La pastorale, dichiaratamente
missionaria, fu posta a fondamento del rapporto tra sacerdoti e abitanti del
quartiere. Tutto ciò che veniva attuato non faceva riferimento a dogmi o a
teoremi dottrinali: l’intento era quello di superare gli steccati tra credenti
e non credenti, tra buoni e cattivi, gli steccati politici e le divisioni
derivanti dalle diverse esperienze delle persone venute, nel nuovo quartiere,
dalla città (rimasti senza casa a causa della guerra e quindi sfollati), dalla
provincia (Casentino, Valdarno, Mugello), dal Sud Italia e dall’Istria (molti
erano profughi da questa terra che, un tempo italiana, era da poco passata alla
Jugoslavia), tutte persone venute a Firenze in cerca di lavoro.
Con Enzo ci trovammo d’accordo di
non portare con noi i nostri familiari: la nostra famiglia sarebbe stata la
gente.
L’intento era quello di operare
perché si potesse creare una nuova identità del territorio dove il fondamento
fosse soprattutto la fraternità, l’accoglienza reciproca, la partecipazione di
tutti per risolvere i problemi, anche materiali, propri di un nuovo quartiere,
nato come un fungo nel novembre 1954, privo di negozi, di strade, di scuole, di
chiesa, di tutti i servizi essenziali.
Un altro elemento di non poco
conto fu quello di esercitare gratuitamente il ministero in tutti i suoi
aspetti, ossia di rifiutare “tariffe” sia per la messa, sia per tutti i sacramenti.
Le offerte erano raccolte solo durante le funzioni domenicali con lo scopo di
eliminare così il “do ut des” e di favorire lo spirito di “famiglia” sia da
parte dei sacerdoti che da parte dei partecipanti alla liturgia e agli altri
atti religiosi.
Proprio per cercare di eliminare
questo giro di denaro legato alle prestazioni dei sacerdoti fu ciclostilata e distribuita
alle famiglie una lettera di cui riporto alcune parti:
“I sacerdoti di questa parrocchia offrono ogni giorno a Dio la messa e
il Divino Ufficio per tutti i parrocchiani, senza esclusione o restrizione
alcuna, per le loro necessità spirituali e corporali e per i loro defunti… Non
è possibile chiedere la celebrazione o l’applicazione della messa solo per sé e
non si possono fare in alcun modo offerte dirette: né per la celebrazione della
messa, né per l’amministrazione dei sacramenti, né per l’espletamento di altre
mansioni sacerdotali, né per alcun altro motivo. In tal modo i sacerdoti sono
indotti a vivere più perfettamente e ad esprimere meglio la loro missione nella
Chiesa, che è missione di paternità, quindi di amore disinteressato e
universale.
Al tempo stesso è offerta ai fedeli la possibilità di esprimere meglio
il loro vicendevole amore fraterno, che proprio li deve qualificare come
discepoli di Cristo…. Il denaro, così, non serve più ad affermare o a sostenere
l’individualismo religioso… infatti il fedele non contribuisce più alle spese
della Chiesa in vista del proprio interesse anche se spirituale…Il fedele è
invitato concretamente a vedere nella Chiesa la sua “vera” famiglia… a sentirsi
corresponsabile della propria famiglia e dei suoi bisogni… Tutto questo si
realizza meravigliosamente attraverso l’atto sacro dell’offerta del proprio
denaro durante la messa domenicale, atto col quale i cristiani partecipano
attivamente all’Offertorio della messa…” (documenti della Pastorale: Emp
0001-0098)
La liturgia vide, fin dal 22 dicembre 1957, giorno della consacrazione
della chiesa, l’altare staccato dal muro e rivolto verso la navata. Si diceva
la messa in latino, ma un gruppo di giovani si dava il cambio, alle varie messe
della domenica, per leggere la traduzione in italiano, traduzione che veniva
preparata settimana per settimana. Nella chiesa c’erano due altari laterali: in
uno veniva alloggiato il Santissimo e nell’altro veniva tenuto aperto un grande
libro della Bibbia come invito alla lettura da parte di coloro che
frequentavano la chiesa.
(pp 20-21 del libro)
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