2 giugno 2014
Mentre scrivo da Ramallah, territori occupati palestinesi, giungono ora
dopo ora le notizie della rappresaglia organizzata da parte del governo di
Israele nei confronti di tutto il popolo palestinese: demolizioni di case,
bombardamenti, arresti. E di quella privata, probabilmente per mano di gruppi
estremisti ebraici , contro un ragazzino di 16 anni, palestinese, a
Gerusalemme. Anche lui sequestrato, ucciso e bruciato. Il rumore dei caccia
israeliani diretti a Gaza fa da sottofondo, ed Il rischio che si apra una nuova
stagione di violenza dopo l’uccisione dei tre giovani coloni israeliani, i cui
presunti colpevoli non sono stati ancora fermati, è alto. Una nuova stagione di
guerra. Ma la guerra in realtà non è mai finita. In Cisgiordania vige uno
status quo apparentemente stabile, fondato su un equilibrio così precario che
può saltare in ogni momento. E’ un equilibrio dove le notizie di uccisioni di
palestinesi e di arresti, che avvengono quasi quotidianamente, non fanno
notizia. Per quanto le cronache italiane, insopportabilmente acquiescenti con
Israele , non lo ricordino mai, la Palestina, o meglio, i territori palestinesi
della Cisgiordania e di Gaza sono occupati dal 1967. Da Israele. Che rimane uno
stato occupante e che è quindi , da un punto di vista giuridico ed
istituzionale, responsabile della sicurezza, dell’amministrazione e militare in
quell’area dove è avvenuto il sequestro e poi l’uccisione dei tre studenti. Non
è un particolare da poco. E’ Israele, e non l’Autorità nazionale palestinese,
l’istituzione che ha responsabilità della sicurezza nell’area c dei territori,
secondo quella che rimane da Oslo la partizione di responsabilità giuridiche
fra Occupante , Israele, e Autorità nazionale Palestinese.
Non può essere quindi l’ANP additata in
alcun modo di responsabilità nel tragico evento. La responsabilità di quanto
successo va addebitata, secondo un principio basilare dello stato di diritto,
ai suoi esecutori materiali, ed è tutta da verificare l’ipotesi sostenuta dal
governo di Tel Aviv che quest’azione sia frutto deliberato di un’organizzazione
palestinese, che esista una pianificazione da parte di Hamas dell’omicidio dei
tre coloni. L’ insensata e sproporzionata reazione israeliana di queste ore,
che punisce per l’ennesima volta un intero popolo, non ha giustificazione
alcuna. La vendetta sommaria da parte di Israele di queste ore è fuori di ogni
civiltà giuridica, oltre che profondamente ingiusta.
La rappresaglia israeliana, l’ennesima
punizione collettiva nei confronti dei palestinesi non fa altro che gettare
altra benzina sul fuoco. Un fuoco che cova sotto le ceneri di un processo di
pace che è oramai su un binario morto, e ad avercelo portato sono proprio i
governi israeliani, che con la loro politica coloniale e di apartheid, di
sequestro di terre e territori hanno di fatto reso impossibile la nascita di
uno stato palestinese. Lo hanno fatto deliberatamente. Non è stato il destino,
ma l’esito di una volontà politica evidente a chi vuol vedere e non sia
accecato dalla propaganda israeliana.
La politica di colonizzazione dei
territori palestinesi non è una parentesi, è una costante dei governi
israeliani. E’ la ragione principale del fallimento del processo di pace. E’
ciò che impedisce materialmente e fisicamente la nascita di uno stato
palestinese. E’ violazione del diritto internazionale. E’ colonialismo. Questa
politica non ha avuto fine con gli accordi, ma al contrario, negli anni
successivi sono cresciuti gli insediamenti israeliani nel cuore della
Cisgiordania, con tacito assenso e colpevole silenzio di tanti.
Nei territori occupati oggi la
situazione è peggiore di quella precedente ad Oslo. Gli insediamenti sono
aumentati a dismisura, così come di pari passo è stata sempre più limitata la
libertà di movimento dei palestinesi, prigionieri delle loro enclaves,
costretti a vivere di umiliazioni costanti e crescenti.
Nei giornali italiani nessuno si è preso
poi la briga di ricordare cos’è Hebron sotto occupazione. Una città fantasma.
Dove un pugno di coloni ultraortodossi determina la vita di migliaia di
palestinesi a cui è stata sequestrata la città. Vale la pena tornare indietro
al 1994. Vent’anni fa fu uno di questi coloni, Baruch Goldstein, seguace della
setta ultrarazzista del rabbino Meir Kahane , ad entrare nella moschea di
Abramo, e ad aprire il fuoco uccidendo 29 palestinesi. Lo fece ed è celebrato
dalle organizzazioni utrasioniste come un eroe. Nessuno allora demoli la sua
casa, o arrestò i suoi fratelli. Anzi. Il coprifuoco fu imposto anche allora ai
palestinesi, che dai quei giorni non hanno più accesso libero alla moschea di
Abramo, alle vie del centro dove i coloni hanno deciso di installarsi. Dal 1994
il centro storico di Hebron è sotto controllo militare israeliano, a protezione
di coloni ultrareligiosi, che girano armati e che sono protagonisti di continue
violenze. Naturalmente questo non giustifica affatto l’assassinio dei tre
giovani coloni, ma spiega che cos’è oggi la Palestina, svela il contesto in cui
maturano i risentimenti e la rabbia dei palestinesi, senza il quale non si può
capire ciò che accade in questa terra.
Da quando Hebron è
stata sequestrata dai coloni la situazione in città è di costante tensione. Di
permanente provocazione. Quelli di Hebron, come il resto in Cisgiordania, sono
insediamenti illegali e illegittimi da punto di vista internazionale. Sono
protagonisti di tensioni e di prevaricazioni. Sono il simbolo della prepotenza
del più forte. Sono anch’essi degli esaltati fondamentalisti religiosi. Se
continueranno a costruirsi insediamenti, muri, check point, se le strade
riservate ai coloni costringeranno ancora i palestinesi a improbabili percorsi
alternativi di ore per percorrere le brevi distanze fra le loro città, non
potrà mai esservi pace. Questo è chiaro a tutta la comunità internazionale,
tranne che ai politici italiani, i quali fanno a gara a chi è più ossequioso
nei confronti di Israele. Non abbiamo mai sentito da parte di Renzi, Mogherini,
e via dicendo una sola voce di condanna degli insediamenti, degli arresti
arbitrari, dei bombardamenti, di cordoglio per le vittime palestinesi. Ma
oramai, il nostro paese, non ha più alcun ruolo nel mediterraneo. Complice
delle guerre neoimperialiste in Libia e in Siria, la sua funzione è ridotta a
quella di portaerei della Nato e di esecutore delle decisioni altrui. Che dire,
non pensavamo proprio di dover rimpiangere Andreotti e Craxi, che ebbero il
coraggio, a loro tempo, di azioni e politiche dignitose nei confronti della
questione palestinese. Davvero dei giganti rispetto ai palloni gonfiati del
nulla, ai servi sciocchi del nostro triste presente. Il problema palestinese si
chiama occupazione militare israeliana, apartheid ed insediamenti. Senza
mettere fine a mezzo secolo di occupazione, non potrà mai trovarsi la strada
per la soluzione del conflitto. Questa verità può essere nascosta dalla
propaganda filoisraeliana del nostro paese, ma non agli occhi dei popoli di
tutto il mondo.
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