sabato 13 novembre 2010

Guerre NATO - Jugoslavia addio.


A Firenze 13 pacifisti alla sbarra

 



clicca sull'immagine:







La pace ALLA SBARRA



Si apre oggi a Firenze il processo d'appello a tredici pacifisti che nel maggio '99 protestarono contro i raid «umanitari» Nato contro la Jugoslavia, subito aggrediti dalla polizia. Nel 2008 sono stati condannati a 7 anni di carcere


 



La Serbia è candidata ad un ingresso, forse nel 2016, nell'Ue. È una buona notizia. Non sufficiente però a sanare le ferite profonde della guerra del 1999, che continuano a sanguinare sotto le ipocrite bende di un colpevole oblio. Una di queste ferite si riaprirà oggi, 5 novembre, con il processo d'appello contro tredici pacifisti condannati il 28 gennaio 2008, in prima istanza, a ben sette anni di reclusione per aver manifestato del tutto pacificamente, posso testimoniarlo perché c'ero anch'io, a Firenze il 13 maggio del 1999 contro i bombardamenti Nato sulla Serbia (allora, con Kosovo e Montenegro, si chiamava ancora Jugoslavia). Il corteo si concluse sotto il Consolato Usa. Improvvisa una violenta carica dei Carabinieri. Fuggi fuggi a mani alzate, qualcuno pestato a caso, una ragazza quasi perse un occhio, lacrimogeni ad altezza d'uomo. Vennero individuate 13 persone - a posteriori, non identificate in loco - denunciate, processate e condannate a 7 anni di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale aggravata dal loro numero. Dissenso uguale sovversione o invece sacrosanta difesa della Costituzione?



L'imbroglio di Rambouillet



Sul banco degli imputati, anziché i 13 pacifisti dovrebbero esserci i vertici politici e militari, compreso il governo italiano d'allora, che vollero ad ogni costo un'operazione bellica altamente distruttiva, decisa fuori dall'Onu, in offesa alla Costituzione che «ripudia la guerra» e in contrasto perfino con lo stesso statuto della Nato. 





I bombardamenti furono decisi al termine di trattative tra Nato e Federazione Jugoslava, nel febbraio 1999, a Rambouillet. I giochi erano già fatti prima di cominciare. Gli Stati Uniti posero a Belgrado un ultimatum irricevibile col quale, di fatto, le truppe della Nato avrebbero avuto pieni poteri in tutto il paese. Lo denunciò Lamberto Dini, ministro degli esteri, dicendo pubblicamente: io a Rambouillet c'ero e devo testimoniare che la Nato non volle risolvere pacificamente, come sarebbe stato possibile, il problema umanitario (la Repubblica, 10 aprile 1999). Lo stesso Henry Kissinger dichiarerà: «Il testo di Rambouillet, che chiedeva a Belgrado di ammettere militari Nato in tutta la Jugoslavia, era una provocazione, una scusa per iniziare i bombardamenti» (Daily Telegraph, 28 giugno 1999). Mentre il Corriere della sera del 23 febbraio 2008 pubblicava una intervista di Fabrizio Roncone a Francesco Cossiga col titolo: «Portai D'Alema a Palazzo Chigi per fare la guerra», che è una chiara provocazione, gratuitamente offensiva verso l'allora premier, ma evocatrice degli scenari politici del tempo in cui si intrecciarono molti interessi inconfessati che niente avevano a che fare con la motivazione umanitaria.





I raid fecero stragi, impunite, di civili

 



«Durante i tre mesi di bombardamenti, sono stati uccisi 2.500 civili, di cui 89 bambini, e 12.500 feriti. Più i morti di leucemia per le radiazioni delle bombe ad uranio impoverito». Queste le parole dell'attuale, filoccidentale, presidente serbo Boris Tadic davanti al Consiglio di Sicurezza della Nato, denunciando che i 2.300 attacchi aerei hanno distrutto 148 abitazioni, 62 ponti, 300 scuole, 13 dei maggiori ospedali, 176 monumenti di interesse culturale e artistico, nonché decine di fabbriche e impianti produttivi. Altri analisti danno numeri molto più alti. Human Rights Watch ha calcolato fra 489 e 528 le perdite di civili jugoslavi causate dai raid. I morti e feriti civili furono causati da «incidenti» - i cosiddetti effetti collaterali - come il bombardamento dell'ambasciata cinese il 27 maggio, con la morte di tre funzionari, o quello della colonna di profughi albanesi sulla rotta Djakovica-Decani «scambiata» per convoglio militare serbo e pesantemente bombardata con 75 morti. Ma sono molti anche gli attacchi deliberati a treni e pullman durante il bombardamento ad alcuni ponti, nonché l'attacco mirato alla stazione televisiva serba, che causò 16 morti tra funzionari, giornalisti ed impiegati.



La ferita a sinistra, non rimarginata



Ferite su ferite. Il prezzo pagato è tutto politico. La crisi della sinistra e il vicolo cieco in cui si trova il nostro paese derivano in gran parte da quella sciagurata sottomissione agli Usa, gendarme supremo del mondo globalizzato, capace di rendere ininfluente ogni politica autonoma di alleati proni. Una sottomissione addirittura al di là dei piani di Clinton, per il quale sarebbe stata sufficiente l'autorizzazione all'uso di basi italiane senza intervento diretto del nostro esercito, dei nostri aerei, delle nostre navi. Tutto documentato. Fu una scelta per accreditare il nostro paese anche a guida di sinistra come altamente affidabile per l'Alleanza atlantica ma finì per rubare l'anima al popolo della sinistra.



Ferite su ferite. Coscienze dilaniate, relazioni umane distrutte, spaccature dei partiti di centrosinistra ma anche dei sindacati e dell'associazionismo. Lo sfascio della sinistra. Una pagina di fumetti di Sergio Staino su l'Unità del tempo fotografa il dramma: lui ed io su sponde opposte prive di ponti, distrutti dalle violenze serbe per l'uno e dai bombardamenti Nato per l'altro. I bellissimi disegni di Staino finiscono con l'impegno comune a ricostruirli i ponti. Conservo nella mia cameretta la matrice originale di quei fumetti donatami dal caro Sergio. C'è un ponte che non è stato ancora ricostruito, è il ponte della solidarietà verso i 13 processati. C'è chi sta tentando. Un appello diffuso con mezzi poveri e nel silenzio omertoso dei grandi media ha ricevuto in poco tempo duemila firme. Ne mancano ancora tante.


Nessun commento:

Posta un commento