi. Per la qual cosa messom'io cammino, di Vinegia partendomi e andandomene per lo Borgo de'Greci e di quindi per lo reame del Garbo cavalcando e per Baldacca, pervenni in Parione, donde, non senza sete, dopo alquanto per venni in Sardigna. Ma perché vi vo io tutti i paesi cerchi da me divisando? Io capitai, passato il braccio di San Giorgio, in Truffia e in Buffia, paesi molto abitati e con gran popoli; e di quindi pervenni in terra di Menzogna, dove molti de'nostri frati e d'altre religioni trovai assai, li quali tutti il disagio andavan per l'amor di Dio schifando, poco dell'altrui fatiche curandosi, dove la loro utilità vedessero seguitare, nulla altra moneta spendendo che senza conio per quei paesi: e quindi passai in terra d'Abruzzi, dove gli uomini e le femine vanno in zoccoli su pe'monti, rivestendo i porci delle lor busecchie medesime; e poco più là trovai gente che portano il pan nelle mazze e 'l vin nelle sacca: da' quali alle montagne de' bachi pervenni, dove tutte le acque corrono alla 'ngiù. E in brieve tanto andai adentro, che io pervenni mei infino in India Pastinaca, là dove io vi giuro, per l'abito che io porto addosso che io vidi volare i pennati, cosa incredibile a chi non gli avesse veduti; ma di ciò non mi lasci mentire Maso del Saggio, il quale gran mercante io trovai là, che schiacciava noci e vendeva gusci a ritaglio. Ma non potendo quello che io andava cercando trovare, perciò che da indi in là si va per acqua, indietro tornandomene, arrivai in quelle sante terre dove l'anno di state vi vale il pan freddo quattro denari, e il caldo v'è per niente. E quivi trovai il venerabile padre messer Nonmiblasmete Sevoipiace, degnissimo patriarca di Jerusalem. Il quale, per reverenzia dell'abito che io ho sempre portato del baron messer santo Antonio, volle che io vedessi tutte le sante reliquie le quali egli appresso di sé aveva; e furon tante che, se io ve le volessi tutte contare, io non ne verrei a capo in parecchie miglia, ma pure, per non lasciarvi sconsolate, ve ne dirò alquante. Egli primieramente mi mostrò il dito dello Spirito Santo così intero e saldo come fu mai, e il ciuffetto del serafino che apparve a san Francesco, e una dell'unghie de' Gherubini, e una delle coste del Verbum caro fatti alle finestre, e de' vestimenti della Santa Fé catolica, e alquanti de' raggi della stella che apparve a' tre Magi in oriente, e una ampolla del sudore di san Michele quando combatté col diavole, e la mascella della Morte di san Lazzaro e altre. E per ciò che io liberamente gli feci copia delle piagge di Monte Morello in volgare e d'alquanti capitoli del Caprezio, li quali egli lungamente era andati cercando, mi fece egli partefice delle sue sante reliquie, e donommi uno de' denti della santa Croce, e in una ampolletta alquanto del suono delle campane del tempio di Salomone e la penna dell'agnol Gabriello, della quale già detto v'ho, e l'un de' zoccoli di san Gherardo da Villamagna (il quale io, non ha molto, a Firenze donai a Gherardo di Bonsi, il quale in lui ha grandissima divozione) e diedemi de' carboni, co' quali fu il beatissimo martire san Lorenzo arrostito; le quali cose io tutte di qua con meco divotamente le recai, e holle tutte.
Testo integrale qui.
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