Franco Piacentini
Cappelle del commiato, Careggi, ore 10 del 17 ottobre 2005. Ritrovo Umberto, Paola Rossi, Donata, gli studenti Marco Cei, Mauro Ragnini con altre persone non conosciute, una ottantina. Celebra la "funzione religiosa" il frate cappellano. Non conosce Franco, lo chiama Giuseppe, seguendo l'anagrafe. Pamela Villoresi (sì, proprio lei) gli si avvicina e sommessamente suggerisce il nome d'arte, Franco, cioè il nome di vita, perché l'arte del teatro è stata la vita di Franco Piacentini. La funzione religiosa ripete la favoletta-cliché consolatoria dei 4 novissimi (cioè ultimissimi) morte giudizio inferno paradiso, con il classico compromesso fra il terzo e il quarto che prende il nome di purgatorio, che il buon frate presenta a noi e a Franco, ormai muto nella cassa, come soluzione realistica in grado di mettere insieme la infinita bontà di un dio perfetto contabile con la ostinata perseveranza di noi umani incalliti ostinati peccatori. Non esclusi certo gli omossessuali e comunisti come Franco notoriamente era. L'immagine del lungo tunnel del Purgatorio ha accompagnato la mia immaginazione lungo il viaggio di rientro, in macchina, attraverso le sinuose vie del Terzolle, Careggi, Viale Morgagni, Piazza Dalmazia, Viale Redi, Ponte alla Vittoria, Lungarno dei Pioppi, Isolotto. Proprio ora ho sotto mano il libro di Jacques Le Goff, la nascita del Purgatorio, che il noto autore rimanda al secolo XII dell'era cristiana, dandone merito ad Alessandro di Halès, nato a Londra nel 1185, francescano come il nostro cappellano, titolare della prima cattedra francescana di teologia all'università di Parigi, dal 1225 al 1245. Proprio lui garantisce che "poco numerosi sono nella Chiesa coloro i cui meriti sono sufficienti e che non si devono far passare per il Purgatorio" (pag. 279 dell'opera citata, Einaudi tascabili). Nulla comunque da rimproverare al frate cappellano dell'Ospedale di Careggi che adempie diligentemente alla incombenza a lui affidata dalla Regione Toscana, che lo retribuisce con i fondi del SSN (servizio sanitario nazionale), nell'ambito della dovuta assistenza, riabilitazione e cura dei corpi e delle anime. Nulla da rimproverare salvo una cosa: che dopo le sue tante parole non abbia avuto la fantasia di rivolgersi ai presenti ancora in vita per dire: chi di voi ha qualcosa da esporre dal fondo del cuore è libero di farlo. Ha aperto e chiuso la pratica, gli addetti hanno deposto la salva sull'auto funebre e...
a questo punto, nella bella cappellina senza più il frate né la salma, tra i presenti ancora tutti astanti ha preso la parola un signore...E' cominciato così il funerale laico. La persona che parla è un medico, piuttosto giovane, che ha assistito Franco negli ultimi tempi. Ricorda che Franco era omosessuale e comunista, che era quella persona generosa e squisita che tutti conoscevamo, e che nei momenti più duri della malattia era stato proprio Franco il paziente a far coraggio a lui medico.
Casualmente mi sono caduti gli occhi sul cristo crocefisso in un bel bassorilievo di metallo dalla parte destra della parete di fondo della cappellina; m'è sembrato che avesse come un sussulto di impazienza contro i chiodi conficcati, ha socchiuso gli occhi nel balenio di un sorriso...è stato un attimo.
Una volta rotto il ghiaccio ha parlato un secondo signore ricordando gli anni novanta dell'Istituto Tecnico Commerciale Einstein di Firenze, quando Franco per una lunga serie di anni scolastici aveva portato il soffio della sua poesia all'interno di una comunità di mille studenti e 100 insegnanti con rappresntazioni fantastiche fatte dagli studenti da lui preparati, insieme a Donata e Umberto: la poeticità del "Risveglio di Primavera" di Vedekind al teatro Niccolini di Firenze, la "Trilogia del Risveglio di Primavera" di Carlo Goldoni al teatro Cestello, "La contenibile ascesa di Arturo Ui" al Teatro Studio di Scandicci. E' stato letto un brano della lettera di addio del Preside, al momento di lasciare la direzione di quella scuola, in cui tra le altre cose scriveva: "Ma come potrò dimenticare il "Sogno di una notte di mezza estate" - giugno 1987 - sul prato della scuola, con l'immenso telone, al chiarore della luna, con lo sfondo della palestra in costruzione, la musica di Haendel, il laghetto con i folletti, la danza dei noastri, i fiori di luce delle veneziane e, al centro, gli innamorati, tutti vestiti di bianco". Star bene a scuola: questo ha significato Franco per tanti studenti e per gli insegnanti, in quegli anni particolarmente impegnati nell'apertura della scuola ai venti di riforma che soffiavano con più veemenza di oggi. Barbabianca era presente alla rappresentazione di quel "sogno" e quella rievocazione gli ha attraversato l'anima con l'intensità d'una scarica elettrica.
Si è fatto avanti poi un giovane attore, bello e bruno, che non è riuscito a citare il pezzo della "Tempesta" di Shakespeare al quale voleva legare il ricordo della grande affinità e ammirazione che legava lui a Franco. I singulti gli hanno troncato la parola in gola. E mi dispiace da morire non potere qui riferire il brano shakespiriano. Tra parentesi ricordo quando fui sentimentalmente travolto da "La Tempesta" regia Streler rappresentata qui alla Pergola di Firenze, many years ago..
E' la volta poi di un giovane attore magro ed evanescente che ci dice" da Franco non ho imparato a recitare per la pochezza dei miei mezzi espressivi, ma ho imparato a vivere". (Lo abbraccio mentalmente). Infine un vecchio attore poveramente vestito racconta di aver vissuto l'ultima recita di Franco, già condannato dalla malattia, instancabile come sempre, generoso come non mai.
E poi la soddisfazione di salutare Atina Cenci, presente in mezzo agli altri, materna consolatrice di Pamela Villoresi visibilmente commossa, per non dire affranta. Io sono un grande ammiratore di Pamela e Atina e mi ha fatto doppio piacere constatare che Franco, umile, anche se grande, attore, era apprezzato stimato e amato da attrici di questa valenza professionale e di così profonda umanità.
Nessun commento:
Posta un commento