mercoledì 15 settembre 2004


Vivere e morir bene
 
CARO Augias, sui bambini olandesi non mi pronuncio, parlo per me.
Ho ottant’anni, sono in buona salute, ottimi rapporti sociali, una non precaria situazione economica, inquieto pero’ sulla durata di una vita inevitabilmente in calando verso l’inutilita’ e, temo, la stupidita’.
Puo’ darsi che la mia esistenza sia un dono di Dio, ma e’ comunque divenuta nel tempo una cosa mia della quale vorrei restare padrone. Questo diritto vorrei che si confermasse nella libera scelta di quando e come prendere congedo.
Perche’ sopravvivere fino a perdere quel libero arbitrio che, anche in una visione religiosa, e’ cio’ che ci rende umani?
Mi piacerebbe, nel momento della decisione, pormi in posizione di preghiera davanti alla bellezza del mare su una costa amata, o nel segreto di un bosco agitato dal vento, oppure al cospetto di un suntuoso tramonto e da li’ inviare un ringraziamento mentale alla natura, ai figli, alle donne un tempo amate, agli amici che mi hanno voluto bene.
Vorrei un aiuto medico non crudele, affettuoso, per evitare le abominevoli sofferenze di una malattia incurabile, nonche’ il degrado che una maggioranza feroce vorrebbe impormi con la sopravvivenza ad ogni costo.
Quale sadismo presiede all’imposizione di un sopravvivere menomato? Chi puo’ valutare la menomazione se non il singolo finche’ resta consapevole? Perche’ invece un tale problema non puo’ essere discusso in sede legislativa? Proibito dal “politicamente corretto”?
Lettera firmata – Firenze

 Risponde Corrado Augias – c.augias@repubblica.it
GIORNI addietro ho dovuto far sopprimere il mio povero cocker Sansone ormai ridotto in uno stato intollerabile di sofferenza. Il veterinario mi ha spiegato che avrebbe iniettato in vena un’overdose di anestetico: Sansone si addormentera’ e dal sopore passerà alla morte.
Ho detto: dottore, mi prenoto per lo stesso trattamento. Erano anche presenti un infermiere e una segretaria. La ragazza ha aggiunto senza troppo scherzare: lo vorremmo fare tutti. Il medico e l’infermiere hanno annuito.
Cito l’episodio perche’ conferma in minima misura un orientamento generale, confermato dalle statistiche, favorevole all’eutanasia.
Il lettore fiorentino sceglie una soluzione che ricorda quella del magnifico film “Le invasioni barbariche”. Io mi accontenterei d’una stanza d’ospedale.
Se potessimo prescindere dal tabu’ religioso crudelmente imposto anche a chi religioso non e’, se volessimo discutere l’argomento senza scagliare anatemi, dovremmo dire che il problema è uno solo: garanzie impeccabili con le quali valutare che non c’e’ piu’ speranza d’una dignitosa sopravvivenza. Dignitosa significa non solo “libera dal male” ma consapevole, lucida, umana.Bisogna sapere che cosa significa soffrire senz’altra possibilità di sollievo che non siano dosi sempre piu’ frequenti di morfina. Ho visto situazioni del genere, e ho conosciuto medici abbastanza caritatevoli e coraggiosi da sfidare il rischio di porvi rimedio.Agito la questione ma con poche speranze: perfino la terapia antidolorifica incontra ancora resistenze e ostacoli, per non parlare dell’obbrobrio di una legge sulla fecondazione che vieta l’esame genetico dell’embrione.
E abbiamo anche la sfrontatezza di dire che vogliamo combattere il fondamentalismo islamico.


LA REPUBBLICA – COMMENTI - venerdì 3 settembre 2004 – pag. 14
LETTERE: Il libero arbitrio di congedarsi dalla vita 


Comunicazione di Giampietro Sestini (nella mia email)

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